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Dal Vangelo secondo Luca Lc 21,5-19
“In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». 
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». 
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. 
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».”

 

 

TO.03.02.23

 

Ill.mo Signor Presidente della Corte Costituzionale Augusto Barbera

Ill.mo Capo dello Stato Sergio Mattarella

Ill.mo Presidente del Senato

Ill.mo Presidente della Camera

Ill.ma Presidente del Consiglio

 

In questi giorni e’ in approvazione l’atto della Camera: n.1515 , Senato n.674. - "Interventi a sostegno della competitività dei capitali e delega al Governo per la riforma organica delle disposizioni in materia di mercati dei capitali recate dal testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e delle disposizioni in materia di società di capitali contenute nel codice civile applicabili anche agli emittenti" (approvato dal Senato) (1515) .

L’articolo 11 (Svolgimento delle assemblee delle società per azioni quotate) modificato al Senato, consente, ove sia contemplato nello statuto, che le assemblee delle società quotate si svolgano esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla società. In tale ipotesi, non è consentita la presentazione di proposte di deliberazione in assemblea e il diritto di porre domande è esercitato unicamente prima dell’assemblea. Per effetto delle modifiche apportate al Senato, la predetta facoltà statutaria si applica anche alle società ammesse alla negoziazione su un sistema multilaterale di negoziazione; inoltre, sempre per effetto delle predette modifiche, sono prorogate al 31 dicembre 2024 le misure previste per lo svolgimento delle assemblee societarie disposte con riferimento all’emergenza Covid-19 dal decreto-legge n. 18 del 2020, in particolare per quanto attiene l’uso di mezzi telematici. L’articolo 11 introduce un nuovo articolo 135-undecies.1 nel TUF – Testo Unico Finanziario (D. Lgs. n. 58 del 1998) il quale consente, ove sia contemplato nello statuto, che le assemblee delle società quotate si svolgano esclusivamente tramite il rappresentante pagato e designato dalla società. Le disposizioni in commento rendono permanente, nelle sue linee essenziali, e a condizione che lo statuto preveda tale possibilità, quanto previsto dall’articolo 106, commi 4 e 5 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, che ha introdotto specifiche disposizioni sullo svolgimento delle assemblee societarie ordinarie e straordinarie, allo scopo di contemperare il diritto degli azionisti alla partecipazione e al voto in assemblea con le misure di sicurezza imposte in relazione all’epidemia da COVID-19. Il Governo, nella Relazione illustrativa, fa presente che la possibilità di continuare a svolgere l’assemblea esclusivamente tramite il rappresentante designato tiene conto dell’evoluzione, da tempo in corso, del modello decisionale dei soci, che si articola, sostanzialmente, in tre momenti: la presentazione da parte del consiglio di amministrazione delle proposte di delibera dell’assemblea; la messa a disposizione del pubblico delle relazioni e della documentazione pertinente; l’espressione del voto del socio sulle proposte del consiglio di amministrazione. In questo contesto, viene fatta una affermazione falsa e priva di ogni fondamento giuridico: che  l’assemblea ha perso la sua funzione informativa, di dibattito e di confronto essenziale al fine della definizione della decisione di voto da esprimere. Per cui non e’ vero che la partecipazione all’assemblea si riduca, in particolar modo, per gli investitori istituzionali e i gestori di attività, nell’esercizio del diritto di voto in una direzione definita ben prima dell’evento assembleare, all’esito delle procedure adottate in attuazione della funzione di stewardship e tenendo conto delle occasioni di incontro diretto, chiuse ai risparmiatori,  con il management della società in applicazione delle politiche di engagement.

Per cui in questo contesto, si verrebbe ad applicare una norma di esclusione dal diritto di partecipazione alle assemblee degli azionisti da parte di chi viene tutelato, anche attraverso il diritto  alla partecipazione alle assemblee dall’art.47 della Costituzione oltre che dall’art.3 della stessa per una oggettiva differenza di diritti fra cittadini azionisti privati investitori che non possso piu’ partecipare alle assemblee e ed azionisti istituzionali che invece godono di incontri diretti privati e riservati con il management della società in applicazione delle politiche di engagement.

Il che crea una palese ed illegittima asimmetria informativa legalizzata in Italia rispetto al contesto internazionale in cui questo divieto di partecipazione non sussiste. Anzi gli orientamenti europei vanno da anni nella direzione opposta che la 6 commissione presieduta dal sen.Gravaglia volutamente dimostra di voler ignorare.

Viene da chiedersi perche’ la maggioranza ed il Pd abbiano approvato questo restringimento dei diritti costituzionali ?

Tutto cio’ mentre Elon Musk ha subito una delle più grandi perdite legali nella storia degli Stati Uniti questa settimana, quando l'amministratore delegato di Tesla è stato privato del suo pacchetto retributivo di 56 miliardi di dollari in una causa intentata da Richard Tornetta che ha fatto causa a Musk nel 2018, quando il residente della Pennsylvania possedeva solo nove azioni di Tesla. Il caso è arrivato al processo alla fine del 2022 e martedì un giudice si è schierato con Tornetta, annullando l'enorme accordo retributivo perché ingiusto nei suoi confronti e nei confronti di tutti i suoi colleghi azionisti di Tesla.

La giurisprudenza societaria del Delaware è piena di casi che portano i nomi di singoli investitori con partecipazioni minuscole che hanno finito per plasmare il diritto societario americano.

Molti studi legali che rappresentano gli azionisti hanno una scuderia di investitori con cui possono lavorare per intentare cause, afferma Eric Talley, che insegna diritto societario alla Columbia Law School. Potrebbe trattarsi di fondi pensione con un'ampia gamma di partecipazioni azionarie, ma spesso si tratta anche di individui come Tornetta.

Il querelante firma i documenti per intentare la causa e poi generalmente si toglie di mezzo, dice Talley. Gli investitori non pagano lo studio legale, che accetta il caso su base contingente, come hanno fatto gli avvocati nel caso Musk.

Tornetta beneficia della vittoria della causa nello stesso modo in cui ne beneficiano gli altri azionisti di Tesla: risparmiando all'azienda i miliardi di dollari che un consiglio di amministrazione asservito pagava a Musk.

Gli esperti hanno detto che persone come Tornetta sono fondamentali per controllare i consigli di amministrazione. I legislatori e i giudici desiderano da tempo che siano le grandi società di investimento a condurre queste controversie aziendali, poiché sono meglio attrezzate per tenere d'occhio le tattiche dei loro avvocati. Ma gli esperti hanno detto che i gestori di fondi non vogliono mettere a repentaglio i rapporti con Wall Street.

Quindi è toccato a Tornetta affrontare Musk.

"Il suo nome è ora impresso negli annali del diritto societario", ha detto Talley. "I miei studenti leggeranno Tornetta contro Musk per i prossimi 10 anni". Questa e’ democrazia e trasparenza vera non quella votata da maggioranza e Pd.

Infatti da 1 anno avevo chiesto di essere udito dal Senato che mi ignorato nella totale indifferenza della 6 commissione . Mentre lo sono stati sia il recordman professionale dei rappresentanti pagati degli azionisti , l’avv.Trevisan , sia altri ispiratori e sostenitori della modifica normativa proposta. Per cui mi e’ stata preclusa ogni osservazione non in linea con la proposta della 6 commissione del Senato che ha esaminato ed emendato il provvedimento e questo viola i principi di indipendenza e trasparenza delle camera e senato: dov’e’ interesse pubblico a vietare le assemblee agli azionisti per ragioni pandemiche nel 2024 ?

La prova più consistente che tale articolo non ha alcuna ragione palese per essere presentato e’ che sono state di fatto rese permanenti le misure introdotte in via temporanea per l’emergenza Covid-19 In sintesi, il menzionato articolo 106, commi 4 e 5 - la cui efficacia è stata prorogata nel tempo e, da ultimo, fino al 31 luglio 2023 dall’articolo 3, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228 - prevede che le società quotate possano designare per le assemblee ordinarie o straordinarie il rappresentante designato, previsto dall'articolo 135-undecies TUF, anche ove lo statuto preveda diversamente; inoltre, la medesima disposizione consente alle società di prevedere nell’avviso di convocazione che l’intervento in assemblea si svolga esclusivamente tramite il rappresentante designato, al quale potevano essere conferite deleghe o sub-deleghe ai sensi dell’articolo 135-novies del TUF. L'articolo 135-undecies del TUF dispone che, salvo diversa previsione statutaria, le società con azioni quotate in mercati regolamentati designano per ciascuna assemblea un soggetto al quale i soci possono conferire, entro la fine del secondo giorno di mercato aperto precedente la data fissata per l'assemblea, anche in convocazione successiva alla prima, una delega con istruzioni di voto su tutte o alcune delle proposte all'ordine del giorno. La delega ha effetto per le sole proposte in relazione alle quali siano conferite istruzioni di voto, è sempre revocabile (così come le istruzioni di voto) ed è conferita, senza spese per il socio, mediante la sottoscrizione di un modulo il cui contenuto è disciplinato dalla Consob con regolamento. Il conferimento della delega non comporta spese per il socio. Le azioni per le quali è stata conferita la delega, anche parziale, sono computate ai fini della regolare costituzione dell'assemblea mentre con specifico riferimento alle proposte per le quali non siano state conferite istruzioni di voto, le azioni non sono computate ai fini del calcolo della maggioranza e della quota di capitale richiesta per l'approvazione delle delibere. Il soggetto designato e pagato come rappresentante è tenuto a comunicare eventuali interessi che, per conto proprio o di terzi, abbia rispetto alle proposte di delibera all’ordine del giorno. Mantiene altresì la riservatezza sul contenuto delle istruzioni di voto ricevute fino all'inizio dello scrutinio, salva la possibilità di comunicare tali informazioni ai propri dipendenti e ausiliari, i quali sono soggetti al medesimo dovere di riservatezza. In forza della delega contenuta nei commi 2 e 5 dell'articolo 135-undecies del TUF la Consob ha disciplinato con regolamento alcuni elementi attuativi della disciplina appena descritta. In particolare, l'articolo 134 del regolamento Consob n. 11971/1999 ("regolamento emittenti") stabilisce le informazioni minime da indicare nel modulo e consente al rappresentante che non si trovi in alcuna delle condizioni di conflitto di interessi previste nell'articolo 135-decies del TUF, ove espressamente autorizzato dal delegante, di esprimere un voto difforme da quello indicato nelle istruzioni nel caso si verifichino circostanze di rilievo, ignote all'atto del rilascio della delega e che non possono essere comunicate al delegante, tali da ARTICOLO 11 42 far ragionevolmente ritenere che questi, se le avesse conosciute, avrebbe dato la sua approvazione, ovvero in caso di modifiche o integrazioni delle proposte di deliberazione sottoposte all'assemblea. Più in dettaglio, per effetto del comma 4 dell'articolo 106, le società con azioni quotate in mercati regolamentati possono designare per le assemblee ordinarie o straordinarie il rappresentante al quale i soci possono conferire deleghe con istruzioni di voto su tutte o alcune delle proposte all'ordine del giorno, anche ove lo statuto disponga diversamente. Le medesime società possono altresì prevedere, nell’avviso di convocazione, che l’intervento in assemblea si svolga esclusivamente tramite il rappresentante designato, al quale possono essere conferite anche deleghe o sub-deleghe ai sensi dell’articolo 135-novies del TUF, che detta le regole generali (e meno stringenti) applicabili alla rappresentanza in assemblea, in deroga all’articolo 135-undecies, comma 4, del TUF che, invece, in ragione della specifica condizione del rappresentante designato dalla società, esclude la possibilità di potergli conferire deleghe se non nel rispetto della più rigorosa disciplina prevista dall'articolo 135-undecies stesso. Per effetto del comma 5, le disposizioni di cui al comma 4 sono applicabili anche alle società ammesse alla negoziazione su un sistema multilaterale di negoziazione e alle società con azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante. Le disposizioni in materia di assemblea introdotte dalle norme in esame non sono state approvate dal M5S il cui presidente , avv.Conte, aveva introdotto tali norme esclusivamente per il periodo Covid. Per cui l’articolo 11 in esame, come anticipato, introduce un nuovo articolo 135- undecies.1 nel Testo Unico Finanziario, ai sensi del quale (comma 1) lo statuto di una società quotata può prevedere che l’intervento in assemblea e l’esercizio del diritto di voto avvengano esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla società, ai sensi del già illustrato supra articolo 135-undecies. A tale rappresentante possono essere conferite anche deleghe o sub-deleghe ai sensi dell'articolo 135-novies, in deroga all'articolo 135-undecies, comma 4. La relativa vigilanza è esercitata, secondo le competenze, dalla Consob (articolo 62, comma 3 TUF e regolamenti attuativi) o dall’Autorità europea dei mercati finanziari – ESMA.

L’ESMA non e’ stata mai sentita dal sen.Gravaglia su questo articolo mentre la Consob ha espresso parere contrario che sempre lo stesso ha ignorato. Ma i soprusi non finiscono qui : il comma 3 del nuovo articolo 135-undecies.1 chiarisce che, nel caso previsto dalle norme in esame. il diritto di porre domande (di cui all’articolo 127-ter del TUF) è esercitato unicamente prima dell’assemblea. La società fornisce almeno tre giorni prima dell’assemblea le risposte alle domande pervenute. In sintesi, ai sensi dell’articolo 127-ter, coloro ai quali spetta il diritto di voto possono porre domande sulle materie all'ordine del giorno anche prima dell'assemblea. Alle domande pervenute prima dell'assemblea è data risposta al più tardi durante la stessa. La società può fornire una risposta unitaria alle domande aventi lo stesso contenuto. L’avviso di convocazione indica il termine entro il quale le domande poste prima dell'assemblea devono pervenire alla società. Non è dovuta una risposta, neppure in assemblea, alle domande poste prima della stessa, quando le informazioni richieste s

 

iano già disponibili in formato "domanda e risposta" nella sezione del sito Internet della società ovvero quando la risposta sia stata pubblicatma 7, del TUF relativo allo svolgimento delle assemblee di società ed enti. Per effetto delle norme introdotte, al di là delle disposizioni contenute nell’articolo in esame che vengono rese permanenti (v. supra), sono prorogate al 31 dicembre 2024 tutte le altre misure in materia di svolgimento delle assemblee societarie – dunque non solo quelle relative alle società quotate – previste nel corso dell’emergenza Covid-19. Questo che e’ un capolavoro di capziosità di un emendamento della sen.Cristina Tajani PD , ricercatrice e docente universitaria, di indifferenziazione parlamentare negli obiettivi : dal momento che le misure previste dall’art.11 in oggetto prevedono per essere applicabili il loro recepimento statutario, lo stesso viene ottenuto nel 2024 per ragioni di Covid,  con il rappresentante pagato , che ovviamente non porrà alcuna opposizione neppure verbale.

Illustri Presidenti se questa non e’ una negazione degli art.47 e 3 della Costituzione,  contro la democrazia e trasparenza societaria , cos’e ?

Al termine di questa mia riflessione vorrei capire se in questo nostro paese esiste ancora uno spazio di rispettosa discussione democratica o di tutela giuridica nei confronti di una decisione arbitraria di una classe dirigente qui’ palesemente opaca.

Confido in una vs risposta costruttiva di rispetto della libertà progressista di un paese evoluto ma stabile e garante nei diritti delle minoranze . Anche perché quello che ho anticipato con Edoardo Agnelli sul futuro della Fiat dal 1998 in poi si e’ tristemente avverato, e solo oggi, forse,  e’ diventato di coscienza comune ,  anche se a me e’ costato pesanti ritorsioni personali da parte degli organi di polizia e giustizia torinese e della Facolta’ di Economia Commercio di Torino . Ed ad Edoardo Agnelli la morte. Non e’ impedendomi di partecipare alle assemblee che Fiat & C ritorneranno in Italia, perché nel frattempo non esistono più a causa anche di chi a Torino e Roma gli ha concesso di fare tutto quello che di insensato hanno fatto dal 1998 in poi anche contro se stessi oltre che i suoi lavoratori ed azionisti, calpestando brutalmente chi osava denunciarlo pubblicamente nel tentativo, silenziato, di fermare la distruzione di un orgoglio e una risorsa nazionale. Giugiaro racconta che quando la Volkswagen gli chiese di fare la Golf gli presento’ la Fiat 128 come esempio inarrivabile. Oggi Tavares si presenta in Italia come il nuovo Napoleone , legittimato da Yaky e scortato dalla DIGOS per difenderlo da Marco BAVA che vorrebbe solo documentargli che l’industria automobilistica italiana ha una storia che gli errori di 3 persone non debbono poter cancellare. Anche se la storia finora ha premiato chi ha consentito il restringimento dei diritti in questo paese la frana del futuro travolgerà tutti.

Basta chiederlo a Montezemolo che tutto questo lo sa e lo ha vissuto direttamente.

 

Con ossequio.                                                         

 Marco BAVA

 

 

 

IL 10.12.23 PROGRAMMA TELEVISIVO SU L'OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI SU  PIAZZA LIBERTA', il programma di informazione condotto da Armando Manocchia,  su BYOBLU CANALE 262 DT CANALE

https://www.byoblu.com/2023/12/10/piazza-liberta-di-armando-manocchia-puntata-87/

https://youtu.be/_DJONMxixO8?si=rKoapPc2-8JtHha8

https://youtu.be/B05tTBK-w0E?si=O5XxvZFIr61tYU7w

https://www.youtube.com/watch?v=t0OrCSg1IZc

https://www.youtube.com/watch?v=Mhi-IY_dfr4

 

https://www.youtube.com/watch?v=ej0LPowV9YI

 

OSSERVAZIONI

  1. IL GRANDE AMICO DI EDOARDO CON CUI FECE VIAGGI ERA LUCA GAETANI
  2. EA NON FECE MAI NESSUNA CESSIONE DEI SUOI DIRITTI EREDITARI
  3. NE' EBBE ALCUN DISSIDIO CON GIOVANNI ALBERTO AGNELLI, DA CUI SOGGIORNAVA ANDANDO E TORNANDO DA GARAVICCHIO.
  4. INFATTI QUANDO CI FU L'EPISODIO DEL KENIA FU GIOVANNI ALBERTO AGNELLI AD ANDARLO A TROVARE.
  5. I LEGAMI CON LA SORELLA MARGHERITA NON EERANO STRETTI COME QUELLI CON I CUGINI LUPO RATTAZZI ED EDUARDO TEODORANI FABBRI. INFATTI NON ESISTONO LETTERE FRA EDOARDO E MARGHERITA .
  6. DEL CAMBIO DELLA SUCCESSIONE DA GIOVANNI ALBERTO A JAKY EA LO HA SAPUTO DALLA MADRE CHE NE HA CONVITO GIANNI PER NON PERDERE I PRIVILEGI DELLA PRESIDENZA FIAT,
  7. L'INTERVISTA AL MANIFESTO FU PROPOSTA DA UN GIORNALISTA DI REPUBBLICA PERCHE' LUI L'AVREBBE VOLUTA FARE MA NON GLIELO PERMETTEVANO.
  8. NON CI SONO PROVE CHE EA FOSSE DEPRESSO,
  9. LA PATENTE DI EA LA TENEVA LA SCORTA E NON ERA SUL CRUSCOTTO MA NEL CASSETTO DELLA CROMA EX DELL'AVVOCATO CON MOTORE VOLVO E CAMBIO AUTOMATICO, NON BLINDATA.
  10. LE INDAGINI SULL'OMICIDIO DI EA SONO TUTT'ORA APERTE PRESSO LA PROCURA DI CUNEO.

 

 

GRIVA QUANDO ENTRA IN SCENA ?

L’IMPERO DI FAMIGLIA: ECCO PERCHÉ ADESSO RISCHIA DI CROLLARE TUTTO

Estratto dell’articolo di Ettore Boffano per “il Fatto quotidiano”

È l’attacco al cuore di un mito: quello degli Agnelli. E a pagarne le conseguenze più dure potrebbe essere lui, l’erede che non porta più quel cognome, John Elkann.
A rischio di veder messo in ballo il ruolo che suo nonno gli aveva assegnato: la guida dei tesori di famiglia. Tutto passa per la Svizzera, dove Marella Caracciolo, vedova dell’avvocato, ha sempre dichiarato di avere la residenza sin dagli anni 70.
E con la cui legge successoria ha poi regolato i conti con la figlia: per escludere Margherita dalla propria eredità e, soprattutto, permettere al nipote di diventare il nuovo capo della dinastia.
[…] quella residenza […] ora piomba nell’inchiesta per frode fiscale della Procura di Torino. E i pm hanno poteri di accertamento rapidi e quasi immediati […]. Vediamo, punto per punto, che cosa c’è e che cosa indica quel documento e come potrebbe segnare i clamorosi sviluppi delle indagini.



1) La residenza svizzera. È decisiva: per stabilire se sono validi sia l’accordo e il patto firmati da Marella con la figlia a Ginevra nel 2004, sulla successione dell’avvocato e sulla sua, sia il testamento e le due aggiunte con i quali ha indicato come eredi i nipoti John, Lapo e Ginevra.
E infine per accertare la possibile evasione fiscale sul suo patrimonio. Trevisan spiega che la vedova dell’avvocato, dal 2003 sino alla morte nel 2019, non ha mai vissuto in Svizzera i 180 giorni all’anno necessari per poter mantenere quel diritto. “Ha trascorso ogni anno, in media, oltre 189 giorni in Italia, 94 in Marocco e solo circa 68 in Svizzera”. Se tutto saltasse, Margherita tornerebbe in campo nel controllo dell’impero Agnelli.



2) Gli “espedienti” sulla residenza. Il legale indica anche le presunte mosse per mascherare la permanenza di Marella in Italia. […] “Occorreva non far risultare intestate a Marella Caracciolo le utenze degli immobili in Italia e i relativi rapporti di lavoro... Un appunto del commercialista Gianluca Ferrero suggeriva che non fossero a lei riconducibili né dipendenti né animali, facendo risultare che i domestici fossero alle dipendenze di Elkann […]”.



3) Il personale delle ville. La ricostruzione di Trevisan […] sembrerebbe confermare i “consigli” di Ferrero. I magistrati […] stanno […] ascoltando le testimonianze di chi gestiva le residenze di famiglia. Il legale di Margherita ha contato oltre 30 dipendenti […]. I contratti erano intestati formalmente a Elkann, ma loro erano sempre al servizio della nonna.

4) I testamenti, veri o falsi. Nell’esposto, Trevisan affida alla Procura […] il compito di esaminare l’autenticità del testamento di Marella Caracciolo e delle due “aggiunte”, redatti dal notaio svizzero Urs von Grunigen. […] il legale aveva già sostenuto che, secondo due diverse perizie grafiche, almeno nella seconda “aggiunta” la firma della signora “appare apocrifa, con elevata probabilità”. Giovedì pomeriggio, la Guardia di Finanza si è presentata alla Fondazione Agnelli, proprio per acquisire vecchi documenti firmati da Marella e confrontare le firme.



5) Le fiduciarie di famiglia. Le Fiamme Gialle hanno anche prelevato migliaia e migliaia di pagine e documenti legati a quattro diverse fiduciarie, tutte citate nell’esposto di Trevisan. Due di esse, la Simon Fiduciaria e la Gabriel Fiduciaria facevano riferimento, un tempo, all’avvocato Franzo Grande Stevens e oggi sono state assorbite nella Nomen Fiduciaria della famiglia Giubergia e nella banca privata Pictet di Ginevra.
Che cosa può nascondersi in quegli “scrigni” votati alla riservatezza? Due cose, entrambe importanti. La prima […] riguarda il fatto se in esse sia potuto transitare denaro proveniente da 16 società offshore delle Isole Vergini britanniche, tutte intestate o a Marella Agnelli o a “membri della famiglia”, come la “Budeena Consulting Inc.” che, da sola, aveva in cassa 900 milioni dollari.
La seconda riguarda la possibilità che gli inquirenti possano trovare le tracce degli scambi azionari, tra la nonna e i nipoti, della “Dicembre”, la società semplice creata dall’avvocato nel 1984 per custodire il tesoro di famiglia e che oggi consente a John Elkann di gestire, a cascata, i 25,5 miliardi di patrimonio della holding Exor.


2. INCHIESTA ELKANN: LA GDF A CACCIA DI SOCIETÀ OFFSHORE

Estratto dell’articolo di Marco Grasso per “il Fatto quotidiano”

IL TESTAMENTO DI MARELLA CARACCIOLO CON LE INTEGRAZIONI E LE FIRME
IL TESTAMENTO DI MARELLA CARACCIOLO CON LE INTEGRAZIONI E LE FIRME

Margherita Agnelli […] dà la caccia ai capitali offshore di famiglia, che le sarebbero stati occultati nell’accordo sull’eredità. La Procura di Torino cerca i redditi, potenzialmente enormi, che sarebbero stati occultati al Fisco, attraverso fiduciarie collegate a paradisi fiscali.

Questi due interessi potrebbero convergere se cadesse il baluardo che finora ha protetto la successione della dinastia più potente d’Italia: la presunta residenza elvetica di Marella Caracciolo, moglie di Gianni e madre di Margherita. Se saltasse questo cardine, le autorità italiane potrebbero contestare reati tributari e sanzioni fiscali agli Elkann, e questa storia, come una valanga, potrebbe travolgere anche i contenziosi civili sull ’eredità, aperti in Svizzera e in Italia.

Sono tre gli indagati nell’in chiesta condotta dal procuratore aggiunto Marco Gianoglio e dai pm Mario Bendoni e Giulia Marchetti: Gianluca Ferrero, commercialista della famiglia Agnelli e presidente della Juventus; Robert von Groueningen, amministratore dell’eredità di Marella Agnelli (morta nel 2019); John Elkann, nipote di Marella, presidente di Stellantis ed editore del gruppo Gedi.

L’ipotesi è di concorso in frode fiscale e in particolare di dichiarazione infedele al Fisco per gli anni 2018-2019. In base all’intesa sulla successione di Gianni Agnelli nel 2004 […] Margherita accetta l’estromissione dalle società di famiglia in cambio di 1,2 miliardi; ottiene l’usufrutto su vari beni immobiliari e si impegna a versare alla madre Marella un vitalizio mensile da 500 mila euro. Di questi soldi non c’è traccia nei 730, da cui mancano in altre parole 8 milioni di euro (3,8 milioni di tasse).

Il perché gli investigatori si concentrino su quel biennio è presto detto: per chi indaga Marella Caracciolo, malata di Parkinson, era curata in Italia. La Procura ritiene che passasse gran parte del tempo a Villa Frescot, a Torino, oltre 183 giorni l’anno, la soglia dopo la quale il Fisco ritiene probabile che una residenza estera sia fasulla. Per questo ieri il Nucleo di polizia economico finanziaria di Torino […] ha sentito sei testimoni vicini alla famiglia: personale che di fatto lavorava al servizio di Marella, ma che era stato assunto dopo la morte del nonno da John Elkann o da società a lui riconducibili, un artificio che avrebbe rafforzato la tesi della residenza estera della nonna.

Questo è l’anello che mette nei guai l’erede della casata. Per i pm il commercialista Ferrero avrebbe disposto le dichiarazioni dei redditi infedeli, mentre l’esecutore testamentario svizzero le avrebbe controfirmate.

Ci sono inoltre le indagini commissionate da Margherita Agnelli all’investigatore privato Andrea Galli, confluite in un esposto in mano alla Procura. Lo 007 ha ricostruito le spese nella farmacia di Lauenen, villaggio nel cantone di Berna in cui sulla carta viveva Marella Caracciolo: dalle fatture fra il 2015 e il 2018 emergerebbe che le spese mediche coprivano il solo mese di agosto. […]

GLI INQUIRENTI cercano di ricostruire il flusso di redditi, la riconducibilità dei patrimoni e documenti originali in grado di verificare la validità delle firme sui testamenti. Se dovesse essere rimessa in discussione la residenza di Marella, si aprirebbe un nuovo scenario: il Fisco potrebbe battere cassa e contestare mancati introiti milionari per Irpef, Iva, successione e Ivafe (tassa sui beni esteri). Gli Elkann sono pronti a difendersi dalle accuse, e hanno sempre contestato la ricostruzione di Margherita.

 

 

DOPO 25 ANNI MARGHERITA HA PENSATO AI FRATELLI DI YAKY, LAPO E GINEVRA , COME GLI AVEVA DETTO EDOARDO:

Margherita Agnelli vuole costringere per via giudiziaria i suoi tre figli Elkann a restituire i beni delle eredità di Gianni Agnelli (morto nel 2003) e Marella Caracciolo (2019).

Un’ordinanza della Cassazione pubblicata a gennaio mette in fila, sintetizzando i «Fatti in causa», le pretese della madre di John Elkann nella sua offensiva legale. Il punto d’arrivo è molto in alto nel sistema di potere dei figli: l’assetto della Dicembre, la cassaforte (60% John e 20% ciascuno Lapo e Ginevra Elkann) azionista di riferimento dell’impero Exor, Stellantis, Ferrari, Juventus, Cnh ecc. (35 miliardi).


[…] La Corte suprema nella sua ordinanza si occupa di una questione tecnica laterale, annullando parzialmente […] la decisione del tribunale di Torino di sospendere i lavori in attesa dei giudici svizzeri. […] la Cassazione […] sintetizza in modo neutrale le richieste di Margherita e cioè, innanzitutto, «che sia dichiarata l’invalidità o l’inefficacia del testamento della madre».



E dunque «che sia aperta la successione legittima, sia accertata in capo all’attrice (Margherita ndr) la sua qualità di unica erede legittima della madre, sia accertata la quota della quale la madre poteva disporre e […] sia accertata la lesione della quota di riserva a essa spettante». A questo punto ci deve essere «la conseguente reintegra della quota mediante riduzione delle donazioni, anche dirette e dissimulate, e condanna dei convenuti (gli Elkann, ndr) alle restituzioni».

Il tema delle donazioni è fondamentale perché potrebbero essere i «mattoni» con cui si è costruita la governance a trazione John nella Dicembre. Margherita «in ogni caso ha chiesto la dichiarazione della sua qualità di erede del padre (...) e la condanna dei convenuti a restituire i beni dell’eredità del padre».



La manovra legale è dunque tesa ad azzerare tutto, proiettando Margherita nel ruolo di unica erede legittima della madre. E nell’eventuale riconteggio dell’eredità materna entrerebbero le donazioni anche «indirette e dissimulate».



JOHN ELKANN CON LA MADRE MARGHERITA AGNELLI AL SUO MATRIMONIO CON LAVINIA BORROMEO
JOHN ELKANN CON LA MADRE MARGHERITA AGNELLI AL SUO MATRIMONIO CON LAVINIA BORROMEO

Nella costruzione dell’attuale assetto della Dicembre con John al comando sono state decisive alcune transazioni con la nonna Marella dopo la morte (2003) di Gianni Agnelli. Secondo i figli de Pahlen, […] per il calcolo della quota legittima, nel perimetro ereditario della nonna Marella dovrebbe entrare anche il «75% della Dicembre, per il caso in cui si accertasse la simulazione degli atti di compravendita, il cui valore è stimato in euro 3 miliardi». Sostengono anzi che la nonna abbia «effettuato donazioni delle partecipazioni della Dicembre al nipote John per (...) circa 3 miliardi».



John Elkann e la madre Margherita entrano nella cassaforte come soci nel 1996, con Gianni Agnelli al comando. Nel ’99 l’Avvocato modifica lo statuto e detta il futuro: «se manco o sono impedito — è il senso — tutti i poteri vanno a John» che, alla morte del nonno, sale al 58%.
L’anno dopo (2004) Margherita vende per 105 milioni il 33% alla madre ed esce dalla Dicembre sulla base del patto successorio. Subito dopo la nonna cede tutto ai nipoti, tenendo l’usufrutto: John si consolida al 60%, una leadership che nel suo entourage giudicano «inattaccabile», a Lapo e Ginevra il resto. È l’assetto attuale di cui però s’è avuta notizia ufficiale nel 2021, dopo 17 anni di carte, transazioni e patti tenuti nascosti. Un bug temporale a dir poco anomalo per una delle più influenti società in Europa, inspiegabilmente tollerato per anni dalla Camera di Commercio di Torino. Anche su questo fa leva la strategia di Margherita per «scalare» il sancta sanctorum degli Elkann.

 

«La costruzione di una residenza estera fittizia» in Svizzera di Marella Caracciolo «ha avuto una duplice e concorrente finalità: da un lato, sotto il profilo fiscale, evitare l’assoggettamento a tassazione in Italia di ingenti cespiti patrimoniali e redditi derivanti da tali disponibilità; dall’altro, sotto il profilo ereditario, sottrarre la successione» della vedova dell’Avvocato «all’ordinamento italiano»: lo scrivono i magistrati di Torino nel decreto di sequestro che ha portato al blitz di ieri (7 marzo) della guardia di finanza, nell’ambito dell’inchiesta sull’eredità Agnelli e sulle presunte «dichiarazioni fraudolente» dei redditi di Marella Caracciolo. Per questo, è scattata anche una nuova ipotesi di reato: «truffa aggravata ai danni dello Stato e di ente pubblico (Agenzia delle entrate)».

Eredità Agnelli, i 734 milioni di euro lasciati da Marella e l'appunto sulla residenza svizzera: «Una vita di spostamenti»
CRONACA
Eredità Agnelli, i pm e gli appunti della segretaria di Marella Agnelli: «Sono la prova che non viveva in Svizzera»
Tra i beni in questione - secondo il Procuratore aggiunto Marco Gianoglio e i pubblici ministeri Mario Bendoni e Giulia Marchetti - ci sarebbero 734.190.717 euro, «derivanti dall’eredità di Marella Caracciolo».

Per la truffa aggravata sono indagati i tre fratelli Elkann, John, Ginevra e Lapo, lo storico commercialista della famiglia Gianluca Ferrero e Urs Robert von Gruenigen, il notaio svizzero che curò la successione testamentaria.
Gli investigatori - emerge dal decreto - hanno messo le mani anche su un documento di quattro pagine «riepilogante in forma schematica i giorni di effettiva presenza in Italia di Marella Caracciolo»: morale, nel 2015 la moglie di Gianni Agnelli dimorò «in Svizzera meno di due mesi», contro i 298 giorni passati in Italia. Nel 2018 il conto è di 227 giorni in Italia e 138 all’estero. Significativa anche la denominazione dell’ultima pagina del documento: «Una vita di spostamenti».
 

 

 

 

 

LA FRAGILITA' UMANA DIMOSTRA LA FORZA  E L'ESISTENZA DI DIO: le stesse variazioni climatiche e meteriologiche  imprevedibili dimostrano l'esistenza di DIO.

Che lo Spirito Santo porti buon senso e serenita' a tutti gli uomini di buona volonta' !

CRISTO RESUSCITA PER TUTTI GLI UOMINI DI VOLONTA' NON PER QUELLI DELLO SPRECO PER NUOVI STADI O SPONSORIZZAZIONI DI 35 MILIONI DI EURO PAGATI DALLE PAUSE NEGATE AGLI OPERAI ! La storia del ricco epulone non ha insegnato nulla perché chi e morto non può tornare per avvisare i parenti !  Mb 05.04.12; 29.03.13;

 

 

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Marco Bava ABELE: pennarello di DIO, abele, perseverante autodidatta con coraggio e fantasia , decisionista responsabile.

Sono quello che voi pensate io sia (20.11.13) per questo mi ostacolate.(08.11.16)

La giustizia non esiste se mi mettessero sotto sulle strisce pedonali, mi condannerebbero a pagare i danni all'auto.

(12.02.16)

TO.05.03.09

IL DISEGNO DI DIO A VOLTE SI RIVELA SOLO IN ALCUNI PUNTI. STA' ALLA FEDE CONGIUNGERLI

PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI SIA SANTIFICATO IL TUO NOME VENGA IL TUO REGNO, SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ COME IN CIELO COSI IN TERRA , DAMMI OGGI  IL PANE E LA ACQUA QUOTIDIANI E LA POSSIBILITA' DI NON COMMETTERE ERRORI NEL CERCARE DI REALIZZARE NEL MIGLIOR MONDO POSSIBILE IL TUO VOLERE, LA PACE NEL MONDO, IL BENESSERE SOCIALE E LA COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI. TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E FIGLI.

TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E DEI TUOI FIGLI .

SIGNORE IO NON CONOSCO I TUOI OBIETTIVI PER ME , FIDUCIOSO MI AFFIDO A TE.

Difendo il BENE contro il MALE che nell'uomo rappresenta la variabile "d" demonio per cui una decisione razionale puo' diventare irrazionale per questa ragione (12.02.16)

Non prendo la vita di punta faccio la volonta' di DIO ! (09.12.18)

La vita e' fatta da cose che si devono fare, non si possono non fare, anche se non si vorrebbero fare.(20.01.16)

Il mondo sta diventando una camera a gas a causa dei popoli che la riempiono per irresponsabilità politica (16.02.16)

I cervelli possono viaggiare su un unico livello o contemporaneamente su plurilivelli e' soggettivo. (19.02.17)

L'auto del futuro non sara' molto diversa da quella del presente . Ci sono auto che permarranno nel futuro con l'ennesima versione come : la PORSCHE 911, la PANDA, la GOLF perche' soddisfano esigenze del mercato che permangono . Per cui le auto cambieranno sotto la carrozzeria con motori ad idrogeno , e materiali innovativi. Sara' un auto migliore in termini di sicurezza, inquinamento , confort ma la forma non cambierà molto. INFATTI la Modulo di Pininfarina la Scarabeo o la Sibilo di Bertone possono essere confrontate con i prototipi del prossimo salone.(18.06.17)

La siccità e le alluvioni dimostrano l'esistenza di Dio nei confronti di uomini che invece che utilizzare risorse per cercare  inutilmente nuovi pianeti dove Dio non ha certo replicato l'esperienza negativa dell'uomo, dovrebbero curare l'unico pianeta che hanno a disposizione ed in cui rischiano di estinguersi . (31.10.!7)

L'Italia e' una Repubblica fondata sul calcio di cui la Juve e' il maggiore esponente con tutta la sua violenta prevaricazione (05.11.17)

La prepotenza della FIAT non ha limiti . (05.11.17)

I mussulmani ci comanderanno senza darci spiegazioni ne' liberta'.(09.11.17)

In Italia mancano i controlli sostanziali . (09.11.17)

Gli alimenti per animali sono senza controllo, probabilmente dannosi,  vengono utilizzati dai proprietari per comodita', come se l'animale fosse un oggetto a cui dedicare il tempo che si vuole, quando si vuole senza alcun rispetto ai loro veri bisogni  alimentari. (20.11.17)

Ho conosciuto l'avv.Guido Rossi e credo che la stampa degli editori suoi clienti lo abbia mitizzato ingiustificatamente . (20.11.17)

L'elicottero di Jaky e' targato I-TAIF. (20.11.17)

La Coop ha le agevolazioni di una cooperativa senza esserlo di fatto in quanto quando come socio ho partecipato alle assemblee per criticare il basso tasso d'interesse dato ai soci sono stato o picchiato o imbavagliato. (20.11.17)

Sono 40 anni che :

1 ) vedo bilanci diversi da quelli che vedo insegnati a scuola, fusioni e scissioni diverse da quelle che vengono richieste in un esame e mi vengono a dire che l'esame di stato da dottore commercilaista e' una cosa seria ?

2) faccio esposti e solo quello sul falso in bilancio della Fiat presentato da Borghezio al Parlamento e' andato avanti ?

 (21.11.17)

La Fornero ha firmato una riforma preparata da altri (MONTI-Europa sono i mandanti) (21.11.17)

Si puo' cambiare il modo di produrre non le fasi di produzione. (21.11,17)

La FIAT-FERRARI-EXOR si sono spostate in Olanda perche' i suoi amministratori abbiano i loro compensi direttamente all'estero . In particolare Marchionne ha la residenza fiscale in Sw (21.11.17)

La prova che e' il femore che si rompe prima della caduta e' che con altre cadute non si sono rotte ossa, (21.11.17)

Carlo DE BENEDETTI un grande finanziere che ha fallito come industriale in quanto nel 1993 aveva il SURFACE con il nome QUADERNO , con Passera non l'ha saputo produrre , ne' vendere ne' capire , ma siluro' i suoi creatori CARENA-FIGINI. (21.11.17)

Quando si dira' basta anche alle bufale finanziarie ? (21.11.17)

Per i consiglieri indipendenti l'indipendenza e' un premio per tutti gli altri e' un costo (11.12.17)

La maturita' del mercato finanziario e' inversamente proporzionale alla sottoscrizione dei bitcoin (18/12/17)

Chi risponde civilmente e penalmente se un'auto o un robot impazziscono ? (18/12/17)

Non e' la FIAT filogovernativa, ma sono i governi che sono filofiat consententogli di non pagare la exit-tax .(08.02.18) inoltre la FIAT secondo me ha fatto più danni all'ITALIA che benefici distruggendo la concorrenza della LANCIA , della Ferrari, che non ha mai capito , e della BUGATTI (13.02.18).

Infatti quando si comincia con il raddoppio del capitale senza capitale si finisce nella scissione

Tesi si laurea sull'assoluzione del sen.Giovanni Agnelli nel 1912 dal reato di agiotaggio : come Giovanni Agnelli da segretario della Fiat ne e' diventato il padrone :

https://1drv.ms/b/s!AlFGwCmLP76phBPq4SNNgwMGrRS4

 

Prima di educare i figli occorre educare i genitori (13.03.18)

Che senso ha credere in un profeta come Maometto che e'un profeta quando e' esistito  Gesu' che e' il figlio di DIO come provato  per ragioni storiche da almeno 4 testi che sono gli evangelisti ? Infatti i mussulmani  declassano Gesu' da figlio di DIO  a profeta perché riconoscono implicitamente l'assurdità' di credere in un profeta rispetto al figlio di DIO. E tutti gli usi mussulmani  rappresentano una palese involuzione sociale basata sulla prevaricazione per esempio sulle donne (19.03/18)

Il valore aggiunto per i consulenti finanziari e' solo per loro (23.03.18)

I medici lavorerebbero gratis ? quante operazioni non sono state fatte a chi non aveva i soldi per pagarle ? (26.03.18 )

lo sfregio delle auto di stato ibride con il motore acceso, deve finire con il loro passaggio alla polizia  con i loro autisti (19.03.18)

Se non si tassa il lavoro dei robot e' per la mancata autonomia in termini di liberta' di scelta e movimento e responsabilita' penale personale . Per cui le auto a guida autonoma diventano auto-killer. (26.04.18)

Quanto poco conti l'istruzione per l'Italia e' dimostrato dalla scelta DEI MINISTRI GELMINI FEDELI sono esempi drammatici anche se valorizzati dalla FONDAZIONE AGNELLI. (26.04.18) (27.08.18).

Credo che la lotta alla corruzione rappresenti sempre di piu' un fattore di coesione internazionale perche' anche i poteri forti si sono stufati di pagare tangenti (27/04/2018)

Non riusciamo neppure piu' a produrre la frutta ad alto valore aggiunto come i mirtilli....(27/04/2018)

Abbiamo un capitalismo sempre piu' egoista fatto da managers che pensano solo ad arraffare soldi pensando che il successo sia solo merito loro invece che di Dio e degli operai (27.04.18)

Le imprese dell'acqua e delle telecomunicazioni scaricano le loro inefficienze sull'utente (29.05.18)

Nel 2004 Umberto Agnelli, come presidente della FIAT,  chiese a Boschetti come amministratore delegato della FIAT AUTO di affidarmi lo sviluppo della nuova Stilo a cui chiesi di affiancare lo sviluppo anche del marchio ABARTH , 500 , A112, 127 . Chiesi a Montezemolo , come presidente Ferrari se mi lasciava utilizzare il prototipo di Giugiaro della Kubang che avrebbe dovuto  essere costruito con ALFA ROMEO per realizzare la nuova Stilo . Mi disse di si perche' non aveva i soldi per svilupparlo. Ma Morchio, amministratore delegato della FIAT, disse che non era accettabile che uno della Telecom si occupasse di auto in Fiat perche' non ce ne era bisogno. Peccato che la FIAT aveva fatto il 128 che si incendiava perche' gli ingegneri FIAT non avevano previsto una fascetta che stringesse il tubo della benzina all'ugello del carburatore. Infatti pochi mesi dopo MORCHIO  venne licenziato da Gabetti ed al suo posto arrivo' Marchionne a cui rifeci la proposta. Mi disse di aspettare una risposta entro 1 mese. Sono passati 14 anni ma nessuna risposta mi e' mai stata data da Marchionne, nel frattempo la Fiat-Lancia sono morte definitivamente il 01.06.18, e la Nissan Qashai venne presentata nel 2006 e rilancia la Nissan. Infatti dal 2004 ad oggi RENAULT-NISSAN sono diventati i primi produttori al mondo. FIAT-FCA NO ! Grazie a Marchionnne nonostante abbia copiato il suo piano industriale dal mio libro . Le auto Fiat dell'era CANTARELLA bruciavano le teste per raffredamento insufficente. Quella dell'era Marchionne hanno bruciato la Fiat. Il risultato del lavoro di MARCHIONNE e' la trasformazione del prodotto auto in prodotto finanziario, per cui le auto sono diventate tutte uguali e standardizzate. Ho trovato e trovo , NEI MIEI CONFRONTI, molta PREPOTENZA cattiveria ed incompetenza in FIAT. (19.12.18)

(   vedi :  https://1drv.ms/w/s!AlFGwCmLP76pg3LqWzaM8pmCWS9j ).

La differenza fra ROMITI MARCHIONNE e' che se uno la pensava diversamente da loro Romiti lo ascoltava, Marchionne lo cacciava anche se gli avesse detto che aumentando la pressione dei pneumatici si sarebbero ridotti i consumi.

FATTI NON PAROLE E FUMO BORSISTICO ! ALFA ROMEO 166 un successo nonostante i pochi mezzi utilizzati ma una richiesta mia precisa e condivisa da FIAT : GUIDA DIRETTA.  Che Marchionne non ha apprezzato come un attila che ha distrutto la storia automoblistica italiana su mandato di GIANLUIGI GABETTI (04.06.18).

Piero ANGELA : un disinformatore scientifico moderno in buona fede  su auto elettrica. auto killer ed inceneritore  (29.07.18)

Puoi anche prendere il potere ma se non lo sai gestire lo perdi come se non lo avessi mai avuto (01.08.18)

Ho provato la BMW i8 ed ho capito che la Ferrari e le sue concorrenti sono obsolete ! (20.08.18)

LA Philip Morris ha molti clienti e soci morti tra cui Marchionne che il 9 maggio scorso, aveva comprato un pacchetto di azioni per una spesa di 180mila dollari. Briciole, per uno dei manager più ricchi dell’industria automotive (ha un patrimonio stimato tra i 6-700 milioni di franchi svizzeri, cifra che lo fa rientrare tra i 300 elvetici più benestanti).E’ stato, però, anche l’ultimo “filing” depositato dal manager alla Sec, sul cui sito da sabato pomeriggio è impossible accedere al profilo del manager italo-canadese e a tutte le sue operazioni finanziarie rilevanti. Ed era anche un socio: 67mila azioni detenute per un investimento di 5,67 milioni di dollari (alla chiusura di Wall Street di venerdì 20 luglio 2018 ). E PROSSIMAMENTE  un'uomo Philip Morris uccidera' anche la FERRARI .   (20.08.18) (25.08.18)

verbali assemblee italiane azionisti EXOR :

https://1drv.ms/f/s!AlFGwCmLP76pg3Y3JmiDAW4z2DWx

verbali assemblee italiane azionisti FIAT :

https://1drv.ms/f/s!AlFGwCmLP76phApzYBZTNpkGlRkq

 

Prodi e' il peccato originale dell'economia italiana dal 1987 (regalo' l'ALFA ROMEO alla FIAT) ad oggi (25.08.18)

L'indipendenza della Magistratura e' un concetto teorico contraddetto dalle correnti anche politiche espresse nelle lottizzazioni delle associazioni magistrati che potrebbe influenzarne i comportamenti. (27.08.18)

Ho sempre vissuto solo con oppositori irresponsabili privi di osservazioni costruttive ed oggettive. (28.08.18)

Buono e cattivo fuori dalla scuola hanno un significato diverso e molto piu' grave perche' un uomo cattivo o buono possono fare il bene o il male con consaprvolezza che i bambini non hanno (20.10.18) 

Ma la TAV serve ai cittadini che la dovrebbero usare o a chi la costruisce con i nostri soldi ? PERCHE' ?

Un ruolo presidenziale divergente da quello di governo potrebbe porre le premesse per una Repubblica Presidenziale (11.11.2018)

La storia occorre vederla nella sua interezza la marcia dei 40.000 della Fiat come e' finita ? Con 40.000 licenziamenti e la Fiat in Olanda ! (19.11.18)

I SITAV dopo la marcia a Torino faranno quella su ROMA con costi doppi rispetto a quella francese sullo stesso percorso ? (09.12.18)

La storia politica di Fassino e' fatta dall'invito al voto positivo per la raduzione dei diritti dei lavoratori di Mirafiori. Si e' visto il risultato della lungimiranza di Fassino , (18.12.18)

Perche' sono investimenti usare risorse per spostare le pietre e rimetterle a posto per giustificare i salari e non lo sono il reddito di cittadinanza e quota 100 per le pensioni ? perche' gli 80 euro a chi lavora di Renzi vanno bene ed i 780 euro di Di Maio a chi non lavora ed e' in pensione non vanno bene ? (27.12.18)

Le auto si dividono in auto mozzarella che scadono ed auto vino che invecchiando aumentano di valore (28.12.18)

Fumare non e' un diritto ma un atto contro la propria salute ed i doveri verso la propria famiglia che dovrebbe avere come conseguenza la revoca dell'assistenza sanitaria nazionale ad personam (29.12.18)

Questo mondo e troppo cattivo per interessare altri esseri viventi (10.01.19)

Le ONG non hanno altro da fare che il taxi del mare in associazione per deliquere degli scafisti ? (11.02.19)

La giunta FASSINO era inutile, quella APPENDINO e' dannosa (12.07.19)

Quello che l'Appendino chiama freno a mano tirato e' la DEMOCRAZIA .(18.07.19)

La spesa pubblica finanzia le tangenti e quella sullo spazio le spese militari  (19.07.19)

AMAZON e FACEBOOK di fatto svolgono un controllo dei siti e forse delle persone per il Governo Americano ?

(09.08.19)

LA GRANDE MORIA DI STARTUP e causato dal mancato abbinamento con realta' solide (10.08.!9)

Il computer nella progettazione automobilistica ha tolto la personalizzazione ed innovazione. (17.08.19)

L' uomo deve gestire i computer non viceversa, per aumentare le sue potenzialita' non annullarle  (18.08.19)

LA FIAT a Torino ha fatto il babypaking a Mirafiori UNO DEI POSTI PIU' INQUINATI DI TORINO ! Non so se Jaky lo sappia , ma il suo isolamento non gli permette certo di saperlo ! (13.09.19)

Non potro' mai essere un buon politico perche' cerco di essere un passo avanti mentre il politico deve stare un passo indietro rispetto al presente. (04.10.19)

L'arretratezza produttiva dell'industria automobilistica e' dimostrata dal fatto che da anni non hanno mai risolto la reversibilità dei comandi di guida a dx.sx, che costa molto (09.10.19)

IL CSM tutela i Magistrati dalla legge o dai cittadini visti i casi di Edoardo AGNELLI  e Davide Rossi ? (10.10.19).

Le notizie false servono per fare sorgere il dubbio su quelle vere discreditandole (12.10.19)

L'illusione startup brucia liquidita' per progetti che hanno poco mercato. sottraendoli all'occupazione ed illude gli investitori di trovare delle scorciatoie al alto valore aggiunto (15.10.19)

Gli esseri umani soffrono spesso e volentieri della sindrome del camionista: ti senti piu' importante perche' sei in alto , ma prima o poi dovrai scendere e cedere il posto ad altri perche' nessun posto rimane libero (18.10.19)

Non e' logico che l'industria automobilistica invece di investire nelle propulsione ad emissione 0 lo faccia sulle auto a guida autonoma che brucia posti di lavoro. (22.10.19)

L'intelligenza artificiale non esiste perche' non e' creativa ma applicativa quindi rischia di essere uno strumento in mano ai dittatori, attraverso la massificazione pilotata delle idee, che da la sensazione di poter pensare ad una macchina al nostro posto per il bene nostro e per farci diventare deficienti come molti percorsi dei navigatori  (24.11.19)

Quando ci fanno domande per sapere la nostra opinione di consumatori ma sono interessati solo ai commenti positivi , fanno poco per migliorare (25.11.19)

La prova che la qualità della vita sta peggiorando e' che una volta la cessione del 5^ si faceva per evitare i pignoramenti , oggi lo si fa per vivere (27.11.19)

Per combattere l'evasione fiscale basta aumentare l'assistenza nella pre-compilazione e nel pagamento (29.11.19)

La famiglia e' come una barca che quando sbaglia rotta porta a sbattere tutti quanti (25.12.19)

Le tasse sull'inquinamento verranno scaricate sui consumatori , ma a chi governa e sa non importa (25.12.19)

Il calcio e l'oppio dei popoli (25.12.19)

La religione nasce come richiesta di aiuto da parte dei popoli , viene trasformata in un tentativo di strumento di controllo dei popoli (03.01.20)

L'auto a guida autonoma e' un diversivo per vendere auto vecchie ed inquinanoroti , ed il mercato l'ha capito (03.01.20)ttadini

Il vero potere della burocrazia e' quello di creare dei problemi ai cittadini anche se il cittadino paga i dipendente pubblico per risolvere dei problemi non per crearli.  Se per denunciare questi problemi vai fuori dal coro deve essere annientato. Per cui burocrazia=tangente (03.01.20)

Gli immigrati tengono fortemente alla loro etnina a cui non rinunciano , piu' saranno forti le etnie piu' queste  divideranno l'Italia sovrastando gli italiani imponendoci il modello africano . La mafia nigeriana e' solo un esempio. (05.01.20)

La sinistra e la lotta alla fame nel mondo sono chimere prima di tutto per chi ci deve credere come ragione di vita (07.01.20)

Credo di avere la risposta alla domanda cosa avrebbe fatto Eva se Adamo avesse detto di no a mangiare la mela ?  Si sarebbe arrabbiata. Anche oggi se non fai quello che vogliono le donne si mettono contro cercando di danneggiarti. (07.01.20)

Le sardine rappresenta l'evoluzione del buonismo Democristiano  e la sintesi fra Prodi e Renzi,  fuori fa ogni logica e senza una proposta concreta  (08.01.20)

Un cavallo di razza corre spontaneamente e nessuno puo' fermarlo. (09.01.20)

PD e M5S 2 stampelle non fanno neppure una gamba sana (22.01.20)

non riconoscere i propri errori significa sbagliare per sempre (12.04.20)

la vera ricchezza dei ricchi sono i figli dei poveri, una lotteria che pagano tutta la loro vita i figli ai genitori che credono di non avere nulla da perdere  ! (03.11.21)

GLI YESMEN SERVONO PER CONSENTIRE IL MANTENIMENTO E LO SVILUPPO E L'OCCULTAMENTO DEGLI INTERESSI OCCULTI DEL CAPITALISMO DISTRUTTIVO. (22.04.22)

DALL'INTOLLERANZA NASCE LA GUERRA (30.06.22)

L'ITALIA E' TERRA DI CONQUISTA PER LE BANDE INTERNE DEI PARTITI. (09.10.22)

La dimostrazione che non esista più il nazismo e' dimostrato dalla reazione europea contro Puntin che non ci fu subito contro Hitler (12.10.22)

Cara Meloni nulla giustifica una alleanza con la Mafia di Berlusconi (26.10.22)

I politici che non rappresentano nessuno a cosa servono ? (27.10.22)

Di chi sono Ambrosetti e Mckinsey ? Chi e' stato formato da loro ed ora e' al potere in ITALIA ?
Lo spunto e' la vicenda Macron . Quanti Macron ci sono in Italia ? E chi li controlla ? Mckinsey e' una P2 mondiale ?
Mb

Piero Angela ha valutato che lo sbarco sulla LUNA ancora oggi non e' gestibile in sicurezza ? (30.12.22)

Le leggi razziali = al Green Pass  (30.03.23)

Dopo 60 anni il danno del Vaiont dimostra il pericolo delle scelte scientifiche come il nucleare, giustificato solo dalle tangenti (10.10.23)

 

 

 

LA mia CONTROINFORMAZIONE ECONOMICA  e' CONTRO I GIOCHI DI POTERE,  perche' DIO ESISTE,  ANCHE SOLO per assurdo.

IL MONDO HA BISOGNO DI DIO MA NON LO SA, E' TALMENTE CATTIVO CHE IL BENE NON PUO' CHE ESISTERE FUORI DA QUESTO MONDO E DA QUESTA VITA !

PER QUESTO IL MIO MESTIERE E' CAMBIARE IL MONDO !

LA VIOLENZA DELLA DISOCCUPAZIONE CREA LA VIOLENZA DELLA RECESSIONE, con LICIO GELLI che potrebbe stare dietro a Berlusconi. 

IL GOVERNO DEGLI ANZIANI, com'e' LICIO GELLI,  IMPEDISCE IL CAMBIAMENTO perche' vetusto obsoleto e compromesso !

E' UN GIOCO AL MASSACRO dell'arroganza !

SE NON CI FOSSERO I SOLDATI NON CI SAREBBE LA GUERRA !

TU SEI UN SOLDATO ?

COMUNICAMI cio' pensi !

email

 

 

Riflessioni ....

Sopravvaluta sempre il tuo avversario , per poterlo vincere  .Mb  15.05.13

Torino 08.04.13

Il mio paese l'Italia non crede nella mia teoria economica del valore che definisce

1) ogni prodotto come composto da energia e lavoro:

Il costo dell'energia può tendere a 0 attraverso il fotovoltaico sui tetti. Per dare avvio la volano economico del fotovoltaico basta detassare per almeno 20 anni l'investimento, la produzione ed il consumo di energia fotovoltaica sui tetti.

2) liberalizzazione dei taxi collettivi al costo di 1 euro per corsa in modo tale da dare un lavoro a tutti quelli che hanno un 'auto da mantenere e non lo possono piu fare per mancanza di un lavoro; ed inoltre dare un servizio a tutti i cittadini.

3) tre sono gli obiettivi principali della politica : istruzione, sanita', cultura.

4) per la sanità occorre un centro acquisti nazionale  ed abolizione giorni pre-ricovero.

vedi PRESA DIRETTA 24.03.13

chi e' interessato mi scriva .

Suo. MARCO BAVA

 

I rapporti umani, sono tutti unici e temporanei:

  1. LA VITA E' : PREGHIERA, LAVORO E RISPARMIO.(02.02.10)
  2. Se non hai via di uscita, fermati..e dormici su. 
  3. E' PIU'  DIFFICILE  SAPER PERDERE CHE VINCERE ....
  4. Ciascun uomo vale in funzione delle proprie idee... e degli stimoli che trova dentro di se...
  5. Vorrei ricordare gli uomini piu' per quello che hanno fatto che per quello che avrebbero potuto fare !
  6. LA VERA UMILTA' NON SI DICHIARA  MA SI DIMOSTRA, AD ESEMPIO CONTINUANDO A STUDIARE....ANCHE SE PURTROPPO L'UNIVERSITÀ' E' FINE A SE STESSA.
  7. PIU' I MEZZI SONO POVERI X RAGGIUNGERE L'OBIETTIVO, PIU' E' CAPACE CHI LO RAGGIUNGE.
  8. L'UNICO LIMITE AL PEGGIO E' LA MORTE.
  9. MEGLIO NON ILLUDERE CHE DELUDERE.
  10. L'ITALIA , PER COLPA DI BERLUSCONI STA DIVENTANDO IL PAESE DEI BALOCCHI.
  11. IL PIL CRESCE SE SI RIFA' 3 VOLTE LO STESSO TAPPETINO D'ASFALTO, MA DI FATTO SIAMO TUTTI PIU' POVERI ALMENO 2 VOLTE.
  12. LA COSTITUZIONE DEI DIRITTI DELL'UOMO E QUELLA ITALIANA GARANTISCONO GIA' LA LIBERTA',  QUANDO TI DICONO L'OVVIETÀ'  CHE SEI LIBERO DI SCEGLIERE  E' PERCHE' TI VOGLIONO IMPORRE LE LORO IDEE. (RIFLESSIONE DEL 10.05.09 ALLA LETTERA DEL CARDINALE POLETTO FATTA LEGGERE NELLE CHIESE)
  13. la vita eterna non puo' che esistere in quanto quella terrena non e' che un continuo superamento di prove finalizzate alla morte per la vita eterna.
  14. SOLO ALLA FINE SI SA DOVE PORTA VERAMENTE UNA STRADA.
  15. QUANDO NON SI HANNO ARGOMENTI CONCRETI SI PASSA AI LUOGHI COMUNI.
  16. L'UOMO LA NOTTE CERCA DIO PER AVERE LA SERENITA' NOTTURNA (22.11.09)
  17. IL PRESENTE E' FIGLIO DEL PASSATO E GENERA IL FUTURO.(24.12.09)
  18. L'ESERCIZIO DEL POTERE E' PER DEFINIZIONE ANDARE CONTRO NATURA (07.01.10)
  19. L’AUTO ELETTRICA FA SOLO PERDERE TEMPO E DENARO PER ARRIVARE ALL’AUTO AD IDROGENO (12.02.10)
  20. BERLUSCONI FA LE PENTOLE MA NON I COPERCHI (17.03.10)
  21. GESU' COME FU' TRADITO DA GIUDA , OGGI LO E' DAI TUTTI I PEDOFILI (12.04.10)
  22. IL DISASTRO DELLA PIATTAFORMA PETROLIFERA USA COSA AVREBBE PROVOCATO SE FOSSE STATA UNA CENTRALE ATOMICA ? (10.05.10)
  23. Quante testate nucleari da smantellare dovranno essere saranno utilizzate per l'uranio delle future centrali nucleari italiane ?
  24. I POTERI FORTI DELLE LAUREE HONORIS CAUSA SONO FORTI  PER CHI LI RICONOSCE COME TALI. SE NON LI SI RICONOSCE COME FORTI SAREBBERO INESISTENTI.(15.05.10)

  25. L'ostensione della Sacra Sindone non puo' essere ne' temporanea in quanto la presenza di Gesu' non lo e' , ne' riservata per i ricchi in quanto "e' piu' facile che in cammello passi per la cruna di un ago ..."

  26. sapere x capire (15.10.11)

  27. la patrimoniale e' una 3^ tassazione (redditi, iva, patrimoniale) (16.10.11)

  28. SE LE FORZE DELL'ORDINE INTERVENISSERO DI PIU'PER CAUSE APPARENTEMENTE BANALI CI SAREBBE MENO CONTENZIOSO: CHIAMATO IL 117  PER UN PROBLEMA BANALE MI HA RISPOSTO : GLI FACCIA CAUSA ! (02.04.17)

  29. GRAN PARTE DEI PROFESSORI UNIVERSITARI SONO TRA LE MENTI PIU' FRAGILI ED ARROGANTI , NON ACCETTANO IL CONFRONTO E SI SENTONO SPIAZZATI DIVENTANO ISTERICI ( DOPO INCONTRO CON MARIO DEAGLIO E PIETRO TERNA) (28.02.17)

  30. Spesso chi compera auto FIAT lo fa solo per gratificarsi con un'auto nuova, e basta (04.11.16)

  31. Gli immigrati per protesta nei centri di assistenza li bruciano e noi dobbiamo ricostruirglieli  affinché  li redistruggono? (18.10.20)

  32. Abbiamo più rispetto per le cose che per le persone .29.08.21

  33. Le ragioni  per cui Caino ha ucciso Abele permangono nei conflitti umani come le guerre(24.11.2022)

  34. Quelli che vogliono l'intelligenza artificiale sanno che e' quella delle risposte autmatiche telefoniche? (24.11.22)

L'obiettivo di questo sito e una critica costruttiva  PER migliorare IL Mondo .

  1. PACE NEL MONDO
  2. BENESSERE SOCIALE
  3. COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI.
  4. LA DEMOCRAZIA AZIENDALE

 

L'ASSURDITÀ' DI QUESTO MONDO , E' LA PROVA CHE LA NOSTRA VITA E' TEMPORANEA , OLTRE ALLA TESTIMONIANZA DI GESU'. 15.06.09

 

DIO CON I PESI CI DA ANCHE LA FORZA PER SOPPORTALI, ANCHE SE QUALCUNO VORREBBE FARMI FARE LA FINE DI GIOVANNI IL BATTISTA (24.06.09)

 

IL BAVAGLIO della Fiat nei miei confronti:

 

IN DATA ODIERNA HO RICEVUTO: Nell'interesse di Fiat spa e delle Societa' del gruppo, vengo informato che l'avv.Anfora sta monitorando con attenzione questo sito. Secondo lo stesso sono contenuti in esso cotenuti offensivi e diffamatori verso Fiat ed i suoi amministratori. Fatte salve iniziative autonome anche davanti all'Autorita' giudiziaria, vengo diffidato dal proseguire in tale attivita' illegale"
Ho aderito alla richiesta dell'avv.Anfora, veicolata dal mio hosting, ricordando ad entrambi le mie tutele costituzionali ex art.21 della Costituzione, per tutelare le quali mi riservo iniziative esclusive dinnanzi alla Autorita' giudiziaria COMPETENTE.
Marco BAVA 10.06.09

 

TEMI SUL TAVOLO IN QUESTO MOMENTO:

 

IL TRIBUNALE DI  TORINO E LA CONSOB NON MI GARANTISCONO LA TUTELA DEL'ART.47 DELLA COSTITUZIONE

Oggi si e' tenuta l'assemblea degli azionisti Seat tante bugie dagli amministratori, i revisori ed il collegio sindacale, tanto per la Consob ed il Tribunale di Torino i miei diritti come azionista di minoranza non sono da salvaguardare e la digos mi puo' impedire il voto come e quando vuole, basta leggere la sentenza SENT.FIAT Mb

 

08.03.16

 

TEMI STORICI :

 

VIDEO DELLA TRASMISSIONE TV
Storie italiane
Puntata del 19/11/2019

SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI

https://www.raiplay.it/video/2019/11/storie-italiane-504278c4-8e8c-4b79-becc-87d5c7a67be6.html

 

10° Convegno
 
La grafopatologia in ambito giudiziario
L’applicazione della grafologia in criminologia, nelle malattie neurologiche e psichiatriche nel contesto giudiziario
 
Roma, 7 Dicembre 2019
 
Auditorium Facoltà Teologica “S. Bonaventura”
Via del Serafico 1 - Roma

 
alle ore 17,50
 
Vincenzo Tarantino
Gino Saladini
 
Elio Carlos Tarantino Mendoza Garofani
Grafologo giudiziario, esperto in fotografia forenseGiornalista, Criminologo
 
Il “suicidio” di Edoardo Agnelli: aspetti medico-legali criminologici e grafopatologici.

 

Edoardo Agnelli è stato ucciso?" - Guarda il video

I VIDEO DELLE PRESENTAZIONI GIA' FATTE LI TROVI SOTTO

LA PARTE DEDICATA AD EDOARDO AGNELLI SU QUESTO SITO

 PERCHE' TORINO HA PAURA DI CONOSCERE LA VERITA' SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI ?

Il prof.Mario DE AGLIO alcuni anni fa scrisse un articolo citando il "suicidio" di EDOARDO AGNELLI.  Gli feci presente che dai documenti ufficiali in mio possesso il suicidio sarebbe stato incredibile offrendogli di esaminare tali documenti. Quando le feci lui disconobbe in un modo nervoso ed ingiustificato : era l'intero fascicolo delle indagini.

A Torino molti hanno avuto la stessa reazione senza aver visto ciò che ha visto Mario DE AGLIO ma gli altri non parlano del "suicidio" di Edoardo AGNELLI ma semplicemente della suo morte.

Mb

02.04.17

 

 

grazie a Dio , non certo a Jaky,  continua la ricerca della verità sull'omicidio di Edoardo Agnelli , iniziata con i libri di Puppo e Bernardini, il servizio de LA 7, e gli articoli di Visto,  ora il Corriere e Rai 2 , infine OGGI  , continuano un percorso che con l'aiuto di Dio portera' prima di quanti molti pensino alla verita'. Mb -01.10.10

 

LIBRI SULL’OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI

www.detsortelam.dk

www.facebook.com/people/Magnus-Erik-Scherman/716268208

 

ANTONIO PARISI -I MISTERI DEGLI AGNELLI - EDIT-ALIBERTI-

 

CRONACA | giovedì 10 novembre 2011, 18:00

Continua la saga della famiglia ne "I misteri di Casa Agnelli".

Il giornalista Antonio Parisi, esce con l'ultimo pamphlet sulla famiglia più importante d'Italia, proponendo una serie di curiosità ed informazioni inedite

 Per dieci anni è stato lasciato credere che su Edoardo Agnelli, precipitato da un cavalcavia di ottanta metri, a Fossano, sull'Autostrada Torino - Savona, fosse stata svolta una regolare autopsia.

Anonime “fonti investigative” tentarono in più occasioni di screditare il giornalista Antonio Parisi che raccontava un’altra versione. Eppure non era vero, perché nessuna autopsia fu mai fatta.

Ora  Parisi, nostro collaboratore, tenta di ricostruire ciò che accadde quel giorno in un’inchiesta tagliente e inquietante, pubblicando nel libro “I Misteri di Casa Agnelli”, per la prima volta documenti ufficiali, verbali e rapporti, ma anche raccogliendo testimonianze preziose e che Panorama di questa settimana presenta.

Perché la verità è che sulla morte, ma anche sulla vita, dell’uomo destinato a ereditare il più grande capitale industriale italiano, si intrecciano ancora tanti misteri. Non gli unici però che riguardano la famiglia Agnelli.

Passando dalla fondazione della Fiat, all’acquisizione del quotidiano “La Stampa”, dalla scomparsa precoce dei rampolli al suicidio in una clinica psichiatrica di Giorgio Agnelli (fratello minore dell’Avvocato), dallo scandalo di Lapo Elkann, fino alla lite giudiziaria tra gli eredi, Antonio Parisi sviscera i retroscena di una dinastia che, nel bene o nel male, ha dominato la scena del Novecento italiano assai più di politici e governanti.

Il volume edito per "I Tipi", di Aliberti Editore, presenta sia nel testo che nelle vastissime note, una miniera di gustose e di introvabili notizie sulla dinastia industriale più importante d’Italia.

 

 

Mondo AGNELLI :

Cari amici,

Grazie mille per vostro aiuto con la stesura di mio libro. Sono contenta che questa storia di Fiat e Chrysler ha visto luce. Il libro e’ uscito la settimana scorsa, in inglese. Intanto e’ disponibile a Milano nella librerie Hoepli e EGEA; sto lavorando con la distribuzione per farlo andare in piu’ librerie possibile. E sto ancora cercando la casa editrice in Italia. Intanto vi invio dei link, spero per la gioia in particolare dei torinesi (dov’e’ stato girato il video in You Tube. )

http://www.youtube.com/watch?v=QLnbFthE5l0

Thanks again,

Jennifer

Un libro che riporta palesi falsita' sulla morte di Edoardo Agnelli come quella su una foto inesistente con Edoardo su un ponte fatta da non si sa chi recapitata da ignoto ad ignoti. Se fosse esistita sarebbe stata nel fascicolo dell'inchiesta. Intanto anche grazie a queste falsita' il prezzo del libro passa da 15 a 19 euro! www.marcobava.it

 

17.12.23

Il Sole 24 Ore:
 

La Giovanni Agnelli Bv ha deciso di rivedere anche il sistema di governance. Le nuove disposizioni, […] identificano tre interlocutori chiave tra gli azionisti: il Gruppo Giovanni Agnelli, il Gruppo Agnelli e il Gruppo Nasi. Si tratta di tre blocchi che raggruppano a loro volta gli undici rami famigliari storici. Il primo quello della Giovanni Agnelli coincide con la Dicembre e dunque pesa per il 40%. Segue il gruppo Agnelli con il 30% e il gruppo Nasi a cui fa capo il 20%. I componenti del cda della GA BV sono espressione proprio di questi tre “macro” gruppi famigliari della dinastia torinese.
Ognuno di loro esprime due rappresentanti nel board della Giovanni Agnelli Bv e uno nel board di Exor. Oggi il Gruppo Giovanni Agnelli ha indicato nel board della società olandese Andrea Agnelli e Alexander Von Fürstenberg. E questo nonostante Andrea Agnelli, che nel frattempo vive stabilmente ad Amsterdam, di fatto faccia parte di un altro blocco, quello del Gruppo Agnelli.
Per quest’ultimo i due membri del board sono Benedetto della Chiesa e Filippo Scognamiglio. Infine, per il gruppo Nasi Luca Ferrero Ventimiglia e Niccolò Camerana. I consiglieri del Cda della Bv sono nominati ogni 3 anni e decadono automaticamente al compimento di 75 anni. Ogni gruppo inoltre esprime un proprio rappresentante nel Cda di Exor che oggi sono Ginevra Elkann (Gruppo Giovanni Agnelli), Tiberto Ruy Brandolini D’Adda (Gruppo Agnelli) e Alessandro Nasi (Gruppo Nasi). Accanto al cda dell Bv resta in vita il Consiglio di famiglia, organo non deliberativo ma consultivo e formato da 32 membri.


Questa la nuova struttura societaria della
Giovanni Agnelli Bv per quote di possesso.

Dicembre (John Elkann , Lapo e Ginevra): 39,7%

Ramo Maria Sole Agnelli: 11,2%

Ramo Agnelli (Andrea Agnelli e Anna Agnelli): 8,9%

Ramo Giovanni Nasi: 8,7%

Ramo Laura Nasi-Camerana: 6%

Ramo Cristiana Agnelli: 5,05%

Ramo Susanna Agnelli: 4,7%

Ramo Clara Nasi-Ferrero di Ventimiglia: 3,4%

Ramo Emanuele Nasi: 2,5%

Ramo Clara Agnelli: 0,28%

Azioni proprie: 8,2%

 

Dovranno andare avanti le indagini della Procura di Milano con al centro il tesoro di Giovanni Agnelli, 13 opere d'arte che arredavano Villa
Frescot e Villar Perosa a Torino e una residenza di famiglia a Roma, sparite anni fa e ora reclamate dalla figlia Margherita unica erede dopo
la morte della madre e moglie dell'Avvocato, Marella Caracciolo di Castagneto, la quale aveva l'usufrutto dei beni.
Mentre riprenderà a Torino la battaglià giudiziaria sull' eredità lasciata dall'Avvocato, il gip milanese Lidia Castellucci, accogliendo in parte
i suggerimenti messi nero su bianco da Margherita nell'opposizione alla richiesta di archiviazione dell'inchiesta, ha indicato al pm Cristian
Barilli e al procuratore aggiunto Eugenio Fusco di raccogliere le testimonianze di Paola Montalto e Tiziana Russi, entrambe persone di
fiducia di Marella Caracciolo, le quali si sono occupate degli inventari dei beni ereditati, e di consultare tutte le banche dati «competenti»
comprese quelle del Ministero della Cultura e la piattaforma S.U.E.
(Sistema Uffici Esportazione).
Secondo il giudice, che invece ha archiviato la posizione di un gallerista svizzero e di un suo collaboratore indagati per ricettazione in base
alla deposizione di un investigatore privato a cui non sono stati trovati riscontri (secondo lo 007 avrebbero custodito in un caveau a Chiasso il
patrimonio artistico), gli ulteriori accertamenti potrebbero essere utili per identificare chi avrebbe fatto sparire la collezione composta da
quadri di Monet, Picasso, Balla, De Chirico, Balthus, Gérome, Sargent, Indiana e Mathieu.
Collezione di cui Margherita ha denunciato a più riprese la scomparsa, gettando ombre anche sui tre figli del primo matrimonio: John, Lapo e
Ginevra Elkann, e in particolare sul primogenito.
I quali «della sorte o delle ubicazioni di tali opere», hanno saputo «riferire alcunché».
E poiché ora lo scopo è recuperarle dopo che, per via dei vari traslochi, si sono volatilizzate, «appare utile procedere all'escussione» delle due
donne che «si sono occupate degli inventari degli immobili» e che, quindi, «potrebbero essere a conoscenza di informazioni rilevanti» in
merito agli spostamenti dei quadri e alla «eventuale presenza di inventari cartacei da esse redatti».
E poi per «verificare le movimentazioni di tali opere, appare opportuno» compiere accertamenti sulle banche dati comprese quelle del
ministero.
Infine, per effetto di un provvedimento della Cassazione, torna ad essere discusso in Tribunale a Torino il procedimento penale, promosso da
Margherita nei confronti dei figli John, Lapo e Ginevra Elkann per una questione legata all'; eredità di suo padre.
Il processo era stato sospeso in attesa dell'esito di due cause in Svizzera, ma ieri la Suprema Corte ha respinto il ricorso degli Elkann, come
hanno fatto sapere fonti legali vicine alla loro madre, e ha stabilito essere «pienamente sussistente la giurisdizione italiana», annullando l'ordinanza torinese.
«Nella verifica che tali giudici saranno chiamati ad effettuare - sottolineano gli avvocati - si dovrà tener conto anche della residenza abituale
di Marella Caracciolo», che a loro dire era in Italia, «e della opponibilità dell'accordo transattivo del 2004 nella successione Agnelli, con
possibili rilevanti ripercussioni sugli assetti proprietari della Dicembre», la società che fa capo agli eredi.

 

 

Fiat Nuova 500 Cabrio
Briosa e chic en plein air

Piacevole da guidare, la Fiat Nuova 500 Cabrio è una citycar elettrica dallo stile elegante e ricercato. Comoda solo davanti, ha una discreta autonomia e molti aiuti alla guida. Ma dietro si vede poco o nulla.

Quando lo dicevo io a Marchionne lui mi sfotteva dicendo che ci avrebbe fatto un buco. Ecco come ha distrutto l'industria automobilistica italiana grazie al potentissimo Fassino, grazie ai suoi elettori da 40 anni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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NON DIMENTICARE CHE:

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da fonti che MARCO BAVA ritiene affidabili. Ciononostante ogni lettore deve
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e per l'uso che fa di queste di queste informazioni
QUESTO SITO non deve in nessun caso essere letto
come fonte di specifici ed individualizzati consigli sulle
borse o sui mercati finanziari. Le nozioni e le opinioni qui
contenute in sono fornite come un servizio di
pura informazione.

Ognuno di voi puo' essere in grado di valutare quale livello di
rischio sia personalmente piu' appropriato.


MARCO BAVA

 

 

  ENRICO CUCCIA ----------MARCO BAVA

 

SITI SOCIETARI

 

Ø     http://www.aedesgroup.com

Ø     http://www.bancaprofilo.it

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Ø     http://www.centralelatte.torino.it

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Ø     http://www.mef.it/it/index.html montefibre

Ø     http://www.gruppozucchi.com

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www.taxjustice.net ; www.fanpage.it

www.ecobiocontrol.bio

www.andreagiacobino.com

 

 

http://www.matrasport.dk/Cars/Avantime/avantime-index.html

 

 

Auto e Moto d’Epoca 2013

 

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Veicoli d'interesse storico, la fiscalità e il redditometro;
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Norme per la circolazione dei veicoli storici;
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Veicoli d'interesse storico e collezionistico: circolazione e fiscalità 

 

 

 

http://delittodiusura.blogspot.it/2011/12/rete-antiusura-onlus.html

http://www.vitalowcost.it

http://www.terzasettimana.org

 www.attactorino.org SITO SOCIALE TORINESE

 

 

 

 http://www.giurisprudenzadelleimprese.it/

 

http://www.avvocatitelematici.to.it/

 

http://www.uibm.gov.it/

 

http://www.obiettivonews.it/

 

http://www.penalecontemporaneo.it

 

http://controsservatoriovalsusa.org/

 

http://www.borsaitaliana.it/borsa/notizie/price-sensitive/home.html?lang=it

 

http://www.societaquotate.com/

 

 

 

http://smarthyworld.com/renault.html

http://www.turbo.fr/renault/renault-avantime/photos-auto/

http://avantimeitalia.forumattivo.it/

http://it.wikipedia.org/wiki/PSA_ES_e_Renault_L7X

http://www.avantime-club.eu/

http://www.centropestelli.it/  scuola di giornalismo torinese

www.foia.it x la trasparenza

http://www.lingottoierieoggi.com la storia del lingotto

www.ipetitions.com PETIZIONI

http://www.casa.governo.it GUIDA AGEVOLAZIONI CASA

http://www.comune.torino.it/ambiente/bm~doc/report-siti-procedimenti-di-bonifica_informambiente.pdf AREE EX SITI INDUSTRIALI TORINESI DA BONIFICARE

 

 

 

 

 

ULTIMO AGGIORNAMENTO 19/03/2024 00.39.37

 

PUTIN ENTRA DEFINITIVAMENTE ALL'INFERNO E    Alexei Navalny IN PARADISO 

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LA VERITA' SULLA FIAT E LA FAMIGLIA AGNELLI,  PERCHÉ QUELLA CHE FINORA E' STATA PRESENTATA NON E' LA VERITA':

  1. GABETTI, GRANDE STEVENS, DONNA MARELLA, MARCHIONNE E JAKY HANNO SFASCIATO TUTTO.

  2. L'AVVOCATO ED UMBERTO NON HANNO CAPITO I DANNI CHE POTEVANO CAUSARE ED HANNO CAUSATO GABETTI GRANDE STEVENS E DONNA MARELLA.

  3. GABETTI CON MARCHIONNE e DONNA MARELLA CON JAKY hanno ucciso la FIAT.

  4. GIANNI AGNELLI FREQUENTAVA BOBBIO , YAKY ELON MUSK.

LE LETTERE DI EDOARDO AGNELLI

BOSSI PRODI DE BENEDETI GIANNI AGNELLI SCALFARI 1 SCALFARI 2 PANELLA GIANNI AGNELLI 2

ORIGINALI CUSTODITI DALLA BIBLIOTECA DI SETTIMO TORINESE  LETTERA SETT.T

SE VUOI AVERE UNA COPIA  DELLE LETTERE DI EDOARDO AGNELLI  :

 https://1drv.ms/f/s!AlFGwCmLP76pgSdXDIwzmDgGSLkE

 

COMODATO EA COMODATO D'USO DI VILLA SOLE DOVE VIVEVA EDOARDO AGNELLI

DOCUMENTi SULLA DICEMBRE SOCIETA' SEMPLICE CHE CONTROLLA JUVE, FERRARI, STELLANTIS

DICEMBRE 2021

DICEMBRE 1984

il mio libro sui Piani INDUSTRIALI

Libro Mb

LA MIA TESI DI LAUREA IN GIURISPRUDENZA SUL PROCESSO AL SENATORE AGNELLI  PER AGIOTAGGIO

CON SENTENZA NEL 1912

TESI SEN AGNELLI

VEDETE  COME LAVORA UIBM   CHE MI HA BLOCCATO OGNI ATTIVITA' MENTRE CON EUIPO RIESCO A LA LAVORARE NORMALMENTE  

CACAO&MIELE\7228-REG-1547819845775-rapp di ricerca.pdf

 

Presentazione del libro “JUVENTUS SEGRETA”, autore Gigi MONCALVO

Martedì 5 marzo, alle ore 18, nella Sala Musica del Circolo dei Lettori di Torino

VIDEO:

https://youtu.be/jfPFSm35_W0

 

 

19.03.24
  1. Senna e il mancato ingaggio in Ferrari Fusaro: ecco perché Fiorio sbaglia
    Egregio Direttore,
    scrivo in riferimento all'intervista a Cesare Fiorio pubblicata sulle vostre pagine. Desidero rettificare alcune affermazioni dello stesso Fiorio, rettifica che riterrei necessaria a tutela della mia persona e mio nome ma soprattutto della veridicità degli avvenimenti. Come ho dichiarato più volte, per quanto riguarda il mancato ingaggio di Senna - all'epoca in cui il sottoscritto era Presidente e Amministratore Delegato della Ferrari - i fatti raccontano come Alain Prost, ricevuto da Gianni Agnelli, si fece garantire da quest'ultimo il rinnovo del suo contratto in Ferrari, evidentemente incompatibile con un ingresso di Senna. La decisione venne resa subito di dominio pubblico e non fu più possibile ritornare sulla decisione. Faccio presente oltretutto che l'Avvocato era il proprietario della Ferrari, e in tutti i casi confermava il contratto non a un pilota qualsiasi.
  2. PECCATO CHE QUANDO GA VOLEVA MARADONA E BONIPERTI DISSE NO L'AVVOCATO LASCIO LIBERO DI DECIDERE BONIPERTI ANCHE SE GLIELO RINFACCIO' PER SEMPRE.

 

 

 

18.03.24
  1. La missione al Cairo per il memorandum: sul tavolo un pacchetto da 7,4 miliardi di euro
    "Soldi per bloccare i migranti in Egitto" Meloni e Von der Leyen oggi da Al Sisi
    Ilario Lombardo
    Inviato a Il Cairo
    «L'Unione europea e l'Egitto continueranno a cooperare per sostenere gli sforzi dell'Egitto nell'ospitare i rifugiati». Neppure le cautele del verbo diplomatico di questo passaggio, infilato verso la fine della bozza delle dichiarazioni congiunte tra Bruxelles e Il Cairo, riescono a nascondere il vero obiettivo della missione che oggi riunirà in Egitto, di fronte al presidente Abdel Fattah Al Sisi, la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen e la premier italiana Giorgia Meloni.
    Soldi uguale stabilità, uguale meno partenze di migranti: l'equazione è la stessa nei Paesi del Nord Africa affacciati sul Mediterraneo, tutti più o meno schiacciati da regimi autocratici. L'Egitto è un gigante infragilito con cui l'Ue deve fare i conti al più presto. Non c'è solo l'Italia a temere la bomba economica e sociale su cui è seduto Al Sisi. Che sia un timore diffuso lo prova anche la composizione della delegazione europea in visita oggi a Il Cairo. Assieme a Von der Leyen e Meloni ci saranno Alexander De Croo, premier belga e presidente di turno dell'Ue, il premier greco Kyriakos Mitsotakis e il presidente cipriota Nikos Christodoulidis, due Paesi che hanno grossi interessi convergenti con l'Egitto e in chiave anti-turca nella zona orientale del Mediterraneo.
    Ci sarà anche il cancelliere austriaco Karl Nehammer, presenza non scontata di leader di un Paese nordeuropeo, confinante e spesso in polemica con l'Italia. Il capitolo immigrazione è appena un paragrafo, al termine delle dichiarazioni che oggi saranno cofirmate da Al Sisi, e dove si parla di «sostegno finanziario» che Bruxelles continuerà a «fornire» per sostenere i programmi legati alla migrazione: 7,4 miliardi secondo il programma Ue. Ma in realtà il tema fa da sfondo agli altri obiettivi e alle preoccupazioni italiane, a partire dalla «stabilità economica».
    L'Egitto è un Paese piegato dall'inflazione e con un debito gigantesco. Fattori complicati dalla geografia. Perché è anche incastonato tra la Libia smembrata, il Sahel dei golpe a catena e quella Striscia di terra sanguinante che è Gaza. Sono i tre fronti che preoccupano il governo italiano. Dal Sud, quasi tutti dal Sudan, sono arrivati 9 milioni di sfollati. Come la Turchia, l'Egitto da Paese di transito si è trasformato in Paese di destinazione. I prezzi salgono, il grano scarseggia, il malessere sociale vola: una realtà pronta deflagrare se a questo disagio si somma il rischio che i palestinesi prigionieri a Rafah si riversino nel territorio egiziano. Un fronte, quello che ha incendiato il Medioriente, aggravato dagli Houthi, i ribelli yemeniti affiliati a Teheran che a colpi di missili tengono in scacco il corridoio di Suez. Meloni non nutre dubbi sulla strategia di stabilizzare il Nord Africa, finanziando i regimi. Anzi, a Palazzo Chigi si mostrano i dati degli sbarchi nei primi tre mesi dell'anno, crollati del 67% rispetto allo stesso periodo del 2023: da 19.937 si è scesi a 6.562. Cifre che non frenano Elly Schlein: «Trovo gravissimo - attacca la segretaria del Pd - che Von der Leyen voli in Egitto con Meloni per promettere risorse al regime di Al Sisi in cambio dello stop alle partenze». Stesso patto firmato con Kais Saied, la scorsa estate a Tunisi. A nulla è valsa la risoluzione dell'Europarlamento contro i soldi a un autocrate che soffoca i diritti umani. Né è pesato l'appello di Amnesty International ai leader che oggi, in brevi bilaterali, incontreranno Al Sisi. Gli interessi di Stato vincono anche sul tabù diplomatico dell'omicidio del ricercatore Giulio Regeni e dei depistaggi del Cairo. —
  2. il depistaggio
    Seck e il video hot la Cassazione: "Il pm va sospeso"
    La procura generale di Cassazione ha chiesto al Csm la sospensione dalle funzioni del pm di Torino Enzo Bucarelli, indagato dalla procura meneghina per depistaggio e frode processuale. Il capo di incolpazione disciplinare nei confronti del pm Enzo Bucarelli è collegato alla vicenda di revenge porn che ha visto come protagonista il giocatore del Torino Demba Seck. Per l'accusa, Bucarelli avrebbe cercato di influenzare il procedimento penale con una serie di irregolarità durante le fasi della perquisizione al calciatore che sarebbe stato nei fatti avvertito di quanto stava per accadere. Avrebbe, ancora, fatto cancellare i filmati dal cellulare e dalla cronologia delle chat davanti a due uomini della polizia giudiziaria. «Tengo ad affermare con forza la assoluta innocenza – rispetto ai gravi fatti contestatigli – di un magistrato che ha sempre onorato il suo ruolo e la sua funzione - spiega l'avvocato Michele Galasso, legale di Bucarelli - così come in tale vicenda. Non si può ignorare che egli, "prima" di disporre la cancellazione della trasmissione dei video intimi a terzi da parte del calciatore, si è premurato di cristallizzarne la prova in un verbale fidefacente»
  3. SISTEMI CINESI: C’è un dato che nei giorni scorsi è passato un po’ in sordina. Nel 2023, ben oltre un terzo delle indagini della Procura europea (Eppo) sulle frodi Iva negli Stati comunitari ha riguardato solo l’Italia. Il danno stimato è di 5,2 miliardi di euro rispetto ai 6,3 registrati complessivamente in tutti gli altri ventuno Paesi aderenti all’istituzione investigativa.



    Ma è guardando l’andamento storico che l’alert assume una rilevanza di politica fiscale interna: negli ultimi tre anni i procedimenti sull’Iva sono schizzati di oltre il 157%, mentre il valore è esploso del 300%, con una impennata fra il 2022 e il 2023. […]



    Il riscontro è negli accertamenti in corso di istruzione in diversi uffici giudiziari italiani: sta emergendo un «sistema» criminale che ha saputo interpretare le esigenze dei piccoli e medi evasori, spesso di «necessità», quelli che non possono permettersi le complesse operazioni di finanza sporca alla “Panama Papers”.

    Dietro queste modeste realtà societarie, prive di grosse risorse e lontane dall’immagine del «grande evasore», si sono sviluppate delle specie di “agenzie di servizi” che si occupano del cosiddetto underground bank, ovvero un sistema di banca occulta. Sono gestite da ramificate organizzazioni criminali che a prezzi moderati offrono evoluti schemi di finanza illecita fino a qualche tempo fa prerogativa esclusiva di realtà economicamente più strutturate in grado di pagare abili professionisti.



    In Lombardia, Emilia-Romagna e Marche è già stata svelata l’operatività di queste centrali, che propongono «multipli pacchetti» per aggirare le normative fiscali e antiriciclaggio, a seconda dell’esigenza di questi piccoli imprenditori senza troppi scrupoli.

    A Milano, sotto la gestione di soggetti cinesi, si concentra il maggior numero di operazioni «cartolari», con fatture false e soldi sporchi che interessano partite Iva di tutta Italia. Attività illecite dello stesso tipo sono registrate anche in altre regioni, parte sempre in mano a cinesi, parte a italiani, alcuni dei quali in connessione con ‘ndrangheta e camorra.



    L’offerta — destinata a lavorare micro-operazioni a partire da 15-20mila euro — è allettante: con un unico colpo è possibile costituire fondi neri, abbattere l’imponibile Iva e riciclare soldi provento di reato. Il tutto pagando una «provvigione» che può variare fra il 5 e 15% dell’ammontare del capitale.



    Valori moderatamente bassi che non devono trarre in inganno: nelle Marche, per esempio, in due anni sono stati movimentati circa 2 miliardi di euro, mentre in Emilia-Romagna sono state emesse e totalmente utilizzate 1.141 fatture false. Ciò perché si tratta di “servizi” cui beneficiano contemporaneamente svariate società in tutta Italia, che movimentano capitali tracciati ma basati su false fatture e capitali illeciti provento dell’evasione. Una massa di denaro che si mischia in un grande calderone per poi dividersi e prendere vie differenti a seconda dell’obiettivo.

    Il Sole 24 Ore ha analizzato l’andamento di diverse indagini, individuando per tutte queste “agenzie” uno schema unico low-cost, reso possibile dalle cartiere — cioè società puramente formali, di carta appunto, che non producono alcun bene — presenti sia in Italia che all’estero. In alcuni casi sono create ad hoc, ma in altri nascono pulite per poi essere sottratte con violenza a imprenditori in difficoltà: sono queste quelle preferite, perché riescono meglio a mimetizzarsi grazie alla precedente storia societaria, connotata da regolarità fiscale e contributiva. Il loro unico scopo è di emettere fatture per operazioni inesistenti.

    Lo schema più diffuso sembra quasi “brevettato”. È strutturato in modo da assicurare due tipologie di richieste, come si può osservare dal grafico: chi vuole crearsi un tesoretto in nero, pagando meno tasse, e chi vuole riciclare il denaro sporco.

    Le cartiere italiane rilasciano alle imprese una fattura falsa. Le imprese bonificano la cifra stabilita, simulando l’acquisto di un bene o servizio in realtà inesistente.



    Dopodiché la cartiera restituisce i soldi in contanti all’impresa, che crea un fondo nero ed ha una base documentale per abbattere l’imponibile fiscale (costituisce Iva credito). La cartiera, invece, trattiene la sua commissione del 5-15% per il lavoro svolto.



    Parallelamente, altre imprese hanno necessità di riciclare capitali provenienti da attività illecite, come precedenti evasioni fiscali, ma non di rado il “sistema” è sfruttato da trafficanti di droga. In questo caso il denaro viene consegnato in contante alle stesse cartiere.

    Inizia così una sorta di cocktail di capitali: il bonifico tracciato, frutto della prima attività, serve a giustificare e coprire l’ingresso dei capitali sporchi. Da quel momento il processo di «ripulitura» prosegue nei Paesi dell’Est, attraverso la simulazione di un nuovo acquisto presso una nuova società cartiera che generalmente ha sede in Bulgaria o in Ungheria (operazioni anche in Polonia, Lituania e Irlanda), collegata attraverso qualche prestanome alla cartiera italiana.



    Da lì il denaro può rientrate subito in Italia o, come dimostrato, può ripartire per la Cina. In entrambi i casi si segue lo stesso meccanismo: un ulteriore acquisto finto nei confronti di un’altra cartiera collegata allo stesso giro.

    Il passaggio finale è ancora oggetto d’indagine. Ma da primi riscontri, parte dei capitali resta in Cina e parte rientra in Italia per poi tornare pulito nella disponibilità delle imprese. Anche per questa operazione l’organizzazione intasca una provvigione tra il 5 e il 15 per cento. […]

 

 

 

17.03.24
  1. "Impastato figura divisiva, era schierato a sinistra" Gli studenti dicono no all'intitolazione di una scuola
    Gli studenti non vogliono che la loro scuola porti il nome di Peppino Impastato: e con una maggioranza quasi bulgara, 977 no su 1335 votanti, il 73,2%, affermano che il militante di Democrazia proletaria ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978 è «divisivo», in quanto targato politicamente. L'istituto è il liceo scientifico di Partinico, 50 chilometri da Palermo, intitolato a Santi Savarino, un senatore del Regno e scrittore che firmò le leggi razziali: da mesi il possibile cambiamento del nome è al centro di un dibattito che ha coinvolto istituzioni locali, consiglio d'istituto, il Comune, la prefettura, l'ufficio scolastico regionale. La scuola in un primo momento aveva insistito per Impastato, i commissari prefettizi che avevano retto il Comune (sciolto per mafia) avevano detto di sì, ma la giunta di centrodestra subentrata alla gestione commissariale si era poi opposta. Il no dei ragazzi adesso spiazza anche il fratello del coraggioso giornalista di Radio Aut, Giovanni Impastato: «Peppino – dice – è un personaggio molto amato dai giovani. Forse gli studenti non conoscono la storia, ma non prendano scuse. Dicano con chiarezza che preferiscono il nome di un razzista e fascista». I ragazzi hanno però firmato una lettera in cui si dicono contrari alla vecchia decisione e citano il sondaggio svolto fra di loro. In realtà la scelta contraria a Impastato non è automaticamente a favore di Savarino: due le personalità indicate in precedenza, Rosario Livatino, il giudice ragazzino ucciso nel 1990 da Cosa nostra, e l'ex sindaco Gigia Cannizzo, di sinistra, nota per l'impegno antimafia e morta un paio d'anni fa. C'era pure Rita Levi Montalcini, poi è arrivatoImpastato. Ora il plebiscito negativo: «Non si è tenuto conto delle nostre proposte - dicono gli studenti -. Non abbiamo nulla contro Impastato anche se avremmo preferito una persona meno divisiva, ma non ci piace il metodo».

 

 

 

 

16.03.24
  1. ERRORI GRAVI:  Stupro di gruppo
    Sei anni in 1° grado ma la Figc lascia giocare Portanova
    Manolo Portanova rischiava fino alla radiazione, ma la Corte federale d'appello ha deciso di sospendere il giudizio «sino alla formazione del giudicato in sede penale». Il calciatore del Genoa, in prestito alla Reggiana, può quindi continuare a giocare in attesa che si concluda l'iter penale che dal 6 dicembre 2022 lo vede condannato in primo grado a sei anni di reclusione per violenza sessuale di gruppo.
  2. da un calciatore
    Video hard rubato e diffuso, la Roma licenzia la vittima
    Licenziata dall'As Roma a causa di un video hard, in cui era in atteggiamenti intimi con il fidanzato, rubato he sarebbe stato sottratto e diffuso da un calciatore della Primavera che aveva chiesto in prestito il cellulare. L'impiegata, vittima, ha perso il posto di lavoro con la motivazione dell'incompatibilità ambientale. Nessun provvedimento per il giocatore, che ora rischia una denuncia per revenge porn. —

 

15.03.24
  1. L'Ue trova l'accordo per sostenere Kiev: un fondo da 5 miliardi
    Dopo settimane di trattative, i 27 governi europei hanno trovato un'intesa per rifinanziare il fondo che servirà a fornire armi e munizioni all'Ucraina. All'interno dello strumento europeo per la pace (Epf), sin qui usato per rimborsare gli Stati membri che inviano sostegno militare a Kiev, verrà istituito un fondo di assistenza ad hoc per l'Ucraina che per il 2024 avrà una dotazione di 5 miliardi. «Ce l'abbiamo fatta – ha esultato dagli Stati Uniti l'Alto Rappresentante Josep Borrell – e il nostro messaggio è chiaro: sosterremo Kiev con tutto ciò che è necessario per far sì che prevalga».
    L'idea iniziale di Borrell prevedeva di istituire un fondo quadriennale da 20 miliardi, ma il piano era stato subito accantonato per via delle resistenze di Viktor Orban. Eppure, anche il progetto ridimensionato su base annuale ha incontrato parecchie resistenze, soprattutto da parte di Germania e Francia. Berlino aveva chiesto un sistema per tener conto degli aiuti forniti in forma bilaterale nel calcolo della quota che ogni Paese dovrà versare. Il governo francese ha invece insistito per inserire la clausola "buy european", in modo da fornire materiale militare prodotto esclusivamente dall'industria bellica europea.
    Il compromesso raggiunto – grazie a una mediazione di Italia e Paesi Bassi – va nella direzione indicata da Parigi, ma prevede una certa flessibilità. Per l'acquisto del materiale militare verrà data priorità alla produzione europea, ma nel caso in cui non fosse possibile soddisfare gli ordini si potrà fare ricorso anche ad altri mercati. L'intesa raggiunta al tavolo degli ambasciatori sarà approvata lunedì prossimo dai ministri degli Esteri, a pochi giorni dal Consiglio europeo del 21-22 marzo
  2. Marcello Gandini: l'uomo che disegnò il futuro

    Con la Countach, creò la prima supersportiva dell’era moderna: ecco i suoi ricordi e le sue idee sull’elettrificazione

    di F. Buraschi, E. Deleidi | 

    Si prova sempre una certa emozione, oltre a un'enorme quantità di rispetto, quando si ha l'occasione d'incontrare i grandi della storia dell'automobile. E Marcello Gandini, che ci attende nella sua antica casa, là dove l'hinterland torinese si fa collina e prende un'aria come di campagna, rientra di sicuro nella schiera non dei grandi, ma dei grandissimi. Dalla sua matita sono scaturiti infatti autentici capolavori della storia del design, come le Lamborghini Miura e Countach e la Lancia Stratos Zero, per citarne soltanto alcuni, ma anche modelli a grande tiratura industriale, dalla Mini 90/120 alla Renault Supercinque, fino alla Citroën BX. Lo ascoltiamo, perciò, in un silenzio interrotto soltanto dalle poche, indispensabili domande.

    Il mondo dell'auto sta vivendo una grande rivoluzione: secondo lei, che direzione sta prendendo? 
    È molto difficile definire una chiara direzione: l'evoluzione che c'è stata in passato e che è durata ormai più di un secolo non ci porta chiarimenti sul senso di marcia intrapreso. Il fenomeno, secondo me, è legato più all'utilizzo che si fa dell'auto che alla sua forma e alle sue caratteristiche. Di norma è lecito, conoscendo il passato, farsi un'idea di come un fenomeno si è mosso e, di conseguenza, di quale sarà il suo futuro: oggi, invece, è più difficile, perché sono subentrate novità, come la guida autonoma e l'impiego dei motori elettrici per la propulsione, che creano una frattura chiaramente visibile. Dopo un secolo in cui l'automobile, pur cambiata moltissimo, è rimasta sostanzialmente la stessa, bisognerà vedere che cosa ci sarà in seguito a una cesura così netta: un precipizio, una risalita, un cambiamento profondo... Anche perché l'automobile è legata a un elemento piuttosto strano, nel contesto della società: costituisce una passione, a differenza – per dire – di un frigorifero o di un'aspirapolvere. Pur essendo un oggetto complesso dal punto di vista meccanico, ha un'anima, che viene percepita da tutti noi, chi in una misura maggiore e chi in una minore. Persino nei bambini più piccoli c'è un istinto che li porta ad amare l'auto, a giocare con le macchinine. Non si capiscono bene le ragioni di questa passione, ma io l’attribuisco, almeno in parte, a un aspetto fenomenale, che non viene quasi mai riconosciuto: il fatto che l’auto è strettamente connessa con l’unica invenzione dell’umanità non esistente in natura, la ruota. La nave esisteva già, sotto forma di tronco galleggiante; l'aereo pure, nelle sembianze di milioni di uccelli; l'elettronica anche, perché il nostro stesso corpo è costituito da elettroni. La ruota, invece, no. Questo produce un fascino che non esiste in nessuno degli altri oggetti. Già il bambino che gioca con una macchinina utilizza questa invenzione, frutto dell'ingegno dell'uomo, subendone l'attrazione. Da qui, la nascita di una passione che va ben oltre l'utilizzo di questa formidabile scoperta ed è legata al fatto che, oggi come nel passato, l'auto è qualcosa che sta a metà tra il tappeto volante e la casa.

    Ci spiega il senso di questa dicotomia? 
    Il fatto è che l'auto dà, al tempo stesso, il dono dell'ubiquità e il senso della protezione. Permette di essere facilmente dappertutto in modo autonomo, ma offre anche la sensazione di essere protetti dal mondo esterno. E tutto questo non potrà cambiare: la passione rimarrà, che derivi o meno dall'idea del tappeto volante o dall'invenzione della ruota. Bisognerà, però, capire come le nuove tecnologie si metteranno in relazione con quanto ora già esiste: il problema maggiore, per esempio, non è realizzare una vettura a guida autonoma, ma farla convivere con quelle tradizionali.

    Dal punto di vista formale, continuiamo a vedere auto elettriche molto simili a quelle con motori a combustione: non sembra di assistere a uno sforzo creativo particolare. 
    Questo è verissimo: ci si aspetterebbero cambiamenti più evidenti e più visibili. Ho avuto occasione di provare brevemente una Tesla e le sensazioni sentite erano assolutamente identiche a quelle che si avvertono su un'automobile tradizionale: una forte accelerazione, un rumore uguale, perché già a 100 km/h non si avvertono differenze, e nessuna diversità nelle percezioni che si sentono a bordo. Tutto sommato, significa che, per il momento, stiamo probabilmente perdendo un’occasione.

    Forse bisognerà aspettare una vettura pensata da Google o dalla Apple, cioè da aziende che non hanno una storia consolidata nella produzione di automobili con caratteristiche tradizionali… 
    Lo penso anch'io, ma credo anche che questo forte cambiamento dovrà essere comunque sottolineato, sia all'esterno sia all'interno dell'auto, da sensazioni per quanto possibili differenti. Poi, certamente, ci sono anche molte norme che impediscono di concepire oggetti completamente rivoluzionari. Oggi, però, abbiamo una grande libertà, impensabile in passato, per esempio per tutto quello che riguarda i fari. Un tempo c'erano limiti vincolanti anche alle dimensioni, in particolare per le vetture pensate anche per l'esportazione negli Stati Uniti; ai giorni nostri, invece, da questo punto di vista i designer hanno molta più facoltà di portare innovazioni profonde. Ho l'impressione, comunque, che manchino ancora delle auto che, nel loro insieme e senza ricorrere ai dettagli, sappiano suscitare sensazioni particolari. La percezione di qualcosa di profondamente nuovo dovrebbe essere trasmessa già a partire dalla forma e dal tipo di vita possibile a bordo; l'interno di un'auto è fatto di spazio, di luce, di contatti visivi e tattili. Ci dovranno essere dei cambiamenti che aiutino la percezione di questa innovazione.

    Oggi si parla molto anche del fenomeno chiamato restomod, cioè del restauro di modelli classici, effettuato applicando tecnologie moderne, che ne dovrebbero migliorare le caratteristiche, estetiche e tecniche. Che cosa pensa di questa tendenza? 
    Per mestiere e vocazione, sono più portato a cercare di fare ogni volta qualcosa di diverso. Volendo comunque trovare un senso a questo tipo di operazioni, direi che sono il sintomo di un legame profondo con un passato tutto sommato recente, percepito come importante da coloro che, spesso, lo hanno vissuto personalmente. 

    Ci sono modelli, nella storia dell'auto, destinati a lasciare un segno perenne? 
    Secondo me, le auto che avranno ancora un senso e un'immagine particolare nel futuro sono quelle che già li avevano al momento della loro presentazione. Ci possono anche essere modelli diventati importanti a causa dei numeri raggiunti e della loro diffusione, com'è il caso della Volkswagen Maggiolino, ancora oggi espressione di un gusto particolare, che ha indotto la Casa a riproporla in chiave moderna. Ma di altre auto, invece, si è capito già al loro lancio che erano destinate a lasciare un segno profondo: l'avrei detto, per esempio, sessant'anni fa per la Citroën DS. Subito dopo averla vista, senza dover aspettare mezzo secolo: era la macchina che ognuno avrebbe voluto realizzare, un simbolo di completa libertà progettuale. Non è tanto l’oggetto in sé che m’interessa, pur con tutti i suoi meriti, ma il fatto che sia stato realizzato per soddisfare il desiderio personale di chi l’aveva concepito. Non c'erano alle sue spalle, come spesso oggi accade, considerazioni di marketing o di mercato, ma la tensione creativa di Flaminio Bertoni, una persona che è riuscita a imporre, con il suo forte carattere, scelte che mettevano a rischio persino la solidità economica dell'azienda. Ancora oggi credo che la DS, anche per tutte le sue innovazioni tecnologiche, dalle sospensioni al cambio automatico, rappresenti un'idea di libertà d'espressione molto importante.

    UNA LISTA DI CAPOLAVORI

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    Nato a Torino nel '38, la straordinaria carriera del designer Marcello Gandini inizia nel 1965, quando viene assunto da Nuccio Bertone. Leggi il nostro approfondimento

    Nella sua lunga carriera ha disegnato auto, moto, camion, persino un elicottero: che differenze ci sono nell'applicare la propria arte alle diverse modalità di trasporto? 
    Credo che la cosa importante sia sapere che cosa si vuole fare: capire, cioè, qual è il problema al quale si deve trovare una soluzione. E quanto più il problema è chiaro, tanto più è facile, o perlomeno probabile, riuscire a trovare una soluzione interessante e adeguata. Molto spesso, nella mia esperienza, mi è capitato di collaborare con aziende delle quali era molto difficile capire che cosa volessero: era importante assecondare il pensiero del capo del marketing o del prodotto per cercare di far accettare un prototipo o una soluzione. Lo stilista, per tantissimi anni e in tantissime occasioni, ha dovuto adeguarsi a quello che pensava che i capi avrebbero voluto (anche se a volte non sapevano neppure di volerlo…). Trovo che le cose più riuscite, come appunto la DS, siano invece nate dalla libertà assoluta; io stesso ne ho fatte delle piccole esperienze, con auto nate senza vincoli e altre invece costrette in schemi e limiti decisi da altri. 

    Che cosa è riuscito a creare con maggiore libertà?
    Soprattutto le macchine sportive, in cui era più facile godere di autonomia rispetto alle vetture tradizionali, alle berline da produrre in grandi numeri. È vero, però, anche il contrario: la libertà ha permesso anche la nascita di auto molto brutte…

    Se pensa a due dei suoi capolavori, la Miura e la Countach, a quale si sente maggiormente legato? 
    Sono due episodi abbastanza diversi, anche se entrambi avevano un'impostazione di partenza particolare. La Miura era una macchina moderna, che agli occhi della gente di quell'epoca risultava aggressiva, anche un po' violenta, ma pur sempre con qualche dolcezza, che non si ritrovava invece nella Countach. Tant'è vero che quest'ultima venne inizialmente non dico rifiutata, ma almeno poco capita: ci è voluto qualche anno, prima che fosse apprezzata, anche dalle persone competenti. Erano, dunque, fenomeni differenti, uno con l'idea di collegarsi in qualche modo al passato modernizzandolo, l'altro con l'imperativo di essere assolutamente diverso, sia pure conservando un senso.

    La Countach ha comunque segnato un prima e un dopo nella storia delle automobili supersportive… 
    Mi rendo conto che sia un punto di riferimento e che lo sia stato fin dall'inizio, ma la mia esigenza in quel momento era un'altra: la Miura era stata presentata da pochi anni e fare un'altra macchina così significava ucciderla, per cui bisognava pensare qualcosa che non avesse nulla a che fare con quel modello. Se vogliamo, è stato proprio questo il filo conduttore del progetto. La sua forza erano le novità, non soltanto una diversità fine a se stessa.

    Che ricordi ha dei tanti personaggi con cui ha lavorato nel corso della sua carriera? Iniziamo da Nuccio Bertone? 
    Ne conservo un ricordo molto piacevole: lo conobbi ancora prima di andare a lavorare da lui. Aveva visto le mie prime opere e aveva deciso di assumermi subito, poi la cosa restò in sospeso per un paio di anni; dimostrò un coraggio spaventoso nel lasciare a un ragazzino come me totale autonomia nella realizzazione dei progetti. Potevo fare davvero quello che volevo e non era scontato, perché anche allora un prototipo costava cifre piuttosto elevate. Alla base, c'era un coraggio industriale enorme, che riconosco a Bertone; l'unico problema che ebbi con lui fu il giorno in cui lasciai la sua azienda…

    Che persona era, invece, Ferruccio Lamborghini? 
    Ho avuto un po' meno occasione di conoscerlo rispetto a Bertone, però avevo l'impressione che avesse il desiderio di essere migliore degli altri in tutto quello che faceva, che non è poi una brutta cosa… Voleva che i suoi trattori fossero i migliori e che lo fossero pure le sue automobili. Era una persona particolarmente interessante: ho avuto l'opportunità d'incontrarlo anche quando ormai si era ritirato nella sua azienda agricola per produrre vino, sentendo il fascino di un personaggio differente da come di solito ci s'immagina un industriale di successo. Era, nel senso migliore del termine, un "contadino" più in gamba degli altri.

    Come furono i rapporti con Giampaolo Dallara e Paolo Stanzani, gli altri tecnici che collaborarono alla realizzazione della Miura? 
    Nacque subito un'amicizia con loro, che poi è durata nel tempo. Quando ebbi a che fare con la Lancia, mi adoperai perché Dallara potesse collaborare per risolvere i problemi che la Casa incontrava con la Stratos. C'era una buona identità di vedute, anche perché avevamo una certa conoscenza dell'automobile: io non ero un esperto, ma, nei primi anni di attività, avevo iniziato occupandomi di meccanica, non di carrozzerie. Quando presi la strada della forme e dello stile, le conoscenze tecniche che avevo maturato mi sono servite e questo mi ha aiutato ad avere sempre un buon rapporto con gli ingegneri. Disporre di questo tipo di cultura permette di fare delle riunioni utili con… se stessi, per tenere conto di tutti gli aspetti di una progettazione.

    Nella sua carriera ha collaborato in più occasioni con Alejandro De Tomaso: che personaggio è stato? 
    Con lui ebbi una collaborazione prolungata, anche se inizialmente fui molto cauto per la sua fama di persona... un po' strana. Rifiutai diverse proposte agli inizi, quando era da poco arrivato in Italia e si era interessato alla Ghia e alla Vignale. Quando ormai lavoravo da solo già da parecchio tempo, diciamo alla fine degli anni 80, un collaboratore di De Tomaso che conoscevo bene mi convinse a provare a realizzare una macchina per lui e acconsentii a lavorare alla Maserati Quattroporte. Ci sono poi state parecchie altre vetture, qualcuna prodotta, altre no, ma i miei rapporti con lui furono ottimi, nonostante avesse fama di uomo difficile. Per convincermi a fare un certo lavoro che, in quel momento, non mi interessava o per il quale non avevo abbastanza tempo, arrivò a inviarmi un assegno prima ancora che accettassi di collaborare…

    Oggi sta ancora lavorando? E su quale tipologia di progetti? 
    Sì, anche se oggi le cose sono cambiate moltissimo, quindi da diversi anni, più che al design, ormai appannaggio degli enormi centri stile delle case automobilistiche, mi dedico alla meccanica e, soprattutto, alla costruzione delle vetture, per la quale ho depositato dei brevetti che ho poi venduto. Sono soluzioni relative soprattutto alla facilità di produzione e alla riduzione del numero delle parti e dei tempi necessari, che portano di conseguenza alla diminuzione delle dimensioni di uno stabilimento, abbassando il numero dei pezzi indispensabili per realizzare un'auto. Si tratta di una grossa semplificazione produttiva, dunque.

     

 

 

 

 

14.03.24
  1. Il Cremlino riesce a unire i rivali francesi Le Pen solidale con Macron dopo gli insulti
    È un sostegno inaspettato quello ricevuto da Macron, che dinnanzi agli attacchi di Medvedev ha visto correre in suo soccorso nientemeno che la storica rivale Marine Le Pen. A far ribollire il sangue patriottico della leader del Rassemblement National è stato il tweet in francese dell'ex presidente russo e braccio destro di Putin, che ha commentato la prossima visita di Macron in Ucraina: «Raccomando al suo bureau di prendere diverse paia di boxer! Avrà un odore molto forte... », ha scritto Medvedev, definendo Macron un «fifone zoologico». Frasi «inaccettabili», per Le Pen, secondo la quale «la ricerca della pace non può che essere indebolita da questa politica della provocazione». Anche il suo delfino Bardella, favorito alle prossime europee, ha definito le parole di Medvedev, «volgari e indegne». Ma sulla guerra il Rassemblement National resta distante da Macron e ha annunciato l'astensione al voto parlamentare sul sostegno a Kiev, anche se simbolica perché non vincolante
  2. SCELTE POLITICHE:   Zooprofilattico bufera sul direttore "Truffa e peculato quand'era a Terni"
    irene famà
    Peculato, truffa e danneggiamento. Ecco riassunti i guai giudiziari in cui è incappato Claudio Ghittino, veterinario torinese dalla scorsa estate direttore dell'istituto zooprofilattico di Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta.
    La vicenda risale ad episodi tra il giugno 2013 e il novembre 2022, quando il professionista era in servizio all'istituto zooprofilattico di Umbria e Marche come direttore della struttura complessa della sezione territoriale di Terni. Lì, secondo la procura, avrebbe fatto un utilizzo spavaldo delle apparecchiature e degli spazi.
    Per i suoi studi e i suoi interessi si sarebbe «stabilito abusivamente» nella sede dell'istituto, come se fosse casa sua. In particolare, si legge nella richiesta di rinvio a giudizio firmata dal pubblico ministero Raffaele Pesiri, il faro degli inquirenti di Terni si concentra sull'utilizzo di tre locali dello stabile: la «stanza 207 "Entomologia", dedicata allo studio degli insetti, e la stanza 208 «Ufficio del dirigente con bagno annesso». Da qui l'uso «abusivo di elettrodomestici e forniture di gas, luce ed acqua». E ancora. Secondo le accuse, Ghittino si sarebbe servito delle «apparecchiature, dei materiali e delle utenze, fuori e durante l'orario di lavoro» per studi «privati su scarafaggi e scarabei».
    Il 23 novembre 2022, tornato in istituto dopo alcune faccende, trova la stanza 207 chiusa. Secondo le accuse, il professionista prima avrebbe cercato le chiavi, chiedendo ai colleghi presenti e agli addetti alle pulizie. Poi avrebbe forzato «la porta e il chiavistello» per riuscire ad entrare e a recuperare alcuni prodotti alimentari.
    C'è poi la questione della truffa. Più complessa e delicata, ruota tutta intorno all'utilizzo del «servizio di pronta disponibilità». Quello che garantisce in istituto la presenza di un dirigente in caso di emergenza. Ghittino, si legge negli atti, si sarebbe «timbrato in servizio per 52 giorni in maniera del tutto arbitraria». Senza aver ricevuto alcuna chiamata d'emergenza. Per accumulare ore da recuperare in un secondo momento. Il bilancio della procura? «Assenza non giustificata dal reparto per 65 giorni» e un danno all'amministrazione che si aggira intorno ai 29mila euro.
    Ghittino, ora a Torino dove aveva iniziato la sua carriera nella rete degli Zooprofilattici nel 1989 come responsabile del Laboratorio di Ittiopatologia ed esperto referente del Centro per lo studio delle malattie dei pesci, respinge ogni accusa. «Contesteremo ampiamente e diffusamente le varie imputazioni e chiederemo l'assoluzione», dichiara il suo difensore, l'avvocato Siro Centofanti del foro di Perugia. Il legale annuncia battaglia. «All'udienza in programma il 3 aprile respingeremo le accuse con motivazioni diversificate a seconda delle imputazioni».

 

 

13.03.24
  1. I medici di Gaza "Spogliati e picchiati dagli israeliani"
    Un video diffuso dalla Bbc mostra un gruppo di palestinesi detenuti dai soldati dopo un raid all'ospedale Nasser costretti a spogliarsi. Tra loro anche dei medici che hanno denunciato di essere stati picchiati e umiliati. Immagini «scioccanti», secondo il ministro degli Esteri britannico David Cameron, che ha chiesto conto dell'accaduto alle autorità dello Stato ebraico. —
  2. L'ESEMPIO DEI PARTIGIANI ITALIANI:    Il Cremlino assicura di aver respinto gli attacchi, ma i paramilitari russi che combattono dalla parte di Kiev raccontano una versione dei fatti del tutto diversa: sostengono di essere penetrati in territorio russo e di aver preso il controllo di Lozovaya Rudka e Tyotkino, due paesini non lontani dalla frontiera. Difficile dire come stiano in effetti le cose, quante siano le eventuali vittime. Entrambe le fazioni proclamano di aver inflitto pesanti perdite al nemico.
    Di sicuro c'è che gli attacchi sembrano essere stati programmati per la vigilia delle presidenziali russe. Non solo questi assalti via terra, ma anche il massiccio raid di droni con cui - stando alle stesse autorità russe - l'esercito ucraino avrebbe colpito in profondità in territorio russo, scatenando un incendio in una grande raffineria di petrolio a centinaia di chilometri dal confine. Mosca denuncia che un drone avrebbe centrato un edificio comunale di Belgorod, nella cui regione sarebbero rimasti feriti almeno 10 civili e sarebbe morta una guardia della difesa territoriale. In serata una terribile notizia è arrivata dalla città ucraina di Kryvyi Rih, dove un attacco missilistico russo ha colpito due condomini uccidendo almeno tre civili e ferendone 36, tra cui 7 bambini.
    «Schede e seggi elettorali in questo caso sono una finzione. Solo con le armi in pugno si può davvero cambiare la propria vita in meglio», tuona il sedicente "Battaglione Siberiano". Oltre a questo gruppo, all'assalto oltre il confine avrebbero partecipato altre due formazioni paramilitari formate da russi schieratisi con Kiev e che già in passato hanno rivendicato attacchi in territorio russo: la "Legione della Libertà della Russia" e il "Corpo dei volontari russi", quest'ultimo almeno in parte composto da estremisti di destra. «Come tutti i nostri concittadini, sogniamo una Russia libera dalla dittatura di Putin. (...) Toglieremo la nostra terra al regime, centimetro per centimetro», dichiara in un video un paramilitare della "Legione della Libertà della Russia".
    Le forze ucraine affermano di non avere nulla a che fare con le incursioni, ma diversi esperti ritengono che ciò sia impossibile. Secondo l'analista Mark Galeotti, i paramilitari coprono diverse fasce dello spettro politico e sono uniti dalla loro avversione nei confronti di Putin. «Ma allo stesso tempo - aveva spiegato l'anno scorso alla Reuters - dono controllati dall'intelligence ucraina. Si affidano agli ucraini per armi e supporto».
    Nelle zone di confine, la vigilia delle presidenziali russe non appare certo delle più serene. A dimostrarlo c'è la chiusura delle scuole per tre giorni annunciata dal sindaco di Kursk, capoluogo di una delle due regioni russe dove si sarebbero infiltrati i battaglioni filo-ucraini. Ma non ci sono solo le presunte incursioni armate. Il ministero della Difesa russo sostiene che nella notte la sua contraerea abbia abbattuto nove missili vicino Belgorod e 25 droni in diverse altre regioni, comprese quelle di San Pietroburgo e Mosca, che distano parecchi chilometri dall'Ucraina invasa. Ma il bombardamento ucraino non sarebbe passato senza conseguenze. Il governatore della regione di Nizhny Novgorod denuncia infatti un incendio in una grande raffineria nella zona industriale di Ktsov, a ben 800 chilometri dalla frontiera con l'Ucraina. Secondo la Reuters, sarebbe stata danneggiata la principale unità di distillazione del greggio della raffineria Norsi, cosa che avrebbe portato all'interruzione di almeno metà della produzione della struttura. Un altro drone avrebbe invece mandato in fiamme un deposito di carburante nella regione di Oryol, a 160 chilometri dal confine. Sul fronte, le forze russe sostengono di aver conquistato il villaggio ucraino di Nevelske. Mentre nella regione russa di Ivanovo, 250 chilometri da Mosca, un aereo da trasporto militare Il-76 con 15 persone a bordo si sarebbe schiantato poco dopo il decollo a causa di un incendio a un motore.

 

 

12.03.24
  1. prime trasmissioni su 6.200 chilometri
    Via al super-cavo per l'intelligenza artificiale Da Boston a Bordeaux con Microsoft e Cisco
    Cisco e Microsoft rafforzano la collaborazione per il futuro del networking partendo dal fondo dell'oceano, tramite le prime trasmissioni ad altissima capacità. Grazie ad Amitié, il supercavo sottomarino per cloud e intelligenza artificiale per supportare la crescita esponenziale dei servizi cloud e Ia. Si tratta di una partnership che punta a potenziare la rete globale di telecomunicazioni.
    Nello specifico, per la prima volta Cisco, insieme con la società di Redmond, ha trasmesso con successo 800 Gbps sul cavo di comunicazione transatlantico denominato Amitié: 6.234 chilometri di lunghezza per collegare gli Stati Uniti alla Francia, in particolare da Boston a Bordeaux. Il cavo è stato dotato della Space Division Multiplexing (Sdm), una tecnologia che utilizza 16 coppie di fibre, un numero maggiore rispetto ai tradizionali cavi sottomarini, con la potenza del ripetitore condivisa tra le coppie di fibre per poter sfruttare al massimo la capacità totale.
    «Nell'era dell'intelligenza artificiale è fondamentale poter fare affidamento su connessioni di rete affidabili e veloci», ha dichiarato Bill Gartner, Svp Optical Systems and Optics, Cisco. Che ha aggiunto: «Si tratta di un traguardo fondamentale per questo genere di cavi».
  2. EFFETTO CIRIO-LORUSSO:   I dati dell'Inps certificano una situazione che già era stata paventata nelle scorse settimane: ora c'è da capire se l'incremento durerà a lungo
    Aumenta l'uso della cassa integrazione Nel torinese boom di aziende in difficoltà
    claudia luise
    È in forte ripresa il ricorso alla cassa integrazione in provincia di Torino. Già nelle scorse settimane, con l'annuncio del prolungamento fino al 20 aprile degli ammortizzatori sociali a Mirafiori e le nuove crisi di Te Connectivity (l'azienda ha annunciato di voler chiudere lo stabilimento lasciando a casa oltre 200 persone) e Delgrosso (108 posti di lavoro a rischio), si immaginava un incremento. Ma ora lo certificano pure i dati dell'Inps. A gennaio nel torinese sono state autorizzate 1,9 milioni di ore di cassa integrazione guadagni: 857 mila di Cig ordinaria e 1,1 milioni ore di Cig straordinaria. Rispetto a dicembre 2023 le ore totali autorizzate sono cresciute del 142%, per effetto del fortissimo aumento del ricorso alla Cig straordinaria (+342%) e un aumento più contenuto del ricorso alla Cig ordinaria.(+53%). Nel primo mese del 2024, l'82% delle richieste è arrivato da aziende manifatturiere mentre il 12% dal comparto immobiliare.
    Il problema, ancora una volta, è il rallentamento dell'automotive: all'interno del settore manifatturiero, il 25,4% delle ore di cassa integrazione ordinaria autorizzate sono venute dalle aziende del comparto auto. Seguono le aziende che fabbricano prodotti in metallo (21,3%). Mentre il ricorso alla Cig straordinaria ha interessato in larga prevalenza (70%) le aziende del comparto mobili e quelle dell'informatica e delle attività connesse (11,7%). Nell'arco di un anno, rispetto all'inizio del 2023, le ore totali sono cresciute del 76% per effetto di un forte aumento del ricorso alla Cig straordinaria (+111,5%) e dell'aumento più contenuto della Cig ordinaria (+48%).
    «Navigando all'interno del portale Inps è possibile farci un'idea di come si evoluto il ricorso alla cassa integrazione in provincia di Torino dal 2009 ad oggi. Il quadro che emerge dall'analisi suggerisce che l'aumento del ricorso alla Cig registrato a gennaio di quest'anno rispetto a dicembre e all'analogo periodo del 2023 preoccupa, ma il livello delle ore integrate rimane comunque ancora al di sotto del ricorso registrato nel biennio 2021-2022 quando furono integrate circa 3 milioni di ore all'anno» commenta l'economista Mauro Zangola. L'intero periodo analizzato, quindi, può essere suddiviso in due sub periodi: il primo che va dal 2009 al 2017 caratterizzato da un costante e sensibile ricorso alla Cig per un numero di ore integrate compreso fra i 3 e i 6 milioni all'anno. Il periodo che va dal 2018 al 2024 è caratterizzato invece da un minor ricorso alla cassa integrazione (inferiore ad un milione di ore all'anno), fatta eccezione per il rimbalzo registrato nel 2021 e 2022 motivato dalla difficile ripresa post Covid e quello di gennaio 2024. Dal momento che il ricorso alla cassa integrazione è un importante indicatore della congiuntura e delle crisi che sta vivendo il sistema produttivo a livello locale, sarà un elemento da monitorare con attenzione nei prossimi mesi per capire se siamo di fronte ad un rimbalzo - anche se consistente - o alla vigilia di una più strutturata inversione di tendenza.

 

11.03.24
  1. A QUANDO LE LICENZE LIBERE DEI TAXI ?  Verrà ascoltato nei prossimi giorni dagli investigatori della polizia locale il tassista che, all’alba del 3 febbraio, ha lasciato in strada Kanda, il muratore maliano che era salito sul suo taxi per raggiungere le Molinette e sottoporsi a un trapianto di rene. Kanda, 50 anni, da 10 in Italia, ha raccontato di essersi reso conto di non avere i contanti sufficienti per pagare la corsa quando era ormai di fronte all’ingresso dell’ospedale. La richiesta era di 21 euro e lui nel portafogli ne aveva solo 15, ma ha provato, senza successo, a effettuare un prelievo in tre diversi bancomat della zona.

    A quel punto, secondo la sua ricostruzione, avrebbe chiesto al tassista di aspettare l’apertura dello sportello Intesa Sanpaolo all’interno delle Molinette, ma l’uomo non ha voluto aspettarlo ancora ed è ripartito con il suo zaino sul sedile. Nel bagaglio, che è stato poi abbandonato in corso Dante e ritrovato dai vigili, c’erano tutti di documenti d’identità di Kanda, oltre alle cartelle cliniche necessarie per il trapianto. Dopo alcune ore di attesa e inevitabili difficoltà burocratiche, il muratore è riuscito comunque a sottoporsi all’intervento e adesso toccherà a Kanda decidere se sporgere denuncia.

    In ogni caso, quando uscirà dalle Molinette, dovrà recarsi negli uffici della polizia locale che sta cercando di ricostruire l’intera vicenda. Sotto il profilo amministrativo, qualora fossero accertate irregolarità nella sua condotta, il tassista potrebbe rischiare una sanzione disciplinare e la sospensione temporanea da parte della cooperativa per la quale lavora. Discorso diverso, invece, per quanto riguarda l’aspetto penale: saranno gli inquirenti a valutare se il comportamento dell’uomo possa configurare un eventuale reato di appropriazione indebita o, ipotesi ancora più remota, di esercizio arbitrario delle proprie ragioni o di violenza privata.
  2. VOLUTA DA YAKY:   Mirafiori si è fermata. Stellantis ha annunciato ai sindacati metalmeccanici altre tre settimane di cassa integrazione, dal 2 al 20 aprile, che vanno a sommarsi alle sette settimane di Cig in corso sulle linee della 500e e della Maserati. «Vi informiamo che, in seguito alla necessità di adeguare i flussi produttivi delle vetture Fiat 500 Bev e Maserati Granturismo al transitorio andamento della domanda di mercato - ha scritto l’azienda ai sindacati - si procederà con le sospensioni temporanee dell’attività lavorativa presso le unità produttive del Polo di Torino». Lavoreranno a ritmo ridotto fino a fine aprile 1.200 operai della linea 500 Bev e i mille operai della Maserati.

    L’azienda conta su una ripresa del mercato elettrico già a maggio grazie agli incentivi sull’elettrico. Oggi la 500 elettrica ha poco mercato in Italia, nei primi due mesi dell’anno, secondo i dati Unrae, sono state vendute 479 Fiat 500e, che corrispondono a due turni circa di lavoro giornaliero.

    «È sempre più evidente che a Mirafiori serve un nuovo modello - ha detto Luigi Paone della Uilm Torino -ci aspettano mesi complicati, chiediamo alle istituzioni di accelerare un percorso che dia prospettive e futuro a tutto il comparto automotive torinese».
  3. NON CI CREDO : «I nostri marchi fanno gola, anch’io negli anni ho ricevuto diverse offerte. L’ultima nel 2018, quando mi hanno proposto una quota pari a 10 volte il mio margine operativo. Ma non ci ho pensato un secondo. La mia azienda fa rima con storia, tradizione, romanticismo. Cedere l’attività non è mai stata un’opzione». Se le eccellenze culinarie made in Torino sono entrate nel mirino di fondi italiani e stranieri, e molti proprietari si fanno ingolosire da offerte vertiginose, esiste ancora chi ha il coraggio di dire “no” per andare controcorrente. Uno di questi è Guido Gobino, 66 anni, maestro del cioccolato e un esempio della capacità di trasformare il saper fare e il gusto dello stile italiano in un brand noto in tutto il mondo. E, allo stesso tempo, un imprenditore che incarna la scelta di rimanere piccoli ma redditizi, con un fatturato vicino ai 10 milioni di euro.

    Gobino, lei è proprio sicuro che non venderà mai la sua attività?
    «Assolutamente sì, a meno che non arrivi una proposta indecente. Ma non ho mai pensato che fare soldi fosse la cosa più importante. La nostra natura è artigianale, la mia è una bottega. Controllo ogni fase, faccio il lavoro di un sarto e voglio portare avanti la tradizione di famiglia. Mio padre, Beppe, iniziò a lavorare in via Cagliari nel 1964, come responsabile di produzione dell’azienda. Vent’anni più tardi gli altri due soci andarono in pensione e lui rilevò l’azienda. Mi ha insegnato tutto, 60 anni fa ho lanciato il nostro marchio, e io oggi faccio lo stesso con mio figlio. Tutto questo non ha prezzo».

    Sarà lui a ereditare il testimone?
    «Esatto, le aziende devono sempre pensare al futuro, a breve e lungo termine. E ognuno deve fare i conti con la sua età. Mio figlio Pietro oggi ha 24 anni, e quando ha finito il liceo abbiamo discusso sul da farsi. Non volevo che si sentisse obbligato, doveva essere una scelta serena e consapevole. E lui ha accettato. Ha iniziato l’università per migliorare la sua formazione, dimostrandomi grande impegno. E io non potrei essere più felice. Quando hai degli eredi non approfondisci le trattative coi fondi, che pensano solo alla marginalità. Siamo ben felici di rimanere in via Cagliari, salvaguardando la ricchezza di un territorio. D’altronde Torino significa questo: tradizione imprenditoriale ed eccellenza. Accompagnerò mio figlio in questo passaggio, entrambi non sapremmo cosa fare senza questo lavoro».

    Cosa pensa dei colleghi che hanno preso la strada opposta?
    «Ognuno fa le sue scelte. Tuttavia ciò che ho fatto per me vale una vita. Ho una mentalità un po’ “langarola”, il contadino non darebbe mai via le sue terre ma al massimo ne acquisterebbe altre. Non avrei venduto a dei fondi, anche se non avessi avuto figli, un po’ per orgoglio e un po’ per romanticismo. In quel caso avrei fatto un patto con i dipendenti storici. Create una cooperativa, riconoscetemi una pensione, mantenete il marchio e da oggi la fabbrica è vostra».

    Come si immagina l’azienda tra 20 anni?
    «Il sogno è quello di essere riconosciuti in tutto il mondo come il cioccolato di Torino, aumentando ulteriormente la nostra reputazione e celebrità. Questo però restando fedeli a noi stessi, rimanendo artigiani. Vorrei che fossimo come una Bentley: tutta la conoscono e la apprezzano, ma non la trovi dappertutto. Anche l’esclusività è un aspetto da non sottovalutare»

 

10.03.24
  1. Il report, intitolato «L'utilizzo di Starlink da parte di Mosca», è finito su diversi tavoli istituzionali e - secondo nostre fonti riservate - è stato recapitato anche a Palazzo Chigi (dove, a una domanda de La Stampa, hanno risposto «no comment»). Ma sta scatenando una seria irritazione anche in America, perché quel testo - due pagine di cui siamo entrati in possesso - di fatto contiene una serie di accuse contro un'importante azienda americana, la SpaceX fondata e guidata da Elon Musk, per le zone d'ombra legate al presunto utilizzo (abusivo) dei suoi satelliti da parte dei russi in Ucraina - utilizzo che il suo proprietario ha sempre negato. Senonché, particolare imbarazzante, il report reca a fondo pagina la dicitura «Gruppo Tim - uso interno»: una società concorrente di Starlink, che proietterà molti suoi interessi nello sviluppo della fibra, e non fa certo i salti di gioia per la possibile apertura delle frequenze del mercato italiano ai satelliti di Musk.
    La Stampa ha potuto verificare, attraverso i metadati del documento, il suo autore materiale e quindi l'autenticità del testo. Tim, che abbiamo interpellato, nega di aver inviato in giro un paper del genere: «A Telecom non risulta nessuna lettera indirizzata al governo». Le nostre fonti confermano la ricezione del report da parte della presidenza del Consiglio. La Stampa ha domandato a Palazzo Chigi se è vero che un documento su carta Tim, in cui si mette in guardia l'esecutivo sui legami tra la Starlink di Musk e la Russia, è stato inoltrato agli uffici della premier. La risposta è stata: «Palazzo Chigi non rilascia nessun commento su quanto da voi riportato».
    Cosa si dice in queste due pagine dagli effetti esplosivi, circolare in alte sedi? Si sottolinea che «il Direttorato centrale d'intelligence ucraino (Gru) ha pubblicato uno stralcio di un'intercettazione delle truppe dell'83esima Brigata d'assalto della Federazione Russa che opera nella regione di Donetsk, vicino agli insediamenti di Klischchiivka e Andriivka. Si sente un soldato russo spiegare a un altro che «Starlink funziona, c'è internet!».
    Nel testo, attraverso una serie di link a fonti aperte, si ricostruisce allora tutta la vicenda, i possibili luoghi dove i russi comprano illegalmente Starlink, e soprattutto si collega - neanche tanto velatamente - l'azienda di Musk a comportamenti opachi: «I russi stanno usando falsi segnali Gps per nascondere la propria posizione al terminale Starlink in modo da fargli credere che l'utente si trovi in territorio ucraino e rendendo impossibile la disattivazione del terminale da parte di Space X». Poi l'accusa più dura: «Space X ha dichiarato di procedere a un'indagine e quindi alla disattivazione di terminali laddove vengano utilizzati da soggetti sanzionati. Fino a questo momento, non sembra siano state messe in pratica azioni di questo tipo che potrebbero essere molto difficili da realizzare proprio grazie all'utilizzo di falsi segnali Gps».
    Resta da capire come questo testo sia stato diffuso in mani istituzionali, tra cui risultano alcuni governatori di regione. A creare un ulteriore - e potenzialmente imbarazzante - cortocircuito c'è la circostanza che in Tim riveste un ruolo importante Alma Fazzolari, sorella di Giovanbattista, sottosegretario della presidenza del Consiglio e l'uomo di cui più si fida Giorgia Meloni. Il tutto in un contesto in cui i rapporti tra il padrone di Tesla, di X, di SpaceX e la premier si erano fatti ottimi. Musk è stato ospite ad Atreju, la festa di Fratelli d'Italia, e ha costruito un buon feeling personale con la leader, anche sulla base di una comune visione sulle politiche migratorie e sulla lotta contro la denatalità. Cosa che ha aperto a tanti possibili scenari di coinvolgimento industriale di Musk in Italia. A metà dicembre, i due erano stati a lungo a colloquio a Castel Sant'Angelo, alla festa dei giovani della destra italiana, parlando di intelligenza artificiale, di figli, ma soprattutto, di Starlink, il sistema satellitare di SpaceX. Un rapporto che stava decollando, insomma. Almeno, fino a ieri. Perché in America la vicenda, di cui Space X è subito venuta a conoscenza, ha suscitato l'ira dei vertici aziendali, e anche un certo fastidio in ambienti diplomatici americani, che non gradirebbero intrusioni contro una multinazionale americana così legata al comparto della difesa Usa, né da parte di società italiane, né da quella della politica.
  2. INCREDIBILE : Davigo condannato a un anno e 3 mesi
    Quando i giudici hanno letto il dispositivo della sentenza, è impallidito perché è sempre stato e sempre sarà convinto di «aver agito in buona fede, senz'altro scopo se non quello di ripristinare la legalità» . Piercamillo Davigo, ex pm di Mani Pulite ed ex consigliere del Csm, è stato condannato anche in secondo grado a un anno e 3 mesi di reclusione, con pena sospesa e non menzione, per la vicenda dei verbali di Piero Amara su una inesistente Loggia Ungheria. A confermare la sentenza con cui il Tribunale lo scorso 20 giugno aveva ritenuto che fosse responsabile di aver rivelato il segreto d'ufficio, facendo circolare quelle carte "scottanti" o il loro contenuto tra i componenti di Palazzo dei Marescialli ai danni anche del suo ex collega Sebastiano Ardita, è stata la Corte d'Appello di Brescia. Il collegio, che ha accolto la richiesta del pg Enrico Ceravone, ha anche condannato il magistrato, ora in pensione, al pagamento di ulteriori spese processuali che si aggiungono al versamento, di 20 mila euro, già stabilito, ad Ardita ora parte civile. Le motivazioni saranno depositate in 90 giorni. E mentre Davigo, subito dopo il verdetto, ha lasciato l'aula dicendo di non avere alcuna dichiarazione da fare, l'avvocato Davide Steccanella, che lo difende assieme a Francesco Borasi, si è limitato a un breve commento: «Rimango convinto della sua assoluta innocenza e andrò avanti in Cassazione» .
  3. CATTANEO VOLUTO DA MELONI IN ENEL LA SFASCIA SU MODELLO TIM: Enel si mobilita "Quattrocento posti di lavoro sono a rischio"
    Quattrocento posti di lavoro a rischio e il timore che, a pagarne le conseguenze, siano anche gli utenti. Oggi i 2100 addetti piemontesi di Enel incrociano le braccia «per protestare - spiegano Filctem-Cgil, Flaei-Cisl, Uiltec-Uil che hanno indetto lo sciopero - contro la politica del nuovo management che rischia di dare il "colpo di grazia" a una delle più importanti aziende del Paese». Dei 2135 addetti piemontesi di Enel, più della metà (1093 lavoratori), opera in provincia di Torino. Altri 319 nel cuneese, 229 nel Verbano-Cusio Ossola, 178 a Novara, 142 ad Alessandria, 69 a Vercelli, 61 ad Asti e 44 a Biella.
    «Enel ha deciso di esternalizzare gli interventi sulla rete di media tensione affidandoli ad aziende esterne ma per noi è un'attività fondamentale. Per questo rischiamo di perdere 400 posti di lavoro nel gruppo», spiega Francesco Panetta della Filctem-Cgil. Il taglio di personale previsto è di circa il 20%. E aggiunge: «Tutto questo potrebbe avere effetti anche sugli utenti se non c'è il personale per intervenire tempestivamente. Il perché è facile da spiegare: le reti sono vecchie, basta la pioggia per far aumentare i danni. Nel fine settimana scorso, con l'allarme meteo, l'azienda ha richiamato tutti i lavoratori in servizio per intervenire sui guasti. Abbiamo avuto circa 8100 utenti di base disalimentati e problemi su 36 dorsali di media tensione tra Torino e Cuneo. Oggi è stata comunicata un'altra allerta meteo per il prossimo fine settimana».
    I sindacati, quindi, chiedono di cambiare rotta e investire sul personale tecnico. Tutto questo in un momento in cui sta aumentando la domanda energia anche per la mobilità elettrica e la rete che dovrà essere gestita nei prossimi anni è sempre più complessa. «Oltre all'esternalizzazione - spiega ancora Panetta - l'azienda vuole cambiare l'orario di lavoro degli operai andandolo ad ampliare dalle 7 alle 20 su turni, ridurre lo smart working e c'è un problema di concessioni in scadenza, anche per i bacini idroelettrici, che potrebbe portare alla scelta di ridurre ulteriormente il personale». I tre sindacati spiegano, infatti, che «gli investimenti per le fonti rinnovabili passano dai 5,5 miliardi (stanziati nel 2023) a 2,9 miliardi di euro nei tre anni successivi. Non c'è traccia di investimenti nell'idroelettrico né sulla geotermia. C'è un generico impegno per la realizzazione di impianti fotovoltaici e sistemi di accumulo».
    Per oggi è previsto uno sciopero di otto ore che coinvolge operai, impiegati e quadri, con un presidio davanti alla sede torinese di via Nizza, al Lingotto. Alle 10,30 una delegazione sarà ricevuta in prefettura. L'obiettivo è chiedere un intervento anche la Regione. «Non scioperiamo per rivendicare aumenti salariali – concludono i segretari regionali di Filctem-Cgil, Flaei-Cisl, Uiltec-Uil, Paolo Parodi, Marco Luigi Rinaldi, Michele Broggio – ma perché siamo preoccupati per la direzione che sta prendendo l'azienda»

 

 

 

09.03.24
  1. genova, accuse di omicidio colposo e falso ideologico
    Morta dopo il vaccino, indagati cinque medici
    Camilla Canepa, la studentessa di 18 anni di Sestri Levante, morta nel giugno 2021 dopo essere stata vaccinata con AstraZeneca a un open day, poteva con «elevata probabilità sopravvivere». Tre anni dopo quella tragica morte e la fine della pandemia Covid, la Procura di Genova ha indagato cinque medici del pronto soccorso di Lavagna, nel Tigullio, dove la giovane era arrivata la sera del 3 giugno con i sintomi della reazione avversa al vaccino. Quattro sono accusati di omicidio colposo mentre tutti devono rispondere di falso ideologico. Camilla era stata stroncata dalla Vitt, la rarissima trombosi cerebrale associata a livelli di piastrine basse e scatenata dal vaccino a base adenovirale. A causare la morte, per i pubblici ministeri Francesca Rombolà e Stefano Puppo e l'aggiunto Francesco Pinto, una serie di negligenze dei medici che, per l'accusa, non eseguirono «tutti gli accertamenti diagnostici previsti dal protocollo terapeutico elaborato da Regione Liguria per il trattamento della sindrome da Vitt».

 

08.03.24
  1. Caso Horner: Red Bull licenzia la donna che lo denunciò
    La dipendente che ha accusato il team principal Christian Horner di «comportamenti inappropriati» sarebbe stata licenziata da Red Bull, per volere della proprietà thailandese (Charlerm Yoovidhya detiene il 51% delle quote). Con la parte austriaca (Mateschitz jr e l'ad Oliver Mintzlaff) starebbe - oltre che i Verstappen - anche il progettista Adrian Newey, possibile obiettivo - come Max - di qualunque team di vertice. Ferrari compresa. —

 

07.03.24
  1. SALVINI AL CAPOLINEA COME RENZI:  Convocato un direttivo straordinario con un solo ordine del giorno: "Provvedimenti disciplinari "
    Via alle epurazioni in Lega: rischia Da Re il veneto che definì Salvini "un cretino"
    FRANCESCO MOSCATELLI
    MILANO
    Alta tensione nella Lega. Lo scontro tutto interno al partito sulla linea politica in vista delle Europee (anche alla luce del misero 3,8% rimediato in Sardegna) e le fibrillazioni per il rischio che Luca Zaia non possa ricandidarsi in Veneto a causa del braccio di ferro con Fratelli d'Italia sul terzo mandato, stanno per mietere la loro prima vittima: l'eurodeputato Gianantonio Da Re, per tutti Toni, 70 anni di cui quaranta passati con la tessera del Carroccio in tasca. In provincia di Treviso, Da Re, i suoi baffi anni Ottanta e le sue Lacoste sono un'istituzione: è stato sindaco di Vittorio Veneto e consigliere regionale ma soprattutto è stato l'ultimo segretario della Liga Veneta prima che il partito, così come nel resto d'Italia, cambiasse nome in "Liga Veneta per Salvini premier".
    Domani sera Alberto Stefani, successore proprio di Da Re alla guida della Liga, fedelissimo del segretario federale, ha convocato un direttivo straordinario che ha come unico punto all'ordine del giorno un draconiano «provvedimenti disciplinari». Un'espressione che tutti hanno subito interpretato come la resa dei conti finale fra gli attuali vertici e lo storico dirigente. La goccia che ha fatto traboccare il vaso sarebbero state le ultime uscite pubbliche di Da Re, che qualche giorno fa si è spinto a dare a Salvini del «cretino». L'eurodeputato, del resto, è da tempo critico con la svolta sovranista impressa da Salvini e con la sua gestione del movimento. Due anni fa aveva ricevuto una lettera che annunciava possibili sanzioni, lo scorso anno era in prima fila alla riunione convocata dal Comitato Nord anti-salviniano al castello di Giovenzano (occasione per la quale si era scomodato Umberto Bossi in persona), mentre nelle ultime settimane si è scagliato più volte contro l'ipotesi di candidare il generale Roberto Vannacci. Non tanto perché sperava di essere riconfermato a Strasburgo - sondaggi alla mano la Lega concentrerà gli sforzi per supportare il veronese Paolo Borchia - ma perché Vannacci per lui rappresenta l'ennesimo tradimento delle origini.
    Fra i corridoi di palazzo Ferro Fini, sede del consiglio regionale affacciata sul Canal Grande, la questione ha messo in allarme tutti i lighisti. «Ho imparato da Tina Anselmi che in democrazia il rispetto dell'altro è fondamentale - spiega il consigliere Marzio Favero, soprannominato "il filosofo" -. Spero non si proceda con l'espulsione perché Toni ha dato tantissimo al partito e ha avuto un ruolo fondamentale anche nell'ascesa di Zaia. Dopodiché Salvini, a cui va riconosciuto il merito di averci risollevato in un momento difficile, dal Papeete in poi ci ha portato fuori strada: la Lega è un movimento di riforma istituzionale che per sua natura non può stare a destra. Allearsi con Le Pen e Orban è una negazione del nostro percorso». «Quando si passa alle offese non ci sono giustificazioni - dice il capogruppo Alberto Villanova, considerato il delfino di Zaia e uno dei suoi possibili successori -. Da Re dovrebbe chiedere scusa. Dentro la Lega bisognerebbe capire che l'avversario è fuori, non dentro, e che questo è il momento di ricucire». Di scuse parla anche Roberto Marcato, assessore alle Attività produttive, un altro che da tempo chiede a Salvini di cambiare rotta: «La dialettica politica, anche se forte, non può mai scivolare nell'offesa. Un conto sono le critiche, un'altra le offese».
    Difficile capire cosa farà o dirà Da Re, che in quanto eletto è stato invitato al direttivo nella sede di Noventa padovana. Ieri si è trincerato dietro un «no comment». Il suo stato d'animo, però, non dev'essere molto diverso da quello sintetizzato in una delle sue battute più celebri: «Di verde, ormai, mi è rimasto solo il coccodrillo sulla Lacoste».
  2. De Luca a giudizio per la covid card
    Schillaci: il governo italiano non aderirà al "green pass globale" voluto dall'Oms
    L'Italia non aderirà al Green pass globale, il documento pensato dall'Organizzazione mondiale della sanità per condividere i dati sulla certificazione vaccinale a livello internazionale, nato da un accordo tra Oms e Unione europea nel giugno scorso. L'obiettivo è quello di sviluppare, a partire dal modello utilizzato per il Covid, un sistema da usare in altri casi, come ad esempio, la digitalizzazione del certificato internazionale di vaccinazione o profilassi. È stato il ministro della Salute Orazio Schillaci, ieri ad annunciare che il governo «non ha alcuna intenzione di aderire» perché « in sede di conversione del decreto-legge del 26 febbraio, verrà presentato un emendamento per riformulare il testo e ricondurre la norma agli obiettivi Pnrr in tema di salute, a partire dalla piena operatività del fascicolo sanitario elettronico».
    Per la certificazione Covid, intanto, finisce nei guai Vincenzo De Luca: il governatore campano dovrà rispondere davanti alla Corte dei Conti della scelta della Regione di distribuire una card che attestasse l'avvenuta vaccinazione contro il Covid. A De Luca e ad altri cinque componenti dell'Unità di crisi viene contestato un danno erariale da 3,7 milioni: udienza il 4 luglio. Secondo l'accusa, i fondi spesi per le card – 90 centesimi ognuna, distribuite nella prima fase del 2021, rimaste a milioni nei depositi – sarebbero stati un peso inutile per le finanze pubbliche, visto che le funzioni erano sovrapponibili a quelle del Green pass nazionale.

 

06.03.24
  1. ERA GIA' TUTTO PREVISTO NELLA VENDITA DELLA FIAT EREDITATA DAL NONNO ALLA PSA DEI PEUGEOT AMICI DEL NONNO : Dopo tre anni dall’entrata in borsa del gruppo, frutto della fusione tra Fca e Psa, il vincolo di lock-up firmato dalla holding della famiglia Agnelli, Exor, e dagli eredi Peugeot ha raggiunto la scadenza prevista. E i patti riservati includono la facoltà per Psa di aumentare la propria quota del 2,5 per cento, mentre questa possibilità non è concessa a Exor, che detiene il 14,2 per cento delle azioni e non ha, pertanto, la possibilità di espandere ulteriormente la sua partecipazione.

    In virtù della raggiunta scadenza del patto, Peugeot potrebbe aumentare la propria quota dal 7,1 per cento attuale al 9,6 per cento, mentre lo Stato francese che detiene il 6,2 per cento non ha questa opzione. Tuttavia, durante le discussioni sui patti, l’idea di aumentare la quota dello Stato francese, il solo autorizzato a vendere il 2,5% della casa automobilistica (cosa che non ha mai fatto), in Stellantis era stata sollevata e successivamente accantonata.

    Che la testa di Fca fosse a Parigi è ormai un dato evidente le cui conseguenze tutt’altro che positive ricadono sull’Italia, ma la possibilità assegnata alla Francia di aumentare ulteriormente il suo peso, orientando interessi e strategie della direzione indicata dall’Eliseo, è una ulteriore doccia gelata per il nostro Paese. E che la strategia venga delineata oltre confine, come dimostra il calo di produzione di auto in Italia nonostante le recenti promesse di un imminente ribilanciamento è altrettanto confermato.

    Un rischio quello che si prospetta con l’aumento del peso di Peugeot in Stellantis e, sia pure indirettamente, dello stesso Governo di Parigi, non a caso, era già stato oggetto di attenzione del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica che in una sua relazione ne ammetteva l’esistenza. Nel documento del Copasir, tra l’altro, si evidenziava già nel 2022 “lo spostamento del baricentro di controllo del gruppo sul versante francese, con ricadute già evidenti nel settore dell’indotto connesso con le linee di produzione degli stabilimenti italiani”. Sempre il Comitato parlamentare poneva l’attenzione sul fatto che “la quota detenuta dall’azionista pubblico francese è cresciuta dopo l’operazione di fusione, determinando una distribuzione della proprietà diversa da quella precedentemente annunciata”.

    Se questo accadeva due anni fa, è facile immaginare lo scenario oggi o comunque in un futuro prossimo quando Peugeot potrà aumentare sensibilmente il suo peso, senza che (ammesso lo volesse) Exor possa fare altrettanto. La stessa volontà di non cedere la propria quota del 2,5% conferma l’intenzione di Emmanuel Macron di puntare alla leadership nell’automotive in Europa, magari conquistata anche con l’integrazione con Renault. Comunque, già fin d’ora, con la possibilità per Peugeot di passare dal 7,1% al 9,6%, sommata al 6,2% del Governo di Parigi, il predominio francese, peraltro ampiamente attestato dalle strategie di Carlos Tavares, è più di una certezza. Destinata ancora a rafforzarsi, a scapito dell’Italia.
  2. Le fogne a Villarbasse scaricano in un rio e finiscono a Rivalta , E IL PRNN DOVE E' FINITO ?
    massimiliano rambaldi
    Nelle ultime settimane è riaffiorato il guaio delle fognature di Villarbasse, con gli sversamenti nel Rio Garosso che trasformano quel tratto di torrente in una fogna a cielo aperto. Situazione per cui il Comune di Rivalta, confinante, ne subisce le conseguenze peggiori. Il problema è noto da anni: la zona è soggetta a smottamenti, frane, residui fognari sulle rive del corso d'acqua, lungo un itinerario della collina morenica percorso da escursionisti a piedi, a cavallo o con mountain bike. Il guaio ha la sua origine nel reticolo fognario che serve le zone di Villarbasse lungo via Roasio, via Musinè e via Matteotti: condotte troppo piccole per riuscire a servire bene quella parte di paese. Per evitare che le abitazioni abbiano guai, esiste uno sfioratore che si attiva in caso di emergenza e versa liquami nel rio. Il problema è che nel corso del tempo quel dispositivo, sostanzialmente di sicurezza, entra in funzione anche quando non ci sono violenti temporali, così come dovrebbe essere. Risultato: corso d'acqua inquinato quasi sistematicamente, con l'acqua sporca che arriva fino a Rivalta per poi buttarsi nel Sangone. E i rivaltesi che abitano in quelle zone si sono stancati di convivere con un torrente diventato discarica.
    In passato c'erano stati esposti all'Arpa, alla Forestale e persino in procura per la situazione di inquinamento. E tra i due Comuni era anche cominciato un dialogo per capire quando questo problema potesse essere risolto. Dopo il 2018, quando Smat aveva messo il progetto nel cronoprogramma dei cantieri da effettuare, non si sono più avute notizie e pochi giorni fa da Rivalta sono tornati a sbuffare perché all'orizzonte non ci sono comunicazioni in merito: «Sappiamo che in questi anni le amministrazioni comunali di Villarbasse e la Smat hanno preso in carico il problema – dice l'assessore all'ambiente, Ivana Garrone -, però ci piacerebbe sapere se esistono tempi certi per la realizzazione della nuova fognatura: cosa imprescindibile per risolvere un problema ambientale annoso e non più sostenibile». La Giunta di Villarbasse ha approvato il progetto definitivo per la sistemazione del reticolo fognario in questione e Smat ha anche avviato la gara d'appalto: «Entro il 2024, come da cronoprogramma – spiega il sindaco Eugenio Aghemo -, i lavori devono essere realizzati. Verranno presto avviate anche le pratiche di esproprio dei terreni per realizzare l'infrastruttura. Non abbiamo timore che i tempi non vengano rispettati: la questione è nota e vogliamo tutti risolverla definitivamente». —

 

 

05.03.24
  1. Cinque milioni di debiti con Mps e uno con il Fisco. La Procura chiede la liquidazione giudiziale
    La ministra Santanchè ancora nei guai ora a rischio fallimento c'è anche Biofood
    monica serra
    milano
    Dopo il commissariamento di Visibilia, la "creatura" della ministra del Turismo, rischia il fallimento un'altra società fino al 2019 amministrata da Daniela Santanchè. Si chiama Biofood Italia srl e ruota attorno alla galassia del piccolo colosso del bio, Ki Group srl, in liquidazione giudiziale da gennaio, su cui da tempo indaga la procura di Milano.
    Costituita il 19 novembre del 2010, nel 2011 Biofood si carica gli oltre 5 milioni di euro di debiti che la quotata Bioera (oggi a rischio fallimento) ha con il Monte dei Paschi di Siena, nel tentativo di risanarla. E lo fa tramite un aumento di capitale di Bioera pari al debito, garantito dalle azioni appena sottoscritte. Riesce a spuntare dalla banca senese una rateizzazione, con prima scadenza ben otto anni più tardi, nel 2019. Passa il tempo e Biofood - che vede alternarsi nella carica di amministratore unico la ministra Santanchè (tra il gennaio 2015 e l'ottobre 2019) e l'ex compagno Canio Mazzaro (tra settembre 2013 e gennaio 2015; e poi dopo Santanchè, fino a novembre 2023) - non paga un euro. I crediti deteriorati di Mps - che nel frattempo con gli interessi avrebbero sfiorato quota 10 milioni - vengono acquisiti da Amco, la controllata del ministero dell'Economia che prova a riscuoterli e alla fine trascina Biofood davanti al Tribunale fallimentare con una istanza di liquidazione giudiziale, cioè il fallimento.
    Ma, a sorpresa, all'ultimo minuto in udienza Amco si sfila e ritira l'istanza, da quel che si sa perché - a distanza di 13 anni - sarebbe in corso «la negoziazione del debito». Il Tribunale invia una segnalazione alla procuratrice aggiunta Laura Pedio che, con i pm Maria Giuseppina Gravina e Luigi Luzi, già indaga sul colosso del bio - di cui ha chiesto il fallimento di gruppo - e, per falso in bilancio, su Visibilia, in un'inchiesta alle battute finali che tra gli altri vede indagata Santanchè.
    Così, mercoledì, i pm si presentano in udienza e chiedono la liquidazione giudiziale (il vecchio fallimento) di Biofood, soffocata dai debiti scaduti anche con il Fisco, per un milione di euro. Con l'avvocato Fabio Cesare, la società prova a correre ai ripari e tenta la strada del concordato in bianco. I giudici concedono un termine per il deposito di un accordo di ristrutturazione con i creditori (che dovrà essere omologato dal tribunale) o di un concordato preventivo. Se entro 60 giorni non si trova una soluzione, il fallimento è scontato. Stessa sorte potrebbe toccare alla quotata Bioera, se i giudici dovessero rifiutare la proroga delle misure di protezione scadute il 27 febbraio. Una nuova grana per la ministra. —
  2. L'INFERNO SULLA TERRA :          In fuga dai veleni
    Khayreddine Debaya
    Imed Eddine Jemli giura che non avrebbe mai voluto salire su quel barchino, ma che non ha avuto altra scelta. «La vita nella mia città era impossibile. L'azienda chimica ci sta uccidendo lentamente», dice questo tunisino di 33 anni proveniente da Gabès, nel Sud del Paese nordafricano. L'azienda a cui fa riferimento è il Groupe chimique tunisien (Gct), un'impresa statale che produce fertilizzanti esportati per lo più in Europa.
    «Tutto è cominciato con un semplice mal di testa, ma poi si è trasformato in una fitta costante che dalla fronte arriva fin sotto l'occhio destro. I dottori in Tunisia non hanno fatto una vera diagnosi: mi hanno dato solo medicinali generici», continua Jemli. «Intanto io non riuscivo a lavorare per i mal di testa. Così ho deciso di venire in Italia, per sfuggire a quella situazione e curarmi».
    Arrivato a Lampedusa nell'agosto scorso, il tunisino ha fatto richiesta di protezione internazionale. Ma la sua domanda è stata rigettata dalla Commissione territoriale di Caserta. Per una ragione precisa: la Tunisia è considerata uno stato terzo sicuro e le richieste dei cittadini di quel Paese vengono respinte automaticamente. Tuttavia, la sua situazione è particolare, perché viene da uno dei luoghi più inquinati di tutto il Mediterraneo.
    Dall'altra parte del mare, basta un colpo d'occhio per misurare l'entità del disastro e avvalorare le parole di Jemli. L'impianto chimico si erge come un gigante maestoso di ferro proprio sulla riva. Sulla spiaggia deserta e inaccessibile, gli alberi di palma ormai morti indicano che il terreno ha perso ogni forma di fertilità. Aperta negli Anni 70 e allargatasi da allora sempre di più, la fabbrica lavora i fosfati provenienti dalle miniere di Gafsa, 150 chilometri più a Sud, trasformandoli in acido fosforico e fertilizzanti per l'agricoltura.
    «E nel farlo scarica i suoi residui in mare e i suoi fumi tossici in atmosfera», tuona Khayreddine Debaya. Indicando la nube che esce proprio in quel momento dalle ciminiere, questo ingegnere e militante ambientalista di 34 anni descrive gli impatti sulla popolazione: «Quella in corso ora è una fuoriuscita ordinaria. Ma il momento peggiore è durante il cosiddetto "degasaggio", quando l'impianto espelle una grande quantità di sostanze chimiche per pulire le macchine e riavviare le unità. L'odore in quel momento è così forte che bisogna stare tappati in casa».
    Sono anni che Debaya si batte con la sua associazione «Stop pollution» per ottenere la chiusura dell'impianto. Organizza marce di protesta, partecipa ad azioni di sensibilizzazione in tutto il Paese e carica sui social network filmati della situazione in città. Dal cellulare mostra un video in cui, durante un'operazione di degassaggio, gli alunni di una scuola elementare vicina alla fabbrica sono rimasti asfissiati. «Era un sabato mattina - ricorda l'attivista -. Molti di loro hanno cominciato a tossire e vomitare. Li hanno dovuti portare in ospedale». Nel filmato si vedono distintamente le ambulanze che arrivano e portano via i ragazzi.
    Proprio a ridosso della fabbrica, superato un divieto d'accesso che non pare intimorire Debaya, si estende la spiaggia di quella che è la sola oasi litoranea del Mediterraneo. Un tubo scarica in una specie di canale un'acqua densa e viscosa. In questo liquido tra il marrone e il nero che sembra ribollire ci sono i residui della produzioni, chiamati fosfogessi. «Quest'acqua di scolo è carica di metalli pesanti - continua l'attivista -. Da oltre 45 anni se ne sversano almeno 12mila tonnellate al giorno nella baia di Gabès, circa 4 milioni di tonnellate all'anno». Risultato: questa spiaggia è l'unica di tutto il Mediterraneo e forse del mondo intero che, invece di ritirarsi, avanza verso il mare. Perché non è fatta di sabbia, ma di questi residui della produzione che si compattano e formano una specie di argilla solida su cui si può camminare.
    Andare sulla spiaggia somiglia a una specie di discesa agli inferi: sul terreno si vedono carcasse di tartarughe marine e centinaia di pesci scarnificati dopo essere stati resi deformi. Debaya indica una tartaruga con il corpo quasi intatto, a dimostrazione di un decesso recente. Poi prende in mano una pallina gialla. «È un cristallo di zolfo ed è insolubile. Inoltre, abbiamo il cadmio, lo zinco, il mercurio, l'arsenico. Non ci facciamo mancare niente». La riva sembra avvolta da un velo di silenzio e desolazione. Persino i gabbiani si tengono a distanza.
    «Una volta qui l'acqua era trasparente e si pescava tantissimo», dice Salah Ghouma, presidente del locale sindacato dei pescatori. Quest'uomo sulla cinquantina rappresenta i pochi superstiti della sua professione, distrutta dall'inquinamento e dalla mancanze di prospettive. Ricorda quando usciva in mare con il padre e dalle reti tirava su pesci di ogni tipo. «Questa era la zona di mare più florida del Paese, perché grazie alle praterie di posidonia oceanica molti pesci la usavano come area di riproduzione. I pescatori venivano da tutta la Tunisia a catturare i gamberetti. Ora è tutto finito: non ci sono più gamberetti, né polpi, né seppie». Ghouma, come tutti i suoi colleghi di Gabès, va oggi a pescare molto più lontano, verso Zarzis o Djerba, sobbarcandosi ore di mare e spese aggiuntive per la nafta. Le sue parole trovano una conferma ufficiale in uno studio della Commissione europea del 2018, secondo cui «la resa della pesca a Gabès ha conosciuto una diminuzione tendenziale del 44 per cento tra il 2000 e il 2015», a fronte di un aumento in tutte le zone limitrofe.
    Lo stesso studio indica che la fabbrica del Gct è responsabile del 95 per cento dell'inquinamento atmosferico della città, con i suoi fumi carichi di particolato fine, ossido di zolfo, ammoniaca e acido fluoridrico. Nel testo si legge anche che gli inquinanti rilasciati dall'impianto possono causare «asma, cancro ai polmoni e morte prematura». Un giro all'ospedale di Ghannouch, proprio dietro all'impianto, pare confermare queste affermazioni. «Più della metà dei pazienti che riceviamo in pronto soccorso presenta patologie respiratorie», dice un medico che preferisce mantenere l'anonimato per timore di ritorsioni. «I bambini soffrono di asma prematuramente, il cancro ai polmoni è diffuso. Ma purtroppo non è stato effettuato alcuno studio per stabilire eventuali legami tra la recrudescenza di queste malattie e l'inquinamento legato ai fosfati».
    Il paradosso è che, se da una parte l'Unione europea analizza la situazione e arriva a queste conclusioni catastrofiche, dall'altra trae beneficio dalle produzioni di quell'impianto. Tra i principali prodotti del Gruppo chimico tunisino c'è il DAP 18-46, un fertilizzante a base di fosfato ampiamente utilizzato in agricoltura, anche in Italia. Lo stesso sito web del Gct indica che la Tunisia è il quinto produttore mondiale di questo tipo di fertilizzanti e che il gruppo esporta i suoi prodotti in una cinquantina di Paesi. Fra questi, spiccano l'Italia, la Francia, la Spagna e il Portogallo.
    È difficile dire al di là di ogni dubbio se i mal di testa e i malanni persistenti di Imed Eddine Jemli siano causati dall'inquinamento nel quale vive immerso fin dalla nascita. Ciò non toglie che il suo caso presenta tutte le caratteristiche di una migrazione causata da disastro ambientale, che in altre occasioni ha fatto ottenere ai richiedenti la protezione internazionale. Tanto più che i prodotti di quell'inquinamento vengono esportati nel nostro Paese. «Io so solo una cosa: non voglio tornare in quell'inferno, lì non c'è vita», dice il tunisino, sperando che la giustizia italiana riveda la sua posizione.
  3. POTETE RIPARARLE N VOLTE MA SE NON LE PROTEGGETE CON TETTOIE E VETRATE SI ROMPERANNO SEMPRE, LO DICO DA 20 ANNI CON 4 SINDACI CHE SE NE SONO FREGATI : L'annuncio di Gtt dopo il nostro reportage tra gli impianti fuori servizio: "Quello della metro Paradiso fermo da fine 2021 ripartirà entro la settimana"
    "Sulle scale mobili lavori per 180 mila euro ma questo maltempo causerà nuovi guasti"

    giovanni turi
    La scala mobile della fermata Paradiso è pronta ai collaudi finali. Quelle delle stazioni Principi d'Acaja, Marche, Dante, Rivoli e XVIII Dicembre sono già ripartite. È l'annuncio di Gtt dopo il racconto de La Stampa sullo stato delle scalinate elettriche della metropolitana. Tra blocchi e guasti agli impianti il bilancio finale vede una scala mobile su cinque inutilizzabile. Compresa la stazione in corso Francia del Comune di Collegno, ferma dal dicembre 2021. Ma, fa sapere l'azienda, in fondo al tunnel si intravede la luce: dopo un ampio intervento di sostituzione della componentistica – dai quadri di manovra e i sensori di sicurezza alla catena di trazione e i gradini – entro questa settimana ci sarà il collaudo e le scale mobili potranno rimettersi in marcia.
    Non va sottovalutato però il fattore maltempo. Tant'è che Gtt sottolinea come «molti dei lavori previsti questa settimana sono stati differiti per l'impossibilità di intervento. Il maltempo ha creato le condizioni per il fermo di ulteriori impianti e l'esposizione di molte scale mobili alle intemperie rende più frequenti i malfunzionamenti e decisamente più difficili gli interventi di manutenzione». Un esempio sono le scale mobili esterne di Porta Nuova, ferme e fuori uso negli ultimi giorni proprio per la pioggia incessante. Comunque, lavori di manutenzione toccheranno anche le fermate Carducci Molinette, Lingotto e Pozzo Strada dove alcune scale mobili hanno difetti nella catena di trazione. «I pezzi sono stati ordinati, arriveranno a fine marzo e contiamo di poter far ripartire tutti gli impianti a metà aprile», dicono dall'azienda.
    Un primo cambio di passo nell'arrivo degli ordini che avevano subito un duro arresto con l'avvio del conflitto russo-ucraino. Al punto che Gtt parla di «una situazione in miglioramento. I ricambi che stavamo attendendo per gli interventi più complessi (come gradini, catene, inverter) stanno gradualmente arrivando e ci consentiranno di intervenire in modo strutturale sui guasti di più lunga data». Per le opere straordinarie il budget stanziato dall'azienda è aumentato di 200 mila euro, salendo a 1,5 milioni di euro fino al 2025. Il saldo degli interventi svolti da ottobre ammonta a 180 mila euro. A tal proposito, i vertici di Gtt si tolgono un sassolino dalla scarpa. E puntano il dito contro la scarsa attenzione delle passate giunte riguardo il finanziamento del trasporto pubblico locale: «Rispetto alle precedenti scelte al ribasso di altre amministrazioni, abbiamo rivisto i criteri di aggiudicazione degli appalti per la manutenzione delle scale mobili per massimizzare gli investimenti e garantire standard qualitativi ottimali».
    Oltre alla manutenzione di scale mobili e degli ascensori, Gtt ha in capo anche la revisione dei veicoli della metropolitana. Se nel 2023 ne ha ispezionati sette, quest'anno è il turno per altri undici. Nel frattempo, l'azienda garantisce l'avanzamento dei lavori del prolungamento verso ovest da Collegno a Cascine Vica e l'adeguamento del segnalamento di marcia verso il digitale per «una maggiore efficienza nell'esercizio della metropolitana». Lo scorso anno la linea 1 ha contato quasi 170 mila corse e oltre 36 milioni e mezzo di passeggeri. Secondo le stime dell'azienda, il 99, 61% dei viaggi sono risultati in orario. —

 

 

04.03.24
  1. BASTA COPRIRLE E CHIUDERLE CON VETRI PER RIPARALE MA LO RUSSO LE ELIMINA DALLA LINEA 2, TANTO LO VOTATE LO STESSO :  Le scale (im)mobili
    giovanni turi
    Un tappeto di foglie bagnate e cartacce copre gli scalini metallici di via Gianfranco Re, uno degli accessi alla fermata Pozzo Strada. Del nastro segnaletico bianco e rosso non resta che un piccolo residuo, ancora attaccato al corrimano in gomma. È una delle venticinque scale mobili ferme e inutilizzabili della metropolitana di Torino, che ammontano a una su cinque lungo tutta la linea. Su un bacino di 142 installazioni in tutta la città, i problemi che si riscontrano non sono pochi: dai guasti alla trazione dei gradini alle anomalie nell'alimentazione fino agli invertitori dei motori e i cuscinetti da sostituire. Tant'è che ormai i disagi riguardano quindici fermate sulle 23 totali. Alcune delle quali ormai convivono con cartonati e adesivi di divieto di accesso. Una situazione praticamente invariata rispetto a un mese fa, quando sono partiti i lavori di manutenzione straordinaria effettuati da Grivan Group, la ditta che da giugno ha in appalto la manutenzione. Alcuni punti però sono peggio di altri. La fermata Paradiso nel Comune di Collegno ne è l'esempio più lampante. Usciti dai vagoni, i viaggiatori che si affacciano su corso Francia vedono la scala mobile bloccata: si trova in questa situazione dal dicembre 2021 a causa di un guasto elettrico. A metà gennaio Gtt aveva promesso che sarebbe stata riattiva entro un mese, ma il nastro rosso con la scritta "Fuori servizio" è eloquente. «Si trova in questo stato da anni – dice Sabrina Colosi, titolare di Erbasalus, negozio affacciato alla scala mobile –. Io la uso tutti i giorni, partendo da piazza Statuto. Chissà come fanno le persone disabili e più anziane…». A metà gennaio Gtt aveva promesso che sarebbe stata riattivata entro un mese. Così come era prevista la riparazione del guasto alla fermata Vinzaglio, ma nulla è cambiato. L'uscita esterna di Lingotto ha come deadline per il ritorno alla normalità il 19 aprile. Lo conferma anche un pannello posto alla base della scalinata elettrica, i cui gradini sono stati smontati e posti uno sopra l'altro lì accanto, dietro una transenna in ferro. C'è chi li osserva incuriosito, passando a passo svelto. E chi ci lascia un mozzicone di sigaretta o una bottiglietta adibendoli a cestino. Queste scale mobili inutilizzabili comunque sono segnalate da Gtt.
    Ma ieri alla lista se ne sono aggiunte altre. Come quella fuori via Principi d'Acaja. «Ogni tanto l'aggiustano, ma puntualmente si ferma di nuovo», commenta Graziella Castelli, titolare dell'edicola di fronte alla scala. In più c'erano quelle di Porta Nuova che portano a piazza Carlo Felice e via Nizza. Valigie pesanti in braccio, file di carrelli porta spesa agli ascensori, un giovane in monopattino che si carica il mezzo in spalla percorrendo 45 scalini che lo separano dalla superficie. Sono le scene che si presentano sotto un cielo grigio e gonfio. Tra le altre fermate c'è anche Marche con l'uscita in direzione via Eritrea che dovrebbe riaprire il 15 aprile. Nel frattempo la gente si fa le due rampe a piedi con la scritta pubblicitaria "Rottamala più che mai" sotto gli occhi. Non manca poi Carducci Molinette che ha sia una scala interna sia una esterna (lato Ospedale) ferme. Davanti a quest'ultima spunta un paletto bianco e rosso che segnala un ascensore fuori uso. Una situazione che ieri si è presentata anche alla fermata Porta Susa, in direzione Fermi.
    Da un mese a questa parte hanno passato la prova del ripristino delle scale mobili solo Nizza e Dante. A Spezia nessun guasto alle scale mobili, ma i viaggiatori immolati verso via Nizza si trovano una perdita d'acqua dal soffitto. La soluzione è un secchio rosso per raccogliere l'acqua e un cartello giallo con su scritto «Attenzione pavimento bagnato».
  2. MA Il piano aziendale 1,5 milioni di euro fino al 2025 NON LO  PREVEDE:
    Nelle ultime settimane sono arrivati pezzi di ricambio attesi dalla scorsa estate, il cui approvvigionamento si è complicato dall'inizio dell'invasione russa in Ucraina. In questo modo Gtt è ora in grado di riparare alcuni degli impianti guasti. Dal primo giugno, inoltre, è subentrata una nuova ditta per le manutenzioni, la Givan Group, che ha dato un'accelerata. Il Gruppo torinese trasporti ha poi stanziato 200 milioni di euro di extra budget che fanno aumentare il fondo per le opere straordinarie sulle scale mobili da qui al 2025 da 1,3 a 1,5 milioni di euro. Nei piani dell'azienda buona parte delle riparazioni dovrebbero avvenire entro la seconda metà di aprile. Per le fermate di Pozzo Strada e Massaua, invece, il riavvio previsto è «non programmabile». —

 

03.03.24
  1. Disastro ambientale o innominato e omissione di atti d’ufficio: sono le fattispecie di reato su cui gli ambientalisti di Greenpeace hanno chiesto di indagare, presentando una serie di esposti presso le procure di Torino, Ivrea, Alessandria e Novara.

    Si tratta degli uffici territorialmente competenti per le città in cui è stata accertata la presenza di Pfas all’interno delle acque potabili. Un’inchiesta degli ambientalisti ha rilevato la contaminazione da sostanze chimiche prodotte dalle industrie, alcune delle quali cancerogene per l’uomo. «Chiediamo alla magistratura di indagare perché finora chi dovrebbe garantire la sicurezza della cittadinanza si è limitato a cercare di sminuire il problema, sostenendo che i valori siano nella norma», si legge in una nota di Greenpeace.

    Secondo i dati raccolti dagli ambientalisti, la situazione sarebbe fuori controllo e alla richiesta di visionare gli esiti delle analisi la Regione Piemonte avrebbe negato di essere in possesso delle informazioni. «O il massimo ente regionale in materia di ambientale e di sanità non è al corrente dell’operato dei propri organi tecnici, oppure la Regione non ha rispettato la normativa vigente sull’accesso agli atti», l’accusa mossa da Greenpeace.

    I dati consegnati da Smat avrebbero indicato la presenza nelle acque della provincia di Torino di un Pfas specifico prodotto in Italia solamente da Solvay Speciality Polymers di Alessandria. «È doveroso chiarire come questa sostanza inquinante prodotta ad Alessandria sia arrivata nelle acque potabili di Torino e di altri comuni molto distanti», si legge nella nota di Greenpeace. Intanto più di 125 mila persone sarebbero potenzialmente esposte al Pfoa, un agente cancerogeno rilevato in diversi comuni della Val di Susa.
  2. L'annuncio choc di Hamas " Uccisi 70 ostaggi nei raid" Strage del pane, l'Ue accusa
    Fabiana Magrì
    Tel Aviv
    La moglie di un ostaggio israeliano ha dato ieri alla luce il secondo figlio. Ma il neonato potrebbe essere già orfano. Nelle stesse ore la foto del padre del bambino è comparsa nel meme con cui Hamas, su Telegram, ha annunciato che oltre settanta «prigionieri nemici» sarebbero morti, mostrando i volti di alcuni di loro "eliminati" con una X rossa. La notizia non è stata commentata a caldo da Israele, a nessun livello. Non si sono espressi i militari né i politici. E non hanno reagito le famiglie degli ostaggi, impegnate da quattro giorni in una marcia partita dalla foresta di Reim, dove si è consumato il massacro del Nova Festival, e che stasera terminerà a Gerusalemme. È probabile che all'uscita di shabbat, il sabato sera che dà l'avvio alla settimana nel calendario lunisolare ebraico, arriveranno le dichiarazioni ufficiali e le conferenze stampa.
    Fino a quel momento, si conosce la versione di Hamas, affidata all'ormai noto macabro strumento dell'indovinello sul destino degli ostaggi israeliani: «Sono tutti morti? Sono ancora vivi? Alcuni sono stati uccisi ma altri sopravvivono?». I primi tre nomi che la fazione islamica dichiara «uccisi a seguito dei bombardamenti sionisti» nella Striscia di Gaza sono quelli di Chaim Peri (79 anni), Amiram Cooper (84) e Yoram Metzger (80). I volti scavati, con la barba lunga, dei tre kibbutznikim di Nir Oz erano già apparsi in un video del 18 dicembre del 2023 in cui imploravano: «Non lasciateci invecchiare qui». L'identità di altri quattro ostaggi israeliani che avrebbero fatto la stessa fine sarà resa nota, si legge nel messaggio su Telegram, «dopo aver confermato la loro identità».
    Questo perché, spiega Hamas, si sono persi i contatti con i mujaheddin incaricati di sorvegliare gli ostaggi, eliminati negli attacchi di Tsahal nell'enclave. Insieme con l'accusa rivolta dalla fazione palestinese a Israele, di aver commesso un "massacro" di 112 palestinesi che tentavano di accaparrarsi gli aiuti umanitari in transito a Gaza City, l'avvertimento che oltre 70 sui 134 ostaggi israeliani prigionieri nella Striscia possano essere morti sta destabilizzando ulteriormente le trattative per un accordo e una tregua, già tutti in salita. Hamas ha precisato, nello stesso messaggio, che «il prezzo che chiederemo in cambio di cinque o dieci prigionieri vivi è lo stesso prezzo che avremmo preteso se i bombardamenti del nemico non li avessero uccisi».
    I negoziatori israeliani, a loro volta, hanno detto agli intermediari di Doha e del Cairo – che in giornata si erano espressi con ottimismo rispetto a una soluzione entro l'inizio del mese del Ramadan – che non accetteranno di partecipare a un altro ciclo di colloqui finché la controparte nemica non presenterà un preciso elenco degli ostaggi vivi. E finché non avanzerà richieste più ragionevoli sul numero di prigionieri palestinesi che vuole siano scarcerati. Non solo. A questo proposito, Israele, secondo i media locali, avrebbe fornito all'Egitto un elenco di nomi off limit, che non è disposto a far uscire dalle celle. Dopo tre giorni di trattative in Qatar, gli israeliani sono tornati a casa senza le risposte attese.
    Il rapporto tra progressi e minacce di abbandonare i tavoli è ancora molto sbilanciato sulle seconde, nonostante le forti pressioni internazionali. Secondo il Wall Street Journal Hamas avrebbe congelato le comunicazioni con i mediatori dopo la strage degli aiuti a Gaza. La Francia ha chiesto un'indagine indipendente sugli eventi di giovedì, attorno al convoglio umanitario. Il presidente Emmanuel Macron ha espresso «profonda indignazione» e «la più forte condanna di queste sparatorie». Il ministro degli esteri tedesco Annalena Baerbock ha chiesto che l'esercito israeliano spieghi più dettagliatamente la dinamica dei fatti. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è detta «profondamente disturbata dalle immagini di Gaza», aggiungendo che serve «un grande sforzo per indagare ciò che è successo e garantire la trasparenza». Prima di lei, il capo degli esteri dell'Ue, Josep Borrell, aveva espresso il suo sgomento.
    Un'indagine approfondita è stata sollecitata anche dagli Stati Uniti che, in mancanza di una versione più chiara e completa, hanno comunque bloccato una risoluzione del Consiglio di sicurezza con cui le Nazioni Unite avrebbero voluto incolpare Israele per la tragedia. Resta condivisa la necessità di un ampliamento degli aiuti umanitari a Gaza. I civili nella Striscia «stanno rischiando la vita per trovare cibo, acqua e altre forniture» ha commentato l'Oms.
  3. "Nella Striscia si muore di fame e il responsabile è Netanyahu "
    berlino
    «La carestia è indotta ed è facile tornare indietro: basta aprire i valichi», spiega Philippe Lazzarini, il Commissario generale dell'Unrwa, l'agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, in questa intervista a La Stampa.
    Si è fatto un'idea del massacro costato la vita a 112 palestinesi durante il transito del convoglio di beni alimentari? Circolano diverse versioni. Qual è la sua?
    «Non ho altri dettagli rispetto a quanto ho saputo dai media, ma sono certo che le indagini ci diranno come si sono svolti i fatti. È scioccante però che centinaia di persone affamate siano state uccise mentre stavano disperatamente aspettando il cibo. Nel Nord di Gaza incombe la carestia e come Unrwa non abbiamo più potuto portare aiuti dal 24 gennaio. Quando abbiamo riprovato a inizio febbraio il nostro convoglio è stato bloccato dall'esercito israeliano. Non ho una mia versione dei fatti, ma so che il trasporto di due giorni fa non era organizzato né dall'Onu né dall'Unrwa né da alcuna associazione umanitaria conosciuta. Sembra ci sia dietro un'iniziativa di altra natura».
    Di quale natura?
    «A questo stadio non faccio supposizioni. I fatti possono essere accertati solo con un'indagine seria, un adeguato accesso al luogo, un appropriato interrogatorio a chi guidava il trasporto e ascoltando testimoni oculari».
    Come sta procedendo l'assistenza umanitaria a Gaza in quest'ultimo periodo?
    «Da settimane noi ed esperti della Fao parliamo di carestia incombente. Rispetto a questa situazione di emergenza e sebbene la Corte di giustizia internazionale dell'Aia abbia chiesto uno sforzo maggiore è successo il contrario. L'assistenza umanitaria a febbraio è diminuita in media del 50% rispetto a gennaio».
    Perché è diminuita?
    «È mancata la volontà politica. Ci sono due accessi a Gaza attualmente operativi: Rafah e Kerem Shalom. Il secondo è quello che permette la maggiore capacità di transito, ma è regolarmente chiuso o perché ci sono manifestazioni o per via di un sistema di ispezioni estremamente macchinoso. Per esempio un camion dall'Egitto impiega per entrare tra i cinque e i sette giorni. Al fondo manca la di volontà».
    Di chi?
    «Se Israele volesse, l'accesso ai valichi potrebbe essere più veloce. Prima del 7 ottobre transitavano 700 veicoli pesanti al giorno. Oggi abbiamo una media di 100-150 e nemmeno tutti i giorni. Se ci fosse la volontà di aprire altri valichi, per esempio a Karni o Erez nel Nord – dove attualmente abbiamo una popolazione in trappola, ridotta alla fame – potremmo affrontare la situazione. Questa è una situazione puramente "manmade", cioè indotta dall'uomo, artificiale. Non ho mai visto nella storia recente un posto in cui viene artificialmente provocata la carestia».
    Cosa intende con una carestia indotta?
    «Intendo che è creata da un sistema di sicurezza estremamente serrato. Se fosse allentato il problema della fame si potrebbe risolvere. È molto più facile affrontare la fame a Gaza piuttosto che nel Sahel, dove è legata a condizioni ambientali. Qui la risposta è nota: basta aprire i valichi e lasciare entrare i convogli per dare assistenza alle persone».
    Il governo israeliano ha lanciato accuse pesanti all'Unrwa, sostenendo che 12 dei suoi collaboratori sarebbero stati coinvolti nel massacro del 7 ottobre. Come replica?
    «Quando il 18 gennaio sono stato messo al corrente sono rimasto scioccato. La vicenda è stata presa molto seriamente e non solo le persone accusate sono state licenziate, ma ho denunciato tutto al Segretario generale dell'Onu che ha avviato un'indagine indipendente. Sono in corso di revisione anche le procedure del sistema di risk management, sotto la guida dell'ex ministra francese Catherine Colonna. Tra poco avremo i risultati e siamo pronti a migliorare il necessario. Però voglio essere chiaro: stiamo parlando solo di accuse».
    Quali sono state per voi le conseguenze di questi addebiti?
    «Circa 16-18 Paesi hanno congelato i loro contributi all'Unrwa. Se non cambia qualcosa la capacità dell'Agenzia di affrontare la peggiore crisi umanitaria della regione sarà compromessa. Non potremmo fornire servizi essenziali come l'istruzione a Giordania, Siria, Libano e Cisgiordania, dove ci sono migliaia di bambini e 450 milioni di dollari sono a rischio di congelamento».
    Il governo Netanyahu sostiene che l'Unrwa è compromessa con Hamas e afferma che il loro data-center era sotto la vostra sede a Gaza City. Come lo spiega?
    «Gli israeliani non si sono mai rivolti a noi con le loro accuse, le hanno sempre trasmesse via social-media o via tv. L'accusa del data-center è un'affermazione, ma non hanno mai condiviso con noi le prove. Quando si potrà accedere a Gaza sarà necessario fare una seria indagine sui tunnel e i loro accessi. Intanto posso dire che dall'inizio della guerra oltre 400 persone sono state uccise mentre si erano riparate sotto la bandiera dell'Onu e questa è una grave violazione che richiederebbe un'inchiesta internazionale».
    Perché il governo israeliano vuole le sue dimissioni?
    «Israele vuole smantellare l'Unrwa perché è diventata un simbolo dei diritti dei rifugiati palestinesi e delle loro richieste di un percorso politico. La richiesta di dimissioni è il passo preliminare per eliminare l'Agenzia».
    Si può sostituire l'Unrwa ora?
    «La nostra non è sono un'organizzazione umanitaria ma provvede anche alla scolarizzazione. Solo a Gaza circa 300 mila bambini vengono a scuola da noi. L'unico che ci può sostituire è uno Stato che ora non c'è. Sarebbe un terribile errore sacrificare il futuro di migliaia di ragazze e ragazzi. L'alternativa è crescere nel trauma, la migliore ricetta per aumentare odio, violenza e risentimento»
  4. Raid aereo in Siria, ucciso un Pasdaran Razzi di Hezbollah lanciati verso Israele
    C'è anche un cittadino iraniano fra i tre morti registrati in Siria in seguito a un raid aereo attribuito a Israele nella cittadina costiera di Baniyas. È un esponente Pasdaran, dispiegato in Siria come consulente militare. Lo riferisce l'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, secondo cui nell'attacco contro un edificio residenziale nel quartiere di Batariya a Baniyas sono morte altre due persone non meglio identificate. L'Osservatorio pubblica foto dell'edificio distrutto: si trattava di una "villa" isolata da altri edifici e da alcune fonti identificata come uno degli avamposti operativi dell'Iran e degli Hezbollah libanesi in Siria. È la prima volta dall'inizio del recente conflitto in Medio Oriente che l'aviazione israeliana colpisce la cittadina mediterranea di Baniyas, a nord-ovest di Damasco e non lontana dal confine con il Libano. Nuovi attacchi di razzi dal Libano sono stati segnalati ieri nel nord di Israele.
  5. Caso Santanchè, commissariata la Visibilia " Gravi irregolarità , quadro preoccupante"
    Andrea Siravo
    Milano
    Un quadro «preoccupante» costellato di «gravi irregolarità», un management «inadeguato». Sono molteplici gli elementi che inducono il Tribunale di Milano a commissariare Visibilia Editore, la «creatura» dell'attuale ministra del Turismo, Daniela Santanchè.
    La decisione di procedere con l'amministrazione giudiziaria accoglie la richiesta, sostenuta dalla procura, di un gruppo di soci di minoranza, capitanati dall'imprenditore Giuseppe Zeno e assistiti dall'avvocato Antonio Piantedosi, che contestavano con un ricorso presentato nel giugno 2022 una «crisi caratterizzata da costanti e rilevanti perdite di esercizio, forte indebitamento di natura tributaria e previdenziale ammontante a più di 2 milioni di euro». Quando nel cda della società editore di Novella 2000 e Ciak erano ancora seduti Dimitri Kunz D'Asburgo Lorena e Fiorella Garnero, rispettivamente compagno e sorella della senatrice di Fratelli d'Italia che di Visibilia Editore è stata presidente fino al gennaio 2022, prima di finire indagata per la presunta mala gestio della stessa società nel novembre 2023. Le sofferenze finanziarie della società non hanno trovato soluzione neanche con il subentro dell'imprenditore Luca Ruffino (patron di Sif, finanziaria tuttora prima azionista), morto suicida ad agosto 2023. Per i giudici la revoca dell'attuale cda e la nomina come amministratore giudiziario dell'avvocato torinese Maurizio Irrera sono «l'unica» misura «in grado di portare al superamento della situazione di pregiudizievole inerzia rispetto alla predisposizione di un adeguato assetto organizzativo» anche per Visibilia Editrice e «alla gestione del piano di risanamento in corso».
    In particolare, i giudici, valorizzando l'ispezione svolta dalla commercialista Daniela Ortelli, evidenziano che gli attuali amministratori, guidati da un geometra di Corsico, Alberto Campagnoli, «hanno avviato il piano senza assicurarsi di avere le risorse per sostenerlo». E se ciò non bastasse a destare un «forte allarme» nel Tribunale sono le criticità sull'organizzazione interna di Visibilia Editore. Ogni funzione organizzativa amministrativa e contabile - come certifica l'ispezione - è affidata a Visibilia Concessionaria. Idem per la società operativa, ovvero Visibilia Editrice. Una situazione che «esiste da sempre», ma che se prima poteva trovare una ragionevole spiegazione nel fatto che Visibilia Concessionaria, di cui Santanchè ne possiede il 75% attraverso la Immobiliare Dani, controllava Editore, non vale più da quando nel 2022 è formalmente uscita dalla struttura del gruppo. «Nonostante questa formale terzietà, Concessionaria continua a gestire l'amministrazione e la tesoreria delle società del gruppo compiendo scelte anche in ordine ai pagamenti creditori di Editore e di Editrice». Una fotografia che prova «l'unitarietà» in solo gruppo delle tre Visibilia e dimostra quindi «l'inadeguatezza» dell'attuale management. Una situazione «tanto più grave» se si considera che Visibilia Editore è «quotata» e che le società del gruppo devono gestire «una conclamata situazione di crisi».
  6. modena, l'annuncio di valditara
    Studente punito per un'intervista la scuola ora annulla la sospensione
    È contento solo a metà, Damiano Cassanelli, lo studente modenese che era stato sospeso dal proprio istituto tecnico, l'Itc Barozzi, dopo aver rilasciato un'intervista in cui esternava critiche e avanzava proposte verso la struttura.
    Ad annunciare la cancellazione della sanzione (12 giorni a casa, mai applicati), è stato ieri il ministro dell'Istruzione, Giuseppe Valditara, dicendo che «come avevo già indicato in risposta a una interrogazione parlamentare, l'organo di garanzia della scuola, a maggioranza, ha annullato il provvedimento adottato dal consiglio d'istituto».
    «Mi fa strano apprenderlo dal ministro - ha commentato il ragazzo attaverso il suo avvocato, Stefano Cavazzuti - mentre il Barozzi non mi ha ancora comunicato niente. Adesso servirebbe fare più luce su questa vicenda, la mia scuola ha bisogno di più serenità per lavorare». In quell'intervista, Damiano aveva denunciato un episodio in cui erano stati effettuati controlli sugli studenti. Poi, proposto di fare gite all'estero, introdurre dispenser per il cibo e anticipare l'orario d'ingresso

 

 

 

02.03.24
  1. L'ultimo miracolo di Alexey mostrare al mondo l'altra Russia
    «Putin assassino». «No alla guerra». «Ucraini brava gente». «Abbasso lo zar». «Riportate i soldati a casa». Chiuso nella bara, Alexey Navalny è riuscito nel suo ultimo miracolo: mostrare al mondo l'altra Russia, quella che dice il contrario di quello che afferma Putin, quella fuorilegge, quella che non si vede e che molti credevano non esistesse più. Sembra una rivincita, amara e tardiva, forse l'ultima, ma trionfale, e migliaia di persone che sfidano la polizia, le telecamere con riconoscimento facciale, le transenne e i megafoni, che si sono portate negli zaini tutto l'occorrente per la prima notte in cella come consigliato da gruppi di attivisti e siti indipendenti, marciano come se fossero cittadini liberi. I funerali di un uomo morto dietro le sbarre diventano un momento di libertà, in cui la paura fa un passo indietro, e molti scandiscono i mantra di Navalny «l'amore è più forte della paura», e «la Russia sarà libera», anche se visto dal fango della tangenziale di Maryino appare un sogno impossibile.
    C'è un contrasto atroce tra la scenografia di un funerale di periferia – i casermoni prefabbricati sovietici, avvolti nel grigiore di quello che nonostante il calendario si chiamerà ancora a lungo inverno, le transenne lungo i vialoni coperti di cumuli di neve sporca, la chiesetta di quartiere con una messa frettolosa per i parenti, i ceri stretti in pugno e i foulard che scendono sulla fronte delle donne – e il cordoglio di milioni di click online, di centinaia di migliaia di persone che seguono lo streaming della processione, dei messaggi di governi e organizzazioni internazionali, della orchestra sinfonica di Londra che dedica a Navalny la Quarta di Shostakovich, e del parlamento europeo che applaude la vedova Yulia. I media della propaganda statale russa pubblicano le fotografie dei diplomatici occidentali che hanno partecipato alle esequie, e anche le targhe delle loro auto, bene in vista, come a dire che Navalny era un russo estraneo alla Russia, che era amato più dagli stranieri, che Putin solo il giorno prima aveva chiamato «nemici» dalla tribuna del parlamento. Ma a guardare i volti di quelli che camminano dietro al catafalco, che lanciano i fiori, accendono le candele, composti, disciplinati, addolorati, ma pieni di dignità, il mito dei navalniani come un gruppo di ragazzi moscoviti sparisce. È una folla senza leader – i capi del movimento sono al sicuro all'estero oppure in carcere, e uno degli slogan scanditi è «libertà ai detenuti politici» – che però si organizza e si fa coraggio, e sono numerosi i volti non più giovani, e i giubbotti dozzinali, e mazzi di rose e garofani da pochi soldi. I fioristi di tutto il quartiere di Maryino sono stati svuotati, e la coda di quelli che vogliono entrare in chiesa e poi al cimitero si misura in chilometri.
    Il martirio di Navalny, che aveva vissuto, messo su famiglia e lanciato la sua sfida al Cremlino proprio da questi casermoni, attingendo dalle sue radici di periferia la rabbia e la legittimazione per denunciare la cleptocrazia, segna il finale di una storia umana e politica che sembra scritta per i manuali e per Hollywood. Il suo funerale è il rito finale che chiude un'epoca. Doveva essere la sepoltura anche della speranza di un cambiamento pacifico, di una democrazia che si conquista in piazza e nelle urne. Non è successo, forse non accadrà mai, e il popolo di Navalny che ieri ha sfilato probabilmente per l'ultima volta lo sa. Già il fatto che Yulia Navalnaya e i figli Dasha e Zakhar non sono venuti a dare l'ultimo addio al padre e al marito dimostra che il Cremlino non ha voluto offrire nessuna garanzia di incolumità alla vedova del politico. Migliaia dei manifestanti degli anni scorsi sono fuggiti all'estero, altri, tantissimi, non osano unirsi al corteo per paura, e quelli che sono venuti si vedono respinti, bloccati dalle transenne, tagliati fuori dal corteo, perché il regime non ha osato seppellire il dissidente di nascosto in un carcere siberiano, ma non ha voluto permettere che le sue esequie si trasformassero in una manifestazione di protesta come era stato nel 1989 con Andrey Sakharov.
    Doveva essere una fine dell'opposizione, questo funerale così modesto e blindato, ma diventa all'improvviso la promessa di un nuovo inizio, non solo nella musica di Terminator-2 che accompagna la discesa della bara nella tomba e ricorda il mitico "I'll be back", tornerò, pronunciato da Schwarzenegger. Chi è venuto al cimitero di Borisovo lo ha fatto perché non poteva non esserci, perché aveva bisogno di testimoniare, per raccontarlo un giorno. Mentre il presidente russo minaccia compiaciuto di lanciare bombe atomiche sull'Europa, gli orfani di Navalny dicono, urlano e piangono parole oggi proibite, dalle quali non potrà non ripartire – se e quando ci sarà - la meravigliosa Russia del futuro: no alla guerra, no alla dittatura. —

 

01.03.24
  1. Salvini visita Verdini in carcere, perplessità del Sapp
    alessandro di matteo
    roma
    Matteo Salvini in carcere per visitare un detenuto. Un fatto che sarebbe normale - un ministro e parlamentare che si reca nei luoghi di reclusione - se il detenuto in questione non fosse Denis Verdini, politico a lungo vicino a Silvio Berlusconi e soprattutto padre della compagna del leader della Lega. Salvini si è presentato al carcere di Sollicciano dove da martedì è rinchiuso Verdini, condannato per bancarotta. L'ex parlamentare aveva ottenuto i domiciliari, ma gli sono stati revocati dal Tribunale di sorveglianza di Firenze perché avrebbe violato gli obblighi e preso parte ad alcune cene a Roma.
    Verdini deve scontare 15 anni e 10 mesi di reclusione e si era costituito nel 2020 a Rebibbia, a Roma. Nel gennaio 2021 aveva ottenuto la detenzione domiciliare per motivi di salute, a causa del dilagare del Covid nel carcere. Decisione confermata poi dal tribunale di sorveglianza di Firenze nel luglio 2021 per l'età, avendo compiuto 70 anni.
    Salvini come ministro può accedere al carcere e ieri si è recato a Sollicciano per incontrare Verdini nella sala riservata ai colloqui, dopo avere ricevuto l'autorizzazione dalla direttrice Antonella Tuoni. L'iniziativa, però, è stata commentata con qualche perplessità dal Sapp, sindacato di polizia penitenziaria: «Da sempre incoraggiamo le visite di parlamentari nelle carceri - spiega il segretario generale Aldo Di Giacomo - auspicando che servano a verificare le condizioni dei detenuti e quelle di lavoro del personale penitenziario. Ci auguriamo che la visita del ministro Salvini al padre della sua compagna Denis Verdini abbia avuto questo scopo e non si sia limitata a constatare le condizioni del quasi congiunto».—
  2. Il fondo sovrano che investe i nostri soldi pagati per gas e petrolio, per conto di Riad
    Il fondo sovrano Public Investment Fund (Pif) ha sede a Riad ed è uno dei fondi sovrani più floridi al mondo, in capo all'Arabia Saudita. È di fatto il veicolo attraverso cui la famiglia reale saudita investe i surplus fiscali in strumenti finanziari o in attività come lo sport e sono ormai molte le realtà che sono finite nelle mani del fondo, a partire dal calcio. Ha un patrimonio totale stimato di oltre 776 miliardi di dollari ed è stato costituito nel 1971, proprio per realizzare investimenti per conto del governo dell'Arabia Saudita. Attualmente è presieduto dal principe ereditario Mohammad bin Salman Al Sa'ud. Nella fase iniziale aveva fornito prestiti finalizzati soprattutto all'attuazione di progetti di sviluppo nazionale, ma nell'arco di poco tempo ha allargato i propri orizzonti, investendo in tutto il mondo e in più settori.

 

 

29.02.24
  1. Gli effetti del voto disgiunto
    Per l'ex sindaco di Cagliari 5.500 voti in meno delle liste che lo sostenevano
    Sono mancati parecchi voti al campione del centrodestra Paolo Truzzu, circa il doppio di quelli che gli sarebbero serviti per superare Alessandra Todde nel testa a testa per la presidenza della Sardegna. Il sindaco di Cagliari, meloniano, candidato della coalizione al governo ha ottenuto 328.494 preferenze, appena 2.615 voti in meno di quelli raccolti dalla rivale sostenuta da Partito democratico e dal Movimento 5 stelle (esattamente l'opposto di quanto accaduto a Todde, che ha preso più preferenze delle liste che la sostenevano). Una manciata di voti, appena lo 0,4%, che avrebbe potuto facilmente superare se tutti gli elettori che hanno votato per i partiti del blocco di centrodestra avessero indicato il suo nome come presidente.
    Le liste che lo sostenevano, infatti, hanno totalizzato 333.873 voti, ben oltre i 331.109 ottenuti da Todde. Il voto disgiunto, insomma, c'è stato eccome, sono stati 5.379 gli elettori che hanno scelto uno dei partiti del centrodestra ma che poi, per ragioni chiuse nel segreto dell'urna, hanno deciso di dare la preferenza a un altro dei candidati sulla scheda elettorale. Il dato più eclatante, infine, è che Truzzu è andato molto peggio dove - in teoria - avrebbe dovuto "giocare in casa": lui, sindaco di Cagliari, è stato sconfitto nettamente proprio nel capoluogo sardo, superato di otto punti da Todde.
  2. Finora politica e guerra in Ucraina erano, per signori e signore del nostro occidente, un tira e molla, un'altalena, un dai che io do, un va e vieni dai quali tutti in fondo pensavano di uscirne salvi, alla fine. Gli astuti perfino con qualche bel gruzzolo da spendere politicamente all'interno. Tutt'al più si trattava di pagare qualche milione di euro e di svuotar gli arsenali del vecchiume; ma alla prima occasione, ridotto come vogliono logica ed economia Putin al lumicino, si recuperava il perduto e il pagato. Si sa che le ricostruzioni sono affari lucrosi... Agli ucraini, quelli scampati al macello in prima linea, rimasti liberi per merito proprio, si riservava la amarognola soddisfazione della medaglia degli eroi. L'importante era che nessuno ad occidente uscisse con le ossa rotte. Altrimenti il bel gioco della politica e della guerra fatta con gli altri sarebbe finito.
    Poi un giorno il presidente francese Macron pronuncia alcune parolette: che non può escludere di spedire soldati a combattere a fianco degli ucraini, non solo, sarebbe ansioso di costruire una coalizione di volenterosi (formuletta dietro cui abbiamo posizionato alcune delle nostre peggiori sconfitte) e così accingersi virilmente a vincere la guerra del Donbass. Ci si incammina da Parigi sulle luttuose tracce della Grande Armata?
    Macron è un azzimato Napoleoncino che si tiene bigottamente stretto alla lettera della superiorità gallicana pur essendo, come impongono i mutati tempi della potenza, uomo di nebbia e di vento; che illazioni sproporzionate, con ipocrita reverenza, hanno etichettato come macigno europeista. Con indicativa miopia provinciale, da questa parte delle Alpi, le sue ardite e allarmanti escogitazioni belliciste (insomma: la Terza guerra mondiale a pezzi da noiosa cantilena diverrebbe Terza guerra mondiale e basta) sono state interpretate come legate al gioco di dispetti tra "monsieur le président" e la Meloni, una grottesca batracomiomachia dell'Unione. Lei si trasferisce a Kiev come capo dei Grandi o di quel che resta di loro con un misterioso, forse un pacco vuoto forse no, Patto d'acciaio con Zelensky. E lui replica dichiarando, nientemeno, quasi guerra alla Russia.
    Macron non ha fatto altro che compiere un passo verbale ulteriore in una pericolosa progressione che dura da mesi. Con cui le cancellerie d'occidente in modo omeopatico preparano le opinioni pubbliche dei rispettivi Paesi a scavalcare il limite estremo: ovvero la necessità se non si vuole ingoiare, dopo due anni di sacrifici, il malpasso della sconfitta ucraina, di scendere in campo. Per piegare la Russia rimasta putiniana bisogna passare dalla non belligeranza milionaria (armi e sostegno economico) alla belligeranza diretta. È così che da sempre le guerre diventano mondiali e "inevitabili".
    Il presidente francese gioca d'anticipo, dir per primo ciò che gli altri ancora occultano sotto formule vaghe potrebbe rendere i gradi di capitano della futura Gran Coalizione dei generosi. La politica rispetto a come risolvere il problema ucraina finora si è mossa nell'arte dell'assicurazione e della contro assicurazione, dell'inganno e del para inganno, dallo scavar buche per far inciampare Putin da non saper poi come camminare trovandosele intorno ai propri piedi. Ci pareva possibile curare i conti della nostra aritmetica, preparar le elezioni Usa, nell'Unione e nei Paesi satelliti e intanto pagar altri per far la guerra necessaria. I signori presidenti, buoni a seccar tasche per il conflitto, eran pieni di entusiasmo: con Kiev comunque, fino alla vittoria. E aguzzavano gli occhi, nei tavoloni dei Vertici, su realtà caparbie e avverse aggruppate sotto nomi poco familiari che i loro aiutanti leggevano sillabando su carte geografiche dell'Ucraina. Alcuni di loro conoscono il mestiere ma questa faccenda ucraina è diversa, non una "small war", una guerruccia, ci sono città piene di uomini che fuggono nei rifugi ed eserciti in marcia nella steppa con i piedi indolenziti da ritirate e avanzate. Con le armi donate uomini correvano incontro alla morte attraversando fiumi gelati e, equipaggiati in carri armati, soffocavano solcando le nevi sterili dell'Ucraina.
    La brutale aggressione russa ha restituito alla Morte il posto che da un quarto di secolo non avevamo più dinanzi ai nostri occhi di europei. Pace e benessere ne avevano sbocconcellato il dominio che per secoli era stato in questa parte del mondo assoluto. La guerra restava una realtà dell'uomo, ma una realtà nascosta e lontana. Circondata da precauzioni era per gli europei spettacolo televisivo. Per trovarla bisognava viaggiare in Africa e in oriente dove i suoi trionfi sembravano essersi rifugiati. La furiosa mischia ucraina ha riportato i morti, i morti dappertutto, non onorevolmente coperti come si usa ma nudi con il loro odore e colore di morte, ridotti a lembi nelle strade e nei fossi, orride gonfiezze dondolanti a fior d'acqua. Era una morte europea. Ma finora degli altri. Che sta per diventare anche nostra? Attenti, qui ora si parla di noi.
    Nel sipario di mezze verità, ottimismi e bugie di chiassoni e gabbadei spunta che l'Ucraina, armi o non armi, è in gravi difficoltà: dopo mesi di mutua distruzione e nulla più il fronte cambia faccia. Kiev manca di uomini perché li ha consumati in due anni. Gli arsenali in occidente son quasi asciutti, bisogna produrre a gran forza ma per esser sicuri noi. Il bellicismo disinvolto dei due anni precedenti, la gigantesca fatamorgana della vittoria sparisce, si cambia tono. Diventa preoccupato, allarmista, da corsa contro il tempo: ahimè, per fermare Putin gli ucraini non bastano!
    Ci si arma e riarma, si restaurano le leve, ci si strofina con il formare nuclei di riservisti. Perché non si sa mai, Putin è goloso, bisogna esser pronti. L'entrata in guerra light, dopo aver ammorbidito le coscienze. Come era chiaro fin dall'inizio, con armi e denaro si poteva tenere in vita l'Ucraina non portarla alla vittoria, liberare le terre occupate fino all'ultimo centimetro. Per quello ci vuole la Terza guerra mondiale.
    Morire per Kiev: ma davvero, non solo nel portafoglio. Forse è davvero necessario per salvare l'occidente ma bisogna avere il coraggio di dirlo. E a condurla non potranno essere coloro che hanno causato il disastro.
  3. IL POTERE POLITICO LIBERERA' VERDINI PRESTO: Nonostante gli arresti domiciliari nella lussuosa villa sulle colline di Firenze era riuscito ad ottenere il permesso di recarsi dal dentista a Roma. Ma ha approfittato di questi viaggi per partecipare a tre cene con manager e imprenditori. In altre parole è evaso dai domiciliari e così ieri mattina è tornato dritto in carcere. Tanto più che alcune persone con cui ha cenato sono state indagate come lui per corruzione nell'inchiesta sugli appalti Anas che ha portato all'arresto del figlio Tommaso.
    Stavolta non è servito a nulla a Denis Verdini - 72 anni, ex braccio destro di Berlusconi ed ex senatore di Ala oltre che attuale suocero del vice premier e ministro Matteo Salvini - avere più di 70 anni e qualche acciacco di salute. Per lui si sono aperte le porte della prigione di Sollicciano per ordine del Tribunale di sorveglianza su richiesta della procura generale di Firenze e dovrà rimanerci in linea teorica fino al 2032 per un cumulo di pene. Deve infatti scontare 6 anni per il crac del Credito Cooperativo Fiorentino, oltre a 3 anni e 10 mesi per la bancarotta di un'impresa edile Arnone di Campi Bisenzio, e altri 5 anni e mezzo per il fallimento della Società Toscana Edizioni (che pubblicava Il Giornale della Toscana). Ma considerata l'età potrebbe ottenere ancora i domiciliari, magari con il braccialetto elettronico.
    Le cene finite nel mirino della magistratura e che gli sono costate il rientro in cella sono state scoperte durante le indagini della Guardia di Finanza, su delega della procura di Roma, per gli appalti Anas. Tre le «gite» nella capitale, tra ottobre 2021 e gennaio 2022, sotto la lente investigativa: due al ristorante Pastation di proprietà di Verdini Junior e un'altra a casa di quest'ultimo. Dopo l'arresto di Tommaso Verdini, a dicembre, il Tribunale di sorveglianza del capoluogo toscano aveva aperto un procedimento e il 22 febbraio si è celebrata l'udienza. La procura generale aveva chiesto la revoca dei domiciliari per l'ex senatore. Assistito dall'avvocato Marco Rocchi, si è difeso spiegando che riteneva di poter partecipare alle cene «perché autorizzato ad andare dal dentista a Roma e a fermarmi a casa di mio figlio».
    La prima cena risale al 26 ottobre 2021 e Denis Verdini, ignaro delle indagini delle Fiamme gialle, si è intrattenuto, esercitando tutte le sue arti di uomo dalle mille relazioni con l'ex senatore e imprenditore Vito Bonsignore e l'allora amministratore delegato di Anas, Massimo Simonini. Il secondo appuntamento serale è quello del 30 novembre 2021, sempre al Pastation, alla presenza del figlio Tommaso, del socio di quest'ultimo in Inver, Fabio Pileri, di Simonini, dell'imprenditore Antonio Veneziano e del sottosegretario all'Economia, il leghista Federico Freni, estraneo all'inchiesta Anas.
    Il tris di cene vietate si conclude l'11 gennaio 2022 a casa di Tommaso Verdini alla presenza di Bonsignori, Pileri e Simonini. Peccato però che Verdini Senior fosse autorizzato dal Tribunale di sorveglianza per essere a Roma dalle 10 alle 14 e di rientrare, subito dopo le cure, a casa del figlio. Ma ovviamente una volta raggiunta l'abitazione non poteva incontrare nessuno a parte gli stretti familiari proprio perché era in regime di arresti domiciliari.
    Dopo la condanna in Cassazione per il crac Ccf, Verdini si presentò spontaneamente a Rebibbia. Era il 3 novembre 2020 e il 29 gennaio dell'anno dopo, si vide riconoscere i domiciliari per l'epidemia di Covid nell'istituto. L'8 maggio 2021 ha compiuto 70 anni ed è rientrato tra quelli che hanno diritto a scontare la pena a casa.
    Ma ora, nell'ordinanza che lo ha rispedito in carcere, il giudice scrive che è evidente come «la reiterata violazione delle prescrizioni, violazioni tra l'altro anche successive alla data dell'udienza (marzo 2022) in cui si discuteva della proposta di revoca per una condotta ben meno grave di quella oggetto di odierna valutazione, rende inidonea la misura domiciliare a contenerne la pericolosità». Inoltre «Verdini è coindagato per corruzione ed altri reati (inchiesta Anas, ndr) asseritamente commessi proprio dalle persone con cui si intratteneva abitualmente ed anzi ricoprendo il ruolo di elemento di collegamento - per il rilevante ruolo "politico" ricoperto in passato - con ambienti amministrativi e politici di rango elevato. Da tale considerazione emerge il fondato dubbio, che questo Tribunale non può ignorare, che le autorizzazioni richieste di volta in volta al magistrato per svolgere le lunghe e ripetute cure dentarie in Roma fossero in realtà uno strumento per poter più facilmente eludere il vincolo delle prescrizioni accedenti la misura».
  4. Sanità altra tecnica per favorire i privati.
    Esami a rischio

    paolo russo
    roma
    Il governo taglia del 30% le tariffe a rimborso di visite e accertamenti eseguiti da ospedali pubblici e privati convenzionati. Una sforbiciata che costringerebbe ad erogare sotto costo molte prestazioni anche comuni, come una broncoscopia o un'analisi del colesterolo, tanto che gli stessi privati che lavorano per conto dell'Ssn mettono in guardia: «Così sottocosto non potremo continuare a lavorare per conto del pubblico e le liste di attesa finiranno per raddoppiare», sintetizza padre Virginio Bebber, presidente dell'Aris, l'associazione degli istituti socio-sanitari no profit di area cattolica. Anche se qualche problema potrebbero averlo anche gli ospedali pubblici, visto che con i bilanci in rosso rischiano la poltrona i loro direttori generali.
    Con le nuove tariffe destinate ad entrare in vigore il prossimo primo aprile, l'Aris calcola una riduzione media complessiva di quasi un terzo. Un sistema non sostenibile non solo per le strutture religiose, ma anche per l'associazione di imprese Confapi-Salute e Artemisia Lab, oltre che per le associazioni scientifiche e dei pazienti del settore oculistico.
    Ma vediamo da dove parte questa crepa che rischia di aprire un'altra falla nel nostro Ssn. Tutto comincia con i nuovi Lea, la lista delle prestazioni rimborsabili, aggiornata dopo anni di attesa nel 2017 con circa 400 prestazioni di nuova generazione. Il tassello mancante erano le tariffe, visto che quelle in vigore risalgono a fine anni '90. Dopo vari rinvii il tariffario aggiornato, salvo nuove proroghe, entrerà in vigore il 1° aprile prossimo, ma giunti ormai in dirittura di arrivo si scopre che per compensare l'aumento dei costi delle new entry nel librone delle prestazioni mutuabili finirà anche il taglio delle tariffe di quelle che nei Lea ci sono da sempre.
    «Tariffe - spiega padre Bebber - assolutamente inadeguate e irrealistiche, che porteranno in futuro enormi problemi». Il centro studi dell'Aris ci fornisce qualche esempio per capire meglio: le visite specialistiche - come quelle cardiologiche, ortopediche e neurologiche - hanno una tariffa di 22 euro, cifra che è insufficiente a coprire i costi del medico specialista, del personale infermieristico, del servizio di prenotazione, delle utenze e delle pulizie. Ogni visita genererebbe per l'associazione una perdita almeno di 25 euro. Ma sono molte le prestazioni che hanno tariffe che non coprono neanche i costi diretti di produzione. Eseguire, per esempio, una colonscopia prevede circa 30 minuti di tempo, l'impiego di un medico e due infermieri, l'uso di tecnologie e altri materiali necessari, più un lavoro amministrativo. La nuova tariffa prevede 95,90 euro per questa prestazione. Analizzando i costi che deve sostenere la struttura, per l'Aris bisogna fare questi conti: un medico costa 39 euro; due infermieri 35 euro; ricondizionamento apparecchiatura post erogazione 20 euro; gestione certificazione 4 euro; risveglio 2 euro per un totale di 125 euro, ai quali vanno aggiunti: 18 euro per la manutenzione degli strumenti tecnologici, 21 euro per l'ammortamento e 17 per costi amministrativi. Ciò significa che, applicando il nuovo tariffario, la struttura dovrebbe erogare la prestazione richiesta con una perdita di circa 85 euro. Due ore di ambulatorio coprirebbero quattro colonscopie che per la struttura significherebbero 340 euro di perdita. Stesso discorso vale per una scintigrafia renale, che rimborsata a 122,40 euro comporterebbe una perdita di 110 euro, uguale a quella per una broncoscopia con prelievo bronchiale, mentre un esame urodinamico comporterebbe una perdita secca di oltre 122 euro.
    «Il nuovo tariffario sugli esami e le visite sarà un disastro economico che porterà al fallimento delle strutture sanitarie del Sud, che potranno essere acquistate a basso costo dalle grandi multinazionali straniere. Per non parlare del rischio di un aumento delle liste di attesa», afferma Mariastella Giorlandino, amministratrice di reti Artemisia Lab e rappresentante dell'Unione ambulatori e poliambulatori. «Se il metodo per non remunerare giustamente le prestazioni in convenzione, tagliando del 60% le tariffe dei laboratori, è quello di dire "facciamole nel pubblico", significa non conoscere la realtà degli ospedali» gli fa eco Michele Colaci, presidente di Confapi-Salute. Che nel nuovo tariffario vede anche una ulteriore spinta alle diseguaglianze territoriali in sanità, «perché le regioni del Nord che non sono in piano di rientro potranno modificare al rialzo le tariffe nazionali, quelle del Sud no».
    Tariffe avare uguale a tecnologie "basic" è quello che denunciano tanto l'associazione dei pazienti con malattie oculari che la Società di scienze oftalmiche. «Per sostituire il cristallino operato di cataratta si finirà per usare lenti a basso costo provenienti dall'India», predice Michele Allamprese, presidente dell'associazione dei pazienti, che per chi ha problemi di vista vede liste di attesa più lunghe nel pubblico e maggiore spesa per interventi in modalità "solvente". —
  5. "Per la cataratta da 1300 euro a 806 Così i risparmi favoriscono i privati"
    Stanislao Rizzo è considerato un mago dell'oculistica e nel dipartimento che dirige al Gemelli di Roma arrivano non solo da tutta Italia, ma anche dall'estero per affidare a lui la propria vista. Pazienti solventi ma anche molti non paganti in regime Ssn. «Con queste nuove tariffe però sarà sempre più difficile lavorare per il pubblico» si sfoga.
    Sono davvero così basse?
    «Prenda uno degli interventi più eseguiti, quello di cataratta. Prima che ad agosto entrassero in vigore le nuove tariffe ospedaliere, che hanno preceduto quelle per visite e analisi che entreranno in vigore ad aprile, il rimborso era di circa 1.300 euro, ora è sceso a 806 e con quella cifra non riusciamo nemmeno ad accendere le luci in sala operatoria. Tant'è che alcune casse sanitarie integrative le rimborsano a duemila e passa euro».
    Può fare qualche altro esempio?
    «L'iniezione intravitreale che serve per curare varie patologie della retina è rimborsata a 268 euro ma in molti tariffari regionali in questa cifra sono inclusi anche visita ed esami preventivi, oltre al costo del farmaco. Così trattare le maculopatie è impossibile».
    Vuol dire che il privato finirà per non fare più queste prestazioni in regime convenzionato?
    «Non mi stupirei se dalla direzione dell'ospedale mi chiamassero chiedendomi di fermarmi con gli interventi in regime Ssn e di eseguirli in modalità privata. Del resto gli ospedali pubblici se vanno in deficit posso sempre contare sui ripiani a piè di lista delle Regioni, quelli privati i conti in qualche modo devono farli tornare».
    Sembra un de profundis dell'Ssn…
    «Ci sono grandi investitori che stanno per aprire un grosso centro oftalmico privato a Roma che mi hanno già contattato. Io voglio continuare a mettere a disposizione la mia esperienza anche per chi non può pagare. Ma il rischio che questa spinta al risparmio finisca per favorire il privato-privato c'è. Così come è reale il pericolo che questa dieta delle tariffe finisca per creare nuove discriminazioni tra i pazienti, negando ad esempio a quelli Ssn un cristallino di ultima generazione».

 

28.02.24
  1. Bava (Azionista Juventus): "Ci sono gli estremi per il commissariamento della società, fatti gravi sul bilancio. La vicenda CR7..."
    27.02.2024 19:30 di Alessandra Stefanelli vedi letture
    Bava (Azionista Juventus): "Ci sono gli estremi per il commissariamento della società, fatti gravi sul bilancio. La vicenda CR7..."TuttoJuve.com

    Marco Bava, uno degli azionisti della Juventus, è intervenuto in esclusiva ai microfoni di TVPlay.it: le sue dichiarazioni sulla Superlega.

    ⁠⁠“LA JUVE RISCHIA IL COMMISSARIAMENTO, MANCANO 20 MILIONI A RONALDO” – “Esiste una continuità e una libertà di gestione che alla Juve e nel gruppo Agnelli, molto di più di quando c’era l’avvocato che era molto capace e attento a tante cose rispetto ai suoi successori. La continuità nasce dal fatto che se un amministrazione firma non la solo per sé stesso ma anche per chi viene dopo di lui. Quando FIAT fece un contratto con General Motors e poi cambiò idea Marchionne si staccò dal contratto avendo due miliardi di dollari di risarcimento danni. Secondo me che manca alla Juve, ci sarebbero gli estremi metterla sotto commissariamento continuano a non esserci informazioni, carenze negli accantonamenti del bilancio per esempio col Ronaldo a cui mancano 20 milioni non proprio noccioline. Gli azionisti quando vengono in assemblea, gran parte, il 60% faceva i complimenti anche se facevano cose bestiali e altri parlano di calcio ma non di bilancio. L’azionista della Juve non accetta di criticare il consiglio amministrazione e non cerca nemmeno di capire le cose”.

    “NON E’ CAMBIATO NULLA DOPO L’ADDIO DI AGNELLI, IL BILANCIO RESTA IRREGOLARE” – “Ci sono gli estremi del commissariamento mi riferisco alla legge 231, quando ci sono dei fatti gravi sul controllo e sul bilancio l’organismo di vigilanza che è un organo pagato dalla società per vigilare fatto da avvocati importanti o Torino che capiscono molto di economia. Ho chiesto di fare questa richiesta mi hanno guardato come fossi un marziano. Secondo me ci sono tutti gli estremi, non è cambiato nulla, il bilancio su cui la Procura di Torino ha fatto le sue indagini è stato modificato ma non in alcune forme sostanziali e la forma più pesante è la vicenda Ronaldo. La legge dice chiaramente quando hai un rischio probabile ma certo di un’entità ovvero di Ronaldo, non credo che lui accetti meno soldi di quello che ha diritto ad avere. Non mi pare che ci siano i presupposti, stiamo parlandone da più di un anno di questa vicenda. Faccio presente a oggi dal cambio di vertice e la nuova gestione non è cambiata per niente perché non poteva farla. Ferrero era già amico di Agnelli, è indagato per reati fiscali esattamente come John Elkann”.

    “LA FAMIGLIA AGNELLI INTIMIDISCE GLI AZIONISTI, NON C’E’ DEMOCRAZIA” – “La Juve se ne frega degli azionisti e quindi tutti zitti, hanno paura quello che io dico è frutto anche spunto da altri azionisti. La famiglia Agnelli in questo paese ed in questa città hanno spaventato tutti perché fanno quello che vogliono e gli viene consentito di farlo. Una volta sono stato portato via dalla Digos in un’assemblea e nessuno ha detto niente. C’è un’intimidazione nei confronti degli azionisti che viene riconosciuto in Parlamento dove stanno discutendo l’idea di fare le assemblee chiuse e saremo l’unico paese al mondo. E’ chiaro che Juventus e le banche non hanno un assetto democratico”
  2. "Non si mandino segnali di impunità"
    Matteo Indice
    Genova
    «È essenziale che non si trasmetta una sensazione d'impunità, mentre certe dichiarazioni politiche vanno in quella direzione. E però il G8 del luglio 2001 e i processi seguenti, ai quali viene d'istinto collegarsi, dimostrano che si può avere fiducia nell'autorità e nella giustizia anche quando deve indagare sui soprusi d'un segmento dello Stato». Vittorio Ranieri Miniati, procuratore aggiunto di Genova, condusse da pubblico ministero insieme alla collega Patrizia Petruzziello l'inchiesta sulle torture della polizia nella caserma di Bolzaneto, chiusa con un riconoscimento di responsabilità diffusa a carico di decine di agenti. E accetta oggi di ragionare, dalla sua prospettiva, sui fatti di Pisa.
    Il clima politico incide sul comportamento della polizia?
    «Tanto, ovviamente».
    A Genova come andò?
    «La prima riflessione dev'essere sulle condizioni ambientali immediatamente successive al G8. Di fatto non vi fu alcuna collaborazione o intervento d'iniziativa dei vertici della polizia neppure su input politico con l'obiettivo di chiarire gli eventi».
    Sta accadendo anche adesso? Ci sono analogie?
    «Non lo so. Ma ribadisco: il principale pericolo su questo fronte è che venga trasmessa agli agenti la sensazione di poter agire impuniti. Le indagini e i dibattimenti di Genova fissano tuttavia un precedente fondamentale e ci dimostrano che l'accertamento della verità non si riesce a fermare».
    Esternazioni di protezione pressoché incondizionata ai poliziotti, come quelle rilasciate nelle ultime ore da ministri del governo in carica, possono contribuire a creare il clima d'impunità?
    «Certo, possono incidere sull'atteggiamento di chi deve dirigere un servizio delicato come quello dell'ordine pubblico».
    Dal 13 al 15 giugno prossimi, in Puglia, si terrà il G7.
    «È fondamentale che chi ha il compito di far rispettare le regole sia il primo a farlo. E chi deve organizzare il lavoro dei poliziotti sul campo si ispiri a principi rigorosi, trasparenti».
  3. SE PUTIN=HITLER PER LUI SOLO LA STESSA FINE MA UN BAGNO DI SANGUE PER TUTTI NOI : L'assassinio di Alexey Navalny è probabilmente il frutto finale di una serie di indecisioni e di un serio conflitto interno al Cremlino tra «tecnocrati», che hanno variamente cercato di lavorare a uno scambio del più famoso dissidente russo, e «falchi», una gran parte dei siloviki, gli uomini degli apparati, che infine hanno convinto Putin a procedere alla liquidazione del «paziente berlinese» - come Putin chiamò Navalny senza nominarlo, ai tempi in cui veniva curato (e salvato) in Germania dal primo avvelenamento nell'agosto 2020, per intervento diretto di Angela Merkel. Putin alla fin fine, quando deve scegliere tra il parere di Roman Abramovich e quello di Nikolai Patrushev (il potente capo di tutti i servizi segreti russi), sceglie sempre istintivamente il secondo, che per lui è il Kgb.
    Ieri il Team Navalny ha rivelato un dettaglio clamoroso sugli ultimi giorni di Alexey: il 15 febbraio mattina avevano ricevuto la conferma che c'era un accordo di massima per scambiare Navalny, più due cittadini americani, con Vadim Krasikov, un agente del Fsb che sta scontando l'ergastolo in Germania per aver assassinato in pieno giorno, sparandogli addosso da distanza ravvicinata nel parco del Tiergarten, a Berlino - tra famigliole e berlinesi che fanno jogging - un comandante ribelle ceceno-georgiano che aveva combattuto contro la Russia nel 2000, Zelimkhan Khangoshvili.
    Nella celebre "intervista" a Tucker Carlson, Putin aveva spiegato già – a una domanda su Evan Gershkovich, il giornalista del Wall Street Journal arrestato in Russia con accuse inventate di spionaggio – come considerava Krasikov. «Non ha senso tenere in prigione – sostenne il dittatore russo – una persona che, per patriottismo, ha fatto fuori un bandito in una delle capitali europee». Poi aggiunse, inquietante e sibillino: «Che l'abbia fatto di sua volontà o meno, è un'altra questione» (peraltro negando che l'assassinio berlinese fosse stato ordinato da Mosca).
    Le trattative sono durate due anni, forse ci sarebbe voluto molto meno, ma è andata così, dice Pevchikh, e il 15 mattina il team ha ricevuto la conferma dello scambio. Il 16 febbraio Navalny è morto. Assassinato.
    La proposta di scambiare Navalny era stata recapitata a Putin dall'oligarca Roman Abramovich. E qui entriamo nella storia inquietante dell'omicidio di Navalny. «A Putin era stato detto chiaramente», spiega Pevchikh. «L'unico modo per prendere Krasikov è scambiarlo con Navalny. «Oh, sì, deve aver pensato Putin. Non tollererò Navalny libero. E poiché sono pronti a cambiare Krasikov in linea di principio, dobbiamo semplicemente eliminare il tema della contrattazione».
    Putin si è a quel punto trovato in una falsa posizione, che però di fatto ha segnato definitivamente la sorte di Navalny. Da una parte lui voleva fortissimamente riavere Krasikov, l'aveva fatto sapere agli americani da mesi. Dall'altra però non voleva assolutamente lasciar andare Navalny, il leader di opposizione che ha sempre temuto di più, un politico a tutto tondo, e a pochi giorni dalle elezioni (chiamiamole così) presidenziali.
    Washington in linea di principio, spiega una fonte di intelligence occidentale, lavorava almeno all'inizio per riavere Evan Gershkovich, il giornalista del Wall Street Journal fatto arrestare da Putin con accuse inventate di spionaggio, e l'ex marine Paul Whelan, anche lui in carcere in Russia accusato di spionaggio. Ma era stato possibile inserire Navalny nella partita - benché fosse cittadino russo, e non americano - perché esiste la possibilità di scambi internazionali "umanitari", anche verso Paesi terzi.
    Proprio quando la trattativa stava entrando nel vivo, Putin procedeva alla distruzione di Navalny. Dicembre 2023, dopo mesi e mesi di ritardi burocratici, il piano di scambio viene messo in atto. 6 dicembre 2023: agli avvocati non è più permesso di vedere Navalny, che si trova nella colonia penale numero 6 a Melikhovo, nella regione di Vladimir. L'11 dicembre vengono informati che è stato trasferito. Oltre il circolo Polare Artico, nel gulag "Lupo polare" (dove poi verrà ucciso). Arcipelago Putin.
    Abbas Gallyamov, ex speechwriter di Putin nei primi anni al Cremlino, spiega: «Non è da escludere che Putin, nel decidere il destino di Navalny, abbia dato il via libera alla realizzazione simultanea di due scenari: "Scambiarlo? Beh, magari lo scambiamo", "Ucciderlo? Sì, forse avete ragione, probabilmente è davvero meglio uccidere". Le autorità non avevano uno scenario ottimale; hanno dovuto scegliere tra diversi scenari sfavorevoli, quindi il capo dello Stato ha esitato. In alcuni momenti ascoltava la parte moderata del suo apparato, in altri si inclinava verso il punto di vista dei falchi».
    Alla fine «si è lasciato convincere dai falchi che sostengono che non è necessario tenere conto dell'opinione dell'Occidente in una situazione in cui è incapace di tutto, e sopportare le buffonate degli oppositori in una situazione in cui un gran numero di cittadini aspettano solo un motivo per non scendere più in piazza».
    Ora però incombono i funerali. Potrebbero avvenire il 29 febbraio, proprio mentre Putin presenta all'Assemblea federale il suo messaggio elettorale. Navalny lo perseguiterà anche da morto.
  4. PURTROPPO HA RAGIONE : La sferzata di Macro n ai leader "Non è escluso l'invio di truppe"
    danilo ceccarelli
    parigi
    È stata una dimostrazione di compattezza e unità quella che ha cercato di dare ieri Emmanuel Macron riunendo all'Eliseo una ventina tra capi di Stato e di governo, perlopiù europei, nella Conferenza a sostegno dell'Ucraina.
    Un messaggio chiaro e diretto, inviato da Parigi direttamente a Mosca per fargli capire che Kiev gode ancora dell'appoggio dell'Occidente, nonostante i tentennamenti statunitensi. La riunione si è tenuta solamente due giorni dopo la videoconferenza del G7 organizzata da Giorgia Meloni, disertata da Macron che sabato si è fatto rappresentare dal ministro degli Esteri Stephane Séjourné, con una mossa non proprio diplomatica (giustificata dalla partecipazione al Salone dell'Agricoltura, tenutosi nel bel messo delle contestazioni degli agricoltori).
    La titolare di Palazzo Chigi sembra aver ricambiato il favore, mandando il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli ad un evento che ha visto, tra gli altri, la partecipazione del cancelliere tedesco Olaf Scholz, del premier spagnolo Pedro Sanchez, di quello portoghese Antonio Costa, del presidente polacco Andrzej Duda e del titolare della diplomazia britannica David Cameron. Una carrellata di leader accolti uno ad uno da Macron, che ancora una volta si è posizionato come capofila del blocco europeo in un appuntamento per certi versi apparso come una vetrina internazionale.
    Il presidente francese ha lanciato un appello per un «sussulto» contro una Russia sempre più aggressiva e minacciosa, che sembrerebbe pronta a lanciare altri attacchi contro l'Europa. Per queto sono necessarie decisioni «forti», ha spiegato Macron. In primo luogo, sulla fornitura di armamenti: intervenendo in una conferenza stampa con il primo ministro bulgaro Nikolay Denkov Volodymyr nel pomeriggio, Zelensky ha ricordato agli europei che l'Ucraina ha ricevuto solamente il 30% dei proiettili di artiglieria promessi dall'Ue. Uno dei nodi più difficili da sciogliere quello sulle forniture di materiale bellico, con la premier estone Kaja Kallas che ha ricordato a Le Monde la necessità di «dare più armi» a Kiev, mentre il cancelliere Scholz ha ribadito di non poter fornire missili Taurus a lunga gittata perché «non sarebbe responsabile». Il tutto con l'Ucraina che nelle scorse settimane ha firmato accordi bilaterali con Germania, Francia e Italia.
    Ma il titolare dell'Eliseo ha ribadito la minaccia che rappresenta la Russia anche in termini di cybersicurezza, tornando su un dossier più volte evocato dalla Francia: «Abbiamo tutti subìto (…) degli attacchi in termini informativi e in termini cyber». Un modo per ricordare che in ballo c'è «la sicurezza collettiva di oggi e di domani». Macron ha inoltre detto che l'invio di truppe occidentali in futuro non può «essere escluso».
    Una posizione sulla quale ha insistito anche il presidente ucraino: «Insieme dobbiamo fare in modo che Putin non distrugga quello che abbiamo realizzato e non possa estendere la sua aggressione ad altri Paesi», ha martellato il leader di Kiev nel videomessaggio trasmesso prima dell'inizio dei lavori. «La vittoria contro la Russia dipende da voi», ha poi aggiunto il leader ucraino, nella speranza di dare uno scossone ai suoi partner utile a rilanciare il dispositivo di aiuti internazionali. —
  5. LA PERSECUZIONE DI PUTIN CONTINUA : «Vostro onore, i rappresentanti dell'accusa, vi domando: non avete paura? Non siete terrorizzati a vedere cosa sta diventando il nostro Paese, che probabilmente anche voi amate? Non avete paura di questa distopia assurda nella quale toccherà vivere non solo a voi e ai vostri figli, ma forse anche ai vostri nipoti?». L'aula di un tribunale è rimasta forse l'unico posto in Russia dove un cittadino può dire quello che vuole, per l'ultima volta, e non è un caso che i processi più recenti contro Alexey Navalny si sono tenuti in teleconferenza dal carcere, con una telecamera sfocata e un audio che stranamente si interrompeva proprio quando il politico iniziava una frase particolarmente sferzante contro il regime. Oleg Orlov, copresidente di Memorial, la prima Ong russa che ha ottenuto il premio Nobel per la pace ed è stata messa fuori legge da Vladimir Putin alla vigilia dell'invasione dell'Ucraina, è accusato di «discredito delle forze armate russe», l'articolo del codice penale introdotto con la guerra che ha già mandato in carcere centinaia di russi. Un processo precedente incredibilmente si era limitato a condannare il 70enne dissidente a una multa, ma la magistratura ha richiesto una revisione perché lo vuole dietro le sbarre per tre anni.
    È una Russia dove la clemenza non esiste più, e la morte di Alexey Navalny l'ha appena dimostrato. Orlov viene processato per un articolo in cui aveva definito il regime putiniano «totalitario e fascista», pubblicato poco più di un anno fa, quando «alcuni conoscenti pensavano che usassi tinte troppo fosche», ironizza oggi. Si è rifiutato di fuggire all'estero, si è rifiutato di prendere parte al processo-farsa, e voleva rinunciare anche a prendere la parola per l'ultima volta. Ma ieri ha cambiato idea, approfittando del privilegio degli imputati per lanciare una denuncia altrimenti impossibile da pronunciare: quello del leader dell'opposizione «è stato certamente un omicidio, indipendentemente dalle circostanze concrete».
    Il copresidente di Memorial ha ricordato Navalny come «un uomo straordinario, coraggioso e onesto», violando il tabù che proibisce di menzionarlo in pubblico, e facendo suo l'appello a «non arrendersi». È un passaggio di testimone molto simbolico, che si compie al tribunale Golovinsky di Mosca, dal dissenso storico nato nella lotta al comunismo sovietico, quello della resistenza morale degli intellettuali, e l'opposizione della nuova generazione postsovietica, che ha combattuto per elezioni libere nelle piazze e su YouTube, e che pensava che lo stalinismo e il Gulag fossero reperti d'epoca. Memorial è stata fondata da Andrei Sakharov, Navalny ha ricevuto dal parlamento europeo il premio Sakharov, e la coesione generazionale e politica tra mondi diversi e spesso lontani dell'opposizione russa si fonde in un fronte unico.
    Troppo tardi, forse. Navalny è morto, è stato ucciso, è quella che sta andando in scena a Mosca è l'ultima battaglia della protesta prima di una notte che scenderà per molto tempo, come ipotizza Orlov rivolgendosi ai giudici e ai poliziotti del regime di Putin. I seguaci del politico morto in prigione stanno combattendo per poter organizzare un funerale pubblico, in quello che – se autorizzato – diventerà molto probabilmente lo scontro finale. Gli spazi per un'azione politica legale e non violenta in Russia sono quasi inesistenti, ma Orlov segue la tattica dei navalniani di lanciare le sfide ovunque ci sia uno spiraglio, e di costringere il Cremlino a battere in ritirata – come è successo con la campagna per restituire alla madre di Navalny il corpo del figlio – oppure di ordinare un nuovo giro di vite, come verosimilmente avverrà nei confronti di chi si presenterà al commiato.
    Ma se è vero, come dicono i collaboratori di Navalny, che erano in corso le trattative per scambiarlo con il killer dei servizi russi Vadim Krasikov, condannato all'ergastolo in Germania, allora ha ragione il politologo Abbas Galyamov a dire che dentro il Cremlino esistono ancora delle divisioni, se non tra colombe e falchi almeno tra i falchi più feroci e quelli più moderati. Nel dubbio, Putin sceglie quasi sempre la linea dura, ed è difficile credere che avesse acconsentito a rimettere in libertà la sua nemesi. È vero che l'esilio in Occidente avrebbe appannato l'immagine di martire di Navalny, ma il danno che poteva infliggere al Cremlino da vivo avrebbe compensato, e comunque ne sarebbe uscito come un vincitore della sua sfida con Putin.
    Se però è vero anche, come sostiene Galyamov, che anche il recente braccio di ferro sul corpo del dissidente ucciso sia un segno che qualcuno, nella cerchia di Putin, si rende conto del danno reputazionale prodotto dalle atrocità in Ucraina e dalla repressione in Russia, allora diventano evidenti i destinatari delle parole di Orlov, che dice agli esecutori del volere del governo «voi capite perfettamente tutto», e promette che «i loro figli e i nipoti si vergogneranno di raccontare dove lavoravano papà e mamma».
    Un calcolo, quello sulle divisioni al Cremlino, sempre più fragile, anche perché l'eterna guerra civile russa prosegue, e Orlov ricorda agli uomini del regime che «domani potrebbero finire loro sotto il rullo compressore, come era già successo nella storia». Un'allusione chiara alle purghe di Stalin nel 1937, lanciate contro i bolscevichi stessi, e un pronostico inquietante: lo stalinismo è finito soltanto con la morte fisica del suo leader.
  6. GUARDA IL CASO :«Benficiario» al posto di «beneficiario», «ordinate» invece che «ordinante». Refusi e disattenzioni sulla ricevuta di un bonifico hanno messo nei guai Roberto Rabachino, giornalista, scrittore, sommelier, sino al luglio 2022 delegato della Fisar, Federazione italiana sommelier albergatori e ristoratori. Quegli errori grossolani, infatti, hanno sollevato non pochi sospetti sulla sua attività. Per l'associazione si occupava di raccolte fondi benefiche: lotterie, cene di Natale. Il ricavato? Destinato a Save the children e alla Croce Rossa per i terremotati dell'agosto 2016. Questo, almeno, sulla carta. Perché ai soci è bastata una telefonata per scoprire che quelle donazioni non erano mai avvenute. «Nonostante la ricezione di numerose distinte di bonifici». Sono scattati accertamenti interni, analizzati estratti conto e documentazioni. Ed ecco ulteriori magagne. Tra cui degli accrediti su conti a società riconducibili proprio a Rabachino.
    «Contiamo davanti a tutte le persone i soldi e il mattino prima di alzarvi, già alle quattro, riceverete la ricevuta del versamento», era solito ripetere il sommelier, con alle spalle 11 pubblicazioni di enologia e gastronomia e cattedre, stando ai suoi racconti, a Roma, Shangai, New York e a San Paolo. Curriculum di un certo spessore, eloquio volto a rassicurare. Di diverso parere il Collegio dei Probiviri, che il 22 luglio 2019 l'ha cacciato dalla Fisar: «La sua condotta era volontariamente e coscientemente programmata a trattenere indebitamente denaro». Sentenza inappellabile. La loro. Perché con la giustizia ordinaria la vicenda è andata in maniera ben diversa.
    I soci si rivolgono all'avvocato Claudio Strata. Preparano un esposto, lo presentano a Palazzo di giustizia.«Rabachino - scrivono - ha vergognosamente, e senza nessuno scrupolo, lucrato su disastri e calamità naturali. Utilizzando il nome e la credibilità non solo di Save the children ma anche della Croce Rossa Italiana e facendo leva su sentimenti di solidarietà». Scatta un'inchiesta. Il reato ipotizzato? Appropriazione indebita. Per fatti dal 2011 al 2019. Su somme che superano i 215mila euro.
    A novembre 2021, l'avviso di conclusione indagini è pronto. Poi però resta lì per dei mesi. Manca personale per completarlo, notificarlo. Poi trascorrono altri mesi, senza che venga mai fissata la data dell'udienza. Passa troppo tempo ed ecco che arriva la richiesta d'archiviazione. «Il reato è prescritto o si prescriverà in tempi assolutamente incompatibili con la celebrazione del dibattimento», si legge nell'atto. Di chi è la responsabilità? «Motivi organizzativi dell'ufficio». Detto in altri termini, la vicenda è rimasta lì, a Palazzo di Giustizia, quasi dimenticata, «in assenza di indici di priorità di trattazione».
    L'avvocato Strata non nasconde sdegno e amarezza. «Se è così, come possono essere tutelate le parti offese di fronte a gravi reati contro il patrimonio, che a quanto pare non rientrano negli "indici di priorità di trattazione"?». E rilancia: «Le parti offese di un reato gravissimo, che ha cagionato un danno patrimoniale rilevante, oggi si trovano a dover patire l'inerzia degli uffici»
  7. CONTINUO SPRECO DI SOLDI PUBBLICI: Corso racconigi
    Quindici varchi Per la zona 30 un investimento da 1,2 milioni
    È in fase di realizzazione il progetto per la nuova zona 30 sull'asse di corso Racconigi, con cui vedranno la luce le porte di accesso all'area e la creazione di attraversamenti pedonali rialzati e marciapiedi allargati. L'obiettivo è duplice: moderare la velocità delle auto disincentivando il traffico di passaggio e garantire più spazio e sicurezza ai pedoni. Un insieme di opere su cui ha posto l'accento l'assessora alla Mobilità Chiara Foglietta, per rispondere a un'interpellanza del consigliere Giuseppe Iannò in Sala Rossa. Il perimetro interessato dalle modifiche alla viabilità è fra i corsi Vittorio Emanuele II, Trapani, Peschiera e Racconigi. I varchi di accesso saranno 15 e verranno indicati con segnaletica orizzontale: si troveranno in corrispondenza delle vie Garizio e Villar Focchiardo (da corso Vittorio), Bardonecchia, Frassineto e Azzi (da corso Racconigi), Pragelato e Cenischia (da corso Peschiera), Frassineto, Spanzotti e Bardonecchia (da via Capriolo), Cenischia, Monte Albergian, Novalesa, Pellice e Prali (da via Frejus). Nel perimetro nasceranno quattro passaggi pedonali rialzati. Un progetto da 1,2 milioni finanziato dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, nell'ambito del programma PinQu.

 

 

 

 

 

 

 

27.02.24
  1. I pm indagano sulla catena di comando
    La procura di Pisa indaga sulle manganellate in piazza agli studenti. Le indagini per accertare eventuali reati sono state affidate ai carabinieri. Cosa è andato storto, dunque? Sia il ministro Piantedosi che il capo della Polizia Pisani hanno negato direttive politiche sui servizi di ordine pubblico. Le scelte sono fatte autonomamente dalle autorità di pubblica sicurezza locali. Nel caso di Pisa, dove 13 ragazzi - di cui ben 10 minorenni - sono finiti in ospedale, il prefetto Maria Luisa D'Alessandro ha detto che non è stata data nessuna indicazione particolare per reprimere con la forza e i manganelli le manifestazioni, mentre il questore Sebastiano Salvo «ha ammesso - secondo quanto riferito da Cgil, Cisl e Uil - un problema di gestione della piazza, dal punto di vista organizzativo e operativo, a suo avviso causato dal fatto che non erano chiari gli obiettivi del corteo». Ci sono state dunque falle nella fase di prevenzione e poi in strada, quando sono partite cariche indiscriminate. Sotto esame quindi tutta la catena di comando, dal questore al responsabile del servizio ai dirigenti in piazza.
  2. "Il diritto a manifestare va garantito La forza? Solo se c'è un pericolo reale "
    Cesare Mirabelli
    alessandro di matteo
    roma
    La Costituzione garantisce il diritto di manifestare, possono essere previsti divieti o restrizioni solo per «comprovati motivi di pubblica sicurezza o incolumità pubblica» e anche l'uso della forza in caso di violazioni della legge o delle indicazioni delle questure deve essere assolutamente «proporzionato». Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, spiega che non basta una semplice deviazione dal percorso stabilito a giustificare il ricorso alle maniere forti, a meno che i manifestanti non intraprendano azioni chiaramente violente, perché il diritto a manifestare va garantito. E il capo dello Stato, aggiunge, è intervenuto proprio in quanto «primo garante della Costituzione».
    Professore, quindi dal punto di vista della Costituzione la reazione della polizia è stata esagerata?
    «L‘azione della polizia può certamente arrivare allo scioglimento della manifestazione, se vi è un pericolo per l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica. Ma qui entra in gioco il principio di proporzionalità: la risposta deve essere adeguata rispetto alla situazione e non sfociare in un eccesso nell'uso della forza. Non a caso spesso c'è un'azione di reciproca persuasione, gli organizzatori anche sulla piazza dialogano con chi ha la responsabilità dell'ordine pubblico e chi ha responsabilità dell'ordine pubblico magari tollera alcune irregolarità per garantire lo svolgimento pacifico della manifestazione».
    Quindi non basta dire – come fanno il vice-premier Matteo Salvini e come ha fatto Fdi in una nota – che se un corteo non rispetta le regole è giusto manganellare?
    «No, certo. Si interviene per comprovate ragioni di sicurezza. Tanto che a volte si ha l'impressione che ci sia anche una reciproca e non espressa azione di tolleranza: la polizia sopporta che ci sia una piccola rottura dei cordoni dei contenimento pur di consentire lo svolgimento comunque ordinato della manifestazione. Certo, altra cosa è se nella manifestazione spuntano bastoni, o se partono sassaiole. Ma se non c'è un'azione violenta, l'essenziale è che sia garantito il diritto di manifestare».
    Questo vale anche se il corteo non era autorizzato o aveva deviato il percorso?
    «La Costituzione stabilisce chiaramente il diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi. È un principio fondamentale, fa parte delle garanzie democratiche. E per riunirsi non è necessario nessun preavviso, se si tratta semplicemente di un luogo aperto al pubblico (un luogo privato a cui si accede a determinate condizioni, per esempio un cinema o un teatro, ndr). Quando la riunione avviene in un luogo pubblico (piazze, vie, ndr) non è che deve essere autorizzata: deve essere dato preavviso all'autorità, che non può sindacare. Ci possono essere divieti – e non autorizzazioni! – solo per comprovati motivi di sicurezza o incolumità pubblica. Le forze dell'ordine devono garantire sia il diritto costituzionale di manifestare – perché potrebbero esserci contro-manifestazioni che tentano di impedire il corteo – sia la sicurezza di tutti gli altri cittadini. E normalmente si svolgono anche delle trattative, il questore può dare indicazioni sul percorso e via dicendo, proprio per garantire l'incolumità e la sicurezza che dicevamo. Ovviamente a condizioni che non siano riunioni non pacifiche o armate».
    Sulle manganellate è intervenuto addirittura Sergio Mattarella. Un fatto senza precedenti.
    «Il Capo dello Stato è il primo garante della Costituzione. Perciò è attento anche ai rischi, alle deviazioni, alle ferite che possono avvenire rispetto all'esercizio dei diritti fondamentali. In questo caso ha proprio sottolineato la funzione che la polizia deve avere: i ragazzi possono avere sbagliato, ma se vi è un eccesso nell'uso dei manganelli significa che qualcosa non ha funzionato. Non è stato colto l'obiettivo che si deve avere in questi casi. Senza mettere in stato d'accusa nessuno. È una constatazione. È fondamentale che anche chi dissente fortemente dal contenuto della manifestazione rispetti lo svolgimento di un corteo. È una forma di manifestazione collettiva del pensiero».
    L'opposizione mette sotto accusa tutta la politica di sicurezza del governo, ricorda le norme anti-rave, il ddl sicurezza… C'è il rischio di una deriva autoritaria?
    «Possiamo ritenere che l'opposizione svolge il suo ruolo, nel senso che è anche una sentinella del rispetto dei principi costituzionali. Ma non riterrei che ci si avvii verso uno stato autoritario, perché vi sono anticorpi nel sistema: le garanzie costituzionali e finanche giurisdizionali».
    Ma le garanzie costituzionali non verrebbero indebolite con la riforma del premierato? Avremmo un capo dello Stato eletto dal Parlamento e un presidente eletto dai cittadini, che peraltro controlla il Parlamento stesso…
    «Certamente ci sarebbe un indebolimento del presidente della Repubblica. Ma su questi temi il contrappeso maggiore dovrebbe essere il Parlamento, e con questa riforma il capo del governo avrebbe il potere di sciogliere le Camere sostanzialmente a suo arbitrio: l'essenziale è che non si inverta il rapporto tra governo e Parlamento, le Camere non possono diventare come dei consigli comunali. In questo senso al limite è migliore il semi-presidenzialismo francese, che ha portato in qualche caso anche ad avere un Parlamento con una maggioranza diversa da quella che ha eletto il presidente e alla coabitazione tra le due cariche istituzionali».
  3. OBIETTIVO DI ISRAELE : A Gaza si muore per mancanza di cibo. A Gaza, secondo le stime delle Nazioni Unite, una persona su quattro muore di fame, in alcune aree nove famiglie su dieci trascorrono un giorno e una notte senza cibo. Gli appelli per fare fronte a questa catastrofe umanitaria non sono di oggi né di ieri. Vanno avanti da mesi: a dicembre, un rapporto dell'Integrated Food Security Phase Classification prevedeva che entro la fine di questo mese l'intera popolazione della Striscia avrebbe dovuto affrontare livelli di crisi di insicurezza alimentare acuta, con almeno una famiglia su quattro alle prese con condizioni vicine alla carestia. È di fronte a questi numeri, che l'Unrwa, l'agenzia delle Nazioni Unite responsabile degli affari palestinesi, ha dichiarato di dover sospendere gli aiuti a nord di Gaza per il «crollo dell'ordine», formula per indicare che la disperazione della gente che ha bisogno di cibo, sta rendendo insicuri i viaggi verso il nord della Striscia. Qui i fatti della cronaca recente: un mese fa le Nazioni Unite hanno lanciato l'allarme sulle «sacche di carestia a Gaza» con una concentrazione particolarmente acuta a nord, e in due mesi le cose sono andate peggiorando, come la disperazione di chi non mangia, non sa come sfamare i propri figli e per questo assalta i (pochi) camion di passaggio con gli aiuti.
    Tamara Alrifai, direttrice delle relazioni esterne dell'Unrwa ha detto che «il comportamento disperato delle persone affamate ed esauste sta impedendo il passaggio sicuro e regolare dei nostri camion. Non sto incolpando le persone o descrivendo queste cose come atti criminali, sto dicendo che il fatto che abbiano fermato i nostri camion non rende più possibile condurre operazioni umanitarie adeguate».
    L'assedio alla Striscia di Gaza
    Dopo l'attacco di Hamas del 7 ottobre, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant aveva ordinato un assedio completo della Striscia: «Non ci sarà elettricità, né cibo né carburante. Tutto è chiuso» aveva detto. Il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir dieci giorni dopo aveva sostenuto che nessuno «dovrebbe entrare a Gaza fino a che gli ostaggi israeliani saranno nelle mani di Hamas». Il 21 ottobre Israele ha iniziato a concedere l'accesso di pochi aiuti, ma da allora tutte le organizzazioni umanitarie e alcuni degli esperti legali che osservano e studiano la situazione nella Striscia di Gaza, denunciano non solo che la situazione è ormai – come è sotto gli occhi del mondo – disperata, ma che la fame, nella guerra a Gaza, viene utilizzata come arma. Impedire l'accesso dei beni di prima necessità, in guerra, è una violazione del diritto internazionale che i funzionari israeliani rispediscono al mittente.
  4. In Burkina Faso
    Attacco a una chiesa durante la messa Almeno 15 morti

    È di almeno 15 morti e 2 feriti il bilancio di un attacco sferrato ieri da uomini armati all'interno di una chiesa cattolica a Essakane, in Burkina Faso mentre veniva celebrata una messa. Lo ha reso noto il vescovo della diocesi di Dori, monsignor Laurent Bifuré Dabire, spiegando che «il bilancio provvisorio è di 15 fedeli uccisi, dei quali 12 morti sul posto e tre nel Centro sanitario a causa delle ferite riportate». Il vice premier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, su X ha condannando l'attacco in Burkina Faso esprimendo «orrore per il vile attacco terroristico contro fedeli cattolici durante una Santa Messa. Il mio cordoglio alle famiglie delle vittime e massima solidarietà ai feriti».
  5. Cosca
    azzurra
    Dagli Anni 80 a oggi

    giuseppe legato
    La mappa è tutta nell'ultima relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia. Mette in fila mafie, città e famiglie come in un risiko di potere e lusso. Affari e misteri. Boss, mamme santissime, broker, massoni, pezzi deviati dello Stato e - da ultimo - nuove generazioni delle ‘ndrine. Tutti insieme - appassionatamente - nella striscia di mare e terra che si chiama Costa Azzurra.
    «Nizza, Mentone e Cannes» mettono nero su bianco gli investigatori di Roma. Sessantaquattro chilometri di litorale che da almeno tre decenni sono stati ospitali e distratti verso i soldi della criminalità organizzata italiana sapientemente esportata nell'indifferenza generale transalpina. L'innesco dei "calabresi", ad esempio, è Ventimiglia, insuperabile frontiera per i migranti, ma non per i picciotti delle ‘ndrine di mezza Italia che si sono spostati in quel ricchissimo fazzoletto d'Europa «visto come naturale continuità - si legge agli atti investigativi - lungo la costa del mar Ligure». È questa la «Camera di passaggio - secondo gli 007 - cioè di raccordo tra le strutture italiane e francesi».
    L'elenco di nomi prodotto dalla Dia è un brand del potere mafioso nel mondo.
    L'ultima conferma alcuni mesi fa: maggio 2023. La Dda di Reggio Calabria manda in discovery l'inchiesta "Eureka". Agli atti c'è una telefonata in cui si discute di un fidanzamento andato a monte perché la famiglia della ragazza non reputa lo spasimante all'altezza della figlia: «Se vedeva il conto in banca che ha… vedi se lo voleva. Che Vincenzo la faceva d'oro». Il rimando è a Vincenzo Giorgi, un quarantenne originario di San Luca (Rc), uomo d'affari che rimbalza come un flipper tra Mentone, Milano, Ventimiglia e San Marino. Per il Ros «le sue condizioni economiche non permetterebbero di provvedere nemmeno al proprio sostentamento» ma sarebbe coinvolto «in traffici internazionali di cocaina di portata milionaria». Un interlocutore lo rassicura: «Vedrai che sulla spiaggia troverò qualcosa di bello».
    Per i carabinieri è l'innesco che fa pensare come dalle pendici dell'Aspromonte qualcuno stia cercando un locale in cui investire denaro. Si arriva, così, alla società "Aurora", compagine di diritto francese, rilevata a luglio 2021 a cui fa riferimento il ristorante "La Voglia", 3 Avenue Felix Faure a Mentone. Pieno centro, ombrelloni color crema, "La Voglia" - oggi sotto sequestro per mano della Dda - conta sei dipendenti tra cui proprio Vincenzo Giorgi che secondo il Ros detiene una quota occulta «con il placet - si legge agli atti - degli unici due soci». Tra questi un uomo originario di Palmi (Rc) ma domiciliato ad Antibes, accusato di trasferimento fraudolento di valori, avrebbe fondato in Costa Azzurra un circolo che ha quale scopo ufficiale l'assistenza agli immigrati italiani in Francia ma, in realtà, dovrebbe essere la copertura per una loggia massonica di italiani oltralpe. E anche se penalmente non rileva, è lui stesso al telefono a definirsi «Gran Maestro dell'Ordine mondiale dei Cavalieri templari in Djibouti» e ancora «appartenente all'Ordine dei Cavalieri templari di Gerusalemme». A marzo 2022 i due soci, tra cui il massone, avrebbero «ceduto a Vincenzo Giorgi, al prezzo simbolico di un euro, ben 240 quote della "Sarl Aurora"» facendolo così diventare socio di maggioranza.
    Ma la storia degli affari delle mafie in Costa Azzurra «è lunga e referenziata» confida un investigatore di lungo corso. Basti pensare al caso dei fratelli Graviano, vertici di Cosa Nostra, che scelsero Nizza come buen ritiro per le loro mogli e i figli concepiti - mistero indecifrabile - mentre i padri erano ristretti al 41 bis. E fu un insospettabile commercialista di Palermo, Giorgio Puma, in fuga dalla paura di essere finito in un gioco più grande di lui, a raccontarlo ai magistrati Maurizio De Lucia (allora pm, oggi procuratore) e Michele Prestipino. Iniziò a parlare alle 16.45 del 22 settembre 1998, finì quattro ore dopo. Disse di essere stato avvicinato da un avvocato dei fratelli di Brancaccio che lo portò al loro cospetto: «Dottore abbiamo da investire, si informi, studi».
    Nell'estratto di inedito verbale dell'epoca Puma «ammise di aver trasferito somme di denaro per 200 milioni di euro da Palermo a Nizza e di aver lì reperito diversi alloggi ai familiari dei Graviano». Ancora: «Ho curato presso gli uffici della Prefettura di Nizza sia le pratiche per far ottenere ai familiari dei boss il permesso di soggiorno in Francia sia la stipulazione di contratti di assicurazione per i due figli dei Graviano nati a Nizza nella clinica privata del dottor Champardier nell'estate del 1997 al cui battesimo a Nizza ho presenziato in un hotel sulla promenade des Anglais». Infine: «Ho aperto per le mogli dei Graviano numerosi conti correnti in due diversi istituti di credito della città francese». Le indagini dei magistrati appurarono come, in quel contesto, il direttore della banca scrisse alla Prefettura di Nizza: «Le signore - rappresentò - hanno sufficiente denaro per poter vivere tranquillamente». E dopo pochi giorni ecco le carte di identità: Rosalia Galdi e Francesca Buttitta, mogli di Giuseppe e Filippo Graviano, 77 Avenue des frerès Roustan, Residence Port Azur, Le Golf Juan 06, Nizza.
    Lo storico delle mafie Antonio Nicaso, docente universitario di crimine organizzato in Canada, chiude il cerchio: «Il triangolo Nizza-Mentone-Cannes è da decenni - dice - un territorio che rientra nella logica dei paradisi normativi. Le mafie, ‘ndrangheta soprattutto, sono attente ai vulnus, ai luoghi dove le leggi sono meno afflittive, dove si incontra minor resistenza». Ecco la chiave della scelta. «Per anni dalla Francia gli arrestati per 416 bis (associazione di stampo mafioso) non sono stati estradati in Italia perché non c'è stata e c'è, a mio avviso, la volontà politica di affrontare il tema che viene declinato nella sua dimensione ontologica dei riti e dei miti, quando i clan calabresi vivono di relazioni che creano sul posto».
    Chiedere, per informazioni ai boss della famiglia De Stefano, ‘ndrangheta di élite mondiale. Che dal 1980 ha contato i suoi vertici nascosti in questo fazzoletto di spiaggia. Fra tutti Paolo, l'uomo nero che aveva rapporti con la destra eversiva: da Delle Chiaie a Franco Freda a Junio Valerio Borghese. Spietato, visionario come i giovani di oggi a caccia di affari e di quiete giudiziaria nella terra del jet set fino all'arresto avvenuto a villa Georgia, 15 stanze e parco a picco sul mare di Cap d'Antibes. Una linea che continua: due imprenditori sono finiti nei guai di recente; erano in contatto con le cosche della Piana di Gioia Tauro, avevano impiantato un laboratorio di cocaina in un'insospettabile azienda agricola specializzata nella coltivazione di gelsomini di riviera. Chapeau.
  6. Pasticcio in alta quota. Prezzi che lievitano come i panettoni a Natale (da 140 a 330 milioni), liti in cantiere tra italiani e francesi, ponti nuovi di zecca che crollano abbattendo quelli vecchi che avevano resistito. Tempi biblici che si allungheranno ancora. Da quattro anni due vallate, quella italiana di Limone Piemonte, sopra Cuneo, e quella francese della Roya, sono aggrappate al destino del Tenda. In attesa che le liti finiscano, i fondi arrivino e un ponte di ferro, oggi giacente in un piazzale di Pordenone (vera icona di una storia da teatro dell'assurdo), salga su un tir e venga finalmente sistemato sulle spalle in cemento che dovrebbero sostenerlo all'uscita della galleria di valico. Perché oggi il tunnel c'è ma finisce nel vuoto, come i personaggi sbadati dei cartoni animati.
    La prima idea di ammodernare il Tenda risale al 2009. Oggi compie 15 anni, l'età della prima liceo. All'epoca il ministro competente era Altero Matteoli. A lui sono seguiti Corrado Passera, Maurizio Lupi, Graziano Delrio, Danilo Toninelli, Paola De Micheli, Enrico Giovannini e Matteo Salvini. I lavori dovevano durare dal 2013 al 2020 ma nel 2024 non si vede ancora la fine.
    Il 18 dicembre scorso Nicola Prisco, il commissario straordinario dell'opera e il viceministro dei Trasporti, il ligure Edoardo Rixi, promettevano solennemente la fine dei lavori a giugno 2024: «È un impegno inderogabile». Sarebbero stati comunque anni di ritardo ma ormai il traguardo sembrava vicino. La prima galleria, quella nuova a fianco della vecchia, avrebbe dovuto essere pronta nel 2017. L'ammodernamento della seconda era previsto per il 2020. Ma esattamente una settimana prima delle promesse del 18 dicembre, il signor Olivier Torlai, prefetto dalla Paca, la regione francese delle Alpi, aveva scritto a Prisco una lettera che smentiva ogni ottimismo. Accusando gli italiani, l'Anas e la ditta costruttrice Edilmaco, di aver cambiato le carte in tavola modificando arbitrariamente i progetti. Il tono di Torlai è durissimo nei confronti degli italiani che propongono «importanti modifiche incomplete e non giustificate, metodi di realizzazione a dir poco incerti non approvati dalla commissione tecnica che rischiano di degradare le condizioni di sicurezza». Un quadretto sconfortante. Il preludio alla prossima conferenza dei servizi italo-francese, rinviata tre volte e ora fissata per mercoledì. In realtà tutti sanno che il termine di fine lavori verrà fatto slittare, se va bene, a settembre.
    Per una complicata serie di traversie storiche la strada che arriva al colle fa lo slalom con il confine: dal versante italiano scende nella valle francese della Roya e a fondo valle supera nuovamente il confine con l'Italia per arrivare a Ventimiglia. È una strada molto tortuosa e stretta. Meravigliosa per i turisti, pessima per i tir. Una strada più turistica che logistica. Tanto che nel 2017, per fortuna, si è deciso che in quella valle i grandi camion non possono passare. Ma nonostante il blocco passano al valico (o meglio passavano) un milione di veicoli all'anno. In maggior parte auto dei turisti o furgoncini per il trasporto merci locale.
    La galleria è un pertugio a 1.300 metri di quota. Era un miracolo dell'ingegneria quando venne costruita: nel 1882, con i suoi 3.182 metri era la galleria stradale più lunga del mondo. Ma... non c'erano le automobili. Da allora il pertugio è rimasto sostanzialmente lo stesso, largo il giusto per far transitare i carri. Per questo nel 2009 non era parsa peregrina l'idea di raddoppiare la galleria costruendo una canna parallela all'esistente larga 6,5 metri.
    Il primo importante stop è del 2017. La procura di Cuneo sequestra il cantiere e manda agli arresti domiciliari 5 persone, tra funzionari Anas e dirigenti della Fincosit, la società costruttrice poi estromessa per gravi inadempienze. Le indagini accertano che la società avrebbe sottratto 100 tonnellate di ferro al cantiere rivendendole sotto banco. «Abbiamo evitato un disastro», dice la procura. Ma al disastro pensa, almeno in parte, la natura. Nella notte tra il 2 e il 3 ottobre del 2020 la tempesta Alex abbatte un ponte nuovo sul versante francese facendolo precipitare sul vecchio che aveva resistito ma viene travolto lo stesso. Da quel giorno in Francia la galleria finisce nel baratro. Il problema principale non è più il raddoppio del tunnel (il solo scavo viene terminato nel luglio scorso) ma la strada per collegarlo. I due ponti crollati vengono sostituiti da uno unico in ferro. Ed è qui che si scatena l'ultima rissa. Il progetto originario prevedeva di sostenere le spalle del ponte con 12 pali da 1,2 metri di diametro. Nell'autunno scorso invece gli italiani annunciano che i pali saranno 40 del diametro di 30 centimetri. La motivazione è che la roccia è troppo dura e che gli scavi di diametro più piccolo sono più facili. Tra dicembre e oggi inizia un vero e proprio braccio di ferro (è proprio il caso di dirlo) tra i due versanti. Quello che scatena l'ira del prefetto francese. È delle ultime settimane la scelta di tornare al progetto originario con i pali più grandi. Se andrà tutto bene la strada del colle tornerà percorribile in autunno.
    Si poteva evitare tutto questo? Probabilmente si, con ditte oneste e lavori più celeri. Anche se il terreno in quella parte della montagna è pieno di falde e franoso. Si sarebbe potuto fare un tunnel molto più in basso per andare in Francia, com'è progettato da decenni con la galleria autostradale del Mercantour che arriverebbe direttamente a Nizza e in Costa Azzurra. Germana Avena, sindaca di Roccavione, pur danneggiata dal blocco dei traffici di questi anni, lo dice chiaramente: «La scelta scellerata di bucare la montagna a 1.400 metri di altezza non l'ho mai condivisa». Ma è in minoranza. Per lei è facile dirlo: Roccavione è nel fondovalle.—
  7. IL SALVINISMO D'AFFARI dalla pista di bob al ponte sullo Stretto così i predatori di futuro divorano l'Italia
    Mario Tozzi
    Sarebbe sbagliato pensare che l'imposizione di una pista di bob per Olimpiadi eventualmente prive di neve, dopo aver abbattuto centinaia di larici quasi secolari o secolari, che resterà infrequentata in futuro esattamente come quella piemontese, per uno sport che, in Italia, assomma, se va bene, una cinquantina di praticanti, sia un problema locale o determinato da errori casuali. Si tratta, a guardar bene, di un'ennesima spia di quanto stiamo disprezzando il nostro patrimonio naturale, una volta primo in Europa, e di quanto riduciamo tutto a una questione economica, cioè di soli denari che, come è noto, quando avremo abbattuto l'ultimo albero non saranno buoni nemmeno da mangiare.
    È una questione che va tenuta insieme alla distruzione della fauna selvatica, all'incapacità di foraggiare e rilanciare i parchi e la tutela dell'ambiente, all'asservimento alle grandi opere inutili come unico rilancio dello sviluppo (che manco al tempo dei romani) e, infine, all'ignoranza dell'integrazione contenuta nei nuovi articoli 9 e 41 della Carta costituzionale. Questo complesso di problematiche viene risolto con una logica solo economica che mette in pericolo i diritti delle generazioni future, per questo possiamo definirlo come negazione di un avvenire sostenibile: chi pensa che possa esistere un'economia sana senza una biosfera sana è, nei fatti, un vero e proprio predatore di futuro.
    La vicenda particolare della pista di bob di Cortina è talmente palmare che non avrebbe bisogno di ulteriori commenti: c'è una pista già costruita in territorio austriaco a un'ora di auto, c'era la pista di Cesana (costruita nel 2005 in Piemonte, non utilizzata e vero monumento allo spreco) e si potevano valutare alternative ambientali, se ci fosse stata una valutazione di impatto che non c'è stata. Colate di cemento e taglio a raso dei boschi per un impianto dal costo approssimativo di 120 milioni di euro, che non sappiamo se sarà finito per tempo e che, nel caso, non potrà essere riconvertito a nessun'altra destinazione d'uso pubblica significativa, se non per la cinquantina di praticanti nostrani di bob. Nessuna pianificazione precedente, pur di assegnarsi i Giochi olimpici, nessuna previsione sull'uso futuro, perché tanto chi vivrà vedrà. E sono davvero penose le considerazioni che parlano di un manto boschivo in incremento in Italia negli ultimi decenni, perché un conto sono le foreste di pregio o primarie, un altro i boschi ripiantati o la macchia mediterranea libera, che costituiscono la massima parte degli incrementi.
    Ma la stessa logica anima i finanziamenti che stanno piovendo anche in Appennino, in particolare in Abruzzo, dove si stanziano 200 milioni di euro a fondo perduto per nuovi impianti di risalita in un contesto che difficilmente vedrà nevicate tali da giustificarli. E, se le vedrà, non dureranno più di un paio di giorni, costringendo all'assurdo innevamento artificiale, con il poco invidiabile risultato di poter sciare solo lungo strisce strettissime in mezzo alle rocce, alle frane e ai torrenti. E le prossime Olimpiadi invernali rischiano esattamente gli stessi scenari, come stiamo osservando in tutto l'arco alpino. Incuranti della risalita dello zero termico a quote superiori a quelle delle cime più alte, sprezzanti della crisi climatica che ci sta colpendo al cuore, si continua a far finta di niente, predando il futuro dei nostri figli e nipoti cui non restituiremo mai indietro in condizioni migliori il mondo che ci hanno prestato.
    Ma è la stessa logica del ponte sullo stretto di Messina, imperdonabile stornamento di miliardi di euro pubblici che andavano semmai investiti nel risanamento antisismico delle province di Reggio Calabria e di Messina, non nello stravolgimento del paesaggio, nell'incremento del dissesto idrogeologico e nello sfregio culturale: il ponte forse reggerà ma, quando arriverà il prossimo sisma, se resterà in piedi, unirà due cimiteri. Per non dire della rete dei trasporti di Calabria e Sicilia: un'autostrada sospesa che unisce due mulattiere che non siamo nemmeno sicuri riuscirà a ospitare la linea ferroviaria ad alta velocità. La logica delle varie pedemontane, tunnel, trafori, ma anche dighe, argini, briglie e poi pennelli, moli, scogliere artificiali, tutto il complesso di opere fondamentalmente inutili e spesso dannose di cui ci vogliamo dotare, illudendoci che si tratti di sviluppo. Quando invece si tratta di incremento del dissesto idrogeologico, degli effetti delle mareggiate, della siccità, insomma di predazione di futuro bella e buona, da cui difficilmente usciremo assolti dal tribunale delle generazioni future.
    La determinazione assassina con cui si procede allo sterminio della fauna selvatica attraverso i suoi rappresentanti ecologici più importanti (e beneamati), come orsi e lupi, la mano sempre più libera lasciata a una pratica anacronistica e pericolosa come la caccia, che di sportivo non ha nulla, il pericolo che corrono decine di specie di viventi non umane, dalle api alle anguille, dagli anfibi agli alberi, non sono distanti da quella logica: un pianeta Terra impoverito di orsi e lupi non è salutare per i sapiens. Privo di insetti non è nemmeno vivibile. Più strade, più cemento, più asfalto non migliorano il nostro stato di salute, ma solo le tasche di pochissimi e negano il diritto a un ambiente migliore per chi ci seguirà.
    E pensare che avevamo salutato con soddisfazione l'integrazione degli articoli 9 e 41 della nostra Costituzione, dove si aggiungevano termini che prima non c'erano: ecosistemi, natura, diritti dei viventi non umani, diritti delle prossime generazioni. Una Costituzione che si adegua alla crisi ambientale e comprende i limiti invalicabili che dovrebbe avere lo sviluppo ultraliberista dei mercati, ponendo uno stop addirittura al tabù della libera iniziativa, se non tiene conto delle questioni ambientali. Esattamente ciò che, invece, ancora accade sistematicamente in Italia. Però, in cambio, avremo un'altra cattedrale, costruita sopra il deserto del nostro futuro.
  8. I DIRITTI AMBIENTALI: Da una parte c'è una ditta torinese, la Windtek, che vorrebbe costruire un impianto eolico su una collina che sovrasta un'area tra Piemonte e Liguria, tra l'Alta Langa e la valle Bormida, zona di confine che in passato aveva fatto i conti con l'inquinamento industriale dell'Acna e che oggi punta sul turismo sostenibile e sull'agricoltura. Dall'altra, ci sono 11 associazioni ambientaliste, tra cui Wwf e Italia Nostra, che contestano il progetto «Fattoria del vento», nome che in realtà nulla ha a che vedere con il luogo incantato che evoca.
    Con una potenza di 43,4 megawatt, infatti, l'impianto sarebbe costituito da sette pale alte ben 206 metri, ciascuna con una potenza di 6,20 megawatt, installate al di sotto dei crinali montani di tre comuni: Saliceto in provincia di Cuneo e Cengio e Cairo Montenotte nel Savonese. Nelle giornate di cielo terso e sereno, gli "aerogeneratori" sarebbero visibili addirittura dall'Alessandrino alla Liguria passando per il Cuneese.
    Quale effettivo vantaggio energetico ci sarebbe rispetto al danno inferto all'ecosistema? Quali indennizzi sarebbero previsti a favore dei 100 proprietari dei terreni dove dovrebbero essere sistemate le pale eoliche? Secondo gli ambientalisti, il cantiere necessario per la collocazione richiederebbe una durata di trenta mesi, con un incremento del traffico pesante, un invasivo sbancamento dell'area, il consumo di suolo per le opere accessorie, come una strada di accesso lunga oltre 3 chilometri. Il punto focale è proprio la sostenibilità: il progetto in essere pare in tutto e per tutto sproporzionato ai luoghi individuati per la realizzazione dell'impianto. E la documentazione presentata dall'azienda sarebbe «per nulla rassicurante». Intanto, la Provincia di Cuneo si sta facendo promotrice di un primo incontro tra sindaci (dopodomani), e poi in seguito col coinvolgimento delle associazioni e della popolazione, per far luce sul progetto scongiurare un nuovo «caso Acna» a danno della valle Bormida.
  9. PADRONI DEL MONDO : Mentre Nvidia giovedì pubblicava i suoi conti da record, sui social ha cominciato a girare un olio su tela del Guercino. Atlante che sorregge la volta celeste. La correlazione, come ci ha abituati linguaggio di Internet, è affidata a poche parole scritte sul dipinto. Sotto la titanica tensione dei muscoli di Atlante, "Nvidia". Sotto il verde smeraldo della volta celeste, "L'intera economia globale". Un meme. Nella semantica dei social, un'immagine che in modo semplice riesce a sintetizzare messaggi complessi. Un'immagine particolarmente efficace in questo caso. Perché Nvidia è l'azienda che in questi giorni sta spingendo il mercato azionario a nuovi livelli record. Il motivo è semplice. Nvidia produce schede grafiche e processori. E i suoi chip, sono gli strumenti che rendono possibile le meraviglie dell'Intelligenza artificiale.
    Se l'Ai promette di fare una rivoluzione, Nvidia produce i fucili e le baionette dei rivoluzionari. Le vendite record registrate dall'azienda nell'ultimo trimestre (221 miliardi) e la capitalizzazione record raggiunta subito dopo (2.000 miliardi, quadruplicata in un anno) hanno innescato un boom del mercato azionario spinto dai colossi tecnologici. Nuovi record sono stati segnati da Meta, Google (Alphabet), Amazon, Apple. E Microsoft, regina della nuova corsa all'oro del mercato digitale con investimenti miliardari in OpenAi, l'azienda che poco più di un anno fa ha dato il calcio di inizio alla partita delle macchine intelligenti. Tutte ‘trilion company', società che valgono più di mille miliardi.
    Oggi sette aziende tecnologiche (le citate finora, più Tesla) hanno una capitalizzazione complessiva di 14.000 miliardi. Secondo i dati del Fondo monetario internazionale, più della metà del prodotto interno lordo degli Stati Uniti (25.000 miliardi); quasi quanto quello dell'Europa (17.000); sette volte quello dell'Italia (2.100). Il loro dominio sul mercato azionario è incontrastato.
    Oggi tra le 10 aziende più capitalizzate al mondo, 9 sono aziende tecnologiche Usa. Il loro peso sull'S&P 500 (l'indice azionario più importante Usa) è tale che una loro crescita porta in rialzo tutto il valore dell'indice, mascherando turbolenze e crolli di altri titoli. E il divario continua a crescere, tra fasi di crescita impetuosa e crolli vertiginosi. Dal 2000 ad oggi se ne contano almeno quattro: Dotcom, subprime, pre e post pandemia Covid. Ma nel lungo periodo il valore di queste società è sempre cresciuto. Spinto da nuove promesse. Nuove corse all'oro. E l'Ai non ha l'aria di essere una promessa vuota. Promette oro vero.
    Gli analisti concordano che sarà una leva senza precedenti per l'economia globale, portandolo a crescere di svariate migliaia di miliardi. Pari a circa il 3%. Numeri difficili da immaginare, ma che inducono gli investitori a fare la loro puntata. Spinti anche dagli infiniti ambiti in cui l'Ai potrà essere applicata: salute, prevenzione, lavoro, analisi e gestione delle crisi climatiche. Tutto. Al momento, promesse. Pochi, a parte Nvidia, hanno cominciato a macinare sul serio utili grazie all'Ai. E anche l'impatto sulla società, sulla vita delle persone, al momento è più uno scenario possibile che qualcosa di concreto. Poco importa. I portafogli delle grandi società di investimento fanno incetta di titoli.
    In Silicon Valley si acclama già la "next big thing", la prossima grande innovazione capace di cambiare tutto, rivoluzionare paradigmi, promettere praterie fertili e mercati vergini. Allo spirito pioneristico dei tecno entusiasti di San Francisco, la prospettiva che sia in arrivo una nuova rivoluzione serve. Riaccende i motori. Gli entusiasmi. Riaccende le fantasie.
    Venerdì Jeff Bezos, fondatore di Amazon, insieme a Nvidia, Microsoft e OpenAi ha investito in una startup che lavora a robot umanoidi. Si chiama FigureAi. Fa robot dai movimenti delicati come pochi altri. Capaci di fare caffè e preparare tisane. Ha raccolto 675 milioni dai colossi del tech. La stessa industria dei chip fa gola. Sam Altman, capo di OpenAi, con Microsoft sta progettando una fabbrica di chip con la leva del fondo sovrano degli Emirati Arabi. Aziende che progettano il futuro. Create dalle intuizioni delle aziende che già dominano il presente. Capaci di raccogliere miliardi, far schizzare valutazioni, creare nuovi campioni mondiali.
    La volta celeste si ingrandisce. Sempre più carica, sempre più pesante sulle spalle di Atlante. Il titano - condannato a sorreggerla - per ora regge. L'incognita è quando comincerà ad accusare la fatica.
  10. Da 28 anni alla guida della società è il ceo più longevo della storia delle aziende tech americane: "Sono vero, autentico"
    Senza ufficio, con il giubbotto in pelle e tatuato Così Huan ha inventato Nvidia in un fast food

    Alberto Simoni
    corrispondente da Washington
    Quando il valore delle azioni di Nvidia toccò il prezzo di 100 dollari, Jen Hsun "Jensen" Huang si fece un tatuaggio. «Esperienza unica, non la ripeterò», ha confessato. L'idea era nata durante un ritiro con i dipendenti della società, le vendite di Gpu (i processori ad alta tecnologica) aumentavano, l'interesse per i chip avanzati stava trainando non solo l'industria dei videogames tridimensionali, ma anche la sanità e il comparto della difesa, l'energia, la finanza. La quotazione al Nasdaq avvenuta nel 1999 era stata un successo.
    Per celebrare il successo qualcuno si rasò il la testa, altri la barba. Sfidando un dirigente, Huang disse: quando arriviamo a quota 100 mi tatuerò il logo di Nvidia sul braccio. Non era scaramanzia, sapeva benissimo che la quota l'avrebbe toccata. Dal "torturatore" lo accompagnarono i figli, allora bambini. «Papà non piangere, sii forte», gli ripetevano, ha raccontato a Fortune nel 2017.
    E quindi non sono da aspettarsi altri "colpi di testa" da questo 61enne, nato a Taiwan, in America da quando aveva 9 anni, quando entrerà nella classifica dei venti miliardari più ricchi del mondo. Presto a giudicare dai numeri che Nvidia sfodera: capitalizzazione superiore a Google, record di aumento di valore in un giorno, 250 miliardi, più dei 197 di Meta, valore del titolo cresciuto di oltre il 400% in un anno. E a cascata anche il portafoglio di Huang si è gonfiato.
    Ora è 24esimo spinto dalle performance della sua creatura, fondata nel 1993 insieme a due amici – in tutto avevano 40 mila dollari in banca - mentre mangiavano pollo fritto da Denny's, fast food in California, a due passi da casa. Stessa catena nella quale, giovane studente di ingegneria elettrica dopo il diploma dell'High School ottenuto a 16 anni due anni prima del tempo, faceva il lavapiatti.
    La sua storia somiglia in parte a quella di altri geni e visionari che popolano e spopolano nella Silicon Valley, eppure questo signore, sposato con Lori, due figli, studi in Oregon e a Stanford e una strana e imprevista formazione in una scuola religiosa piuttosto intransigente a Oneida, Kentucky, è un essere con picchi di anomalie nel mondo dell'hi-tech.
    Non ha un ufficio, lavora spostandosi da scrivania a scrivania e nelle conference room della sede di Santa Clara; indossa giubbotti di pelle, incentiva i suoi a farlo, e la sua azienda è quella con il maggior tasso di fedeltà dei dipendenti. Amato, rispettato. Anche se narrano alcune cronache, "Jensen" Huang è spietato quanto deve eseguire un progetto. «Nessuno qui è il boss, il boss è il progetto», è uno dei suoi slogan.
    Quando Nvidia iniziò, alla Casa Bianca c'era Clinton, Madonna e Michael Jackson erano le colonne sonore dell'America e la Silicon Valley era un'ipotesi, benchè concreta. Il primo ufficio a Sunnyvale, il bagno in condivisione con un'altra azienda, il tavolo da ping-pong fungeva da mensa.
    Huang è al timone da 29 anni, nessun Ceo dell'hi-tech è così longevo, il suo segreto – ha svelato al New York Times in un'intervista del 2010 – si chiama "autenticità". Sei un Ceo – disse – non per quello che indossi, non per le auto o i soldi che hai, ma se sei vero, autentico appunto. Nel 2017 Fortune l'ha battezzato Business Person of the Year e l'ultima volta che si è raccontato a un media americano è stato candido: «Ho già detto tutto di me, riavvolgo il nastro, la mia storia è sempre identica». Come il tatuaggio. Autentico. E per sempre unico. —

 

 

 

26.02.24
  1. Peculato e truffa Vannacci finisce sotto inchiesta
    A pochi giorni dall'uscita del nuovo libro e (forse) dall'annuncio della candidatura per le Europee, brutte notizie per il generale Roberto Vannacci. Dovrà rispondere delle accuse di peculato e truffa in seguito a un'ispezione svolta dallo Stato Maggiore della Difesa e trasmesse alla Procura militare sul suo periodo da addetto militare italiano a Mosca. «Sono molto sereno e continuo per la mia strada a testa alta», fa sapere l'ufficiale, mentre per il suo legale le attività d'ufficio sono «già accuratamente ricostruibili dall'interessato oltreché del tutto regolari». Si schiera in sua difesa la Lega, che con il vicesegretario Crippa denuncia «un' inchiesta ad orologeria. Qualcuno lo colpisce per le posizioni scomode con cui si è esposto, oggi la Lega è ancora di più dalla sua parte». Secondo la ricostruzione del Corriere della Sera, fra le contestazioni un'indennità illecita per i familiari, una spesa di 9mila euro legata all'auto di servizio non autorizzata e rimborsi per l'organizzazione di eventi che non si sarebbero mai svolti.

 

25.02.24
  1. PURTROPPO NON SI GUARISCE :  Il centrocampista della Juve a un evento sulla ludopatia con i ragazzi "La prima schedina a 16 anni, ma il brivido del gol batte le scommesse"
    Il ritorno di Fagioli
    "Ero malato di gioco e isolato dal mondo"
    LODOVICO POLETTO
    TORINO
    Lo sbaglio è sottinteso. E sono le scommesse on line. Ma dirlo così è complicato. E forse sarebbe troppo per un ragazzo di 23 anni che ha vissuto ai mille all'ora la sua vita da giocatore professionista, fin da quando aveva l'età di quelli che - adesso - lo ascoltano, in questo piccolo teatro di Condove, nel torinese. Ragazzini che pendono dalle sue labbra, se parla di calcio. Che sognano il suo ritorno in campo. E magari anche di indossare la maglia che vestiva lui. Così Nicolò Fagioli, centrocampista della Juventus squalificato per sette mesi per gioco d'azzardo, ripete molte cose che già si sanno. La prima: «Ho iniziato a giocare online, e scommettere, per noia: giocavo dalle due del pomeriggio alla sera, non avevo nulla da fare. Ho cominciato in questo modo, poi è diventato una malattia vera». Che porta il nome di ludopatia. Ma prima della malattia ci sono stati i soldi buttai, i debiti accumulati, il giocare in modo ossessivo.
    Nella sua prima uscita pubblica a parlare della sua esperienza - percorso obbligato prima rimettersi la maglia bianconera - Fagioli non apre il cuore perché non è richiesto. Ed è un peccato. Ma usa il linguaggio dei ragazzi, e loro lo capiscono: «La scuola non mi piaceva» (applausi). Svela: «La prima schedina l'ho giocata a 16 anni con i miei amici, poi man mano che ho iniziato a perdere tutto è diventato più difficile». . Parla di «adrenalina». E non quella in campo, ma quella del gioco online: «È difficile rivivere quella adrenalina lì...». E quasi pensi che sia uno scivolone, ma qui nessuno lo nota. Fagioli sul palco è prima di tutto il calciatore. I telefoni immagazzinano byte di foto e video. Gli domandano se è la stessa adrenalina provata con il primo gol della vita da giocatore: «Nooo. Quella non è paragonabile a niente. E l'effetto durò una settimana». L'altra quella del gambling - l'azzardo - l'ha scoperta poi. «Oggi sto bene rispetto ad un anno fa... Fino a quando non è accaduto tutto questo casino avevo dei problemi, in famiglia e fuori».
    Ecco, i problemi. I rapporti minati. Il gioco compulsivo. Il flash arriva quando meno te lo aspetti: «In quel periodo ero molto diverso rispetto a prima. Non cagavo nessuno: non la mia famiglia, non la fidanzata. Quando ho capito ne ho parlato con il mio procuratore». Gli chiedono se aveva compreso a quali conseguenze andava incontro dice di no: «quando ha realizzato ha temuto la squalifica».
    Ma è la frase che viene dopo che racconta bene la sua fragilità: «Quando riuscivo a giocare tutte le mie paure sparivano». Click. Soldi persi. Click. Poi è l'ora delle domande sul calcio: «Credo che l'azzardo abbia influito sulla qualità del gioco in partita. Non rendevo al 100%. Vedremo come va al rientro». Gli chiedono chi è il suo idolo? «Era Del Piero quando giocava. Ora che sono dentro al mondo del calcio il mio idolo sono io». Applausi. E il ragazzo Fagioli torna sicuro di se: è già l'ora delle foto.

 

 

24.02.24
  1. Il Csm attacca la riforma Nordio "Più corruzione senza abuso d'ufficio"
    Perfida, ammantata di tecnicismi, puntuale è arrivata la bastonata del Consiglio superiore della magistratura alla riforma Nordio, in particolare sull'abrogazione del reato di abuso d'ufficio. Verissimo che il reato produce molti fascicoli e quasi nessuna condanna. Riconosce il Csm quanto sia «ridottissimo» il numero delle condanne: 18 casi in dibattimento di primo grado nel 2021 (cui aggiungere 9 condanne davanti al Gup e 35 sentenze di patteggiamento) a fronte di 4. 745 indagati. Si archivia nel 90% circa dei casi. Ma l'abrogazione – ritiene l'organo di autogoverno dei magistrati italiani – rischia di non sortire l'effetto desiderato quanto alla «cosiddetta paura della firma» e saranno tutte da valutare le possibili ricadute negative, ovvero se si «determini involontariamente un parziale depotenziamento del microsistema penale dedicato alla lotta contro la corruzione». Ricadute nella lotta alla corruzione? Proprio quello che il ministro Guardasigilli si affanna a negare.
    Ed è subito polemica. Per Fabio Rampelli, FdI, il Csm «difende l'indifendibile. Se l'archiviazione è sempre un bel traguardo per un sindaco, il dramma è come arriverà a quel traguardo. Sfinito, delegittimato e, spesso, politicamente bruciato». All'opposto, il Pd esulta: «Perfino il Csm sconfessa Nordio. Con l'abolizione dell'abuso di ufficio rimarrebbero prive di sanzione una serie di condotte prevaricatrici. Quanto ai sindaci, il rischio è che vengano contestati reati più gravi»
  2. la sentenza: illegittimo un articolo del jobs act
    Reintegro dopo il licenziamento la Consulta estende le tutele
    Francesco Grignetti
    Roma
    Tutto ha avuto inizio dal licenziamento a Firenze nel 2018 di un autista del trasporto pubblico, per presunti motivi disciplinari. La causa è andata avanti con sentenze alterne ed è arrivata fin davanti alla Corte costituzionale, che ieri ha dato una sua "picconata" al Jobs Act di renziana memoria. E questa è la decisione: si allargano le tutele per i licenziamenti nei confronti dei lavoratori assunti dopo il 2015, quelli "a tutele crescenti". Quando non sono economici, i licenziamenti potranno infatti essere annullati dal giudice, ordinando la reintegrazione del lavoratore, qualora sia riconosciuta la nullità del licenziamento medesimo. Una nullità che sarà più estesa di quanto è oggi, perché cade, per incostituzionalità, la parolina «espressamente». Era quanto riteneva la Cassazione che aveva censurato questa limitazione della "espressa nullità". Una limitazione che non era nella legge-delega e questo travalicamento da parte del governo Renzi nel 2014 non ha superato l'esame della Consulta.
    L'articolo su cui si è espressa la Consulta prevede che il giudice, con la pronuncia con cui dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio, «ovvero perché riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto». In buona sostanza, limitarsi alle "nullità espresse" era un forte limite alla tutela reintegratoria. Da ora in poi, invece, i giudici del lavoro avranno le mani un po' meno legate quando esaminano i licenziamenti. E di ciò sono particolarmente soddisfatti i sindacati. «Siamo contenti - ha commentato Ivana Veronese, segretaria confederale della Uil - che esca questa sentenza, un passo avanti nella ridefinizione e anche nel riequilibrio del Jobs Act». Soddisfatta anche la Cisl. Un po' troppo poco per la Cgil, invece, che continua a contestare complessivamente il Jobs Act
  3. Il bitcoin non ha mantenuto fede alla promessa di diventare una valuta digitale decentralizzata globale ed è ancora poco utilizzato per trasferimenti legittimi. La recente approvazione di un Etf non cambia il fatto che bitcoin non è adatto come mezzo di pagamento o come investimento”. Lo scrivono Ulrich Bindseil e Jurgen Schaaf, rispettivamente direttore generale e advisor della divisione Market Infrastructure and Payments della Banca centrale europea, inun post apparso proprio sul blog della Bce.

    Una promessa tradita, nonostante la scelta della Sec
    Gli svantaggi dei bitcoin secondo la Bce
    Un castello di carte che crollerà
    Una promessa tradita, nonostante la scelta della Sec
    I due funzionari fanno riferimento a quanto successo lo scorso 10 gennaio, quando la Securities and Exchange Commission (Sec) statunitense ha approvato i fondi negoziati in borsa (Etf) per il Bitcoin. Per i sostenitori della moneta virtuale, l’approvazione formale conferma che gli investimenti in Bitcoin sono sicuri e che il rally precedente è la prova di un trionfo inarrestabile. “Non siamo d’accordo con entrambe le affermazioni e ribadiamo che il valore equo del Bitcoin è ancora pari a zero. Per la società, un nuovo ciclo di boom-bust del Bitcoin è una prospettiva terribile. E i danni collaterali saranno enormi, compresi quelli ambientali e la ridistribuzione finale della ricchezza a spese dei meno sofisticati”, dicono Bindseil e Schaaf. Il livello dei prezzi del bitcoin non è un indicatore della sua sostenibilità, si spiega nel post in cui si sottolinea come “non esistono dati economici fondamentali, non esiste un fair value da cui si possano ricavare previsioni serie e in una bolla speculativa non esiste alcuna “prova del prezzo”. Invece il ritorno della bolla speculativa dimostra l’efficacia della lobby del bitcoin.

    Gli svantaggi dei bitcoin secondo la Bce
    “Abbiamo sostenuto che il bitcoin non ha mantenuto la sua promessa originaria di diventare una valuta digitale decentralizzata globale. Abbiamo anche dimostrato che la seconda promessa di bitcoin, ovvero quella di essere un asset finanziario il cui valore avrebbe inevitabilmente continuato a salire, era altrettanto sbagliata”, continuano i due funzionari. “Abbiamo messo in guardia sui rischi per la società e l’ambiente se la lobby del bitcoin fosse riuscita a rilanciare una bolla con l’aiuto involontario dei legislatori, che avrebbero potuto dare una benedizione percepita laddove sarebbe stato necessario un divieto. Ahimè, tutti questi rischi si sono concretizzati”.

    Oggi, ricordano Bindseil e Schaaf, le transazioni in bitcoin sono ancora scomode, lente e costose. “Al di fuori della darknet, la parte nascosta di Internet utilizzata per le attività criminali, il bitcoin è poco utilizzato per i pagamenti. Le iniziative di regolamentazione per combattere l’uso su larga scala della rete Bitcoin da parte dei criminali non hanno ancora avuto successo. Nemmeno la piena sponsorizzazione da parte del governo di El Salvador, che ha concesso lo status di moneta a corso legale e ha cercato di dare il via agli effetti di rete attraverso un regalo iniziale di 30 dollari in bitcoin gratuiti ai cittadini, è riuscita ad affermarlo come mezzo di pagamento di successo.

    Allo stesso modo, il bitcoin non è ancora adatto come investimento. Non genera alcun flusso di cassa (a differenza degli immobili) o dividendi (azioni), non può essere utilizzato in modo produttivo (materie prime) e non offre alcun beneficio sociale (gioielli d’oro) o apprezzamento soggettivo basato su capacità eccezionali (opere d’arte). Gli investitori al dettaglio con scarse conoscenze finanziarie sono attratti dalla paura di perdere il proprio denaro, che li porta a perdere potenzialmente il proprio denaro”.

    Inoltre, si legge nel blog post, “l’estrazione di bitcoin tramite il meccanismo della proof of work continua a inquinare l’ambiente alla stessa stregua di interi Paesi: l’aumento dei prezzi dei bitcoin implica un maggiore consumo di energia, poiché i minatori possono coprire costi più elevati”.

    Un castello di carte che crollerà
    In sostanza, il livello del prezzo del bitcoin non è un indicatore della sua sostenibilità”, chiosano Bindseil e Schaaf. “Non ci sono dati economici fondamentali, non c’è un valore equo da cui si possano ricavare previsioni serie. Non esiste una ‘prova del prezzo’ in una bolla speculativa. Al contrario, una riflazione della bolla speculativa dimostra l’efficacia della lobby dei bitcoin. La capitalizzazione ‘di mercato’ quantifica il danno sociale complessivo che si verificherà quando il castello di carte crollerà. È importante che le autorità siano vigili e proteggano la società dal riciclaggio di denaro, dai crimini informatici e di altro tipo, dalle perdite finanziarie per le persone meno istruite finanziariamente e dai danni ambientali di vasta portata. Questo lavoro non è ancora stato fatto”.
  4. Il cantiere
    dei caporali
    filippo fiorini
    firenze

    Il cantiere adesso è silenzioso. Attorno, Firenze vive, ma in quel rettangolo di 17 mila metri quadrati, ora possono entrare solo gli inquirenti. Doveva diventare il decimo supermercato Esselunga in città e non è detto che questo accada mai, perché per 100 ore quell'opera è stata la tomba di cinque uomini che lavoravano alla sua costruzione, sepolti nel crollo del terzo piano. Da quando mercoledì l'ultimo di loro è stato estratto dalle macerie, l'area è classificata come scena del crimine. Omicidio colposo plurimo e crollo colposo, secondo la procura.
    Una colpa che tutte le molte parti coinvolte ora si gettano addosso reciprocamente, parlando di un difetto di fabbrica nella trave che ha ceduto, oppure, di un errato montaggio da parte degli operai, o ancora di un vizio di progettazione. Poi, a margine, resta viva l'aggravante del lavoro nero. E non solo quella: «Volevano solo sfamare le loro famiglie. E in quel cantiere, mi hanno raccontato, c'era anche il caporalato» racconta ora Izzedin Elzir, imam di Firenze.
    I parenti di tre delle cinque vittime hanno ingaggiato un avvocato. Si tratta delle mogli di El Farhane, Haidar e Bouzekri. Sono i tre marocchini, travolti il 16 febbraio, insieme al tunisino Mohamed Toukabri e l'italiano Luigi Coclite. Le donne sono in Marocco con i figli. Le tutela Alessandro Taddia, titolare di un'infortunistica con sede a San Marino. Dice: «I colleghi delle vittime hanno riferito che la trave aveva crepe visibili a occhio nudo». Parla della trave che ha ceduto alle 8,52, mentre Coclite governava la gettata di cemento con la manica della betoniera e gli altri quattro stavano sul solaio che poi è collassato. Nell'immediatezza dell'accaduto, residenti del quartiere che preferiscono l'anonimato, hanno riferito un'impressione analoga: «La trave sembrava umida», come se non fosse conclusa la necessaria asciugatura.
    Taddia precisa che «per ora queste sono solo voci». E ha inviato i propri periti ad affiancare quelli della magistratura. Sono stati presi dei campioni e si aspetta il risultato delle analisi. Intanto la Rdb di Teramo, produttore del pezzo incriminato, ha rivendicato un lavoro a regola d'arte e rispedito le insinuazioni al mittente: «La colata di cemento è incominciata prima che la trave fosse fissata alla colonna», hanno detto mentre la polizia perquisiva gli uffici e sequestrava pc, cellulari e prefabbricati pronti per essere spediti a Firenze. Per loro, il perno che unisce trave e colonna non era avvitato, oppure, il dente che sorregge la trave ha ceduto.
    Questo scenario viene contraddetto da un'altra delle decine di aziende coinvolte nella criticata catena di subappalti. Dalla Mina srl di Fidenza, che ha mandato le gru a Rifredi per muovere i prefabbricati, ieri, hanno detto: «La trave che ha ceduto era già stata ancorata prima di Natale e le successive sono state montate a gennaio». Proprio a gennaio, in cantiere c'era stata l'Asl. Non aveva trovato irregolarità. Mentre il procuratore fiorentino Filippo Spiezia da quando ha aperto le indagini dice di aver visto «molte criticità».
    Una di queste è certamente il lavoro nero. L'imam di Firenze, Izzedin Elzir, ha confermato che nei giorni immediatamente successivi alla tragedia, tre operai nordafricani, regolari in Italiano, dipendenti di una ditta fiorentina e dislocati in quello stesso cantiere, lo hanno avvicinato per «chiedere se fosse corretto dal punto di vista religioso che i loro datori di lavoro pretendessero la restituzione in contanti di parte dello stipendio». Sette euro da ridare, su 12 l'ora in busta paga, ogni mese, per un anno. «Mi hanno detto che se non fossero arrivati i nuovi operai, sotto al piano crollato ci sarebbero stati loro», ha raccontato il religioso che non ricorda il nome della ditta che li impiegava.
    I «nuovi operai» sono quelli che sono morti. Con le autopsie iniziate ieri, l'avvocato Taddia ha fiducia nel dissequestro dei resti e nel poter far arrivare le salme nelle rispettive patrie entro domani. «Molti parlano di lavoro nero (due delle vittime sarebbero state senza permesso di soggiorno, ndr), ma questo non cambia la nostra legittima richiesta di risarcimento per le famiglie – spiega il legale – che sarà rivolta contro il committente principale».
    Si tratta de La Villata spa, immobiliare partecipata al 100% da Esselunga e presieduta dall'ex ministro Angelino Alfano. Oltre al risarcimento, ai parenti preme la celebrazione delle esequie. Lo ha detto subito Sarhan Toukabri, fratello di Mohammed, l'unico tunisino. Lo conferma l'imam Elzir e racconta: «Quei ragazzi mettevano da parte i soldi per tornare a casa durante il ramadan». Invece, oggi alla moschea di Firenze si invocano le loro anime nel tradizionale rito funebre musulmano. Poi, nonostante le speranze, è più probabile che arrivi prima l'iscrizione di un nome nel registro degli indagati, ancora contro ignoti, che il dissequestro di resti tuttora non identificati, per la gravità delle ferite che li hanno uccisi.

 

 

 

23.02.24
  1. PUTIN = HITLER :   Dietro la morte di Alexey Navalny si allunga minacciosa l'ombra del Cremlino. Ma a quasi una settimana dal decesso, il regime non ha ancora permesso ai familiari di vedere la salma e fornisce notizie contraddittorie, mentre l'esatta causa della morte del rivale numero uno di Putin continua a essere un doloroso mistero. Le ipotesi si moltiplicano. In un'intervista al Times, il fondatore del gruppo per i diritti umani Gulagu.net, Vladimir Osechkin, sostiene che Alexey Navalny potrebbe essere stato ucciso con una terribile tecnica omicida che una volta veniva insegnata alle forze speciali del Kgb: quella del "pugno secco" al cuore. Citando una sua fonte nel carcere in cui è morto l'oppositore, l'attivista afferma infatti che i lividi sul corpo sarebbero compatibili con questa eventualità. «Penso che prima abbiano piegato il suo corpo tenendolo a lungo al gelo e rallentando la circolazione sanguigna al minimo», ha detto Osechkin, secondo cui Navalny era costretto a trascorrere ogni giorno più di due ore e mezza al gelo, in un'area di isolamento all'aperto mentre il termometro segnava temperature glaciali, fino a 27 gradi sottozero: condizioni estreme alle quali gli altri detenuti del "Lupo Polare", il carcere nell'Artico in cui Navalny era rinchiuso ingiustamente, non erano mai tenuti per più di un'ora. «Poi - sostiene - diventa molto facile uccidere qualcuno, in pochi secondi, se l'agente ha una certa esperienza».
    Di lividi sul corpo si era però parlato anche nei giorni scorsi. Un operatore sanitario ha infatti raccontato a Novaya Gazeta di ematomi che potrebbero essere stati provocati dai tentativi di trattenerlo mentre stava avendo delle convulsioni, e in particolare di un livido sul petto di Navalny compatibile col massaggio cardiaco che gli sarebbe stato praticato per tentare di rianimarlo. Christo Grozev, noto giornalista investigativo di Bellingcat, ha spiegato al giornale Meduza che le convulsioni potrebbero essere «tipici sintomi» di un avvelenamento con alte dosi di organofosfati: agenti nervini proibiti dalla Convenzione sulle armi chimiche dell'Onu. Bellingcat ha indagato a lungo sull'avvelenamento subito da Navalny quattro anni fa. E lunedì la moglie dell'oppositore, Yulia Navalnaya, ha ipotizzato che suo marito sia morto dopo essere stato di nuovo intossicato col Novichok: il micidiale agente nervino che fu trovato sul corpo di Navalny nel 2020, quando il trascinatore delle proteste anti-Putin fu curato a Berlino e riuscì a salvarsi dopo un avvelenamento che fece a lungo temere per la sua vita e dietro il quale si sospetta un'operazione dei servizi segreti di Mosca. Yulia Navalnaya accusa il Cremlino di nascondere il corpo del marito proprio per questo: per aspettare che spariscano le tracce del Novichok. Ma non ci sono conferme all'ipotesi della vedova di Navalny. Difficile avere certezze senza un'analisi medico-scientifica indipendente, e Mosca continua ad ignorare il toccante ma deciso appello lanciato ieri da Lyudmila Navalnaya affinché le sia restituito il corpo di suo figlio per «dargli una dignitosa sepoltura». La madre di Navalny ha sporto denuncia sperando di avere giustizia, ma il caso sarà esaminato dal tribunale di Salekhard solo a partire dal 4 marzo, cioè oltre due settimane dopo il decesso.
    Il regime di Putin è largamente ritenuto responsabile della morte di Navalny. L'oppositore era dietro le sbarre da tre anni per accuse inventate di sana pianta per colpirlo e denunciava continui soprusi, cure inadeguate e lunghi periodi di punizione in un'angusta cella di rigore con i pretesti più assurdi (come quello di un bottone slacciato). In questi giorni hanno apertamente puntato il dito contro Putin anche Vladimir Kara-Murza e Ilya Yashin, due esponenti di spicco dell'opposizione russa, entrambi in carcere per aver condannato la crudele aggressione militare contro l'Ucraina. «Vladimir Putin è personalmente responsabile della morte di Alexei Navalny. Perché Alexey era suo prigioniero personale», ha accusato Kara-Murza. Yashin ha detto di non avere dubbi sulle responsabilità del Cremlino, ma ha anche sottolineato di temere per la propria stessa vita. «Sono dietro le sbarre - ha detto - la mia vita è nelle mani di Putin, ed è in pericolo. Ma manterrò la mia linea»
  2. Gianluca Savoini
    "Biden come Putin, lui perseguita Assange Con Mosca bisogna riallacciare i rapporti"
    I leader
    Le relazioni

    L'inchiesta Metropol
    L'intesa con Russia Unita
    FRANCESCO MOSCATELLI
    MILANO
    «Basta che Matteo Salvini dica una cosa ragionevole - cioè di aspettare le indagini per capire se Navalny è morto di infarto, di gelo, oppure torturato - che subito viene messo in croce. Perché questa strumentalizzazione? Perché basta che il signor Biden, il capo del mondo, decida che è stato Putin a farlo uccidere, e tutti devono omologarsi. Però lui poi vuole fare la stessa cosa con Julian Assange». Gianluca Savoini, già giornalista de La Padania ed ex portavoce del segretario leghista, sta sempre dalla stessa parte. Ovvero con la Russia. Anche se assicura che l'ultima volta che ha incontrato Vladimir Putin è stata in occasione della visita in Italia del presidente russo nel luglio del 2019. Il suo nome è legato al «caso Metropol»: fu accusato di aver partecipato a una compravendita di petrolio in un hotel di Mosca al fine di girare alla Lega una plusvalenza da 60 milioni. Dopo quattro anni di indagini, però, la procura di Milano ha chiesto per tutti l'archiviazione. E così lui oggi gira l'Italia per presentare il suo libro Da Pontida al Metropol-La lunga guerra dei poteri forti internazionali contro la Lega edito dalla Signs Books di Marco Carucci (in passato dirigente di Forza Nuova e compagno di liceo di Salvini). «Ormai tutti sono ossessionati in maniera psicopatologica dalla Russia - insiste Savoini -. Viviamo in questa cappa dove Russia significa il crimine, l'inferno, il male assoluto. E poi se qualcuno ha a che fare con la Russia diventa un mostro. Guardate cos'è successo a Marine Le Pen per aver chiesto un prestito, poi restituito, a una banca della Repubblica Ceca con partecipazioni di banche russe».
    Savoini, lei parla di mostrificazione della Russia. Ma come definirebbe la morte in carcere pochi giorni fa dell'oppositore Aleksej Navalny?
    «Quello che è successo a Navalny è quello che succede da tempo ad Assange. Non è che io voglia fare dei paragoni tristissimi, però quello che vale per uno vale anche per l'altro. Perché nessuno ha speso una parola per Gonzalo Lira, il giornalista americano morto nelle carceri ucraine? Usare due pesi e due misure mi fa schifo».
    La Lega ha aderito alla manifestazione in memoria di Navalny, ma il capogruppo Massimiliano Romeo è stato contestato proprio per quei legami con Mosca che lei ha rappresentato. Se lo aspettava?
    «Chiunque non segue i dettami del pensiero unico sulla politica internazionale viene attaccato a prescindere. La Lega può aver fatto bene ad andare. È morta una persona. E quando muore una persona non si può scherzare. Però bisognerebbe anche evitare di strumentalizzare questa morte. Comunque la Lega fa parte del governo, e per evitare problemi al governo, è normale che sia andata in piazza. Però un conto sono un governo e un sistema politico schierati, un'altra il Paese reale che ha opinioni anche diverse».
    È a questo "Paese reale"che si riferiva Putin quando ha detto alla studentessa «L'Italia ci è sempre stata vicina»?
    «Sì, ma Putin parlava anche alla politica. A tutti i politici italiani - da Letta a Prodi, da Conte a Salvini - che hanno avuto un ruolo di governo fino al 2019. Tutti lo invitavano a Roma e andavano a Mosca a definire accordi commerciali per le nostre imprese, trattandolo come si tratta un partner importante».
    Presentazioni del libro a parte, cosa fa oggi?
    «Mi occupo della comunicazione per alcune aziende private. Non faccio politica».
    Che tipo di aziende?
    «Aziende di settori normalissimi, dalle costruzioni ad altro, aziende italiane».
    Imprese che lavorano o lavoravano con la Russia?
    «No, nessuno adesso può lavorare con la Russia. Ci sono le sanzioni. La Russia con il mio lavoro di oggi non ha nulla a che fare».
    Dice che non fa più politica. Ha ancora rapporti con Salvini?
    «Sono nella Lega dal 1992 e ci resto, sento Salvini e i rapporti sono buoni con tutti. Però, visto che negli ultimi periodi mi occupavo dei rapporti internazionali, soprattutto di quelli con la Russia, a fronte di quello che è successo prima con l'inchiesta giudiziaria finita in nulla, poi con il Covid e alla fine con questa guerra, adesso faccio altre cose. Non c'è alcuna possibilità di avere relazioni politiche oggi. Fra non molto, appena la guerra sarà finita, vedremo. Io credo che con la Russia si dovrà fare i conti. Eccome»
    L'inchiesta Metropol è finita in nulla anche perché c'è stata poca collaborazione da parte delle autorità russe…
    «Non è vero. I magistrati ci sono andati due volte e hanno fatto due rogatorie. A differenza di alcuni giornalisti che mi hanno condannato ancora prima di sapere che cosa stava succedendo, la magistratura ha fatto il suo dovere. Ha dimostrato che non c'era alcun reato. Io sono stato distrutto per colpire la Lega di Salvini che nel 2019 era al 34%».
    È tornato in Russia ultimamente?
    «Certo, in Russia ci vado tranquillamente dato che mia moglie è russa e ho anche il visto matrimoniale. Gli amici che avevo da trent'anni per me rimangono amici. A differenza di molti italiani che fanno i Badoglio, e quando va tutto male saltano dall'altra parte, in Russia se sei una persona corretta e seria non ti voltano le spalle».
    Lei ha curato l'accordo del 2017 fra la Lega e Russia Unita, il partito di Putin. Accordo che si sarebbe dovuto rinnovare automaticamente nel 2022. È ancora valido? Carlo Calenda chiede a Salvini di mostrare le prove della disdetta…
    «Si trattava di un memorandum di collaborazione, nell'ambito di istituzioni come ad esempio il Consiglio d'Europa e l'Ocse al quale erano ammessi anche parlamentari russi. Dialogavamo su temi come la lotta all'immigrazione, la difesa delle identità e anche la lotta alle sanzioni, perché per noi della Lega rovinavano le aziende italiane senza portare alcun beneficio politico. È stato impossibile riconfermare il memorandum perché a un certo punto i deputati russi sono stati espulsi da questi organismi».—
  3. MADE IN ROMANIA: I pendolari dell'elemosina andavano e venivano sui furgoni con gli animali L'organizzazione scoperta dalla polizia locale, venti persone denunciate
    Racket dei clochard accompagnati dai cani I boss sono in Romania
    gianni giacomino
    Avevano trovato il modo di tirare su un discreto giro di affari chiedendo l'elemosina in compagnia di cani, accucciati vicino ai loro giacigli in centro città. Ma gli agenti del reparto di polizia giudiziaria della Locale sono riusciti a scoprire e smantellare un'organizzazione di «pendolari dell'elemosina», denunciando in tutto 20 persone tutte di origine romena. Il business era gestito da cinque soggetti, due dei quali denunciati per il reato di organizzazione di accattonaggio in concorso. Tutti dovranno poi rispondere di contraffazione di passaporti e libretti sanitari di cani, maltrattamento di animali, fino al porto d'armi senza giustificato motivo. Ogni due settimane un piccolo bus trasportava cani e mendicanti da Torino a Piscolt, un paesino ai confini con l'Ungheria a più di 1300 chilometri di distanza da qui. In pratica c'erano «due squadre» di mendicanti che si davano il cambio e sostituivano anche i cani. Questo per non dare nell'occhio e dribblare i controlli ed eventuali sospetti delle autorità italiane. Perché tutto era stato studiato nei minimi dettagli.
    Anche i cani, tutti meticci di piccola e media taglia presi in affitto da un allevamento con sede sempre a Piscolt erano forniti di passaporti e libretti sanitari contraffatti, tutti firmati dallo stesso veterinario. Un giro d'affari che attraverso il raccolto delle elemosine rendeva tra i 600 e gli 800 euro a settimana per ogni mendicante. Gli investigatori hanno calcolato che, chi chiedeva l'elemosina con il cane, doveva pagare ai cinque organizzatori 1600 euro a viaggio per raggiungere Torino o per ritornare a Piscolt.
    A scoprire tutto il giro sono state una serie di indagini, coordinate dalla pm Patrizia Caputo, partite a dicembre del 2022 quando gli agenti della locale hanno denunciato due persone per contraffazione di passaporti e libretti sanitari di cani utilizzati per chiedere l'elemosina. Gli stessi investigatori erano poi intervenuti lo scorso anno per un maltrattamento di animali da parte di un uomo che chiedeva la carità lungo via Roma nei pressi di piazza Carlo Felice. In quell'occasione, gli agenti della polizia locale, già impegnati nel servizio di monitoraggio quotidiano del centro città, erano intervenuti sequestrando il cane e denunciando l'uomo. Impiegando diverse settimane gli investigatori hanno monitorato tutto il mondo dell'accattonaggio intorno a via Roma, piazza Cln, via Po e piazza Carlo Felice. Hanno pedinato tutte le persone che chiedevano la questua utilizzando gli animali domestici con lo scopo di impietosire i passanti. Ne hanno studiato i movimenti, imparato le abitudini e ricostruito le modalità con le quali si alternavano a chiedere l'elemosina. La certezze che, dietro a tutto, ci fosse un'organizzazione di romeni che gestiva i proventi dell'elemosina è arrivata quando sono spuntati numerosi libretti sanitari contraffatti degli animali. E così gli agenti hanno ricostruito i viaggi e i guadagni del racket.
    «La nostra lotta contro il racket dei clochard è iniziata oltre un anno fa - spiega Pierlucio Firrao, vice capogruppo Torino Bellissima - Abbiamo denunciato questo sfruttamento infame alla polizia municipale, abbiamo raccolto video, foto e testimonianze e collaborato con residenti e commercianti per fare luce su un sistema che lucrava sulle spalle di persone e animali. Le azioni messe in atto oggi sono un'ottima notizia, siamo molto orgogliosi perchè è una battaglia a cui tenevamo davvero molto». —
  4. A Rochemolles la Smat sospende le operazioni di manutenzione Il fondo dell'invaso è troppo melmoso, il fango ha ostruito gli scarichi
    Lo svuotamento della diga rinviato al prossimo inverno "Intanto si pensi ai pesci"
    Su La Stampa
    francesco falcone
    Almeno per quest'anno lo svuotamento della diga di Rochemolles è rimandato. Non per consentire il salvataggio dei pesci che popolano il lago artificiale nato quasi un secolo fa a fini idroelettrici a monte dell'abitato di Bardonecchia, come invocato qualche settimana fa da alcuni sindaci e da associazioni ambientaliste della Val Susa allarmati dalla possibile moria della fauna ittica, bensì per colpa del fango.
    Lo svaso della diga non avveniva da oltre 50 anni, ed era partito nel mese di gennaio. Con l'obiettivo di consentire ai tecnici di Enel Green Power una serie di lavori sugli scarichi dell'impianto, normalmente posti alcune decine di metri sotto il livello dell'acqua, e dunque accessibili solo dopo il completo svuotamento dell'invaso artificiale. Ma proprio durante questa procedura il fango depositatosi nei decenni sul fondo dello specchio d'acqua ha cominciato a muoversi verso valle, ostruendo man mano le griglie di scolo.
    Dopo giorni di tentativi di salvataggio delle operazioni pianificate in accordo col ministero delle Infrastrutture, l'azienda elettrica ha annunciato di aver modificato i propri piani. Ovvero, che lo svuotamento del bacino per gli interventi di manutenzione straordinaria previsti tra febbraio e fine aprile sul fondo del lago artificiale è per ora sospeso.
    L'imprevisto deflusso di una gran quantità di sedimenti sul fondale - fango e detriti andati ad otturare gli scarichi della diga - ha bloccato le lavorazioni: «I tentativi per disostruire la griglia non hanno dato esito positivo. L'intervento di svaso completo, propedeutico alla manutenzione degli scarichi, verrà dunque ripianificato non prima della stagione invernale 2024-2025» spiega Enel Green Power nel comunicare il rinvio dello svuotamento al prossimo anno.
    «Ora la saracinesca è stata chiusa e il lago comincerà a rinvasarsi, tornando ai livelli abituali con lo scioglimento delle nevi» chiarisce Enel, che fin da inizio intervento aveva sottolineato l'importanza di agire in tempi stretti per ripristinare il prima possibile il livello del lago di Rochemolles: perché sull'acqua del bacino fa affidamento, a fini idro-potabili, l'intera Val di Susa, che con il deflusso del lago di Rochemolles alimenta l'acquedotto di Valle collegato alle reti idriche di tutti i Comuni.
    Il prossimo tentativo di svaso della diga avverrà nuovamente in inverno: «Anche se le attività a quelle quote sono più complicate, la scelta del periodo è dettata dall'esigenza di operare quando c'è minor afflusso di acqua» spiegano i tecnici. La tecnica di svuotamento sarà, invece, ripensata: «Il nuovo svaso avverrà con modalità alternative per garantire un accesso sicuro agli scarichi» conferma Enel. Sindaci e associazioni di pescatori che avevano lamentato l'assenza di un piano di recupero della fauna ittica prima dell'avvio lavori si augurano che, nel frattempo, vengano studiate anche valide soluzioni per portare al sicuro i pesci che da sempre vivono nel lago di Rochemolles
  5. CATTIVERIA UMANA DEMONIACA: rogo doloso nel maneggio di rivalta
    Marybelle, la cavalla amica dei bambini è morta nell'incendio
    «Siamo ancora tutti sotto shock. Se una persona, che non sappiamo ancora chi sia e che vorremmo incontrare per ringraziare col cuore in mano, non se ne fosse accorta passando lungo la strada, i danni sarebbero stati ancora più gravi. Vigili del fuoco e carabinieri sono stati degli angeli». Davide Cofanelli, istruttore ippico del centro Nuova Cerrina di Rivalta, parla con il groppo in gola dopo l'incendio di martedì sera tardi che ha distrutto un capanno e ucciso Marybelle, cavalla di 22 anni amica dei bambini. Era lei a venire cavalcata dai più piccoli durante le lezioni di equitazione organizzate dal centro. Qualcuno si è introdotto nel maneggio, con il favore del buio e ha dato fuoco ad un cumulo di paglia in un angolo del terreno. Un dispetto, forse, più che un atto vandalico fine a sé stesso. Sta di fatto che le fiamme si sono propagate al capanno dove c'era Marybelle, morta intossicata e per le ustioni. Una tragedia per chi vive il mondo ippico e più in generale per tutti gli amanti degli animali.
    L'allarme, intorno alle 23, è stato lanciato da un passante, o forse un automobilista che viaggiava lungo la provinciale che collega Rivalta con Bruino. Provvidenziale, perché il conseguente rapido arrivo dei vigili del fuoco ha permesso il contenimento delle fiamme, già estese. Il fuoco poteva distruggere tutto: «Purtroppo non abbiamo telecamere perché qui non arriva internet – spiega Davide Cofanelli -, abbiamo provato in passato con collegamenti mobili, ma invano. Adesso aspettiamo le perizie e le indagini per capire il perché di questo gesto. E soprattutto chi sia l'autore». Pochi dubbi sul fatto che il rogo sia doloso: quando i pompieri sono arrivati la situazione non era compatibile con un'autocombustione.
    I carabinieri hanno raccolto le prime testimonianze e nelle prossime settimane si cercherà di capire se e chi poteva avercela con il maneggio: «Maybelle era con noi da tanto tempo – conclude l'istruttore -, è come se fosse morto un pezzo del nostro cuore e della nostra anima».
  6. 0 INTERVENTI O VOTI : In montagna è già allarme siccità Coldiretti: "Manca il 45% della neve"
    andrea bucci
    alessandro previati
    Le previsioni meteo dei prossimi giorni promettono pioggia e neve ma qualche precipitazione non contribuirà al recupero del deficit accumulato in questi primi due mesi dell'anno.
    Lo sa bene Coldiretti Torino che ieri è tornata a lanciare l'allarme sulla montagna torinese dove manca il 45% del volume di neve normalmente presente a febbraio: «Una situazione sempre più drammatica che minaccia seriamente l'annata agraria ormai alle porte». In alcune vallate, ad esempio, l'innevamento è praticamente assente fino a 2000-2100 metri. «A fine febbraio dovremmo avere una riserva consistente su tutte le aree montane con una copertura nevosa media di circa 40 centimetri oltre i 1200 metri - sottolinea il presidente di Coldiretti Torino, Bruno Mecca Cici - abbiamo invece mezze valli spoglie e una presenza di neve limitata a pochi centimetri solo a quote elevate e nei soli versanti all'ombra». La situazione d'emergenza è già piuttosto chiara nei torrenti che rischiano di non avere una portata adeguata nella stagione estiva, quando sarà più alta la richiesta di irrigazione da parte dei consorzi agricoli. «Tutta la pianura agraria che va dal pinerolese, al Canavese, passando per l'area Ovest e il ciriacese, da sempre viene irrigata grazie ai canali che derivano acqua da Chisone, Pellice, Sangone, Dora Riparia, Stura di Lanzo, Orco - spiega Mecca Cici - colture come il mais e gli alimenti per allevamenti da latte e carne, dipendono dall'acqua delle montagne che oggi, viste dalla pianura, appaiono spoglie e secche».
    Coldiretti torna a chiedere atti concreti alla Regione e alla Città Metropolitana di Torino: lo aveva già fatto negli anni scorsi ma, a quanto pare, senza successo. «Sono tre anni che chiediamo misure strutturali per affrontare questa crisi idrica - dice Mecca Cici - servono (adesso) infrastrutture locali per rendere l'agricoltura delle nostre campagne resiliente a un clima che alterna lunghi periodi di siccità ad eventi calamitosi con bombe d'acqua e grandinate. Solo una politica irresponsabile può ignorare questa emergenza. Non ha senso appellarsi agli accordi globali se poi la Regione non fa nulla a casa nostra. Già con l'emergenza idrica del 2022 abbiamo chiesto che partissero progetti urgenti: invece non sono state stanziate risorse e non è nemmeno stato avviato un tavolo di pianificazione. Insomma, non è stato fatto nulla». L'associazione degli agricoltori rilancia anche il tema della pianificazione per distribuire sul territorio piccoli specchi d'acqua in grado di raccogliere l'acqua in eccesso dei temporali per poi metterla a disposizione in caso di siccità. «Inoltre, chiediamo che la Regione utilizzi la leva del rinnovo delle concessioni idroelettriche per concordare con i gestori dei bacini montani un uso plurimo delle acque perché la stagione delle concessioni ad uso esclusivo idroelettrico non è più tollerabile». Un po' quello che è successo l'anno scorso con Iren che, proprio con Coldiretti, ha stipulato un accordo per l'uso dell'acqua della diga di Ceresole.

 

22.02.24
  1. SALVINI ALLA RESA DEI CONTI:   Galeotto fu un albergo, nel cuore di Mosca. Ha un nome da spy story, una location perfetta per James Bond, Metropol. In Italia l'abbiamo conosciuto grazie all'inchiesta giornalistica dell'Espresso, che nel 2018 ha raccontato dell'incontro tra un politico leghista e un gruppo di broker russi nella lussuosa hall dell'hotel. Si parlava di affari, tra un caffè . Un caso chiuso per i magistrati di Milano, che avevano aperto un'indagine ipotizzando la corruzione internazionale. Nulla di rilevante dal punto di vista penale, ha stabilito il Gip, accogliendo la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura. Il caso politico, però, rimane un dossier aperto. Ed è un filo ancora oggi visibile tra il mondo della Lega e la sfera della politica russa. Tutto nel nome dl tradizionalismo, dell'ultranazionalismo, dei dogma antidemocratici alla base dell'estrema destra, divenuta da tempo un network internazionale.
    A riproporre oggi quel legame è il protagonista del caso Metropol, Gianluca Savoini, l'uomo di collegamento tra Matteo Salvini e la corte di Vladimir Putin. Alla fine del 2023 ha pubblicato una sorta di libro di memorie politiche, "Da Pontida al Metropol". Sottotitolo "La lunga guerra dei poteri forti internazionali contro la Lega". I legami con la Russia? Mai rinnegati, anzi, riaffermati con forza e convinzione. Con qualche piccola novità, passata inosservata: l'antico legame con Mosca ha un nome ben preciso, quello di Aleksandr Dugin, il politologo russo guru del pensiero tradizionalista, con tinte che spesso sfiorano le ideologie nazional socialiste e neofasciste, traduttore dei libri di Julius Evola e René Guenon. Non è un personaggio qualunque, è probabilmente uno dei link più importanti tra il mondo dell'estrema destra mondiale - dall'Europa all'America Latina - e il milieu culturale cresciuto attorno agli oligarchi di peso, come Konstantin Malofeev. I rapporti di Savoini con questo mondo probabilmente risalgono all'epoca della sua frequentazione della rivista della destra radicale italiana Orion, sulle cui pagine negli anni '90 uscivano i primi articoli sul nazionalismo oltranzista russo. In quegli stessi numeri era possibile leggere anche i saggi dedicati al negazionismo della Shoah e all'esaltazione del regime iraniano. Una officina di un pensiero a tinte scure, da dove sono poi emersi gli esponenti della destra identitaria legata oggi a doppio filo con la Russia. Come Maurizio Murelli, fondatore di Orion e oggi editore italiano di Aleksandr Dugin.
    Per Gianluca Savoini la pubblicazione del libro è stata l'occasione d'oro per riprendere a tessere antichi rapporti politici. Sempre guardano all'estrema destra. Nei mesi scorsi fa si è fatto fotografare insieme a Rainaldo Graziani, figlio del fondatore di Ordine nuovo Clemente, punto di riferimento di Dugin in Italia da almeno cinque anni. Rainaldo Graziani - che in un'altra foto posa con in mano un calendario russo, con foto osé di donne ed armi pesanti - all'inizio di febbraio è stato uno dei protagonisti di uno spettacolo dedicato alla figlia di Dugin Daria, uccisa in un attentato a Mosca un anno fa, all'interno dell'ambasciata russa a Roma. Il legame stretto di Savoini con il mondo neofascista è poi suggellato dall'editore del libro dedicato al caso Metropol, il milanese Marco Carucci. Amico da decenni di Matteo Salvini - sono stati compagni di classe al liceo - Carucci è stato fino a qualche anno fa dirigente nazionale di Forza Nuova ed oggi è attivo nell'editoria dell'area della destra radicale: «Conosco Gianluca da almeno 25 anni - racconta a La Stampa - in tanti anni di battaglie politiche ci si è spesso trovati sullo stesso fronte intellettuale di riflessione e elaborazione culturale. Poi ciascuno di noi ha provato a far germogliare idee consonanti nel rispettivo gruppo politico». Savoini nella Lega, l'editore Carucci in Forza Nuova.
    Il libro che rivendica i rapporti tra la Lega e la Russia sta facendo il giro del nord Italia in questi mesi, con presentazioni che diventano occasioni d'oro per rafforzare la rete dei rapporti all'interno dell'area della destra italiana, con la presenza ingombrante di Mosca. Non solo la Lega, ma anche Fratelli d'Italia. Una delle ultime presentazioni è stata organizzata ad Alessandria, nella sede dell'associazione culturale Libera Mente, con la moderazione di Fabrizio Priano, responsabile della Scuola di formazione politica regionale in Piemonte del partito della premier Giorgia Meloni. E sul canale Telegram "Italia unita" (riferimento del partito Russia unita) il libro di Savoini viene presentato come una lettura consigliata. L'assist principale è però arrivato dal Tg1 che a fine dicembre ha dedicato al saggio un servizio sui libri politici consigliati: «Da Pontida al Metropol ha fatto chiarezza sui rapporti tra Lega e Russia» era il commento della giornalista Rai.
  2. OMICIDIO DI STATO ANCHE IN BELORUSSIA: L'oppositore stava scontando una pena di tre anni per un articolo pubblicato nel 2022
    Bielorussia, morto in cella il reporter Lednik era accusato di aver diffamato Lukashenko
    Giovanni Pigni
    San Pietroburgo
    Il giornalista e oppositore bielorusso Igor Lednik è morto ieri in prigionia mentre scontava una condanna per diffamazione ai danni del presidente Aleksandr Lukashenko. Lo ha riferito il servizio stampa del partito socialdemocratico bielorusso "Gramada", di cui Lednik era un ex membro. Lednik, 64 anni, era stato arrestato nell'aprile del 2022 e condannato a tre anni di carcere per aver «diffamato» Lukashenko in un articolo pubblicato oltre un anno prima, nel dicembre 2020. Come sostiene il suo avvocato, le condizioni di salute di Lednik, che già soffriva di problemi cardiaci, erano peggiorate notevolmente in prigione, rendendo necessaria un'operazione al tratto gastrointestinale. L'attivista è infine morto in un ospedale distrettuale di Minsk dove era stato trasferito dalla colonia penale n. 2 di Bobruisk. La causa ufficiale del decesso è stata un arresto cardiaco. Lednik sarebbe stato vittima di maltrattamenti da parte del personale del carcere, ha raccontato al giornale locale Novy Chas l'ex prigioniero politico Aleksey Golovkin, che era imprigionato insieme all'attivista. Come riferisce Golovkin, a Ledkin non veniva concesso l'accesso alle docce, né gli veniva permesso di fare acquisti nel negozio della prigione. «Mi diceva che molto probabilmente sarebbe morto in prigione», ha raccontato Golovkin.
    Oppositore di lunga data del regime autoritario di Minsk, Lednik sosteneva pubblicamente l'abolizione dello Stato dell'Unione, il progetto di progressiva integrazione tra Bielorussia e Russia portato avanti dai governi di Lukashenko e di Vladimir Putin. Nell'articolo per il quale era stato incriminato, intitolato "La neutralità internazionalmente riconosciuta della Bielorussia: garanzie di sicurezza nella zona Osce», Lednik accusava Lukashenko di aver instaurato una dittatura e condotto il Paese sempre più nell'orbita di Mosca, destabilizzando la sicurezza dell'Europa. Come fa notare il giornalista bielorusso Dmitry Gurnevich, nel suo articolo, Lednik aveva previsto l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia di Putin con la partecipazione del regime di Lukashenko. Secondo Lednik, Lukashenko è responsabile di aver violato il memorandum di Budapest del 1994, che prevedeva garanzie di sicurezza per l'Ucraina, la Bielorussia e il Kazakistan in cambio della rinuncia di questi Paesi ai propri armamenti nucleari. L'articolo, ha decretato la corte, conterrebbe «informazioni deliberatamente false» che infangano «l'onore e la dignità di Lukashenko». Nel luglio del 2022, la pagina Facebook di Lednik era stata dichiarata «materiale estremista» da una corte bielorussa. Svetlana Tikanovskaya, ex-candidata presidenziale e leader dell'opposizione bielorussa in esilio, si è detta «devastata» per la morte di Lednik, che ha ricordato come «un instancabile combattente per la libertà». «Questa morte è un tragico simbolo della brutalità del regime di Lukashenko», ha scritto Tikanovskaya sul suo account X. «Deve essere ritenuto responsabile di ogni morte, di ogni eroe perduto», ha proseguito.
    Lednik è il quinto prigioniero politico a morire in carcere in Bielorussia, ha fatto notare il centro per i diritti umani Vyasna. Tra gli altri figurano l'attivista Vitold Ashurok e il blogger Nikolay Klimovich, entrambi critici di Lukashenko. Secondo il centro, 1423 prigionieri politici sono attualmente confinati nelle carceri bielorusse.
  3. TERRORISMO DI STATO RUSSO : «Mi rivolgo a lei, Vladimir Putin. La soluzione di questa questione dipende soltanto da lei. Mi lasci vedere finalmente mio figlio». In un video denso di dolore e dignità, la madre di Alexey Navalny, Lyudmila, ha chiesto al dittatore russo che le sia restituito il corpo di suo figlio. La sua voce è ferma, la sua sofferenza ben visibile dietro gli occhiali scuri. «Pretendo che il corpo di Alexey sia consegnato immediatamente, in modo che possa dargli una dignitosa sepoltura», afferma la donna, sottolineando col suo tono che non è una supplica la sua, ma la richiesta che le sia garantito un legittimo diritto.
    Lyudmila Navalnaya è vestita a lutto, il nero dei suoi abiti contrasta con il bianco della neve tutt'attorno, che continua a fioccare mentre lei parla. Alle sue spalle c'è l'IK-3, il remoto carcere nell'Artico soprannominato "Lupo Polare", quello in cui il rivale numero uno del Cremlino, Alexey Navalny, era rinchiuso ingiustamente. E dove è morto, venerdì secondo le autorità, in circostanze poco chiare dietro le quali si staglia prepotente l'ombra del regime di Putin. Da allora, nonostante siano ormai passati diversi giorni, i familiari non hanno potuto vedere la salma. Secondo i collaboratori di Navalny, un investigatore avrebbe detto che c'è bisogno di almeno due settimane per effettuare dei «test chimici» sul corpo e che la salma - che non è neanche chiaro dove sia - non può essere quindi consegnata prima. Dubbi e sospetti ovviamente si moltiplicano. Navalny continuava a sfidare Putin anche dietro le sbarre, a criticare l'invasione dell'Ucraina e a seguire la politica internazionale (secondo il New York Times avrebbe confidato a un amico che l'agenda elettorale di Trump gli pareva «davvero spaventosa»).
    Gli oppositori ora accusano il Cremlino di averlo fatto assassinare e di voler «occultare le prove». Yulia Navalnaya, la moglie del dissidente, ha puntato il dito direttamente contro Putin sostenendo che il Cremlino stia nascondendo il corpo di suo marito perché aspetta che spariscano le tracce di un micidiale agente nervino: il Novichok. Non ci sono conferme alle parole di Yulia Navalnaya, ma il Novichok non viene nominato a caso: si tratta della tossina che quattro anni fa fu trovata sul corpo di Navalny dopo un avvelenamento che fece a lungo temere per la sua vita e per il quale si sospettano i servizi segreti di Putin.
    Il Cremlino nega ogni responsabilità. E respinge anche la richiesta di un'indagine internazionale avanzata dal capo della diplomazia Ue, Josep Borrell. «Naturalmente, queste sono accuse assolutamente infondate e rozze contro il capo dello Stato», afferma il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, sostenendo che il presidente russo non avrebbe neanche visto il filmato in cui Yulia Navalnaya ha promesso di continuare il lavoro di suo marito. Un video che pare segnare l'inizio di un coinvolgimento sempre più attivo di Navalnaya in politica, con un'opposizione continuamente presa di mira dalla dittatura e i cui esponenti sono praticamente quasi tutti in esilio o ingiustamente dietro le sbarre. La vedova del principale oppositore di Putin ha risposto a tono al Cremlino: «Non mi importa nulla di come l'addetto stampa di un assassino commenta le mie parole», ha dichiarato su X. «Restituite il corpo di Alexey e lasciate sia sepolto con dignità, non impedite alla gente di salutarlo», ha poi affermato aggiungendo la sua voce a quella della madre dell'oppositore. Poco dopo, il suo nuovo account - che in due giorni ha raccolto ben 200.000 follower - veniva misteriosamente bloccato dalla piattaforma di Elon Musk, che però lo riapriva dopo circa un'ora parlando di un errore del suo «meccanismo di difesa» contro «la manipolazione e lo spam».
    Yulia Navalnaya, per quanto possibile, in questi anni ha cercato di stare lontana dai riflettori. La morte del marito pare aver decisamente cambiato le cose. «Un presidente che ha ucciso il suo principale avversario politico non può essere legittimo per definizione», ha dichiarato invitando l'Ue a non riconoscere le presidenziali in programma in Russia tra meno di un mese. Il regime intanto ha di nuovo preso di mira Oleg Navalny: il fratello di Alexey Navalny in passato ha trascorso tre anni e mezzo dietro le sbarre per motivi considerati di chiara matrice politica, e ieri Mosca lo ha di nuovo inserito nella sua lista dei ricercati per non si capisce bene quale presunto «reato». Contemporaneamente - scrive il giornale Meduza - la dittatura ha promosso alcuni alti funzionari del Sistema penitenziario russo, compreso il vice comandante Valery Boyarinev, con un decreto sfornato appena tre giorni dopo la morte di Alexey Navalny.
  4. PUTIN MANDANTE DI STATO : Nessuno è più sicuro, in Russia come all'estero, nella fase finale assassina e ultra stalinista del putinismo. Figurarsi la «regina della dissidenza russa», come molti chiamano adesso Yulia Navalnaya, la coraggiosa moglie di Alexey, una donna che il Cremlino non può piegare, né controllare. Ecco come vivere quando si è un target del regime. Da anni, e peggio che mai adesso.
    Come Stalin faceva ammazzare anche all'estero i suoi nemici (Lev Trozky a Città del Messico fu solo il più famoso, tra l'altro colpito a picconate un 20 agosto, stesso giorno in cui tanti anni dopo, nel 2020, venne avvelenato per la prima volta Alexey Navalny), così sotto la dittatura di Putin sono stati colpiti all'estero, variamente avvelenati o presi a pistolettate, nemici di Putin da Alexander Livtinenko (a Londra, polonio) a Sergey Skripal (a Salisbury, Regno Unito, novichok), fino all'ultimo «traditore», Maxim Kuzminov, il giovane pilota russo che dirottò e consegnò all'Ucraina un elicottero militare russo Mi-8 (trovato morto due giorni fa a Villajoyosa, Alicante, colpi di pistola). Sotto Putin, si muore non solo nelle prigioni russe al Circolo polare artico, si muore anche assassinati in piena Europa (con i Paesi europei distratti dinanzi al dilagare degli agenti russi). Ora però succederà come non mai.
    Per questo, la routine di Yulia Navalnaya non sarà mai più – ma non lo è da anni – quella di una donna al sicuro. E lei lo sa benissimo, «se avessi avuto paura non sarei la moglie di Alexey». Ora però è evidente che le cose sono cambiate. Un Putin senza freni, senza più nessuna parvenza di volontà dialogante con il mondo "libero", può ordinare di ammazzare in primis i due grandi dissidenti rimasti in carcere, come spiega Christo Grozev a Meduza: «Le mie fonti mi hanno già avvertito che potrebbe esserci un'ondata di repressioni e omicidi, che Putin ha "piani speciali" per i leader dell'opposizione russa. Se questo è vero, gli imprigionati ILYA Yashin e VLADIMIR Kara-Murza saranno particolarmente vulnerabili». «Credo - ha detto Evgenia Kara-Murza, moglie del dissidente Vladimir, condannato a 25 anni con accuse ridicole - che la vita di mio marito sia in pericolo, così come quella di molti altri prigionieri politici nelle carceri russe». Kara-Murza è scomparso da settimane dalla colonia penale IK-6 a Omsk, in Siberia.
    Certamente rischia tantissimo anche lei, Yulia, bersaglio mobile in un raggio di fuoco che ormai comprende tutta l'Europa. Nulla trattiene ormai Putin. Come Stalin - e a differenza invece della fase brezneviana in cui l'Unione sovietica comunque si ritraeva dall'assassinare i grandi dissidenti (da Solzhenitsyn a Sakharov e Sharansky).
    Cosa fa Yulia Navalnaya per andare avanti, e proteggersi? La sua scelta ostinata è stata quest'anno quella di esserci il più possibile in Russia, dov'era rinchiuso Alexey. Primo accorgimento: quando il Cremlino ha fatto etichettare l'Fbk, la Fondazione di Navalny, come «organizzazione estremista», e gli associati di Navalny sono stati costretti a sciogliere i loro uffici sul campo – il quartier generale è da tempo tra Vilnius e la Germania – Navalnaya ha mantenuto un formale non coinvolgimento nel Fbk, e meticolosamente tiene separato il suo ruolo dal lavoro della Fondazione. Primo punto del suo piano di emergenza, che le ha consentito, quest'anno, di andare a far visita al marito in carcere fin quando è possibile (li chiamava su Instagram «i nostri appuntamenti»), di andare alle udienze in tribunale mentre il Cremlino continuava a inventare accuse e procedimenti farlocchi. A differenza del marito, però, Navalnaya si trova al momento fuori dalla Russia, come ha spiegato Tatiana Stanovaya, senior fellow al Carnegie Russia Eurasia Center. «Per il regime russo, questa è una pessima notizia». Non diremo ovviamente dove.
    Yulia si sposta molto. Con estrema riservatezza. Ha due figli in Paesi che, si spera, possano proteggerli sia a livello di intelligence che di forze di polizia, perché i luoghi sono noti, Dasha è tornata a studiare a Stanford, Zakhar è rimasto in collegio in Germania. «Yulia ha dimostrato grande coraggio perché è chiaro che sarà il prossimo bersaglio del Cremlino», ha dichiarato Lyubov Sobol (che vive in esilio, in Germania).
    La moglie di Navalny continua la sua sfida di libertà (ieri ha detto «non mi interessa come commenta le mie parole l'addetto stampa dell'assassino. Restituite il corpo di Alexey e lasciatelo sepolto con dignità, non impedite alla gente di salutarlo»). Putin però continua – anzi espande - la sua sfida, questo è il problema, per una donna comunque sola: perché è una fantasia che servizi occidentali la proteggano. Come sa chiunque conosca qualcuno del team Navalny e li abbia visti girare soli e indifesi, in qualche capitale europea. Il Cremlino ha a lungo cercato di distruggerla calunniandola, dandole della protetta dalla Cia, inventando storie sentimentali extramatrimoniali con oligarchi "filo occidentali", costruendo un inesistente padre agente del Kgb, o spargendo in giro che Yulia ha la cittadinanza tedesca. Altra balla.
    Lei però non è donna che puoi piegare con la disinformazia. E la partita sarà guardarsi dagli sgherri di Mosca. Quelli che lui encomia solennemente. Tre giorni dopo l'assassinio di Alexey Navalny nella colonia penale "Polar wolf", Putin ha conferito il grado di colonnello generale al primo vicedirettore del servizio penitenziario federale Valery Boyarinev.
  5. Eroe per l'Occidente, traditore per i russi Maksim il pilota e la legge dei tiranni
    Domenico Quirico
    In fondo lo scivolare dei tempi e delle Storie non conta. A guardar bene è tutto scritto, parola per parola, nell'atto quarto del Macbeth shakesperiano. Il figlio, curioso di gravi faccende, chiede alla madre: che cosa è un traditore? E lady Macduff risponde: «Uno che giura e mente». Definizione folgorante, plutarchiana. Non a caso il drammaturgo in cerca di trame saccheggiava appunto Plutarco. E aggiunge: chiunque fa così deve essere impiccato. Tutti, proprio tutti? chiede il petulante ma saggio rampollo. «Tutti, nessuno escluso! E a impiccarli devono esser gli uomini onesti»liquida la madre che non vuole armeggi e sfumature.
    C'è altro da aggiungere? Il piccolo milord sa tutto quello che deve sapere per orizzontarsi in tempi di ferro. Tranne il fatto che lui e la madre e i fratelli e la stirpe tutta verranno sterminati dai sicari di Macbeth il tiranno, per punire il marito e padre che è fuggito, ha disertato disinvoltamente, senza curarsi dei parenti. I killer, a loro che invocano pietà professandosi innocenti, risponderanno sogghignando: «Siete complici di un traditore».
    Maksim Kuzminov, disertore dell'esercito putiniano (ma portandosi dietro un elicottero ricco, pare, di interessanti segreti militari), liquidato in terra di Spagna prima di perfezionare il tradimento con memorie o autobiografie, non conosceva probabilmente l'istruttivo copione dei Macduff. Ma certamente non gli era ignoto quello di più recenti e reali traditori del suo Paese. Finale sempre tragico indipendentemente dal fatto che l'abbiano scritto i killer bolscevichi o putiniani. Il generale Andrej Vlasov e la sua armata collaborazionista di centomila uomini, per esempio, che si battè (con impegno) a fianco dei tedeschi contro l'armata rossa. Centomila erano e centomila furono le ragioni del "tradimento": salvare la pelle uscendo dai campi di prigionia senza ritorno dei nazisti, la possibilità una volta tornati sul fronte russo con un fucile in mano di disertare di nuovo e unirsi ai compagni d'armi; perfino la scelta ideologica, etica forse per qualcuno, dopo aver vissuto le delizie del socialismo staliniano e i suoi crimini, di lottare per abbatterlo a costo di dover spartire pane e munizioni con il nemico, e che nemico. Non immaginavano, gli ingenui, che per loro ormai non c'era la via del ritorno perché il Padre dei popoli non aveva l'abitudine di perdonare il figliol prodigo. Per lui erano traditori perfino coloro che, combattendo eroicamente, erano stati catturati dai tedeschi a causa dei suoi errori. L'unico modo per non tradire, dunque, era morire sul posto!
    Certo non supponevano che a consegnarli alla punizione sarebbero stati, finita la guerra, gli americani. Era scritto sugli ukaze di Yalta! A iniziare da Vlasov, ex eroe nelle file bolsceviche della guerra civile, furono impiccati. Rari fortunati furono giustiziati più lentamente nei gulag.
    Disertare, tradire in guerra è faccenda complessa perché il giudizio morale, non quello semplice dei tribunali militari, dipende dai punti di vista. E non solo negli eserciti dei tiranni. Scivola tra le dita la storia di altri disertori celebri, gli irlandesi del battaglione di "San Patricio''. Li avevano arruolati nell'esercito americano che scalava, e in che modo spiccio, nel 1846 il primo gradino del suo Destino Manifesto. Sarà anche un impero riluttante come dice qualcuno ma il primo gradino della sua espansione è molto "imperialista'', una aggressione prepotente di un vicino, di stampo preputiniano. La frontiera con il Messico all'epoca, si fermava al Missouri e non sul Rio Grande. Dall'altra parte terre immense, quelle che oggi sono il nuovo messico, l'Arizona, il Texas: messicani, comanchi... e coloni americani che bisogna difendere dalle vessazioni. Una guerra condotta con i buoni vecchi metodi, massacri terra bruciata terrore. Alcuni irlandesi che in America erano sbarcati cercando libertà e giustizia (erano una colonia britannica, un serbatoio di carne da cannone) passarono nell'esercito messicano al grido gaelico "Erin Go Bragh'' Irlanda per sempre e la bandiera con l'arpa. Si batterono come leoni, questi disertori, a Buena Vista e a Churubuscu. Traditori? Per gli yankee nessun dubbio, e dei più perfidi, tanto che furono annientati. E se invece… In Messico e in Irlanda sono ancora oggi eroi.
    Lady Macduff peccava di incompletezza: Kuzminov per gli ucraini era un eroe, per i russi e non solo per Putin, un vigliacco furbo che ha trovato il modo per evitare di fare il suo dovere. L'ambiguità del tradire è nel fatto stesso che è sempre precauzione opportuna, passando al nemico, portar con sè qualcosa in dono: un elicottero, per esempio, informazioni, segreti. Perché anche nell'altra trincea, dove ti consegni con le mani in alto, ti disprezzano e i comandi temono l'imitazione.
    La prima guerra mondiale fu una guerra di disertori, su tutti i fronti e sotto tutte le bandiere. In particolare l'emorragia colpì il composito e multinazionale esercito austro-ungarico. Fedeltà liquide, opache. Poco prima dei giorni fatali di Caporetto due ufficiali cechi, stufi di rischiar la vita per prolungare quella della Prigione dei popoli, si presentarono alle linee italiane. Portavano come lasciapassare i piani e gli orari dell' attacco studiato dai nibelungici alemanni in trasferta sul fronte Sud. Nessuno prestò loro attenzione, il proficuo, per noi, tradimento finì nelle scartoffie gettate nei fossi durante la ritirata verso il Piave. Gli schizzinosi strateghi del Comando supremo non volevano sporcarsi le mani con questa plebaglia di renitenti.
    Il traditore in divisa è personaggio irrisolto, condannato a un girone infernale tra Bene, evitare di essere ammazzato, non essere complice del massacro, e Male, rinnegare coloro che sono suoi fratelli di sofferenza. Caracolla senza fine nello spazio, ampio, che c'è tra i vigliacchi e gli eroi. Gli manca il comodo velo che avvolge il traditore politico, anche quello armato di pugnale. Bruto tradisce e uccide ma può diventare eroe gridando: lo faccio eliminare un tiranno. Forse il pilota russo sarà uno dei primi martiri della terza rivoluzione, quella che abbatterà Putin. Ma i suoi compagni in uniforme rimasti a rantolare nella neve di Avdiivka possono pensare la stessa cosa? —
  6. UNA CLASSE POLITICA CHE DANNEGGIA LA VITA DEI SUOI ELETTORI: Elena Cattaneo
    Staminali, una rivoluzione sofferta la scienza ha aggirato i divieti ipocriti
    Le rivoluzioni, in campo scientifico, a volte non necessitano di molto spazio. Nel 1998, un articolo di appena 1400 parole del biologo statunitense James Thomson, pubblicato sulla rivista "Science", ha rivoluzionato la ricerca nel campo delle scienze della vita. Nel suo paper, Thomson descriveva come avesse isolato, per la prima volta, dalla blastocisti umana (primo stadio dell'embrione) 40-50 cellule staminali embrionali contenute al suo interno, riuscendo a propagarle in laboratorio e ottenerne centinaia di milioni. Le embrionali sono cellule potenzialmente in grado di "trasformarsi" (il termine tecnico è "differenziare") in tutti i 250 tipi di cellule che compongono i tessuti dell'organismo e, sempre potenzialmente, di sostituire o riparare quelle danneggiate da malattie. La portata rivoluzionaria della scoperta fu subito chiara, ad esempio, ai neuroscienziati dell'Università di Lund Anders Björklund e Olle Lindvall, pionieri del trapianto cellulare per il trattamento della malattia di Parkinson. Per loro la scoperta di Thomson significò la possibilità di produrre, e quindi avere a disposizione per i test, cellule staminali embrionali umane da "istruire" per diventare quegli stessi identici neuroni dopaminergici persi nel Parkinson.
    Anche nel mio laboratorio all'Università Statale di Milano quell'articolo di Science ebbe un effetto dirompente. Noi studiamo l'Huntington, altra difficile malattia neurodegenerativa che comporta la perdita di neuroni del cervello. Nell'esplorare ogni strategia scientifica e razionale possibile, quella delle staminali embrionali da cui ottenere i neuroni desiderati ci apparve subito una strada irrinunciabile. Ma in Italia il lavoro di Thomson scatenò un acceso confronto su quale fosse lo status biologico dell'embrione e su cosa dovesse intendersi per "ricerca etica". Quel dibattito ebbe come esito una legge proibizionista (la n. 40 del 2004) in cui, tra i tanti divieti "in materia di procreazione medicalmente assistita", fu introdotto anche quello di ottenere quelle preziose linee cellulari staminali dalle blastocisti sovrannumerarie destinate ad un "congelamento distruttivo" . Per i ricercatori che trasgrediscano, è previsto il carcere.
    Un divieto imposto per ragioni ideologiche, con l'ipocrisia però di permettere, per legge, agli studiosi di importare dall'estero quelle stesse cellule: "liberi tutti" di fare ricerca con le staminali derivate dagli embrioni, purché siano altri, oltre confine, a ottenerle. Il mio laboratorio fu il primo in Italia ad importarle, dopo aver ottenuto tutti i pareri etici favorevoli. Basterebbe riflettere sull'ipocrisia di questo paradosso vissuto dai ricercatori italiani per dare il polso dell'inconsistenza scientifica e giuridica di quel divieto.
    Spesso – si pensi anche alla sperimentazione animale, al miglioramento genetico delle piante o alla carne coltivata – nel nostro Paese vengono confusi insieme due piani che, invece, dovrebbero rimanere ben distinti: il primo è la descrizione della realtà che ci viene restituita dalla ricerca scientifica, il secondo è l'enunciazione di convincimenti etici ed ideologici legittimi, su cui si può concordare o dissentire.
    Quel che all'epoca mi colpì, e non cessa di rammaricarmi, fu che, nel corso del dibattito sui referendum mirati all'abrogazione dei divieti presenti nella legge 40, alcuni studiosi furono pronti a giustificare con una patina di scientificità quella decisione ideologica, definendo inutili a priori le ricerche ipotizzabili su quelle cellule che avevamo appena cominciato a conoscere. Come se non cozzasse contro ogni logica scientifica dichiarare inutile ciò che ancora deve essere studiato, provato, capito.
    Sono passati esattamente vent'anni da quando quella legge è stata promulgata/entrata in vigore e, in contrasto con le affermazioni insensate di allora, oggi le staminali embrionali umane sono in sperimentazione clinica per il Parkinson, per il diabete, per la degenerazione della macula dell'occhio. Studi (irrinunciabili) sul modello animale di Parkinson, condotti nel 2011 e nel 2014, hanno dimostrato che quelle cellule, istruite a diventare neuroni dopaminergici e trapiantate, sono in grado di sopravvivere, differenziarsi e rilasciare dopamina producendo un marcato recupero del comportamento nell'animale.
    È grazie a queste conoscenze che in Svezia, Usa, Corea del Sud e in Giappone (usando, in questo caso, neuroni da cellule riprogrammate) si è arrivati ad avviare quattro sperimentazioni sull'uomo per il trattamento della malattia. Ne conosceremo gli esiti tra qualche anno, ma la strada è tracciata. Eppure, in Italia, il divieto di derivare staminali da embrioni sovrannumerari resiste, mentre la maggior parte degli altri divieti, dannosi alla salute delle donne, sono stati cancellati, uno dopo l'altro, dalla Corte costituzionale, soprattutto grazie all'impegno diretto di tante coppie assistite dall'Associazione Luca Coscioni.
    Non è mia intenzione discutere il convincimento di chi ritiene non etico l'utilizzo di embrioni sovrannumerari per la ricerca, bensì ribadire che proibirlo per legge era scientificamente insensato già due decenni fa, poiché liquidava come inutile ogni possibile studio in quel campo, ma lo è ancora di più oggi, alla luce della conoscenza accumulata.
    Credo sia compito della comunità scientifica riportare il tema all'attenzione del legislatore, presentando tutte le evidenze scientifiche necessarie a spiegare che queste ricerche e il superamento di quel divieto sono essenziali al perseguimento di scopi "costituzionalmente rilevanti", come la tutela della salute, diritto fondamentale dell'individuo e interesse primario della collettività.
    Interesse che oggi si traduce prioritariamente nel fare di tutto per curare malattie neurodegenerative come Parkinson, Huntington e molte altre. Difficile immaginare una finalità più urgente, nobile, preziosa e in accordo con la dignità della persona umana.
  7. La pianura Padana soffoca nello smog basta attaccare l'Ue per le politiche green
    Mario Tozzi

    Certo non avevamo bisogno di misurazioni (che qualcuno ritiene estemporanee) di organismi stranieri per sapere che la pianura Padana è il luogo non puntuale con il maggiore inquinamento atmosferico d'Europa: lo avevamo già notato durante la pandemia e lo sappiamo ogni mese dalle rilevazioni di Arpa Lombardia, ma anche Veneto e Emilia Romagna. In realtà tutti i dati di tutte le fonti dipingono lo stesso quadro negativo: i giorni sopra il limite permessi in un anno sono 35 e già ora siamo attorno ai 20 in molte località. E la situazione si ripete da anni. Si parla di inquinanti particolarmente insidiosi e potenzialmente mortiferi, le particelle sottili o micropolveri (in particolare le PM 2,5) corresponsabili di migliaia di morti «in eccesso» per malattie respiratorie conseguenti a inquinamento atmosferico.
    È vero che viviamo in un'epoca in cui le condizioni ambientali in Europa migliorano rispetto al passato e in cui si fanno grandi sforzi, ma è evidente che non sono sufficienti e questa è una responsabilità in capo non solo ai decisori politici, ma anche agli operatori della comunicazione, che regalano troppi spazi a chi minimizza o nega i problemi ambientali, indicando negli ecologisti il nuovo nemico. La minaccia alla salute dei sapiens e agli ecosistemi non viene da chi la mette in luce, ma da chi agisce solo per il profitto o da chi nasconde la testa sotto la sabbia.
    Da cosa dipendono i valori negativi dell'aria padana è presto detto, sgombrando subito il campo dagli ennesimi mercanti di dubbi: generazione di energia per attività industriali e produttive, allevamenti intensivi, traffico veicolare, riscaldamenti domestici più o meno nell'ordine, sebbene i dati di Greenpeace sostengano che oltre il 50% sia da assommare ai soli riscaldamenti e allevamenti. Questo punto necessita di un ragionamento ulteriore: una quantità di particolato viene emessa direttamente in loco, ma una buona parte è costituita dal cosiddetto particolato secondario, che si genera in atmosfera a seguito di reazioni chimiche e fisiche. Dove il tempo è stabile, come in questo scorcio di inverno in pianura Padana, i gas si modificano, e anche l'ammoniaca prodotta in agricoltura la ritroviamo dopo settimane nel particolato sotto forma di nitrati. Ecco perché gli allevamenti intensivi c'entrano eccome.
    Senza dubbio vanno considerate concause naturali coincidenti e contingenti: polveri desertiche in transito o accidenti particolari, ma sono fenomeni sempre tenuti nel conto e certo non danno alcuna possibilità di essere ottimisti. Peraltro una quantità notevole di polveri sahariane se ne va in giro per l'atmosfera terrestre a rendere più fertile il Sudamerica, foreste comprese, o a sporcare le nostre auto quando piove. E poi ci sono le condizioni geomorfologiche che, in certi contesti meteorologici di alte pressioni persistenti, impediscono l'evacuazione del carico solido atmosferico, ma anche questo è noto da tempo, almeno da quando qualcuno propose addirittura di spianare il passo del Turchino per liberare la pianura Padana dalla nebbia.
    La situazione è critica e la crisi climatica l'aggrava: non è davvero il caso di prendersela con l'Europa per le nuove direttive verdi, tra cui una che indica di dimezzare alcuni inquinanti da qui al 2030, perché quella è senz'altro la strada. Se ci piace essere ipocriti, e sperare nel caso o in una tecnologia salvifica sconosciuta al momento, non raccontiamoci almeno che tutto va bene e che, comunque, non siamo a Pechino o a New Dehli. —
  8. PRIMA DI DECIDERE ASCOLTARE TUTTI: In carcere da otto anni, condannato in via definitiva all'ergastolo, Rocco Schirripa, affiliato alla ‘ndrangheta calabrese paga la partecipazione al delitto del procuratore capo Bruno Caccia ucciso da un commando delle cosche calabresi la sera del 26 giugno 1983 mentre passeggiava sotto casa in via Sommacampagna. Non si sa con quale ruolo, perché il dato non è emerso nei tre gradi di giudizio che si sono fin qui celebrati. Certamente – per i giudici - ha dato un contributo decisivo all'esecuzione dell'unico magistrato ucciso dalle ‘ndrine nella loro centenaria storia di sangue e crimini al netto dell'assassinio del giudice Antonino Scopelliti avvenuto in Calabria.
    Ha scritto dal carcere due lettere. Una a La Stampa e una alla famiglia del procuratore, cioè ai figli e alle figlie. Nega addebiti su quell'omicidio, ma chiede di incontrare le persone a cui – sentenze alla mano – ha tolto (insieme al boss Domenico Belfiore e ad altri, troppi, ignoti) un affetto insostituibile con un omicidio efferato.
    «Aspiro – scrive Schirripa – ad avere un confronto con uno di voi -. Finora me lo avete sempre negato e d'altronde non mi sento di darvi torto. Voi, giustamente fate fede alla condanna. Lo so che le sentenze vanno rispettate e io sono il primo a farlo. Ma non posso rispettare una sentenza costruita a tavolino: la verità – scrive Schirripa, nella vita panettiere ma anche affiliato di rango al locale (struttura di base delle ‘ndrine) di Moncalieri – non è quella che vi hanno fatto credere». La famiglia del procuratore interpellata da La Stampa risponde con un freddo "no comment". Schirripa non ammette responsabilità consapevoli sul delitto. E forse sta in questo il comprensibile e legittimo diniego dei figli del procuratore che da anni si battono per ottenere verità piena su quanto accaduto. Una richiesta rimasta largamente inevasa. Ai magistrati di Milano – a cui ha chiesto di parlare ormai un anno e mezzo fa – Schirripa ha spiegato di aver fornito un'automobile a Vincenzo Pavia, criminale pentito, cognato della famiglia Belfiore (mandanti dell'omicidio Caccia), ma senza sapere a cosa servisse. E oggi dice: «Spero, un giorno di avere la possibilità della revisione del processo perché Pavia – continua – ha preso in giro tutti quanti ma sono convinto che in punto di morte sia stato sopraffatto da uno scrupolo di coscienza sapendomi innocente. Ha fatto qualche dichiarazione a qualcuno, ma poi è sparita». Schirripa potrebbe riferirsi a frasi che Pavia avrebbe riferito poco prima di morire a Pancrazio Chiruzzi, meglio conosciuto come "il solista del kalashnikov" sentito dai legali di Schirripa in indagini difensive depositate alla procura generale di Milano. Sia come sia, va rimarcato come Schirripa non abbia mai confessato alcunché di fronte a acquisizione investigative della squadra Mobile di Torino che hanno retto a tre gradi di giudizio senza esitazioni dei magistrati giudicanti. Un risiko di prove di fronte alle quali adesso chiama in causa il suo principale accusatore, Vincenzo Pavia. Che però non può rispondere perché morto a marzo 2019.

 

 

 

21.02.24
  1. Trovato morto in Spagna il pilota Kuzminov nel 2023 dirottò un elicottero militare russo
    ll pilota russo Maxim Kuzminov, che dirottò un elicottero militare russo Mi-8 per le forze armate ucraine nell'agosto 2023, è stato trovato morto in Spagna con diverse ferite da arma da fuoco. Lo riferiscono vari media online tra cui Nexta e l'agenzia Tass.
  2. Lo "squadrone della morte" dei servizi segreti aveva già usato quel veleno
    JACOPO IACOBONI
    Gli stessi che l'hanno molto probabilmente avvelenato, adesso faranno le analisi chimiche per poi comunicare al mondo di cosa è morto. Sentite chi, e per quale lunga serie di indizi.
    Il corpo di Alexey Navalny non sarà consegnato alla madre e ai familiari prima di (almeno) 14 giorni. Lo spiega uno degli associati del team Navalny, Ivan Zhdanov, che ha parlato con gli "investigatori" del regime russo. «Faranno qualche specie di "esame chimico" per 14 giorni (!)», chiosa sarcastica Kyra Yarmish, la portavoce del Team. Se passano quattro, massimo cinque giorni dalla morte, le tracce di Novichok vengono cancellate. E Yulia Navalnaya nel suo commovente discorso l'ha detto anche, molto chiaramente: «Era impossibile spezzare mio marito. Ecco perché Putin lo ha ucciso. Con vigliaccheria e vergognosamente, senza mai pronunciare il suo nome. Nascondono il suo corpo... Finché non scompariranno le tracce dell'ultimo Novichok di Putin». Io so chi sono, noi sappiamo chi sono - ha gridato questa donna che nonostante tutto non è stata spezzata - e diremo tutti i nomi, uno a uno.
    Il primo a far capire che i sospetti di un nuovo avvelenamento su Navalny erano fortissimi – per tutta una serie di indizi e incongruenze che La Stampa ha riportato e ricostruito nei giorni scorsi – è stato Alexander Polupan, un medico-rianimatore che conosce meglio di tutti la storia del primo avvelenamento di Navalny, quello avvenuto nell'agosto 2020 in Siberia. Dopo che Navalny fu avvelenato, a Polupan fu permesso di vedere il dissidente in un ospedale di Omsk. Fu lui – oltre che la moglie Yulia Navalnaya – a insistere e a battersi per un trasferimento immediato all'estero, e Polupan fece parte della commissione che decise di trasportare Aleksey in Germania. Yulia Navalnaya cercò molto attivamente di convincere medici e funzionari dei servizi a consegnarle suo marito per farlo curare in Germania. Si rivolse persino pubblicamente a Putin – cosa che le deve essere costata moltissimo, considerando lo schifo che prova per quest'uomo. Intervenne Angela Merkel, molto colpita anche da Yulia. Dopo di che Navalny poté essere portato a Berlino, per essere curato e salvato.
    Polupan ha cominciato a pensare subito a un nuovo avvelenamento. Ora Yulia l'ha detto: Aleksey è stato di nuovo avvelenato. Di nuovo con il Novichok. «Sappiamo tutto, anche i nomi, e li faremo presto, uno a uno», ha detto mentre annunciava che si accinge a prendere il testimone di Navalny. Chi sono questi nomi? È possibile provare a ipotizzare la pista più seguita, in questo momento?
    I principali collettivi investigativi indipendenti russi stanno puntando direttamente, con poche esitazioni, verso l'Fsb, i servizi interni di Putin, i successori infami del Kgb. E in particolare verso uno dei suoi "squadroni della morte". Mediazona, attraverso le telecamere stradali, ha rintracciato un convoglio (un camion dei servizi carcerari, auto della polizia, e una berlina non meglio identificata – presumibilmente con uomini dei servizi) che si muove tra la sede della prigione "Lupo Polare" e la città più vicina, Salekhard, la notte successiva alla morte di Navalny. Sette ore prima circa dell'arrivo della povera madre di Navalny al carcere, stavano nascondendo le tracce dei loro orrori. Per darlo a chi, quel corpo?
    Christo Grozev di Bellingcat ricorda che «la volta precedente che l'Fsb ha rapito il corpo in coma di Navalny, poi ha passato due giorni a "ripulire il corpo" e i suoi vestiti dalle tracce di Novichok, prima di (pensare) di poterlo consegnare in tutta sicurezza».
    Ora siamo precisamente in questa fase: stanno manipolando il povero corpo morto, per nascondere le tracce. Nel frattempo il provider delle telecamere a circuito chiuso di tutta Salekhard, la città di 50mila persone dove il corpo di Navalny è stato portato nella notte dell'assassinio, ha chiuso l'accesso a tutte le immagini e alle telecamere. Qualcosa che evidentemente può avvenire solo su richiesta dei servizi segreti federali, l'Fsb.
    Secondo fonti bene informate su questo dossier, c'è un solo un ente governativo russo che può gestire la pratica terribile degli "esami" post mortem (per occultare le prove) in un caso dell'importanza di Navalny: è l'Istituto di Forensica Criminale dell'Fsb, che già fu dietro il tentativo del 2020 di avvelenare Navalny, ed ebbe l'incarico di «ripetere la perizia» anche sul corpo di Boris Nemtsov. Ci sono tre figure apicali, che gestiscono il programma di ricerca e avvelenamenti dell'Fsb. Il più basso è il colonnello Stanislav Makshakov, che è in contatto con gli "squadroni della morte" Fsb sul campo. Makshakov riferisce al generale Kirill Vasilyev, direttore dell'Istituto di Criminalistica dell'Fsb. Vasilyev a sua volta è subordinato al generale Vladimir Bogdanov, ex capo dell'Istituto di Criminalistica e poi a capo della sua entità madre, il "Centro tecnologico speciale" dell'Fsb. Le analisi sul corpo, fatte fare agli stessi specialisti in assassinio. Un capolavoro del gulag
  3. "Il tuo libro mi dà speranza"
    3 aprile 2023
    Carissimo Natan,
    Sono Alexey Navalny. Saluti dall'Oblast di Vladimir, anche se non sono sicuro che tu ne abbia un caro ricordo.
    Mi trovo nella colonia penale IK-6 "Melekhovo", ma dalla prigione di Vladimir mi hanno scritto dicendo che mi è stata preparata una cella. Probabilmente, quindi, andrò nella stessa struttura in cui sei stato tu, soltanto che adesso, forse, ci sarà una targa sulla quale è scritto «Qui è stato rinchiuso Natan Sharansky». Ti prego di scusare l'intrusione e la lettera di uno sconosciuto, ma credo che sia consentito nel rapporto autore-lettore.
    Scrivo nelle vesti di lettore. Ho appena finito di leggere il tuo libro Fear no evil mentre ero trattenuto in Pkt (cella di isolamento, ndr) e ti sto scrivendo da Shizo2, 128 giorni in tutto. (Shizo è la massima forma di punizione per i carcerati russi: chiusi in cella di isolamento, hanno accesso limitato all'acqua calda, possono scrivere lettere 35 minuti al giorno, tenere un unico libro, non possono ricevere telefonate o visite, ndr). Sono scoppiato a ridere quando ho letto il brano in cui racconti di essere stato punito «con una serie di 15 giorni di reclusione a Shizo e poi, avendo infranto le regole del carcere, sono stato mandato in Pkt per sei mesi». Mi ha divertito constatare che il sistema non è cambiato, e nemmeno il modo in cui agisce.
    Voglio ringraziarti per questo libro perché mi ha aiutato molto e continua ad aiutarmi. Sì, adesso sono a Shizo, ma leggendo dei 400 giorni che tu hai trascorso in «cella di punizione», con razioni ridotte di cibo, si comprende che alcune persone pagano un prezzo molto più alto per le loro convinzioni. Guardo le cartoline che ti hanno spedito da Avital3, con tutte le parole illeggibili, ricoperte da righe nere. In tribunale hanno cercato di convincermi che bruciare le lettere che mi sono state spedite è legale. Dopotutto, in esse c'era qualcosa in "codice".
    Capisco di non essere il primo, ma vorrei davvero diventare l'ultimo, o quanto meno uno degli ultimi, a dover sopportare tutto questo.
    Il tuo libro infonde speranza perché la similitudine tra i due sistemi – l'Unione Sovietica e la Russia di Putin, la loro somiglianza ideologica, l'ipocrisia che funge da premessa stessa per la loro esistenza, e la continuità dalla prima alla seconda – garantiscono un crollo ugualmente inevitabile. Come quello a cui abbiamo assistito.
    La cosa più importante è arrivare alle conclusioni giuste, così che questo stato di menzogne e ipocrisia non inizi un nuovo circolo. Nella prefazione all'edizione del 1991 hai scritto che i dissidenti in prigione hanno mantenuto in vita il «virus della libertà», ed è importante impedire che il Kgb inventi un vaccino contro di esso. Ahimè, l'hanno inventato. Vista la situazione attuale, però, la colpa non va addossata a loro, ma a noi, che ingenuamente abbiamo pensato che non si potesse tornare al passato e anche che non importa se, a fin di bene, ci sono dei brogli elettorali qua e là, o se si influenzano un po' i tribunali qua e là, e se si imbavaglia un po' la stampa qua e là.
    Queste piccolezze e la convinzione che è possibile rendere moderno l'autoritarismo sono gli ingredienti di questo vaccino.
    Nondimeno, il «virus della libertà» è ben lontano dall'essere estirpato. Oggi, malgrado le minacce, le persone che non hanno paura a esprimersi a favore della libertà e contro la guerra non sono più decine né centinaia, come prima, ma decine e centinaia di migliaia. Centinaia di loro sono in prigione, ma io confido che non si lascino abbattere e non si arrendano mai.
    Molti di loro hanno attinto forza e ispirazione dalla tua storia e dal tuo lascito.
    Io sono uno di loro e ti ringrazio.
    Ho copiato dal libro: «L'anno prossimo a Gerusalemme».
    Tuo Alexey
    ****
    "Mi sono commosso"
    11 aprile 2023
    Caro Natan,
    Ti spedisco queste poche righe per ringraziarti moltissimo della tua risposta. Mi sono commosso e ho dovuto nascondere le lacrime ai miei compagni di cella. Questa è la seconda volta che mi commuovi! Nell'ultima pagina di Fear No Evil, dove hai scritto «scusa il ritardo», naturalmente mi è stato impossibile non iniziare a piangere. (Si riferisce a quando Sharansky si è riunito con la moglie Avital, dopo nove anni di carcere, ndr).
    Nella tua «alma mater', tutto è come era. Si onorano le tradizioni. Venerdì sera mi hanno fatto uscire da Shizo. Oggi, lunedì, mi hanno dato altri 15 giorni. Tutto va secondo l'Ecclesiaste: ciò che era sarà.
    Io, però, continuerò a credere che noi cambieremo in meglio le cose e che un giorno in Russia ci sarà quel che non c'era. E la Russia non sarà quello che è stata.
    Dopotutto, in quale altro luogo è meglio trascorrere la Settimana Santa, se non a Shizo?
    Un grande ringraziamento,
    Ti abbraccio,
    A. —
    Traduzione di Anna Bissanti
  4. ERRORE GRAVE DI HAMASS:   Kfir Bibas, appena un anno, sempre che sia ancora vivo, è l'ostaggio più giovane del mondo. Rapito il 7 ottobre del 2023 con il fratellino Ariel di 4 anni e con la madre Shiri, che li teneva entrambi stretti fra le braccia, è stato portato da Nir Oz a Khan Yunis. L'ha potuto stabilire l'esercito in base ai filmati delle telecamere di sicurezza recuperati dalle forze di Tsahal sul campo. Il padre Yarden, invece, è stato catturato separatamente. Era uscito di casa per affrontare i terroristi, per proteggere la famiglia. Ma è finito anche lui ostaggio a Gaza. Ed è l'unico dei Bibas di cui Hamas abbia diffuso un video, lo scorso primo dicembre, per fargli esprimere preoccupazione per la sua famiglia. Ora quella preoccupazione, inizialmente respinta da Israele come terrorismo psicologico inflitto da Hamas alle famiglie e all'opinione pubblica, è apertamente e pubblicamente condivisa dal portavoce militare Daniel Hagari. Che promette: «Stiamo facendo ogni sforzo per ottenere maggiori informazioni sul loro destino».
    «In una parola: barbarie», ha postato il presidente israeliano Isaac Herzog sulla piattaforma X dopo la diffusione dei filmati delle telecamere di sorveglianza. "Questi video ci strappano il cuore. Il rapimento di bambini è un crimine contro l'umanità e un crimine di guerra», ha commentato la famiglia Bibas. Per il premier Benjamin Netanayhu le nuove prove «strazianti» sono un memento e suggellano la promessa «salderemo i conti».
    Nelle immagini si vedono Shiri e i bambini, circondati da sette uomini armati, raggiungerne altri otto che li attendono in un'area di prefabbricati di lamiera in mezzo a strade sterrate. Poi i tre ostaggi vengono avvolti e nascosti sotto un grande lenzuolo. Un'altra telecamera li inquadra mentre i rapitori li fanno salire a bordo di un furgoncino. Hagari, mostrando le prove del rapimento, ha detto che il mezzo li ha portati nella parte orientale di Khan Yunis, dove sono stati affidati ai membri di «un'organizzazione terroristica conosciuta come Khatib Al-Mujahidin», cioè Battaglione dei Santi Guerrieri. Nata del 2001 da una scissione con Fatah all'inizio della Seconda Intifada, la fazione che ha rapito i Bibas ha finito per diventare una subalterna di Hamas. A fine novembre, hanno ricordato i media israeliani, le Brigate Al-Mujahideen dichiararono che i fratellini dai capelli rossi e la loro madre «erano in nostro possesso quando sono stati trovati morti», aggiungendo che anche i loro guardiani erano stati uccisi. Dichiarazioni mai confermate dall'esercito ma la «preoccupazione» espressa ieri da Hagari è stata accolta come un ulteriore funereo segnale in una situazione di stagnazione dell'accordo tra Israele e Hamas per la liberazione degli ostaggi e la cessazione delle ostilità armate. Così ci riprova, l'esercito, a fare leva sui residenti di Gaza stremati dalla guerra. Negli ultimi giorni sono stati distribuiti nella Striscia nuovi messaggi di invito per la popolazione a scambiare informazioni sugli israeliani sequestrati da Hamas e dagli altri gruppi armati con una ricompensa in denaro.
    Netanyahu continua a mostrarsi sempre più irremovibile verso le richieste sempre più smisurate da parte di Hamas. E ha esortato i presidenti delle principali organizzazioni ebraiche americane riuniti a Gerusalemme a fare pressione sul Qatar, che più di tutti può esercitare la sua influenza sulla fazione islamica. Ma l'emirato della famiglia Al Thani ha rispedito la dichiarazione al mittente, accusando Netanyahu di sabotare le trattative e voler «prolungare la guerra per ragioni che ormai sono note a tutti».
    Perfino il "ministro rivale" del premier Benny Gantz - dato dai sondaggi come leader di governo in pectore in caso di elezioni - ormai sostiene che una delegazione tornerà al Cairo per negoziare solo "quando le condizioni saranno mature". In assenza di un accordo o della liberazione da parte di Hamas di tutti gli ostaggi israeliani entro l'inizio del Ramadan (il 10 marzo), il ministro del gabinetto di guerra minaccia l'ampliamento delle operazioni militari a Rafah. Ma Tsahal ha detto ai media che qualsiasi preparazione per un'operazione di terra nella città valico al confine con l'Egitto potrebbe richiedere ancora «diverse settimane a causa della necessità di evacuare la popolazione civile». La sensazione dell'analista militare e politico di Haaretz, Amos Harel, è che «nonostante le chiacchiere, né Netanyahu né l'esercito israeliano sono desiderosi di operare a Rafah»
  5. URSULA GESTISCE IL POTERE FACENDO SPARIRE GLI SMS :Il Green Deal come marchio di fabbrica del suo primo mandato è ormai soltanto un ricordo. Per il suo bis alla guida della Commissione, Ursula von der Leyen ha deciso di cambiare la scaletta delle sue priorità: al primo posto c'è la Difesa, in particolare il sostegno all'industria militare europea, al secondo c'è la necessità di supportare la competitività delle imprese europee. Un programma obbligato visto che questa volta la sua candidatura non potrà essere "calata dall'alto" come cinque anni fa, estratta dal cilindro di Emmanuel Macron durante le trattative post-elettorali tra i leader. Questa volta von der Leyen dovrà passare per una campagna elettorale sotto l'insegna del Partito popolare europeo e in particolare del suo partito, la tedesca Cdu. L'esito del percorso iniziato ieri, con l'ufficializzazione della candidatura come Spitzenkandidaten, è dunque tutt'altro che scontato perché per arrivare fino in fondo bisogna superare diverse tappe e dietro ognuna di esse si nascondono insidie. Su una cosa, però, è stata netta: nessuna collaborazione con i partiti dell'estrema destra.
    L'arrivo sul palco della Konrad Adenauer Haus - sede federale della Cdu a Berlino - è stato accompagnato dagli applausi. Ma il calore è un'altra cosa. Sono applausi di circostanza quelli che gli tributa il suo partito. I cristiano-democratici tedeschi di Friedrich Merz hanno scelto di incoronare «all'unanimità» una personalità che non amano, ma che non ha rivali nel suo ruolo all'interno del partito tedesco. Von der Leyen può vantare buone relazioni internazionali e soprattutto - ci tiene a ricordare pubblicamente Merz - ha ottimi rapporti con il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. Un asso da giocare di non poco rilievo in questo momento perché «la sicurezza sarà la cosa più importante in questi prossimi anni, insieme all'economia», dice il numero uno della Cdu, il partito che conta nel Ppe il gruppo più numeroso di delegati.
    Il mandato politico che arriva da Berlino è che «la futura Commissione deve fare in modo che l'Europa resti competitiva al livello mondiale», dichiara Merz. In modo che l'industria tedesca non perda (ancora) quote di mercato - è il sottotesto. In passato dalle file della Cdu e in particolare della Csu (l'omologo partito bavarese) sono arrivate critiche più o meno velate al Green Deal di Bruxelles. Perfino ieri un esponente della Csu ha rilasciato una dichiarazione dove ricordava che «von der Leyen ha riconosciuto troppo tardi che non si protegge l'ambiente con la burocrazia». Per questo il programma presentato ieri a Berlino è studiato per suonare come musica alle orecchie del partito che ha scelto di sostenerla.
    Il discorso di von der Leyen ruota intorno a tre pilastri: il primo è «migliorare la capacità difensiva dell'Europa ampliando l'industria della difesa», con la nomina di un commissario ad hoc. In secondo luogo si punta ad abbattere la burocrazia, e in particolare «ridurre la gli obblighi di rendicontazione di un 25%». Infine cambia l'asse prospettico sul Green Deal: restano gli obiettivi ambientali, ma andranno portati avanti «insieme con l'industria».
    La strada per il bis alla Commissione, però, è soltanto all'inizio. Il 6 marzo von der Leyen sarà incoronata ufficialmente come candidato di punta del Ppe al congresso di Bucarest, anche se in realtà lei ha deciso di non correre per un seggio al Parlamento europeo. Sulle liste, quindi, il suo nome non ci sarà. Con ogni probabilità il Ppe sarà ancora il primo partito, ma la sua riconferma non sarà automatica: dopo il voto, servirà il via libera (a maggioranza qualificata) del Consiglio europeo e successivamente il voto dell'Europarlamento. Cinque anni fa fu eletta con nove voti di margine e quest'anno il suo riallineamento sulle posizioni del Ppe potrebbe farle perdere qualche sostegno nel campo socialista, anche perché si voterà a scrutinio segreto.
    Von der Leyen ha provato a tracciare una linea netta alla sua destra, assicurando che non intende collaborare con «gli amici di Putin», citando «Afd, Marine Le Pen, Wilders e altre forze estremiste». Si tratta degli alleati della Lega, che infatti ha subito sparato a zero contro il bis della tedesca. La premier Meloni, invece, si era detta disponibile a sostenerla. Si tratta di un nodo politico che a un certo punto verrà al pettine.

 

 

20.02.24
  1. Società fiduciarie e paradisi fiscali. Il sistema John Elkann funzionerebbe così e probabilmente questo sarebbe un retaggio di famiglia. Dal decreto di perquisizione che gli è stato recapitato la settimana scorsa (l’accusa è di frode fiscale) si apprende che nel luglio scorso il Nucleo di polizia economico-finanziaria di Torino ha effettuato un’ispezione antiriciclaggio presso la P fiduciaria, che sarebbe uno degli schermi che garantirebbe la dovuta riservatezza (tanto apprezzata nel Piemonte sabaudo) sulla reale consistenza del patrimonio di Jaki e, in particolare, dell’eredità di Gianni Agnelli e Marella Caracciolo, al centro di un aspro contenzioso giudiziario.


    In quella visita i finanzieri rintracciarono un mandato fiduciario intestato al presidente di Stellantis e scoprirono così il collegamento tra John e la società anonima Blue dragons di Eschen nel Liechtenstein, allo stesso indirizzo del Tremaco trust, «il trust della famiglia Agnelli-Elkann».
    Grazie all’esposto presentato da mamma Margherita contro i suoi tre figli, John, Lapo e Ginevra, presunti usurpatori di eredità, e a questa ispezione, la Guardia di finanza ha verificato quanto sia complessa la rete di controllo del patrimonio degli eredi di Gianni Agnelli.
    Per esempio Jaki risulta titolare solo delle quote della holding Iig Spa in liquidazione. Tutto resto non compare a un primo controllo nelle banche dati. Dopo la visita di luglio, l’accertamento si sarebbe chiuso a metà dicembre «con rilievi».


    Adesso la palla è passata alla Banca d’Italia dove è stato trasmesso l’incartamento con il risultato delle verifiche, in vista di eventuali provvedimenti da prendere e sanzioni da infliggere da parte di Palazzo Koch. Nelle indagini sono entrate anche altre società, come la Simon fiduciaria, perquisita al pari della P fiduciaria e della Sogefi.



    La Simon fiduciaria risulta controllata dalla banca privata Ersel, ma i finanzieri sono andati a scartabellare negli archivi con la convinzione che la società rappresenti gli interessi di John. La Simon detiene l’intestazione fiduciaria del pacchetto di maggioranza relativa (valore 10 milioni di euro su 30,5 di capitale) della Merope property company Roma, ditta di sviluppo di progetti immobiliari senza costruzione.

    La stessa fetta di quote è in mano all’imprenditore Marco Caleffi. Amministratore è il manager Pietro Croce, rampollo genovese, figlio di Carlo, già presidente della Federazione internazionale della vela e dello Yacht club italiano, ovvero lo storico circolo degli Agnelli.



    La gemella Merope property company srl, che secondo i risk manager avrebbe tra i suoi titolari effettivi Jaki, ha un capitale di 36,68 milioni. Lo schema è quasi lo stesso: la Simon controlla una partecipazione del valore di 10,3 milioni, così come Caleffi e l’amministratore è Croce.



    La prima delle due Merope detiene circa il 35 per cento dell’Elettra (capitale sociale di 350.228 euro), costituita nel febbraio 2021, altra società di sviluppo di progetti immobiliari senza costruzione. Secondo gli 007 dell’antiriciclaggio è riconducibile «a una compagine societaria di elevato standing», dal momento che tra i titolari effettivi figurerebbero Jaki, Caleffi e Vitaliano Borromeo Arese. Amministratore? Ancora una volta Croce.


    Nel settembre 2021 sulla totalità delle quote della Elettra è stato posto un pegno a favore del Banco Bpm e di Intesa San Paolo a garanzia di un finanziamento a medio lungo termine di quasi 100 milioni di euro. A fine 2022 la società risultava proprietaria di diversi immobili a Roma, situati nelle vicinanze di villa Borghese e dell’ambasciata statunitense.


    La società è stata oggetto di un’altra segnalazione per un bel gruzzolo arrivato proprio dall’onnipresente Liechtenstein. Infatti il 18 giugno 2021 sul conto della Elettra è arrivato un bonifico da 10 milioni di euro inviato a titolo di versamento in conto aumento capitale da tale Valery Gulev.


    […] la somma proveniva da Vaduz, capitale del Liechtenstein e più precisamente da un conto della Banque Havilland Ag, un istituto di credito privato specializzato nella gestione di grandi patrimoni. Ricordiamo che a Vaduz veniva accreditato anche il vitalizio destinato a Marella Caracciolo, ma in un’altra banca. Per tale rendita è stata aperta l’inchiesta della Procura di Torino. Si tratta di due storie diverse che, però, confermano l’importanza del principato incastonato in mezzo alle Alpi per i ricconi che vanno alla ricerca di discrezione.



    Gulev è un personaggio molto interessante. Nato il 7 febbraio a Belgorod, città della Russia occidentale, laureato in giurisprudenza, negli anni ‘90 è stato vicedirettore della società Chernomornaftogaz (azienda statale di prodizione di gas e petrolio).



    Nel 2011 è stato nominato direttore generale di Gazprom Ep international. Ma a partire dal 2015 i suoi rapporti con Vladimir Putin e il suo cerchio magico si sarebbero raffreddati (per usare un eufemismo) e il manager ha preso la residenza a Cipro usufruendo del golden Visa program. Non risulta sia stato colpito da sanzioni dopo l’inizio della guerra in Ucraina, né avrebbe legami particolari con l’attuale establishment.


    Da tempo ha spostato i suoi interessi a Genova, dove ha acquistato diversi prestigiosi immobili. Il link con il capoluogo ligure, stando al sito Gente d’Italia, è stato nel 2014 la sponsorizzazione che Gazprom fece a favore della Federazione internazionale della vela, allora presieduta, come detto, da Croce senior, padre di Pietro, socio d’affari di Jaki.
  2. Il calvario
    di
    Navalny
    JACOPO IACOBONI
    Il corpo di Navalny presentava lividi che «suggeriscono che sia stato trattenuto giù durante forti convulsioni e poi sottoposto a compressioni toraciche». Lo sostengono con Novaya Gazeta diversi testimoni locali di Salekhard, la piccola città vicino alla colonia penale Ik-3, il terrificante "Lupo polare", dove era rinchiuso il dissidente più temuto da Putin. Tra loro anche una fonte nel servizio ambulanze. Salekhard è una città così piccola che tutti hanno un parente, un amico, o almeno conoscono qualcuno che lavora nella colonia penale, e dove ovviamente non si parla d'altro. Quel tipo di lividi si attaglierebbe benissimo a convulsioni dovute a un agente della classe novichok, a cui se ne aggiunge uno in particolare, compatibile con un massaggio cardiaco praticatogli nel tentativo di rianimarlo.
    Bisogna usare il condizionale, naturalmente, perché il corpo di Navalny non c'è, e non ci sarà a breve. Perché aspettare ancora - e probabilmente la famiglia dovrà aspettare ancora non pochi giorni - per riconsegnare quel cadavere a chi gli ha voluto bene? Segni di eventuali torture, o pressioni, o compressioni fisiche, non sparirebbero, quello che invece degrada e sparisce - di solito dal quarto quinto giorno in poi - sono le tracce di un veleno derivato dal novichok, nell'ipotesi che Navalny sia stato avvelenato una seconda volta. Questa volta fino ad ammazzarlo.
    L'ipotesi non è accademica, ma ogni giorno si aggiungono tasselli coerenti con questa possibilità. Sabato, le parole del medico Alexander Polupan, che rianimò Navalny dopo l'avvelenamento in Siberia nell'agosto del 2020, riportate da La Stampa. Ieri hanno cominciato a parlare diverse fonti a Salekhard, la città vicino alla colonia penale dov'era rinchiuso Navalny. Secondo loro, il corpo non è stato portato all'obitorio standard per i prigionieri morti nel "Lupo polare". I coroner locali hanno rifiutato di eseguire l'autopsia, cosa che può avere due spiegazioni: o Mosca ha ordinato di aspettare, o loro temevamo quello che avrebbero trovato, e che sarebbero stati puniti per aver rivelato la vera causa della morte. Molto meglio non sapere. Fino a che sarà possibile (fino a che le tracce di un veleno possano scomparire?). Due voli non programmati sono atterrati a Salekhard, probabilmente con a bordo otto funzionari dei servizi segreti e del Servizio penitenziario che si sarebbero occupati dell'esame. Ossia dell'occultamento delle prove. Spesso in Russia chi assassina e chi fa gli esami sono la mano destra e la mano sinistra.
    Come riferito da La Stampa domenica, la sera prima del giorno in cui ufficialmente Navalny è morto, c'è stato grande trambusto alla colonia penale, come se qualcosa stesse accadendo. Erano già arrivate almeno tre macchine. Il Times scrive che funzionari del Fsb sono stati in visita al "Lupo polare" due giorni prima della morte ufficiale, e hanno «proceduto a scollegare e smantellare alcune telecamere di sicurezza e dispositivi di ascolto».
    Dopo l'avvelenamento di Navalny il 20 agosto 2020, lo specialista di terapia intensiva Mikhail Fremderman spiegò quali sono i sintomi del novichok: «Tali sostanze aumentano il contenuto corporeo di acetilcolina, uno dei principali mediatori del corpo. A sua volta, inizia ad avere un forte effetto sui muscoli, sulla respirazione, sul tono muscolare, sulla pressione sanguigna e sulla funzione cardiaca. La regolazione degli organi interni e del sistema neuromuscolare è disturbata. Una persona perde conoscenza, può avere convulsioni, sviluppa rapidamente il coma. Alcuni tipi possono anche essere applicati sulla pelle, e una persona viene avvelenata gravemente». Convulsioni, trattenimento, lividi.
    Possibili capri espiatori sono al momento due. Uno è il responsabile medico della colonia, Alexei Lysyuk. Il medico 39enne che già è stato più volte oggetto di attenzione da parte delle forze dell'ordine. Secondo ex detenuti del "Lupo polare", nel centro medico diretto da Lysyuk c'erano solo analgesici, e lui per usare un eufemismo, «non brillava per talento medico», sostiene il canale telegram Cheka-Ogpu. Il secondo capro espiatorio ha un profilo più interessante: si chiama Vadim Kalinin, è lui a capo dell'IK-3 dal 2021, già condannato per abuso di potere. Il reato però fu amnistiato. Suo figlio, Danil Kalinin, si vanta di essere un ufficiale del Fso, il servizio di sicurezza presidenziale del Cremlino.
    Ieri Bild ha scritto che prima della morte di Navalny si era ipotizzato che Mosca potesse puntare - con la Germania e gli Stati Uniti - a scambiare Navalny con Vadim Krasikov (un membro dei servizi russi autore dell'assassinio di un ribelle ceceno georgiano a Berlino). Ma la cosa appare improbabile: Putin nella recentissima intervista con Tucker Carlson aveva menzionato Krasikov in risposta a una domanda sulla possibile liberazione di Evan Gershkovich, del Wall Street Journal, e appariva frustrato dal non riuscire a riaverlo. Quello che è certo è che Navalny temeva di essere sottoposto a un lento avvelenamento. Una morte in slow motion. A un certo punto aveva cominciato a dire ai suoi associati che gli venivano fatte delle iniezioni, ma gli veniva impedito di scoprire cosa c'era nelle siringhe. Il suo team temeva che fosse di nuovo avvelenato. —
  3. Depongono fiori per Alexey, la Digos li identifica tutti
    È stata identificata dalla Digos una dozzina di persone riunite ieri a Milano per onorare con i fiori la memoria di Alexey Navalny, sotto la targa in ricordo di Anna Politkovskaya, in corso Como. A denunciare l'episodio sui social il senatore Pd Filippo Sensi che ha annunciato una «interrogazione parlamentare a Piantedosi, per chiedere conto di che Paese siamo». Secondo quanto ricostruito dalla Questura, si sarebbe trattato di un equivoco: una pattuglia di passaggio e destinata ad altro servizio che non era a conoscenza dell'iniziativa si sarebbe fermata a chiedere i documenti ai presenti. «È una cosa assurda che non ci era mai successa», sostiene Marina Davydova dell'associazione Annaviva. «Eravamo in pochi, tutti in silenzio a posare dei fiori»
  4. Il debito pubblico italiano è cresciuto di 105,3 miliardi di euro nel 2023. Fino a toccare quota 2.862,8 miliardi, il massimo storico. La fotografia immortalata dalla Banca d'Italia mette in evidenza quanto il fabbisogno del Paese abbia influito su tale risultato. Circa 89 miliardi sono a carico di una maggiore richiesta degli enti centrali. Nell'anno in cui si sono trasmessi in pieno i rialzi dei tassi d'interesse della Banca centrale europea (Bce), l'Italia ha registrato un marcato incremento, in valori assoluti, dell'indebitamento.

     

    ITALIA - GLI INTERESSI PASSIVI SUL DEBITO PUBBLICO ITALIA - GLI INTERESSI PASSIVI SUL DEBITO PUBBLICO

    A fine 2021 era a quota 2.678 miliardi di euro, l'anno dopo si è sfondata la soglia dei 2.700 per 57 miliardi. Nell'anno appena chiuso l'ulteriore salita, sempre più a ridosso dei 3.000 miliardi. L'incremento di oltre 100 miliardi rappresenta un rischio, e un costo, per il Paese. Primo, perché appesantisce i conti pubblici nazionali riducendo i margini operativi del governo. Secondo, perché complica la gestione del debito nei confronti degli investitori istituzionali e delle controparti europee. […] in mano ai piccoli risparmiatori c'è circa il 13% dell'intero ammontare. […]

 

 

 

19.02.24

Le proteste cominciate in gennaio in Germania si sono allargate a macchia d’olio al resto d’Europa: Francia, Belgio, Olanda, Spagna, Portogallo. E poi sono arrivate quelle italiane: hanno puntato su Roma ma sono arrivate fino a Sanremo. Un malcontento diffuso anche in Romania, Polonia, Ungheria, Bulgaria, Slovacchia. Ci sono ragioni che accomunano le proteste degli agricoltori europei, ci sono ragioni nazionali, e altre difficili da attribuire a qualcuno.
Il Green Deal diluito

Vengono contestate le soluzioni ambientali individuate da Bruxelles per tagliare entro il 2030 le emissioni di CO2 del 55% rispetto al 1990 e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050: tutti i settori vi devono contribuire. Il primo motivo di scontro è stato l’aggiornamento della direttiva sulle emissioni industriali, che ha l’obiettivo di prevenire e ridurre l’inquinamento provocato dai grandi impianti, compresi quelli zootecnici: «la stalla deve comportarsi come una fabbrica, con tutti gli adempimenti sulla sostenibilità». Il mondo agricolo si è messo di traverso e nell’accordo finale raggiunto il 28 novembre scorso gli allevamenti intensivi di bovini sono stati stralciati dal testo. Il secondo è la legge sul ripristino della natura, proposta dalla Commissione Ue il 22 giugno 2022, per riparare almeno il 20% delle superfici terrestri e marine dell’Ue che versano in cattive condizioni. Per il comparto agricolo chiedeva di portare dall’attuale 4% fino ad almeno il 10% la superficie di terreno agricolo da non coltivare entro il 2030 (ma era a discrezione degli Stati indicare la percentuale ). Lo scopo è favorire la riproduzione della fauna e degli insetti impollinatori (api, coleotteri, sirfidi, falene, farfalle e vespe). Senza impollinazione è a rischio la crescita delle piante e la sicurezza alimentare. Per gli agricoltori il provvedimento metteva invece a rischio la produttività dell’Ue. Questa parte è stata stralciata dal testo finale nel novembre scorso. Il Parlamento Ue ha invece rigettato il 22 novembre il regolamento che puntava a dimezzare l’uso dei pesticidi entro il 2030, a favore di metodi alternativi. Una misura necessaria a proteggere la fertilità dei terreni, la salute dei coltivatori e la salubrità dei prodotti, ma gli agricoltori l’hanno contestata in tutte le sedi, e il 6 febbraio la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ne ha annunciato il ritiro. Sempre il 6 febbraio la Commissione Ue ha anche annunciato i nuovi obiettivi climatici Ue al 2040, che prevedono un taglio del 90% delle emissioni rispetto al 1990, ma ha evitato di indicare quel 30% per l’agricoltura che invece era presenti in una bozza iniziale.
Mercosur e prodotti ucraini

L’accordo di libero scambio con il Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) è da sempre nel mirino del mondo agricolo europeo, in particolare francese, che teme l’impatto delle importazioni. Pochi giorni fa la Commissione ha ammesso che non ci sono le condizioni per chiudere il negoziato. Poi c’è la questione dei cereali ucraini diretti in Africa. Chiuso il porto di Odessa è stato aperto un corridoio di transito via terra. Il problema è che alcuni container si fermano sui mercati polacchi, ungheresi, francesi, italiani. Il grano ucraino già costa meno, in più l’abbondanza di prodotto fa calare i prezzi. Un danno per i produttori di cereali, ma un vantaggio per gli allevatori che comprano il mangime a un prezzo più basso (che tuttavia si sono uniti alle proteste). Il 31 gennaio scorso l’Ue, per proteggere le produzioni agricole comunitarie di cereali ha introdotto un meccanismo di salvaguardia rafforzata sulle importazioni dall’Ucraina di prodotti a dazio zero, ed è previsto un «freno di emergenza» anche per il pollame, uova e zucchero.
La burocrazia della Pac

La Politica agricola comune (Pac) esiste dal 1962 per aiutare i contadini, stabilizzare i prezzi e garantire la sicurezza alimentare. Nel corso degli anni ha subito molti cambiamenti, ma la svolta cruciale è del 2023: per l’erogazione dei fondi occorre una maggiore attenzione alla questione climatica, anche perché gli agricoltori, causa siccità e alluvioni, sono i primi a pagarne il prezzo. Oggi la Pac vale un terzo del bilancio dell’Ue: per il periodo 2021-2027 si tratta di 386,6 miliardi più 8 miliardi provenienti da Next Generation Eu per aiutare le zone rurali a realizzare la transizione verde e digitale. Di quei fondi 270 miliardi sono per il sostegno al reddito degli agricoltori. All’Italia andranno 37,1 miliardi, alla Francia 64,8, alla Germania 42,5, alla Spagna 45,5 e cosi via. Per ottenere questi fondi occorre rispettare le condizionalità sull’uso di fitofarmaci, terreni a riposo ecc. Il problema per i piccoli agricoltori è la burocrazia lunga e gravosa. Critica accolta: entro il 26 febbraio la presidente von der Leyen presenterà al Consiglio Agricoltura delle proposte per ridurre gli oneri amministrativi. Inoltre la Commissione ha proposto di congelare per un altro anno l’obbligo di mettere a riposo almeno il 4% delle superfici coltivate per poter ottenere gli aiuti Ue previsti dalla PAC.
Richieste nazionali

Oltre alle proteste contro le politiche Ue, dove gli agricoltori hanno portato a casa diversi risultati, ci sono quelle contro i governi nazionali. In Germania a innescare la miccia è stato lo stop al «diesel calmierato» per i trattori (su cui poi il governo ha fatto una parziale marcia indietro). In Francia non vogliono gli aumenti delle imposte sul gasolio agricolo e sanzioni alle imprese che non rispettano la «legge Egalim», che regola e protegge il guadagno degli agricoltori nei confronti della grande distribuzione. Il nuovo premier Gabriel Attal ha promesso dieci misure con effetto immediato, tra cui semplificazioni amministrative per aiutare le piccole imprese a ricevere prima gli indennizzi dalle calamità naturali, e «clausole specchio» negli accordi di libero scambio (i prodotti agricoli importati devono soddisfare gli stessi standard di produzione europei). In Olanda il malcontento è iniziato nel 2022 quando il governo Rutte decise un piano di abbattimento dei capi di allevamento del 30% per ridurre le emissioni. In Belgio i contadini valloni chiedono l’adeguamento all’inflazione e la compensazione economica per tutti i vincoli.
Le richieste in Italia

Gli agricoltori italiani, oltre alle questioni comuni a tutti i Paesi Ue, pressoché tutte superate, si sono diretti in massa su Roma. Per chiedere cosa? Prezzi più giusti all’origine. L’ortofrutta, per esempio, quando arriva sullo scaffale del supermercato ha avuto un ricarico del 300% rispetto alla miseria pagata al produttore. Non solo: quando troviamo un prodotto in offerta lo sconto viene fatto pagare sempre al produttore.

Questo succede perché fra l’agricoltore e la grande distribuzione c’è in mezzo una lunga filiera: l’intermediario, il grossista, il trasportatore, l’imballaggio. Di chi è la colpa? Per ridurla i produttori dovrebbero aggregarsi fra loro, conquistando così maggior potere contrattuale
Lo hanno fatto i piccoli coltivatori di mele della Val di Non: si sono consorziati e il prezzo di vendita alla Gdo (grande distribuzione organizzata) lo decidono loro. Altro discorso sono le aste al ribasso: la Gdo decide il prezzo iniziale e chi fa il ribasso maggiore entra sullo scaffale. Una pratica sleale stoppata da una nuova direttiva europea, ma che andrebbe potenziata. Un altro tema caldo è la redistribuzione dei fondi Pac. Dei circa 37 miliardi che arrivano nel nostro Paese spalmati su 7 anni, una quota è destinata ai campi coltivati. Da decenni il regolamento europeo parla chiaro: i fondi devono essere assegnati equamente. Tutti i Paesi si sono adeguati tranne l’Italia, dove un ettaro di terreno seminato al Sud riceve meno fondi rispetto a quello del Nord. Per riequilibrare bisogna togliere agli agricoltori del Nord, che ovviamente si oppongono. L’inadempienza però ci espone alla procedura di infrazione. Infine il coro che da ogni parte si leva : «tasse troppo alte». Vediamo.
Irpef sul reddito agricolo

Le imprese agricole individuali e a conduzione familiare hanno sempre pagato l’Irpef sui redditi dominicali e agrari definiti dal catasto in base alla superficie e al tipo di coltura dichiarata. Si tratta di importi modesti proprio perché non calcolati sui redditi reali. Nel 2016 il governo Renzi, con la legge n. 232 decide l’esenzione totale dell’Irpef. Prorogata poi dai governi successivi fino al 31.12.2023. Nella categoria ci sono i produttori di vino e i vivai che non hanno redditi risicati all’osso. A partire da quest’anno il governo Meloni ha deciso di non prorogare, scatenando la rabbia degli agricoltori. Ma quanto pesa sulle loro tasche? Dalla relazione tecnica alla legge di bilancio 2022 sappiamo che un anno di esenzione Irpef impatta sulle casse dello Stato per 127,7 milioni di euro, più 9,4 di addizionali regionali e 3,6 comunali. Totale 140,7 milioni di euro. Considerando che dai dati Istat le imprese agricole individuali e a conduzione familiare sono 1.059.204, vuol dire che in media dovrebbero pagare di tasse ognuna, all’anno 132,9 euro. Dal loro punto di vista sono troppi. E infatti la premier ci ha ripensato. In tutti i Paesi Ue gli agricoltori pagano le tasse in base ai loro redditi reali.
Redditi in crescita

Se si esclude il 2020, quando c’è stata una battuta d’arresto a causa del Covid, a partire dal 2013 il reddito medio per agricoltore nella Ue è cresciuto. Nel 2021, secondo i dati della RICA (rete d’informazione contabile agricola), ammontava a 28.800 euro. Dentro c’è un 10% di aziende agricole con un reddito superiore a 61.500 euro e un 10% fatica a raggiungere il pareggio (con in media meno di 800 euro per lavoratore). Tra i Paesi Ue ci sono differenze significative: Danimarca, Germania nord-occidentale, Olanda e Francia settentrionale vantano i redditi per lavoratore più elevati mentre in Romania, Slovenia, Croazia e Polonia orientale sono più bassi. In Italia la media arriva a 36 mila, con le regioni del Nord a quota 40 mila.
Gli aiuti straordinari

Nel periodo 2014-2023 Bruxelles ha stanziato 500 milioni per aiutare i produttori di frutta e verdura fresca colpiti dal divieto russo sulle importazioni dall’Ue; 800 milioni per stabilizzare il mercato lattiero-caseario e sostenere il reddito complessivo degli agricoltori per far fronte alle perturbazioni del mercato; 450 milioni per sostenere il settore vitivinicolo di fronte agli impatti del Covid e alle sanzioni commerciali; 500 milioni per sostenere i produttori più colpiti dalle gravi conseguenze della guerra in Ucraina e 156 milioni per gli agricoltori di Bulgaria, Ungheria, Polonia, Romania e Slovacchia, i paesi più colpiti dall’aumento delle importazioni di cereali e semi oleosi dall’Ucraina; 330 milioni per gli agricoltori di 22 Paesi che hanno visto aumentare i costi di produzione e subito l’impatto di eventi meteorologici estremi.
Il dialogo mancato

Le ragioni di un malessere così diffuso sono tante e complesse, ma è troppo facile dire che tutte le colpe sono da addossare alle politiche europee o ai singoli governi.

C’è una verità inconfutabile: il settore agricolo è messo sotto pressione dai cambiamenti climatici. L’agricoltura è responsabile dell’11% delle emissioni di CO2 dell’Ue, e partecipare alla transizione verde è nel suo stesso interesse.
La politica, che ora sta strumentalizzando le proteste in corso, dovrebbe invece mettere in campo le competenze migliori per trovare soluzioni praticabili. Significa conoscere il settore e confrontarsi con esso. Lo ha riconosciuto anche la presidente von der Leyen: «Per andare avanti sono necessari più dialogo e un approccio diverso». Poi però tutti devono fare la loro parte e non dire solo dei «no».

 

 

 

 

18.02.24
  1. Per il supermercato lavoravano 61 aziende
    nel 2023 i precedenti con 4 feriti a Genova
    MONICA SERRA
    INVIATA A brescia
    Ci sono almeno 61 aziende nell'intricato reticolo di subappalti assegnati per realizzare il nuovo supermercato Esselunga nell'ex Panificio militare. E su cui ora si stanno concentrando gli investigatori che indagano sulla strage degli operai alla periferia di Firenze.
    I lavori di quest'opera - grande quanto un isolato - da 35 milioni di euro sono stati avviati il 26 luglio del 2021 con una durata prevista di almeno 1.200 giorni e il coinvolgimento di 100 lavoratori. La società committente è La Villata spa, immobiliare di investimento e sviluppo con sede a Milano controllata al 100% da Esselunga. Da un anno è presieduta dall'ex ministro Angelino Alfano, sembrerebbe per via della sua amicizia con Marina Sylvia Caprotti, figlia del defunto Bernardo.
    L'impresa esecutrice dei lavori è l'Aep Attività Edilizie Pavesi srl, con sede a Pieve del Cairo (Pavia), la stessa coinvolta in almeno due altri incidenti (non mortali) tra il febbraio e l'aprile dello scorso anno a Genova, nel cantiere del supermercato di San Benigno, inaugurato il 24 maggio del 2023. E, mentre per il primo episodio, il crollo di una soletta il 10 febbraio del 2023, tre operai erano rimasti feriti in maniera lieve, tanto che gli accertamenti si sono chiusi con una contravvenzione, per il secondo, il crollo di una griglia metallica che aveva colpito un operaio in maniera più seria, l'inchiesta avviata dalla procura diretta da Nicola Piacente è ancora in corso.
    Tanto nel cantiere ligure quanto in quello toscano, l'Aep sarebbe la società incaricata a realizzare l'opera. Ma le ditte che materialmente hanno eseguito i lavori sono differenti. Da anni l'azienda lomellina collabora con il principale gruppo italiano di supermercati per via della storica amicizia tra il suo fondatore, il geometra Luigi Dallera di Mezzana Bigli, e Bernardo Caprotti. Di fatto la società di Pieve del Cairo non ha personale di manovalanza nei cantieri, ma solo responsabili tecnici: è una «general contractor», ovvero gestisce lavori edili per conto terzi, che affida ad altre piccole e grandi ditte.
    Nell'elenco di quelle notificate alla Asl fiorentina dal coordinatore della sicurezza, e citate nell'ultima comunicazione telematica che risale all'8 febbraio, si contano 61 nomi: sono tutte imprese che hanno operato in via Mariti. Alcune sono grandi aziende come la Vangi che fa movimento terra, la Rdb di Pescara, colosso specializzato nella realizzazione di prefabbricati per grandi superfici di vendita, ma ci sono anche tante piccole ditte individuali, molte con titolari stranieri. Tra quelle più piccole figurano anche la Go Costruzioni di Villongo, nella Bergamasca, la Ojkos di Bergamo e la Pavindustria Technology di Palazzolo sull'Oglio, nel Bresciano ai confini con la provincia di Bergamo. Proprio il paese che ora piange quattro tra gli operai morti nella tragedia.
  2. Incongruenze negli orari e l'ispezione nel carcere: tutte le bugie di Mosca
    Il sospetto dell'avvelenamento "Sono sintomi da Novichock"

    jacopo iacoboni
    Le versioni su come è morto Alexey Navalny si moltiplicano. E siamo ad appena due giorni dai fatti. Il giorno dopo la morte la versione data a caldo dal servizio penitenziario, e poi variamente amplificata dalla propaganda di regime – malore e caduta durante la passeggiata, e susseguente trombo-embolia – è già clamorosamente caduta. Chiamiamola versione 1.
    Rimpiazzata da versione 2: se possibile ancora più vaga. Ieri mattina alla madre di Navalny, Ljudmila Navalnaya, e all'avvocato Vasily Dubkov, alla colonia penale Ik-3 è stato detto che la causa della morte del dissidente più famoso di Russia è stata una «sindrome della morte improvvisa».
    Tuttavia a un altro avvocato di Navalny, quando si è presentato al comitato investigativo di Salekhard, è stata fornita anche una versione 3: «La causa della morte non è stata stabilita, è stato effettuato un nuovo esame istologico» – ha riferito Kira Yarmysh, la portavoce del Team Navalny. Secondo la versione 3, le cause della morte non erano state accertate, quindi la salma non poteva essere consegnata alla famiglia finché non fossero stati completati gli accertamenti. Pazienza se, riferisce sempre Yarmiysh, un'ora prima lo stesso dipartimento aveva detto agli avvocati che «il controllo è stato completato, non è stato riscontrato alcun crimine». Chiamiamola versione 4.
    Navalny fa paura al Cremlino anche da morto. Lyudmila Navalnaya e l'avvocato Dubkov ieri mattina sono andati nella colonia nel villaggio di Kharp. Un impiegato del carcere ha detto loro che il corpo di Navalny era stato portato via da dipendenti del comitato investigativo, per ripetere degli «esami» a Salekhard. A quel punto madre di Navalny e avvocato sono andati all'obitorio di Salekhard. Era chiuso, hanno telefonato al numero che c'era scritto e il dipendente ha riferito di non aver ricevuto la salma. «Mentono letteralmente ogni volta», osserva amara Yarmysh.
    La "sindrome della morte improvvisa", non significa nulla. Apre uno scenario inquietante: con una diagnosi del genere, spiega il medico anestesista-rianimatore Alexander Polupan, che curò Navalny dopo l'avvelenamento in Siberia nell'agosto 2020, Navalny non poteva prima sentirsi male e poi perdere conoscenza, come invece sosteneva il primo comunicato del Servizio penitenziario federale: «In caso di morte improvvisa, il paziente perde conoscenza all'istante». La Commissione investigativa può trattenere il corpo anche un mese, in caso di «ripetizione della perizia», spiega l'avvocato di Ovd-info Eva Levenberg.
    Il Cremlino non può consentire un funerale di Navalny prima delle elezioni. Parlando in linea generale con Agentsvo, il collettivo indipendente di Roman Badanin, Polupan spiega che la «sindrome della morte immediata» potrebbe essere stata osservata in caso di avvelenamento con veleno della classe Novichok: «Speculativamente – dice il medico - possiamo dire che in casi di avvelenamento da Novichok riusciti accadrà la stessa cosa, proprio arresto cardiaco».
    Se Navalny ha avuto un malore durante una passeggiata, l'ora della morte non può che essere la mattina prestissimo (non certo le 14,17, come scritto nei referto): nella prigione "Lupo polare" di Kharp – a 100 chilometri da Vorkuta, le cui miniere di carbone facevano parte del sistema dei gulag sovietici - per chi è in punizione è possibile camminare all'esterno in uno stretto cortile di cemento solo alle 6,30 del mattino, a -30°, spiegò lo stesso Navalny. I detenuti in condizioni normali possono camminare «dopo pranzo, e anche se in questo momento c'è la notte polare, dopo pranzo fa più caldo di diversi gradi», spiegò Navalny. Un prigioniero dello stesso carcere di Navalny ha detto a Novaya Gazeta che la morte di Navalny è diventata nota alle 10 di mattina locali. E che la sera prima c'era nella colonia un'agitazione come se stesse succedendo qualcosa. La mattina presto c'è stata un'ispezione totale del carcere.
    Christo Grozev, il giornalista che, assieme al team Navalny, smascherò la squadra del Fsb che avvelenò il dissidente nell'agosto 2020, lo dice sarcasticamente: «Il Cremlino non riesce nemmeno a spiegare bene la sua storia. L'annuncio iniziale era «coagulo di sangue». Poi è stato cambiato in «sconosciuto» e il corpo è stato inviato per «ripetere la perizia».
  3. Alexey ha scelto di morire come Gesù la lotta ai corrotti era la sua missione"
    Iegor Gran
    È morto come Gesù, in un supplizio lento, quasi in una vertigine mistica che è il rovescio della vertigine di potere di Vladimir Putin. Per spiegare il destino e la fine di Aleksey Navalny bisogna immergersi nell'abisso della Russia sapendo che comunque ci risulterà incomprensibile. Proviamo ad ascoltare Iegor Gran, figlio di quella Russia dalla quale è scappato nel 1973 con suo papà, Andrej Sinjavskij, espulso dopo sei anni di Gulag per attività antisovietica insieme a Julij Daniel', nel primo processo storico ai dissidenti. Due letterati che non si sognavano nemmeno di rovesciare il potere, semmai di deriderlo, almeno un po'. Iegor ha oggi 60 anni, da cinquanta vive a Parigi, è diventato scrittore, pubblica libri sempre attraversati da uno spietato sarcasmo. L'ultimo edito in Italia da Einaudi si intitola Gli uffici competenti ed è il racconto a tratti irresistibile della sua infanzia a Mosca, in una casa controllata dal Kgb.
    Monsieur Gran, come ha reagito alla morte di Navalny?
    «Non è stata una sorpresa, l'obiettivo di Putin era di ammazzarlo a fuoco lento. Non ha funzionato perché hanno esagerato con le torture. Le sue condizioni di detenzione erano estreme, ha fatto più di trecento giorni d'isolamento in locali non riscaldati, in pieno inverno, l'hanno messo in cella con persone malate e sporche, ha vissuto in un livello di igiene deprecabile. Non sapremo mai cos'è successo in queste ultime ore, magari è stato picchiato dai guardiani o gli hanno buttato addosso qualcosa. Ma tutto questo è una sconfitta in più per Putin».
    Cosa voleva ottenere il Cremlino dal prigioniero Navalny?
    «Trasmettere paura e togliere le illusioni a tutti quelli che avessero l'ambizione di Navalny e cioè di contestare il regime al potere. Per questa ragione doveva durare ancora un po'. L'immagine di uno che muore a poco a poco doveva avere un effetto dissuasivo. A loro serviva di più vivo, ma inoffensivo un po' come ha fatto Giulio Cesare con Vercingetorige, messo in gabbia e mostrato al popolo prima dell'esecuzione».
    Che effetto può avere la sua morte sull'opinione pubblica russa?
    «Marginale. Molti russi lo detestavano, soprattutto in provincia, purtroppo non è mai riuscito a mobilitare intorno alla sua causa, se non nel milieu intellettuale di Mosca o San Pietroburgo. Ma al di là di questo la sua influenza era nulla. Il suo smacco è stato evidente quando è tornato in Russia dopo l'avvelenamento, e si è trovato abbandonato da tutti o quasi. Umiliato, un po' come Gesù sulla croce. Può sembrare un parallelo forzato, ma è così».
    Perché è tornato? Non poteva rimanere a Berlino e di lì continuare la campagna contro Putin?
    «Perché era un uomo molto coraggioso e poi perché era sfuggito alla morte, aveva messo un piede nell'aldilà e il fatto di essersi salvato miracolosamente gli aveva forse dato il sentimento di avere una missione quasi divina da realizzare. Ma ha sovrastimato la voglia dei russi di battere la corruzione che invece per loro non è mai stato un problema».
    Perché le denunce di Navalny cadevano nel vuoto?
    «Molto semplicemente perché tutta la Russia è corrotta, dal livello più basso a quello più elevato. Le persone più semplici pensano che se non ci fosse la corruzione non riuscirebbero nemmeno a farsi visitare dal medico. È paradossale e anche triste ma in Russia la corruzione è un modo di salire nella scala sociale. E ognuno pensa che se un giorno avrà i mezzi corromperà qualcuno che può aiutarlo ed è disponibile a farsi corrompere: non è una vergogna. Non dico per tutti, ma per la maggioranza è così».
    Che differenza c'è tra Navalny e i dissidenti degli anni Settanta, della generazione di suo padre?
    «Colossale perché Navalny era un uomo politico, che aveva un programma politico e conduceva una battaglia politica. Gli oppositori dell'età di mio padre no, non aveano un partito e nemmeno dei simpatizzanti, nessuno ha mai stampato manifesti per Solženicyn o per Sinjavskij. Solo una volta nel dicembre 1965 c'è stata una piccola manifestazione in piazza Puškin a Mosca, qualcosa di spontaneo senza pretese politiche, ma solo la richiesta di accedere all'aula dove si stava svolgendo a porte chiuse il processo contro mio padre e Julij Daniel'. I manifestanti non avevano un programma politico, anche se forse avrebbero voluto vedere la caduta di quel potere».
    Le Izvestije, il principale giornale russo, nell'edizione online, ancora ieri sera non davano notizia della morte di Navalny, ma riportava l'ultimo sondaggio elettorale secondo cui Putin ha un gradimento del 79 per cento. È realistico? Non ci sarà nessuna sorpresa nelle elezioni di metà marzo?
    «Ma no, le elezioni in Russia sono una farsa, e anche se fossero vere non cambierebbe niente perché il sostegno a Putin è molto forte soprattutto in Provincia. L'amministrazione presidenziale deciderà quale sarà la percentuale, ma non cambierà nulla al fatto che i russi, oggi, sostengono Putin e la sua guerra in Ucraina».
    Tutti "zombi" come scrive lei nel suo ultimo libro?
    «Eh sì, contrariamente a quello che molti credono, la maggior parte degli zombi sono delle persone per bene».
  4.  Rivelazioni del New York Times: flusso calato del 15%, operazione di intelligence sofisticata
    Israele dietro i gasdotti saltati in aria La nuova strategia per fermare l'Iran

    fabiana magrì
    tel aviv
    Si alzano i toni tra Israele e Iran, con un avvertimento che segna un cambio di passo e una nuova frontiera nella guerra ombra tra i due nemici assoluti. L'ha scritto il New York Times nel riportare i misteriosi attacchi (l'ultimo è stato registrato giovedì), che nell'ultima settimana hanno colpito e danneggiato due gasdotti che servono le principali città iraniane. Anche Teheran e Isfahan. Le operazioni, come di prassi in questa arena, non sono state rivendicate da Israele. Ma ad attribuirle allo Stato ebraico con ragionevole certezza sono stati due funzionari occidentali e un comandante affiliato alle Guardie rivoluzionarie, citati dal quotidiano statunitense.
    Secondo diverse fonti, i sabotaggi - forti esplosioni ma nessuna vittima - avrebbero interrotto il flusso di energia e gas verso intere province, con un impatto sul 15% della produzione giornaliera nazionale di gas naturale e una ricaduta su milioni di persone. «L'effetto - ha detto al Nyt Homayoun Falakshahi, analista senior delle materie prime per Kpler, punto di riferimento per l'intelligence commerciale globale - è stato molto alto perché si tratta di due condutture significative che vanno da Sud a Nord. Non abbiamo mai visto nulla di simile in scala e portata».
    Di diverso parere il ministro del petrolio Javad Owji che, interrogato dai media locali venerdì, ha commentato che «il piano del nemico era interrompere completamente il flusso di gas in inverno in diverse grandi città e province del nostro Paese», con un potenziale impatto sulla popolazione civile, sulle industrie e le fabbriche, ma «le squadre tecniche del ministero avevano lavorato 24 ore su 24» per risolvere l'emergenza, l'interruzione era stata minima e il servizio presto ripristinato.
    Il dato davvero rilevante resta quello della valenza simbolica di attacchi le cui dinamiche restano da chiarire - con droni, esplosivi applicati alle tubature o altri mezzi - ma dimostrano una profonda conoscenza delle infrastrutture sul territorio, un preciso coordinamento e la partecipazione di collaboratori dall'interno, per studiare dove, come e quando colpire. Le guardie - ha spiegato la fonte anonima vicino ai Guardiani della rivoluzione - controllano le loro aree di competenza ogni poche ore. Quindi chi ha eseguito l'attacco doveva essere a conoscenza dei passaggi, dei turni e delle pause. Questi ultimi sabotaggi, in diversi punti lungo due principali gasdotti nelle province di Fars e Chahar Mahal Bakhtiari, dimostrano, secondo l'analista Shahin Modarres sentito dal New York Times, che «le reti segrete che operano in Iran hanno ampliato la loro lista di obiettivi. È una grande sfida e un duro colpo per la reputazione delle agenzie di intelligence e sicurezza iraniane».
    Siti militari e nucleari della Repubblica islamica sono da tempo nel mirino di Israele, così come scienziati che partecipano allo sviluppo del programma nucleare e comandanti, raggiunti con attacchi mirati sia in patria sia all'estero. Recentemente i servizi segreti israeliani hanno ucciso due alti comandanti iraniani in Siria. E in passato l'intelligence ha messo a segno sabotaggi informatici su server statali, causando il caos nelle stazioni di servizio in tutto il territorio.
    Sempre venerdì, nel suo primo briefing con la stampa estera dall'inizio della guerra a Gaza, il ministro israeliano della Difesa Yoav Gallant aveva ribadito che in ciascuno dei sette fronti su cui è impegnato Israele - Gaza, Libano, Cisgiordania, Siria, Iraq, Yemen e Iran - si possono riconoscere idee, soldi, intelligence, know-how e armamenti che fanno capo al regime degli ayatollah, definito «la fonte del caos nella regione». Sebbene l'Iran neghi ufficialmente un coinvolto diretto nell'attacco di Hamas del 7 ottobre, il suo ruolo nell'addestramento e nel rifornimento di armi e munizioni alle fazioni palestinesi nella Striscia è emerso e continua a emergere da prove raccolte dall'esercito israeliano mentre continua l'avanzata nell'enclave. L'Iran sostiene e arma anche gli altri suoi alleati - gli Houthi in Yemen, Hezbollah in Libano e le milizie in Iraq e Siria - che stanno conducendo operazioni di appoggio a Hamas e di disturbo contro Israele e Stati Uniti.

 

 

 

 

17.02.24
  1. E MORTO L'ENNESIMO MARTIRE DEL DIAVOLO  PUTIN :  Ci sono così tante cose che non quadrano, anche nell'atto finale e tragico della morte (o assassinio) di Navalny - e il regime che lo fa morire è così opaco e tirannico - che farne l'elenco risulterà inevitabilmente provvisorio, oltre che vano. Il servizio penitenziario russo annuncia che il prigioniero Alexey Navalny è morto ieri mattina quaranta miglia a Nord del Circolo polare Artico, nella regione Yamalo-Nenets, in una colonia penale di massima sicurezza. Anche la moglie Yulia, pur sottolineando che di nulla si può essere certi e che il regime di Putin mente sempre, dice che «Putin pagherà, sarà punito». Navalny aveva 47 anni. Stava scontando la sua condanna - su accuse completamente inventate dal Cremlino - in condizioni carcerarie oltre i limiti della tortura, che spingono il presidente americano Joe Biden a dire che la Russia e Putin personalmente «è responsabile della sua morte».
    La ricostruzione delle modalità della sua morte sarà inevitabilmente faticosa e lacunosa: fermo restando che il responsabile appare immediatamente chiaro a tutti. Il sistema penitenziario russo ieri mattina ha emesso un comunicato che recita così: «Oggi nella colonia correzionale n. 3, Navalny A. A. dopo la passeggiata si è sentito male e ha perso conoscenza. Gli operatori sanitari dell'istituto sono arrivati immediatamente ed è stata chiamata un'équipe medica di emergenza. Sono state eseguite tutte le misure di rianimazione necessarie, ma non hanno dato risultati positivi. I medici del pronto soccorso hanno confermato la morte del condannato. Le cause della morte sono in fase di accertamento». La propaganda russa ha cominciato immediatamente a diffondere la tesi dell'embolia. E il primo commento ufficiale del Cremlino è stato offerto da Dmitry Peskov, il portavoce di Putin, per il quale il problema è stato solo specificare che «non sono necessarie indicazioni particolari del Cremlino», che «le cause della morte saranno accertate dai medici», e che il presidente russo Vladimir Putin era stato informato della morte di Navalny.
    Ma appunto: Alexander Polupanov, un medico che ha curato Navalny dopo l'avvelenamento nel 2020, ha chiaramente spiegato a Novaya Gazeta che «è impossibile confermare si sia trattato di tromboembolia, perché non è stata eseguita un'autopsia». Anna Kartenikova, ex analista del Servizio penitenziario federale di Mosca, alla luce della sua esperienza ha commentato così: «Embolia polmonare è utilizzata dai medici carcerari in senso lato. (...) Una diagnosi così universale, difficile da dimostrare… E questo fa alquanto comodo. Il paziente è morto per problemi ai reni o al fegato? Andiamo, l'hanno fatto. Trombo, morte improvvisa».
    Poi c'è Putin. Che è apparso quasi garrulo, negli istanti successivi alla morte. Farida Rustamova, una delle più stimate e brave giornaliste russe, da anni la più attenta cremlinologa in giro, ha postato una foto presa da uno screenshot della trasmissione ufficiale del Cremlino, che ritrae ieri mattina - durante un meeting con gli studenti di Chelyabinsk - un «Vladimir Putin di ottimo umore dopo essere stato informato della morte di Navalny». Putin che si rifiutava anche solo di nominare Navalny: lo chiamò il "paziente berlinese" mentre veniva curato e salvato a Berlino su interessamento personale di Angela Merkel, all'indomani dell'avvelenamento in Siberia avvenuto da parte dei servizi russi del Fsb .
    Molto sospetti sono poi gli orari dei comunicati ufficiali russi. Il canale telegram russo VChK-Ogpu ha fatto notare che il comunicato stampa del Servizio penitenziario che annunciava la morte di Navalny è stato pubblicato alle ore 14.19 locali, letteralmente due minuti dopo l'ora ufficiale del decesso nei referti (14,17). Qualcosa che è totalmente non credibile, «le autorità non agiscono mai così rapidamente, soprattutto quando si tratta della morte dei prigionieri». Il che apre la strada ad almeno due domande, uno: che Navalny sia morto diverse ore prima? E due, come stava al momento della morte?
    Certamente proprio questa settimana, il 14 febbraio, Navalny era finito in una cella di punizione per la ventisettesima volta. Ma tutti quelli che sono entrati in qualche modo in contatto recente con lui, dagli avvocati ai membri del suo team, a sua madre Ljudmila, riferiscono che stava relativamente bene, almeno fino a lunedì, ovviamente per quanto si possa stare bene nelle terribili condizioni di tortura, freddo e malnutrizione in cui veniva segregato. E anche il corrispondente di Sota il 15 febbraio lo ha visto sorridere in un video-collegamento dalla prigione col tribunale regionale. Il dubbio è che sia stato liquidato, o ci sia stata un'accelerazione palese di pratiche che l'hanno condotto alla morte.
    Dmitry Muratov, il premio Nobel direttore di Novaya Gazeta, il giornale di Anna Politkovskaya, un'altra celeberrima assassinata durante il regime putiniano (con Boris Nemtsov, una trimurti di martiri della libertà di Putin), ci ha spiegato senza mezzi termini che «la pena di Navalny è stata integrata dall'omicidio».
    Nel documentario "Navalny" di Daniel Roher viene chiesto a un certo punto a Navalny quale messaggio voleva lasciare nel caso in cui venisse ammazzato dal Cremlino. La sua risposta, con un sorriso luminoso, fu: «Non arrendetevi».
  2. ANGELINO ALFANO IL COMMITTENTE PER ESSELUNGA: Silenzio. E in questo silenzio che, alle cinque di sera, regna davanti allo squarcio nel corpo di quello che un giorno diventerà un supermercato, si alza soltanto la voce di una donna: «Assassini. Assassini». Lo urla con rabbia e va via. E chi è lì a guardare attraverso quella ferita nel muro l'enorme trave di cemento, spezzata e piegata su se stessa, in una forma innaturale, annuisce, ma non replica.
    Via Filippo Mariti: quartiere Novoli di Firenze. In quello che un tempo era il Panificio Militare, sorgerà un supermercato Esselunga. I lavori vanno avanti da mesi. L'impresa appaltatrice è la Aep, Attività edilizie pavesi, ma dentro l'area recintata lavorano almeno una quindicina di aziende in subappalto. Alle 8,52 di ieri Luigi, il pompista, l'operaio che regge il tubo da cui esce il getto di cemento, che formerà la soletta, era in piedi sulle lastre prefabbricate. Con la pompa in mano: stavano posando il calcestruzzo sull'angolo più esterno del cantiere, verso via Mariti. Alle 8,52, quella trave che adesso vedi dallo squarcio, s'è sganciata dal supporto. Una grossa porzione della struttura ha vibrato per qualche secondo. Poi è collassata la zona su cui stavano facendo i lavori. E crollando ha sfondato un piano, poi un altro e un altro ancora. Tutto giù, uno strato sull'altro. Giù, giù, fin sottoterra dove un giorno, quando il supermercato sarà finito, ci saranno i posteggi. E ha trascinato con sé gli uomini che stavano livellando il calcestruzzo e quelli completavano altre opere nei piani più bassi. Luigi l'hanno trovato quasi subito. Morto. Altri tre operai, sono rimasti feriti, e adesso sono in ospedale. Alle otto di sera il resto della squadra (almeno tre persone) è ancora sepolta da metri di lastre di cemento prefabbricato, putrelle spezzate, tondini d'acciaio schizzati fuori dalle armature. Altri due, fin dal mattino, già vengono indicati come morti. E gli altri? Sono lì, da qualche parte. E se siano miracolosamente sopravvissuti, o se anche per loro, ormai, non si può far altro che pregare, si saprà quando i pompieri riusciranno a calarsi, a smuovere le macerie, portare soccorso o raccogliere i corpi. Sono, cioè, in quello che gli operai dai calzoni sporchi di cemento e le scarpe antinfortunistiche imbrattate di fango, al bar dall'altra parte della piazza, chiamano "l'inferno".
    Alle 9,24 di ieri Gionni Desiato, il capocantiere dell'impresa che ha in appalto soltanto i lavori di sistemazione dell'area attorno al futuro centro commerciale, ha ricevuto una telefonata da uno dei suoi uomini. «Gridava che era venuto giù un pezzo dell'edificio. E che era crollata un pezzo di parete esterno, sfiorando il furgone scuolabus, fermo lì vicino» racconta. E sembra di sentirle le sue grida. Che sono le stesse degli operai che urlavano i nomi dei colleghi, due tre minuti dopo il crollo, quando la polvere sollevata dal cemento spezzato, ha iniziato a diradarsi. «Gli ho detto di transennare la strada. E di chiamare i soccorsi» ripete. Ma c'erano già le sirene. I curiosi, il traffico impazzito.
    No, questo non è soltanto un incidente sul lavoro. Questo è una sciagura che ferisce Firenze, perché è capitata a pochi passi dal centro. Perché, dodici ore dopo quello sfracello, non si sa ancora quante siano davvero le vittime. Ed è per questo che ieri mattina in decine di fabbriche della zona gli operai hanno incrociato le braccia fino a mezzogiorno. «Hanno compreso la gravità di quel che era accaduto, hanno smesso di lavorare sono usciti in modo spontaneo» dice Bernardo Marasco, il segretario della Cgil fiorentina. Lo spiega dopo la manifestazione davanti alla Prefettura, alla quale hanno partecipato tutte le sigle sindacali. «Non si può morire di lavoro». Ma, come dice Marasco: «Non è nemmeno accettabile che nei cantieri spesso non si abbia certezza di nulla. Nemmeno di quante sono le persone». E questo è il tema della sicurezza nell'edilizia. «Sulla quale dobbiamo ragionare in modo organico. Ma dopo che i contorni di questa sciagura saranno compresi».
    Già, i contorni. Ma prima c'è tantissimo altro da fare. Accendono le fotocellule i vigili del fuoco arrivati da mezza regione per continuare anche col buio a rovistare tra le macere. Adoperano fonometri per individuare rumori anche deboli-deboli che possano dare speranza di qualche vita da salvare. Usano i cani. I sistemi video a microfibre per esplorare - senza provocare altri crolli - lo spazio attraverso quello shanghai di travi, putrelle e lastre, incastrate, accartocciate e sospese. Le termocamere, quelle che riescono a leggere variazioni di calore, qui non bastano. Bisogna fare di più. Correre rischi, in questa corsa contro il tempo per salvare – se possibile – ancora una vita. «Si va avanti ad oltranza» dice Luca Cari, l'unico dei Vigili del fuoco autorizzato a parlare. E «oltranza» vuol dire che, anche adesso che è buio, ci sono pompieri che s'infilano lì sotto. Respiri affannati che arrivano via radio da sottoterra: «Da qui non si passa…».
    Giù davanti alla Prefettura, invece, si dibatte ancora di sicurezza. Di sciagure sul lavoro. Il sindaco Dario Nardella, in viaggio in Terra Santa, annulla gli appuntamenti e annuncia l'immediato rientro in città. Il Comune cancella tutti gli eventi in programma per oggi e domani e dichiara il lutto cittadino. I sindacati mettono in cantiere scioperi. E intanto la Procura della Repubblica apre un fascicolo, per ora senza indagati, ipotizzando il crollo colposo e l'omicidio colposo. Ma prima di tutto bisogna chiarire perché è capitato tutto questo. E le tesi sono tante. Un difetto nelle putrelle prefabbricate? Un errore di manovra dei mezzi di cantiere? Oppure tutto è riconducibile alla fretta di concludere i lavori, e far partire gli interventi di rifinitura? Nessuno si sbilancia. «Ma la vulgata generale è che l'impresa appaltatrice abbia dato un'accelerata» dicono i sindacati. Vero? Falso? «C'era più gente in questo periodo nell'area delle costruzioni. Lo abbiamo notato anche noi. Ci sono stati mesi complicati prima, adesso stavano andando molto veloci» spiega Gionni Desiato. Ma dipende da quello? «Soltanto Dio lo sa».
  3. L'ex presidente americano Donald Trump è stato condannato a versare 354,9 milioni di dollari nel processo civile a New York per aver gonfiato il valore degli asset della Trump Organization, la holding di famiglia.
    Il giudice Arthur Engoron lo ha anche bandito per tre anni dal ricoprire incarichi operativi in qualsiasi azienda newyorchese. La causa era stata portata avanti dalla procuratrice, democratica, Letitia James. Aveva accusato la società della famiglia Trump di aver creato valori fittizi per accedere più facilmente al credito e alle assicurazioni.
    Trump ha sempre negato qualsiasi responsabilità. Anche i due figli Donald jr ed Eric sono stati inibiti per due anni da incarichi all'interno di compagnie a New York, oltre a dover pagare un'ulteriore multa da quattro milioni di dollari. Trump e la Trump Organization fra l'altro non potranno, per tre anni, accedere ad alcuna formula di prestito da società finanziarie di New York. La sentenza è giunta dopo tre mesi di dibattimento

 

16.02.24
  1. Il rapporto di Banca d'Italia
    Il debito pubblico sale a 2.863 miliardi Cresce ancora il fabbisogno dello Stato
    Il debito pubblico italiano è cresciuto di 105,3 miliardi di euro nel 2023. Fino a toccare quota 2.862,8 miliardi, il massimo storico. La fotografia immortalata dalla Banca d'Italia mette in evidenza quanto il fabbisogno del Paese abbia influito su tale risultato. Circa 89 miliardi sono a carico di una maggiore richiesta degli enti centrali. Nell'anno in cui si sono trasmessi in pieno i rialzi dei tassi d'interesse della Banca centrale europea (Bce), l'Italia ha registrato un marcato incremento, in valori assoluti, dell'indebitamento.
    A fine 2021 era a quota 2.678 miliardi di euro, l'anno dopo si è sfondata la soglia dei 2.700 per 57 miliardi. Nell'anno appena chiuso l'ulteriore salita, sempre più a ridosso dei 3.000 miliardi. L'incremento di oltre 100 miliardi rappresenta un rischio, e un costo, per il Paese. Primo, perché appesantisce i conti pubblici nazionali riducendo i margini operativi del governo. Secondo, perché complica la gestione del debito nei confronti degli investitori istituzionali e delle controparti europee.
    Secondo i dati di Banca d'Italia, su base annua è calata di quasi due punti percentuali la quota di debito detenuta da Palazzo Koch, in linea con la riduzione degli acquisti da parte della Bce. Allo stesso tempo, in mano ai piccoli risparmiatori c'è circa il 13% dell'intero ammontare. Un valore che non sono è salito negli ultimi cinque anni, ma che è destinato a crescere ancora. Non a caso, il Tesoro ha già comunicato di voler spingere sulle emissioni retail, come il Btp Valore, nel corso dell'anno corrente.
  2. contrari i consiglieri di italia viva
    Roma, cittadinanza onoraria a Assange L'appello della moglie: "Rischia la vita"
    Con 27 voti favorevoli e due contrari, l'Assemblea capitolina ha concesso ieri la cittadinanza onoraria di Roma a Julian Assange, il giornalista australiano di WikiLeaks in carcere nel Regno Unito per aver pubblicato file riservati del governo americano. E che aspetta per martedì prossimo l'udienza dell'Alta corte in cui si deciderà se concedere o meno il suo trasferimento negli Usa: «Morirà se verrà estradato negli Stati Uniti, la sua salute sta peggiorando, fisicamente e mentalmente, la sua vita è in pericolo ogni singolo giorno trascorso in carcere», l'appello disperato lanciato ieri in una conferenza stampa a Londra dalla moglie Stella.
    «Finalmente ce l'abbiamo fatta», il commento soddisfatto della ex sindaca della capitale, Virginia Raggi, dopo l'approvazione della delibera che concede la cittadinanza, «adesso Gualtieri convochi la moglie di Assange, per conferirle l'onorificenza». A favore anche il Pd: «Concedergli la cittadinanza significa rafforzare il contributo arrivato già a gran voce da tutto il mondo», scrive in una nota il gruppo consigliare dem del Campidoglio.
    Di opinione diversa i due consiglieri di Italia viva, che hanno votato contro l'iniziativa, perché «quella di Assange è una vicenda dai contorni opachi, ancora da definire dal punto di vista giudiziario» e le sue azioni «hanno messo a repentaglio la sicurezza e la vita di molti»
  3. Si finge pentito per uccidere la pm antimafia Il piano fallisce
    lecce
    Ha finto di collaborare con la Giustizia per uccidere un magistrato. Pancrazio Carrino, 42 anni, aveva preso di mira Carmen Ruggiero, la pm della Dda di Lecce che aveva ottenuto il suo arresto assieme a quello di altri 21 personaggi. Un'indagine sulla Sacra Corona Unita e il clan «Lamendola-Cantanna», chiusa con l'operazione dei carabinieri «The Wolf» nel luglio del 2023.
    Nell'ordinanza di custodia cautelare firmata dalla gip Maria Francesca Mariano, oltre che alle vicende mafiose il nome di Carrino era accostato a una vicenda di violenza sessuale. Nessuna accusa, ma abbastanza da far infuriare l'uomo, che ha finto di voler collaborare con la Giustizia per trovarsi faccia a faccia con la pm. Voleva «tagliarle la giugulare senza essere bloccato», ha poi spiegato. A sventare l'agguato in carcere è stato un tenente dei carabinieri, che gli ha tolto di mano il pezzo di ceramica che Carrino voleva usare come un coltello.

 

 

15.02.24
  1. EDOARDO L'AVEVA AVVISATA NEL 1997:  Gli avvocati di John Elkann replicano alle accuse mosse in sede penale dalla madre: «Le accuse di violazioni fiscali sono insussistenti». Margherita Agnelli risponde a stretto giro di posta: «Non abbiamo nulla da nascondere». Poi l'ammissione: obiettivo dell'azione giudiziaria della figlia dell'Avvocato è «la tutela di tutti i propri figli», vale a dire non solo dei tre avuti nel primo matrimonio con Alain Elkann ma anche gli altri cinque avuti con il secondo marito, Serge de Pahlen. L'esposto penale, fanno però osservare i legali di John Elkann, «è l'ultimo di una serie di iniziative giudiziarie che Margherita ha esercitato da ormai vent'anni in Italia e all'estero» e che «non hanno avuto riconoscimento in alcuna sede giurisdizionale, sia essa penale o civile».
    Tutto nasce dal patto successorio sottoscritto all'indomani della morte dell'Avvocato, nel marzo 2004, negli uffici del notaio Marocco a Torino. Patto tombale in cui Margherita rinunciava per sempre alla sua quota della società Dicembre, quella del ramo di Gianni Agnelli che comprende il pacchetto di controllo della Fiat, ottenendo in cambio beni e denaro per un valore complessivo di 1,2 miliardi di euro. Nei mesi successivi però Margherita ricevette una parte di quelle somme da un trust lussemburghese che, a suo dire, non era compreso nella somma dei beni che costituivano l'asse ereditario. Dopo qualche tempo Margherita iniziò così una serie di cause legali con due obiettivi: rendere nullo il patto successorio che lei stessa aveva firmato e ottenere più denaro sostenendo che ci fossero altre somme oltre a quelle che erano state oggetto della divisione ereditaria.
    Per rendere nullo il patto successorio Margherita ha sostenuto nel corso degli anni di essere stata indotta a firmarlo approfittando del suo momento di debolezza al momento della morte del padre. In seconda battuta sostenendo che il patto non era valido perché non conforme alla legge italiana. Il nodo su cui si stanno scontrando in sede civile è quello della nazionalità di Marella Agnelli. La madre di Margherita aveva potuto cedere le sue quote al nipote John perché Marella era di nazionalità svizzera e la legge di successione svizzera consente il salto di una generazione nella trasmissione di eredità anche quando il cedente sia ancora in vita. Ciò che la legge italiana, al contrario, non consente. Da qui la lunga querelle sulla nazionalità di Marella Agnelli, se avesse titolo alla cittadinanza svizzera o no. Querelle che gli avvocati di Margherita hanno ora portato in sede penale accusando John Elkann, il commercialista Gianluca Ferrero e il notaio svizzero Urs von Grunigen di aver firmato documenti falsi che confermavano la nazionalità svizzera di Marella.
    La vicenda, iniziata con l'obiettivo di dare a Margherita una quota della stanza dei bottoni di Exor (la finanziaria degli Agnelli che guida anche il gruppo Gedi), si è presto trasformata in una querelle ereditaria sull'ammontare delle somme che spettano alla figlia dell'Avvocato. Querelle che è proseguita negli anni senza esclusione di colpi e di denunce tra familiari. «In sintesi – scrivono i legali di Elkann – c'è una mamma che perseguita da più di vent'anni, in tutte le sedi giudiziarie, facendo anche ampia pubblicità sulla stampa, i suoi genitori e tre dei suoi figli che non hanno altra responsabilità se non quella di essere stati gli unici ad aver assicurato alla nonna cura, assistenza e dedizione fino all'ultimo giorno». Parole durissime per la scelta stessa di averle rese pubbliche. In questo quadro di scontro familiare, proseguono i legali di John Elkann, «l'assunzione della qualità di indagato ha dunque ben scarso significato e anche dal punto di vista tecnico non costituisce neppure un carico pendente». Gli stessi avvocati insinuano poi che la scelta di Margherita Agnelli di sconfessare il patto successorio che aveva firmato avvenne quando la figlia dell'Avvocato si accorse che l'azienda, sull'orlo del fallimento nel 2004, si era ripresa e tornava a produrre utili e dividendi. «Si ripone – concludono i legali di Elkann – la massima fiducia nel lavoro degli inquirenti che non potrà che confermare la verità dei fatti». Nella replica i legali di Margherita Agnelli negano che l'Avvocato e la moglie Marella abbiano mai scritto in un testamento che Margherita e i suoi discendenti dovessero essere estromessi da quella parte di asse ereditario a lei mai rendicontato». Con ciò confermando che il nocciolo della questione è la presunta esistenza di un patrimonio non reso noto al momento della successione di cui Margherita vuole la sua parte. —
  2. Accordo con elon musk per la connessione ad alta velocità
    Tel Aviv: sì all'uso di Starlink nella Striscia
    Il ministro delle Comunicazioni israeliano, Shlomo Karhi, ha approvato l'utilizzo del servizio Starlink di Elon Musk nella Striscia di Gaza. Lo annuncia lo stesso Karhi sui social. «Il ministro delle Comunicazioni israeliano e i rappresentanti di Starlink hanno raggiunto un accordo sul servizio Starlink nella Striscia di Gaza», si legge in una nota, «le autorità di sicurezza israeliane hanno approvato la fornitura di servizi Starlink presso l'ospedale da campo degli Emirati Arabi Uniti che opera a Rafah. Le connessioni ad alta velocità a bassa latenza di Starlink consentiranno di effettuare videoconferenze con altri ospedali e di effettuare diagnosi a distanza in tempo reale».
    «Le unità nella Striscia di Gaza a sostegno di cause umanitarie saranno approvate individualmente, solo dopo che le forze di sicurezza israeliane avranno confermato che si tratta di un'entità autorizzata senza rischi o possibilità di mettere in pericolo la sicurezza nazionale», ha precisato il ministro israeliano.
  3. Ok Commissione Covid, FdI evoca condanne Opposizioni dure, Speranza: "Squadrismo"
    Finale nel caos per l'Aula della Camera, che dà il via libera all'istituzione di una commissione di inchiesta sul Covid, proposta voluta inizialmente da Italia viva e poi fatta propria da FdI. L'ultima dichiarazione di voto, quella della FdI Alice Buonguerrieri, scatena la bagarre, con il presidente di turno Fabio Rampelli che deve sospendere la seduta per alcuni minuti. A far infuriare il centrosinistra sono le frasi della deputata che parla di «sentenze di condanna», grazie alle quali «siamo potuti venire a conoscenza di atti e documenti» sulla gestione della pandemia da Covid. Le opposizioni (che, tranne Iv, hanno votato contro) insorgono. Volano parole grosse, anche contro Galeazzo Bignami ("Meglio che ti vesti da nazista che da cogl... come sei..."). Duro Speranza: «Ho sentito un intervento su Conte e Speranza, quello è un intervento squadrista». La commissione nasce con 132 sì, 86 no e un astenuto

 

 

 

14.02.24
  1. ORA CHI INTERVIENE ?       Pinerolo, il sindaco Salvai comunica gli importi incassati: 5 milioni e 390 mila, la terza voce dopo Imu e Tari
    "Sì, il Comune fa cassa con il velox ma sostiene i costi di mense e asili"
    antonio giaimo
    Il cartello stradale per chi si lascia alla spalle l'autostrada Torino Pinerolo e imbocca la tangenziale è di quelli che non si può affermare di non aver visto: su fondo blu con scritta bianca, accanto al limite dei 90 allora e dell'icona del vigile urbano, si legge: «Attenzione tratto soggetto a controllo elettronico della velocità». Da quel punto c'è un chilometro di strada prima che le telecamere catturino l'immagine di chi forse per disattenzione ha superato il limite. Quello che accade dopo è un film dal finale scontato, spiega Federico Battel, comandante della polizia locale: «Dalla targa si risale al proprietario dell'auto, viene notificato un verbale, se si è superato di poco il limite la multa è di 56 euro e se si paga entro 5 giorni la sanzione viene ridotta del 30%. Se però si superano i 10 km la multa sale a 173 euro con la detrazione di tre punti dalla patente».
    E benché ormai siano anni che in quel punto della circonvallazione di Pinerolo, teatro in passato di incidenti mortali, ci sono le telecamere, sono veramente tanti gli automobilisti che commettono questa infrazione del codice della strada.
    Il sindaco, Luca Salvai, per dare una risposta ai soliti post che sui social bollano il Comune affermando che si finanzia con le multe, esce allo scoperto, nella sala di rappresentanza non solo comunica gli importi incassati, e quindi la cifra che ha messo a bilancio, ma aggiunge: «Con le multe il Comune fa cassa. Se Fleximan ci abbattesse l'autovelox addio alle luci di Natale e agli eventi che sosteniamo ogni anno e non basta, perché saremmo costretti anche ad aumentare le tasse e salirebbero le tariffe degli asili e le mense».
    Quando entra nel dettaglio e proietta una slide si vede che la cifra iniziale messa a bilancio per le multe dell'autovelox è di quelle importanti: 5 milioni e 390mila, che nel capitolo delle entrate del Comune di Pinerolo viene subito sotto gli 8 milioni e 500 mila dell'Imu e gli 8 milioni e 274 mila della Tari, gli incassi delle multe sarebbero quindi poco superiori ai 4 milioni dell' Irpef.
    Ma sotto a questa cifra corroborante per le casse comunali si aggiungono una serie di altri importi che portano il segno meno, prosegue Salvai: «Ci sono 751 mila euro fra le spese di gestione dell'autovelox e quelle di riscossione, quindi scendiamo a 4 milioni e 638 mila euro, ma non basta, dobbiamo tener conto del fatto che, siccome l'autovelox è su una strada della Città metropolitana, il 50% degli incassi vanno a loro per interventi di sicurezza stradale. Insomma dalla cifra iniziale, detratta la quota che dobbiamo mettere a bilancio per far fronte ai casi di dubbia esigibilità, che è del 43%, il Comune potrà contare su un milione e 160 mila euro».
    Ma non è solo l'autovelox a contribuire alla voce entrate, ci sono anche le multe che vengono fatte in centro, un milione e mezzo di euro, e anche in questo caso come per l'autovelox circa il 50% degli incassi deve essere destinato ad interventi sulla sicurezza stradale. Ricorda Mario Gatta, presidente della Globalconsumatori a cui si sono rivolti alcuni automobilisti per intentare un ricorso: «Certamente il codice della strada deve essere rispettato, ma anche i Comuni devono rispettare le procedure quando installano gli autovelox ed accertarsi che siano omologati».

 

 

 

 
13.02.24
  1. Israele vieta l'ingresso alla relatrice Onu "Nega che il 7 ottobre è un atto antisemita"
    Israele ha deciso di negare l'ingresso nel Paese a Francesca Albanese, relatrice speciale del Consiglio dei diritti umani dell'Onu. La decisione, hanno fatto sapere i ministeri degli Esteri e degli Interni, è legata «alle sue oltraggiosi affermazioni che "le vittime del massacro del 7 ottobre non sono state uccise perché ebree, ma in risposta all'oppressione israeliana"». Non è la prima volta che Albanese e lo Stato ebraico si scontrano. «Il divieto di ingresso da parte di Israele non è una novità - ha replicato la funzionaria Onu -. Israele ha negato l'ingresso a tutti i relatori specialidal 2008. Ciò non deve diventare una distrazione dalle atrocità di Israele a Gaza, che stanno raggiungendo un nuovo livello di orrore a Rafah». —

 

 

12.02.24
  1. UN MIO ERRORE LA VISITA A GIANNI AGNELLI IN OSPEDALE A MONACO:   Un patrimonio estero mai quantificato: forse, “l’altro” (e vero?) patrimonio di Gianni Agnelli. Da aggiungere, a detta di sua figlia Margherita, a quello dichiarato in Italia e che sarebbe stato sottratto ai suoi diritti: attribuendolo a lungo alla madre Marella e tenendolo al sicuro in società offshore.
    Potrebbe diventare questa la pista più inaspettata, capace di svilupparsi dall’inchiesta aperta dalla Procura di Torino per reati fiscali e che vede indagati il presidente di Stellantis e ad di Exor, John Elkann, oltre al commercialista della famiglia, Gianluca Ferrero e al notaio svizzero, Urs von Grunigen.
    In attesa di vedere che cosa troveranno i pm […], le notizie più concrete su quei presunti paradisi fiscali arrivano proprio dalla causa civile avviata il 6 ottobre 2022 a Torino sull’eredità di Marella Caracciolo Agnelli, vedova dell’Avvocato, che contrappone Margherita ai figli John, Lapo e Ginevra Elkann […]
    NELLE MEMORIE di quel dibattimento, sono per paradosso gli stessi avvocati dei fratelli Elkann, Luca Re ed Eugenio Barcellona, a riconoscere l’esistenza di un patrimonio estero di Agnelli. Ma che cosa hanno scritto i due legali? Un passaggio volutamente sarcastico, per sminuire le tesi di Margherita: l’esistenza del patrimonio estero sarebbe dunque un “segreto di Pulcinella” e non una “scoperta straordinaria”. Un patrimonio, aggiungono, “che non era stato dichiarato al fisco italiano”: “Quali fossero le ragioni di questa mancata dichiarazione... non è affatto rilevante in questa sede”.
    Che cosa hanno scoperto, invece, gli investigatori privati di Margherita? Sedici società offshore, tutte nelle Isole Vergini Britanniche e con relativi conti in Svizzera presso la Morgan Stanley Ag di Zurigo. Alcune cessate da tempo, molte costituite con Gianni Agnelli ancora in vita, altre create subito dopo la morte e, infine, in buona parte riconducibili a Marella Caracciolo.
    Per dodici di esse è stato possibile raccogliere solo i dati sull’anno di costituzione (tutte nel 1998) e le denominazioni. Perlopiù in lingua inglese o spagnola e dichiarate come riconducibili a “members of Agnelli family”. Molto più dettagliate, al contrario, le informazioni sulle altre cinque: riferibili ogni volta a Marella Caracciolo e, in un caso, con un patrimonio che sfiora il miliardo di dollari.
    Ecco dunque la Budeena Consulting Inc., costituita il 12 luglio 2004, con beneficiaria la vedova dell’Avvocato che avrebbe ricevuto “questi beni derivanti da patrimoni degli Agnelli”. È stata anche ricostruita una “cassa” di almeno 900 milioni di dollari.
    Tocca poi alla Layton S.A.B.V.I., il cui conto di riferimento svizzero era stato chiuso nel 2003. In due comunicazioni postume, nel 2006, Marella era indicata come beneficiaria.
    Centrale, in questa ricostruzione, è poi la Silkestone Invest Corporation B.V.: attivata il 4 gennaio 2000, con conto sempre a Zurigo. Una comunicazione del 15 marzo 2007 confermava che la beneficiaria era la madre di Margherita.
    Fu dal conto svizzero di Silkestone che vennero trasferiti alla figlia, dopo l’accordo “transattivo” del 2004 sull’eredità del padre, 109 milioni di euro come parte della sua liquidazione.
    LA FIGLIA del “Signor Fiat” chiese chi avesse ordinato quel pagamento, ma la risposta fu lapidaria: “Il titolare del conto ci consiglia di non rispondere a questa domanda”. Strategica è anche la Fima Finance Management Inc., domiciliata presso la Dragon Consulting Ag (cessata nel 2017).
    Quando i legali dell ’epoca di Margherita chiesero il 13 luglio 2007 a Morgan Stanley Zurigo se esistessero conti riferibili all’Avvocato, scattò uno strano cortocircuito: sette giorni dopo, la banca replicò dicendo che “Giovanni Agnelli è sconosciuto a questo istituto”.
    L’8 novembre successivo, invece, la stessa banca, interrogata su Fima, affermava che “beneficiario” era stato proprio l’Avvocato. In realtà, nel 2004 e prima degli accordi ereditari tra madre e figlia, quel ruolo in Fima era già passato a Marella Caracciolo. Una galassia offshore, dunque: ma quanto denaro ha “conservato” o ancora “conserva”?

 

 

 

11.02.24
  1. outlook negativo
    Moody's declassa lo Stato ebraico "Rating da A1 a A2"
    Moody's taglia il rating di Israele da A1 a A2, con outlook negativo.
    Il downgrade è legato alla guerra che aumenta i rischi politici per lo Stato ebraico e ne indebolisce le istituzioni. «Al momento non c'è accordo per mettere fine alle ostilità e manca un piano che possa ripristinare ed eventualmente rafforzare la sicurezza in Israele», sottolinea Moody's. Benjamin Netanyahu ha replicato che l'economia «è forte
  2. Alla Mole 150 invitati per il compleanno del politico VIETTI  CAPO DELLA LOGGIA UNGHERIA ?. Gli amici: "Sarai il prossimo sindaco". Lui: "Al massimo il vice di Favaro"
    Da Marilyn Monroe a Gene Gnocchi I 70 anni di Vietti diventano uno show
    miriam massone
    Il compleanno per i 70 anni di Michele Vietti potrebbe ricordare un party alla Jep Gambardella, un po' Grande Bellezza e un po' Costa Smeralda ormeggiata a Sanremo in questi giorni di festival. Le paillettes ci sono, le décolleté e i gemelli pure, e poi i camerieri in guanti, anche un ospite in tabarro nero, i vini giusti e i candelabri, la dance Anni 70, lo show dei comici, i sorrisi bianchi, la "riccanza" dell'Impresa, conquistata più che ereditata, e quella consapevolezza di aver raggiunto l'età per cui non si può più "perdere tempo a fare cose che non mi va di fare". Ma se quella di Jep era una Roma sfrontata e un po' cafona, questa è la sobria, elegante e sabauda Torino (neh). Un dettaglio? L'ora dell'appuntamento: 20,20. Location: non una terrazza vista Mole, ma la terrazza della Mole (il museo si può affittare per eventi speciali a 12 mila euro). Parola d'ordine: "Con l'allegria e le risate, vengano pure le vecchie rughe", Shakespeare. Si vola alto. I regali? Donazioni al fondo Talea Compagnia di San Paolo. I 150 invitati sfilano puntuali: «Nessuna defezione - conferma commosso Vietti, politico, ex vicepresidente del Csm, oggi professore alla Lumsa - Io non sarei quello che sono senza di voi. Amici, siete il mio dono più bello». C'è il gotha dell'industria, da Giorgio Marsiaj a Marco Gay, ci sono Dario Gallina, Guido Bolatto e Vincenzo Ilotte. E ancora, Paola Gribaudo ed Elisa Giordano. Giulio Biino, l'ex rettore Guido Saracco, Fulvio Gianaria, l'attrice Sara D'Amario (scatenata in balli da Pulp Fiction), Giovanni Quaglia, Gianluca Vignale, dal mondo del vino Bruno Ceretto e Lamberto Vallarino Gancia, da quello della sanità Carlo Picco e Giovanni Muto. Il generale della Finanza Benedetto Lipari, la vicesindaca Michela Favaro. E il presidente Alberto Cirio.
    La serata è un luna park. Si sale con l'ascensore panoramico, poi la foto come sul red carpet, quindi la cena nella sala del Tempio, tra i mostri pop di Tim Burton e i memorabilia. I posti non sono assegnati, ci si siede per affinità elettive. Accanto al festeggiato ci sono, ad esempio, il prefetto Donato Cafagna, il ministro Pichetto Fratin e il "padrone di casa", il presidente del museo Enzo Ghigo che porta in dote un regalo da cinema, letteralmente: sul maxi schermo scorrono spezzoni dei film preferiti da Vietti, si inizia con 2001 Odissea nello spazio e si finisce con Pretty Woman.
    Charlie Gnocchi («Ho conosciuto Michele 25 anni fa in una pizzeria di Roma: ha una simpatia innata») tiene il ritmo, tra i ravioli ai carciofi e la guancia di manzo (il catering è firmato Stratta), il fratello Gene spunta prima della torta e per 10 minuti si ride: «Volevano un comico stasera, doveva arrivare Toninelli ma è in tournée con il suo spettacolo "Il tunnel del Brennero"». Passa anche Piero Chiambretti, ma è alla Mole per altro.
    Il festeggiato è luminoso. Canta Vecchio frack di Modugno, lui che indossa le bretelle («Sono in tinta»). Poi Marilyn Monroe in video intona Happy Birthday mister president. È l'ora del discorso. Vietti sfila dalla tasca un biglietto con gli appunti. È un dejavu. Nell'ultimo compleanno della "Torino che conta" il bigliettino è diventato simbolo di un tragico epilogo: l'incipit del Segre-Seymandi gate. Ma qui Love is in the air, canta Paul Young. Ed è vero. «Sei l'amore della mia vita», dice Vietti alla moglie, il notaio Caterina Bima. E ai figli di lei, Edoardo e Ludovica riserva parole bellissime, si dice felice poi che ci siano anche i suoi, di figli, Piero e Maria Margherita. Caterina lo bacia - «Tu non hai le rughe» gli dice - e lo omaggia di un divertente pullover verde con la scritta "I'm not a boomer". Lui si presta, ironico. Musica, maestro. Prima, un selfie: «Sarai il futuro sindaco di Torino» gli dice Gnocchi. Ma Vietti scappa: «Giammai! Per carità! Al massimo farei il vice di Favaro».

 

 

 

 

 

10.02.24
  1. Il test della Naf: le batterie alla prova delle basse temperature
    Le elettriche e il gelo le auto cinesi vincono la sfida norvegese
    Mattia Eccheli
    Con appena 33 chilometri di percorrenza in meno rispetto a quella dichiarata, la Gran Turismo di lusso cinese HiPHi Z – 5,2 metri di lunghezza – è l'auto elettrica che soffre meno le basse temperature, almeno in termini di autonomia. I chilometri dichiarati dalla casa sono 555, quelli effettivamente percorsi lo scorso gennaio sono stati 522: la discrepanza è appena del 5,9%.
    Certo, non è un'auto economica (almeno 105 mila euro), ma a quanto pare in termini di efficienza è valida. Lo ha attestato la Norges Automobil-Forbund (Naf), l'associazione degli automobilisti della Norvegia, che sottopone periodicamente a test nel ciclo reale le vetture a zero emissioni che si possono acquistare nel paese.
    Tutte vengono guidate lo stesso giorno, lungo il medesimo percorso e nelle medesime condizioni (tra -2 e -10 gradi di temperatura) con una singola carica. Le prove, indubbiamente empiriche e tuttavia confrontabili, sembrano dimostrare quanto le tecnologie cinesi siano all'avanguardia. Considerando lo scostamento percentuale, la metà dei modelli che compaiono nella Top 10 arrivano dalla Repubblica Popolare: diventano addirittura sei se si include il Suv britannico da 5,1 metri Eletre, terza assoluta, della Lotus, uno dei marchi controllati dalla Geely, la multinazionale dell'auto del Regno di Mezzo.
    Il veicolo d'Oltremanica sarebbe quarto per numero di chilometri "persi" (65, 465 contro i 530 dichiarati), ma percentualmente cede il 12,3% invece del 12% della Bmw i5, seconda con 61 km in meno (444 invece di 505). Nemmeno la vettura tedesca è alla portata di tutte le tasche: non meno di 75 mila euro per 5,06 metri di lunghezza. È sopra i 5 metri anche la Kia EV9, offerta a partire da 72.500 e promessa con 505 km di autonomia, mentre nei test si è fermata a 442 (-12,5%).
    Poi, nell'ordine, tre auto cinesi: il Suv da 4,89 metri Xpeng G9 (poco sotto i 60.000 euro di listino) e il Suv EL6 e la berlina ET5 della NIO, che percorrono 73 e 79 km in meno rispetto a quelli dichiarati.
    I tre modelli del Celeste Impero cedono percentualmente il 13,1, il 13,8 e il 14,1%. In ottava e nona posizione, ci sono altri due modelli tedeschi premium da circa 84.000 euro e da poco meno e poco più di 4,9 metri di lunghezza: i Suv Mercedes Eqe e la Audi Q8 e-Tron Sportback. Una vettura cinese chiude la Top 10: è la più piccola (4,3 metri) fra le "migliori". Si tratta della BYD Dolphin (35.500 euro) per la quale è stato rilevato il 20,6% di autonomia in meno (339 km invece dei 427 annunciati).
    Alcuni fra i modelli più compatti e i marchi generalisti non sono riusciti a raggiungere gli stessi valori. La Hyundai Kona (113 km in meno con una perdita del 24,9% dell'autonomia) o la Jeep Avenger (-27,6% con 286 km percorsi rispetto ai 395 omologati) o la Opel Astra (117 chilometri "sfumati", -28,3%).
    Per 5 modelli è stata accertata una flessione attorno al 30% con un picco del 32% per la Toyota bZ4X. Gli altri sono la Tesla Model 3 (441 km invece di 629, -29,9%), la Polestar 2 Long Range (-30% pari a 184 km percorsi in meno), la Volvo C40 (-31%, 395 km anziché 572) e Volkswagen ID.7, che con 194 chilometri coperti in meno (-31,9% su 608) è la vettura che cede più percorrenza in assoluto. Test analoghi sono stati effettuati in altri paesi con risultati in alcuni casi ancora peggiori (oltre il 50% di autonomia in meno). —

 

 

09.02.24
  1. LA GUERRA DEL GAS :  Lettera di uno studio legale americano che difende alcune Ong palestinesi contro Israele
    Licenza per il giacimento di gas a Gaza Eni diffidata assieme ad altre compagnie
    GERUSALEMME
    L'Eni e altre società petrolifere, hanno ricevuto una diffida da uno studio legale che difende alcune Ong palestinesi, d'intraprendere attività di esplorazione nelle zone marittime dinanzi alla striscia di Gaza.
    L'azienda petrolifera italiana, assieme alla inglese Dana Petroleum (controllata dalla South Korea National Petroleum Company) e Ratio Petroleum (una società israeliana), ha ottenuto lo scorso 29 ottobre dal ministero dell'Energia israeliano una licenza per esplorare la ricerca di gas naturale nello spazio di mare antistante l'enclave, unico sbocco al mare palestinese, che secondo gli accordi di Oslo, Ramallah controlla fino a 20 miglia nautiche dalla costa. Il progetto rientra nel quarto round di offerte offshore e riguarda l'esplorazione della "zona G". Questa è un'area il cui 62% rientra nei confini marittimi dichiarati dallo Stato di Palestina nel 2019, «in conformità con le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos) del 1982, di cui la Palestina è firmataria», come si legge nel comunicato delle Ong che si sono rivolte allo studio legale americano Foley Hoag Llp. Israele non fa parte dell'Unclos, ma ha risposto alle obiezioni sostenendo che, poiché non riconosce la Palestina come Stato sovrano, la stessa non può dichiarare i propri confini marittimi, secondo il principio che solo gli Stati sovrani hanno il diritto alle zone marittime.
    La cosa, secondo i legali, è in contrasto con il diritto internazionale. La questione dello Stato palestinese è controversa. Nel 1974 la risoluzione 3236 dell'assemblea generale dell'Onu riconosce ai palestinesi il diritto a uno Stato proprio. Quattordici anni dopo, nel novembre 1988, l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina proclamò la nascita dello Stato palestinese. Oggi sono 139 su 193 gli stati membri dell'Onu che riconoscono la Palestina come Stato. L'Italia, come Stati Uniti, Spagna, Inghilterra, ovviamente Israele e altri, non ancora.
    Per il diritto internazionale, Israele è potenza occupante della Palestina, e controlla le sue aree marittime. Per i legali, la pubblicazione della gara (Israele ha pubblicato anche bandi per zone H ed E che pure inglobano aree marittime palestinesi) e la concessione delle licenze, violano anche il diritto internazionale umanitario, annettendo "de facto e de jure" delle aree marittime palestinesi. Le Ong Adalah, Al Haq, Al Mezan e Pchr, hanno scritto pochi giorni fa al ministro dell'energia israeliano, chiedendo di revocare gare e licenze e di bloccare lo sfruttamento delle aree palestinesi, ricordando che «l'esplorazione e lo sfruttamento del gas nelle aree marittime della Palestina violano palesemente il diritto fondamentale del popolo palestinese all'autodeterminazione».
    Hanno anche notificato alle compagnie petrolifere, tra le quali l'Eni, che procedere nell'esplorazione le rende complici di saccheggio e quindi di crimini di guerra che, considerando la causa in corso dinanzi alla Corte internazionale di Giustizia dell'Aja, potrebbe coinvolgerli. Lo scorso 17 gennaio, intervistato da La Stampa, Seyed Hossein Mousavian, ex capo del comitato relazioni estere per la sicurezza nazionale di Teheran aveva riferito che dietro la guerra a Gaza c'erano interessi economici da parte di Israele, riprendendo anche uno studio condotto dall'Unctad (Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo) secondo cui «l'occupazione israeliana continua a impedire ai palestinesi di sviluppare i propri giacimenti energetici in modo da sfruttare e trarre vantaggio da tali risorse». Raggiunto al telefono da La Stampa, il portavoce dell'Eni non ha voluto commentare la notizia.
  2. Indagati il figlio John Elkann, il commercialista Ferrero e il notaio svizzero Von Gruenigen per il suo ruolo di esecutore testamentario
    Eredità Agnelli, esposto di Margherita la procura di Torino apre un'inchiesta

    giuseppe legato
    torino
    Ci sono tre indagati per presunti reati tributari – precisamente dichiarazione infedele - nell'ambito di un'inchiesta avviata dal pool reati economici della procura di Torino, guidata dal procuratore aggiunto Marco Gianoglio, che ieri ha portato militari della Guardia di finanza a diverse acquisizioni di documenti a Torino e in Svizzera nello studio dell'avvocato Urs Robert Von Gruenigen. Quest'ultimo è uno degli «iscritti» per l'ipotesi di reato di natura fiscale. Insieme a lui figura in concorso il commercialista Gianluca Ferrero, attuale presidente della Juventus. L'ultimo indagato è John Elkann amministratore delegato di Exor che - sempre secondo le ipotesi degli inquirenti - avrebbe agevolato la condotta mendace del commercialista.
    Von Gruenigen come esecutore testamentario incaricato dal tribunale elvetico di amministrare l'eredità di Donna Marella e Ferrero come professionista - secondo l'ipotesi formulata dai magistrati - sarebbero coloro che materialmente non avrebbero fatto figurare nelle dichiarazioni dei redditi 2018 e 2019 in favore di Marella Agnelli, moglie dell'avvocato Gianni Agnelli, deceduta il 23 febbraio 2019, circa 8 milioni di euro sui quali - sempre secondo la procura di Torino - sarebbero sostanzialmente state evase le tasse dovute al Fisco italiano. Una cifra che si aggira attorno ai 200 mila euro.
    L'inchiesta - che al momento è in una fase di garanzia per gli indagati - è nata nei mesi scorsi dopo che - pressappoco nella primavera del 2023 - l'avvocato Dario Trevisan del Foro di Milano, legale di fiducia di Margherita Agnelli de Pahlen, figlia di Gianni e Marella Agnelli e mamma di John, Ginevra e Lapo, Elkann - ha depositato a Torino un esposto in procura. Tra le diverse vicende portate all'attenzione dei magistrati del capoluogo piemontese Mario Bendoni (lo stesso che ha indagato sui bilanci della Juventus) e Delia Boschetto, sostituti organici al pool reati economici, vi era una corresponsione di denaro – regolarmente tracciata e non segreta - fatta da Margherita alla madre Marella e maturata sulla scorta di accordi transattivi e del patto successorio a loro volta legati al testamento dell'Avvocato in base ai quali Margherita avrebbe ottenuto 1,3 miliardi di euro (il suo patrimonio – secondo alcune recenti stime - complessivo si attesterebbe attorno ai 3 miliardi). Si tratterebbe di 500 mila euro annui versati dal 2004, dalla figlia alla madre, a titolo di vitalizio, per una cifra complessiva di 8 milioni di euro circa. Da lì, dall'ipotesi denunciata da Margherita di presunte irregolarità fiscali su quella somma, sono partiti gli accertamenti degli inquirenti che adesso sollevano contestazioni di garanzia. Una disfida dunque all'interno della famiglia avulsa da interessi societari su Juventus, Stellantis e qualsiasi altra realtà imprenditoriale. Da tempo, Margherita Agnelli sostiene che la madre avrebbe trascorso in Italia gran parte del suo tempo, negli ultimi anni della sua vita e che la residenza in Svizzera fosse sostanzialmente fittizia, mentre gli avvocati dei tre fratelli hanno sempre obiettato come la questione dovrebbe essere discussa in Svizzera, paese in cui Marella aveva la residenza e viveva ormai da 40 anni. —

 

08.02.24
  1. UN MODELLO CHE LA MELONI NON VUOLE CONDIVIDERE:


(ANSA) - TOKYO, 07 FEB - A poche settimane dall'apertura del primo impianto in Giappone, la Taiwan Semiconductor (Tsmc) ha annunciato che avvierà la costruzione della sua seconda fabbrica nel Paese, anche questa nella prefettura di Kumamoto, a sud-ovest dell'arcipelago. L'inizio dei lavori è previsto entro la fine di quest'anno, ha reso noto il maggiore produttore al mondo di chip, con l'apertura attesa entro la fine del 2027. Tra gli investitori ci saranno ancora una volta la Toyota, che deterrà una quota di partecipazione di circa il 2%, insieme a Sony Semiconductor Solutions e al produttore nipponico di componenti auto Denso.


L'azienda taiwanese ha dichiarato che l'investimento complessivo supererà i 20 miliardi di dollari, con il contributo del governo di Tokyo che supererà di poco i 3,2 miliardi di dollari. I due nuovi impianti combinati creeranno impieghi per oltre 3.400 lavoratori altamente qualificati, rivela Tsmc, e produrranno semiconduttori per una vasta gamma di applicazioni, compresi quelli per il settore automotive, e chips con dimensioni che variano da 40 a 6 nanometri.

Separatamente l'esecutivo nipponico ha deciso di fornire assistenza finanziaria alla fabbrica di chip giapponesi Rapidus, nella prefettura settentrionale di Hokkaido e all'azienda statunitense Micron Technology, nella prefettura di Hiroshima. Il ministro dell'Economia e dell'Industria, Ken Saito, ha dichiarato durante una conferenza stampa che ci si aspetta una "crescita significativa" nel mercato dei chip di memoria, e che la produzione di chip attraverso la collaborazione con gli Stati Uniti ha una "grande importanza" dal punto di vista della sicurezza economica.

  1. GLI AGRICOLTORI VOGLIONO LA LICENZA DI  UCCIDERCI ?  In Italia usate 400 sostanze
    Secondo i dati contenuti nel rapporto del Wwf del 2022, "Pesticidi: una pandemia silenziosa", l'Italia è il sesto maggior utilizzatore al mondo di pesticidi con 114.000 tonnellate l'anno di circa 400 sostanze diverse. A livello globale, nel 2019 sono state utilizzate circa 4,2 milioni di tonnellate (0,6 chilogrammi a persona) con un incremento previsto di circa 3,5 milioni di tonnellate. Boscalid, Fludioxonil, Metalaxil, Imidacloprid, Captan, Cyprodinil e Chlorpyrifos sono i pesticidi più diffusi negli alimenti campionati in Italia. Il Chlorpyrifos è un principio attivo definito non sicuro dall'Efsa (l'Autorità europea per la sicurezza alimentare) nel 2021. A questo gruppo appartiene anche il glifosato, erbicida autorizzato in Europa, il più utilizzato in Italia ma che il produttore ha recentemente deciso di ritirare dal mercato Usa. Un'indagine condotta da Legambiente ha rilevato che solo l'1,3% dei campioni di frutta, verdura, prodotti animali e trasformati era fuorilegge, ossia supera la quota massima di residuo consentita di queste sostanze, spesso sospettate di essere cancerogene. Ma il 34% degli alimenti presentava uno o più residui. Percentuale che sale al 40,2% nella frutta, scende all'8,7% nei prodotti trasformati e risale al 14,8% nelle verdure, mentre è assolutamente residuale nella carne, così come nel latte. Le cose vanno un po' meno bene per le uova, dato che il 5% risulta essere contaminato dall'insetticida fipronil, che può dare problemi solo se ingerito a forti dosaggi. Promossi a pieni voti invece i prodotti biologici tra i quali nessuno è risultato essere sopra le soglie consentite dalla legge, mentre residui sono stati rintracciati appena nel 2,5% del campione.
  2. Rischi di tumori e leucemie gravi
    160%
    I PERICOLI

    Diciamolo subito in premessa: rischi per la salute dell'uomo esistono solo quando i residui dei pesticidi negli alimenti superano, spesso anche di un bel po', i limiti consentiti dalla legge. E questo succede fortunatamente di rado. Anche se è più difficile valutarne gli effetti quando, come sembra essere nel 18% dei casi, si è esposti a un cocktail di fitofarmaci, sia pure a piccole dosi. Un'indagine accurata sui pericoli per l'uomo, attraverso la raccolta di numerosi studi internazionali, l'ha condotta la sezione italiana dell'Isde, la Società dei medici per l'ambiente. Effetti che sono stati identificati in: diminuzione della fertilità maschile, danni alla tiroide, disturbi autoimmuni, diabete, deficit cognitivi e comportamentali, malattie neurodegenerative come il Parkinson, sviluppo puberale precoce.
    Vari studi evidenziano anche una correlazione tra esposizione a pesticidi e insorgenza dei tumori. Degli insidiosi linfomi Non-Hodgkin si è rilevato un incremento dei casi del 160% per esposizione all'insetticida lindano, del 25% per esposizione a cynazina e del 280% in caso ci si sia esposti al diserbante "acido-2,4-diclorofenossacetico".
    Rischi statisticamente significativi di leucemia sono stati riscontrati in 5 studi su 9, in due su due nel caso del mieloma multiplo. Per esposizione a Fonofos (utilizzato soprattutto nella semina) e a Methylbromide (utilizzato contro insetti e funghi) si è dimostrato un rischio significativo di cancro alla prostata anche fino a 3 volte l'atteso.
    Un'eccessiva esposizione ai pesticidi sembra avere una correlazione anche con l'insorgenza di tumori nell'infanzia, vista la loro più alta incidenza riscontrata in un'ampia coorte di figli di agricoltori americani.
  3. ERA ORA: L'Ue avvia la procedura contro l'Ungheria "L'ufficio per la sovranità va contro i diritti"
    Emanuele Bonini
    Bruxelles
    Stato di diritto e diritti fondamentali, l'Unione europea torna all'attacco dell'Ungheria di Viktor Orban, eccessiva nelle sue logiche di sovranismo. La legge che istituisce un ufficio per la difesa della sovranità «rischia di danneggiare seriamente la democrazia» nel Paese, spiega Anitta Hipper, portavoce della Commissione europea nell'annunciare l'avvio della procedura d'infrazione contro il Paese, il suo governo, e la sua maggioranza. Bruxelles boccia il dipartimento incaricato di indagare quello che fanno in Ungheria soggetti stranieri, soprattutto se svolte nell'interesse di un altro Stato o di un organismo, un'organizzazione o una persona fisica. C'è anche la questione legata alle consultazioni elettorali, perché l'ufficio al centro della contestata legge ungherese intende, secondo le intenzioni del legislatore nazionale, indagare sulle attività che utilizzano finanziamenti esteri sulla presunzione per cui questi soldi possono essere usati per influenzare l'esito delle elezioni o la volontà degli elettori.
    «La Commissione considera tutto questo contrario alla legislazione europea», taglia corto Hipper, che cita nello specifico la legge per la protezione dei dati personali, oltre al mancato rispetto dei diritti elettorali. Quest'ultimo aspetto consente l'apertura dell'infrazione per violazione dello Stato di diritto, ma non è l'unico elemento. Perché la procedura, si legge nella nota di accompagnamento alla decisione, la legislazione sarebbe anche contraria aòla libertà di espressione e di informazione, la libertà di associazione, il diritto al rispetto della vita privata e familiare.
    La Commissione europea ha agito con una celerità ad una legge adottata dal parlamento ungherese il 12 dicembre 2023 ed entrata in vigore il 22 dicembre 2023. Dopo neppure due mesi arriva la procedura d'infrazione, a riprova di quanto assicurato, non più tardi di due giorni fa (5 febbraio), dalla commissaria per i Servizi finanziari, Mairead McGuinness, nel corso del dibattito su Ilaria Salis nell'Aula del Parlamento europeo: «Non esiteremo ad avviare una procedura d'infrazione in caso di violazione del diritto unionale». Così è avvenuto nel caso in questione, e lo stesso potrebbe accadere per le condizioni carcerarie di Ilaria Salis, la maestra italiana accusata di aggressione a simpatizzanti di estrema destra a Budapest, per cui la procura ha chiesto 11 anni di carcere. Dopo le immagini dell'accusata in catene e con il guinzaglio nell'aula di tribunale di Budapest, l'esecutivo comunitario ha promesso le verifiche del caso.
    Il regime carcerario è competenza degli Stati membri, ma la carta dei diritti fondamentali prevede che nell'ambito del diritto dell'Unione europea le condizioni di detenzione non violini i diritti fondamentali. Inoltre tutti gli Stati membri dell'Ue sono tenuti, perché impegnati formalmente, a rispettare tutti i criteri in materia di dignità di trattamento dei carcerati definiti dal Consiglio d'Europa, organismo internazionale non Ue a cui i 27 aderiscono e con cui cooperano. Ci potrebbero dunque essere gli estremi di interventi e provvedimenti. L'Ungheria di Victor Orban resta un sorvegliato speciale, e l'infrazione di oggi lo dimostra una volta di più.
  4. Anche Borrell finisce nel rifugio antiaereo "La migliore garanzia è l'ingresso nell'Ue": TERZA GUERRA MONDIALE.
    giuseppe agliastro
    mosca
    Un'altra tremenda raffica di missili e droni si è abbattuta sull'Ucraina. Il bilancio ufficiale delle vittime al momento è di cinque morti e quasi 50 feriti, di cui almeno 40 nella sola Kiev, dove il raid ha lasciato temporaneamente senza energia elettrica diverse aree della città. Ed è sempre nella capitale ucraina che si registra il maggior numero di morti: le autorità denunciano che almeno quattro civili sono stati uccisi nel bombardamento a causa dei rottami di un missile che, precipitando, hanno colpito un palazzo di 18 piani provocando un terribile incendio. Un'altra persona sarebbe morta a Mikolayiv, nel sud dell'Ucraina, ma bombardamenti si registrano anche nelle regioni di Kharkiv, nel nord-est, Leopoli, nell'ovest, e Cherkasy, nel centro del Paese.
    Il capo di Stato maggiore dell'esercito ucraino Valery Zaluzhny sostiene che le truppe del Cremlino abbiano sparato 64 tra missili e droni e che la contraerea ne abbia abbattuti 44. Da parte sua, Mosca afferma di aver abbattuto sette missili e due droni ucraini sulla regione russa di Belgorod e che due civili siano rimasti feriti nella cittadina di Shebekino.
    A Kiev gli allarmi antiaerei hanno iniziato a suonare ancor prima che albeggiasse, costringendo la gente a correre nei rifugi e nelle stazioni della metropolitana. Anche Josep Borrell racconta di aver iniziato la giornata in un rifugio antiaereo. Il capo della diplomazia europea ha incontrato a Kiev il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, che è tornato a premere sull'Ue chiedendo «misure urgenti» per aumentare le forniture di proiettili d'artiglieria, e che poi - di fronte alle resistenze dei repubblicani negli Usa - ha anche definito "confusa" la situazione del sostegno americano all'Ucraina invasa dalle truppe russe. Ieri inoltre il Parlamento ucraino ha approvato in prima lettura (ma ne servono tre e le discussioni potrebbero andare avanti settimane) un progetto di legge oggetto di vivaci dibattiti (e di dure critiche da parte di alcuni politici) che mira a reclutare più soldati e prevede, tra le altre cose, di ridurre da 27 a 25 anni l'età minima alla quale si può essere richiamati sotto le armi.
  5. LA CARRIERA UNIVERSITARIA DI GIUSEPPE CONTE
    Dopo la laurea alla Sapienza in diritto privato (per vedere la tesi ci vuole l’autorizzazione dell’autore!), Conte non va a lavorare ma resta in università come Cultore della materia del suo prof. Giovanni Battista Ferri a Roma. È un ruolo che non prevede stipendio, a volte rimborsi della facoltà per somme modestissime. Dopo quattro anni, nel 1992-93 ottime una borsa del CNR. Seguono generiche “attività di ricerca” all’estero: Conte cita le università di Yale, la Sorbonne e la New York University, presso le cui biblioteche, comunque, Conte non lascia scritti.

    Nell’aprile 1998 Conte diventa ricercatore universitario alla Facoltà di Firenze. Non sono pubblici (ma dovrebbero esserlo, invece) i giudizi della Commissione visto che in dieci anni dalla laurea Conte ha prodotto due soli testi: “Il volontariato. Libertà dei privati e mediazione giuridica dello Stato” e "Matrimonio civile e teoria della simulazione" che sono stampate per il concorso (circolazione assente, senza Isbn oggi non sarebbero presentabili) e due articoletti di poche pagine (intitolati entrambi “Appunti...”) in testi che raccolgono autori diversi.


    Dopo due anni dalla nomina a ricercatore (circa 1.200 euro al mese di stipendio), si diventava, in genere, ricercatori confermati. Nel caso di Conte, invece, dopo due anni e due mesi, nel giugno del 2000, diventa già incredibilmente professore associato. La cosa è veramente incredibile perché nel biennio Conte pubblica solo "La simulazione del matrimonio nella teoria del negozio giuridico", 1999), riproposta del precedente libro utilizzato per il concorso da ricercatore.



    Inoltre, ha scritto sei commentini ad articoli del Codice (in genere diritto privato), di meno di una decina di pagine ciascuno, tre dei quali in volumi a cura di Guido Alpa (sono “Commentario al testo delle disposizioni...”, Padova 1998 e “I contratti in generale”, Torino, 1999, “Codice del consumo e del risparmio”, Milano 1999).
    Solo nel 2001, tredici anni dopo la laurea, Conte pubblicherà un vero e proprio libro, “Le regole della solidarietà”, Roma, 2001. Questo libro deve essere un capolavoro, sebbene non pare essere un best seller nell’indice delle citazioni che si usa (sistema discutibile) per valutare la ricaduta di un testo scientifico.



    Sta di fatto che basta questo per vincere l’idoneità a professore ordinario a Caserta nel luglio del 2002 con un concorso con commissario il prof. Guido Alpa (unica volta in cui Alpa risulta commissario in un concorso di ordinariato) presso il cui studio Conte lavora, a Roma: attesterebbe il fatto la lettera inviata congiuntamente il 29 gennaio 2002 dal Garante alla privacy agli avvocati “Alpa e Conte, viale Sardegna 38, Roma” e la targa sul campanello.

    In quel concorso gli idonei sono due: quello di sede, che entra in cattedra a Caserta e, appunto, Conte, che in quanto idoneo viene poi chiamato a Firenze. Tutto arci-italiano: passano il mio e il tuo candidato. Se non fosse che i 5 Stelle hanno preso i voti al grido di “onestà” e “meritocrazia” mentre l’art.51 del codice civile prevede, come da recente pronunciamento dell’Autorità Anticorruzione “che non deve esserci una collaborazione professionale”.

    L’Opac Sbn, il catalogo ove sono elencati tutte le pubblicazioni presenti nelle biblioteche del nostro Paese (quindi tutte le pubblicazioni contemporanee perché c’è l’obbligo di depositarle), alla voce Giuseppe Conte/diritto, ne enumera una miseria, e tutte successive a quando Conte era già stato messo in cattedra: abbiamo una monografia, “L’impresa responsabile” (Gioffrè), due a doppia firma con Guido Alpa (“La responsabilità di impresa” e “Diritti e libertà...”, ma la prima stampata da una tipografia romana), la cura, con altri, di un testo uscito in Germania (“Worterbuch...”) e cinque interventi in libri a cura di...

 

 

 

 

07.02.24
  1. L'Unrwa sotto la lente di una commissione
    Le Nazioni Unite hanno nominato ieri una commissione indipendente per valutare la neutralità dell'Unrwa nell'attacco di Hamas contro Israele il 7 ottobre. L'agenzia che si occupa dei profughi palestinesi è nel mirino dopo l'inchiesta che ha fatto emergere che 12 suoi dipendenti avrebbero partecipato in varie forme ai massacri del 7 ottobre.
    La commissione, nominata dal Segretario Generale Antonio Guterres (nella foto), sarà guidata dall'ex ministra francese Catherine Colonna in collaborazione con tre centri di ricerca (l'Istituto Raoul Wallenberg in Svezia, l'Istituto Chr. Michelsen in Norvegia e l'Istituto danese per i diritti umani), indica un comunicato dell'Onu. Nel rapporto finale la commissione dovrà, se necessario, sottoporre proposte per «migliorare i meccanismi in atto» per il funzionamento dell'organizzazione. La nomina della commissione è stata decisa in consultazione con il Commissario generale di Unrwa, Philippe Lazzarini, che ne aveva fatto richiesta: i compiti saranno di valutare se l'agenzia stia facendo tutto ciò che è in suo potere «per garantire la sua neutralità e per rispondere alle accuse di gravi violazioni in caso queste avvengano»

 

 

06.02.24
  1. Gabriele, manager licenziato da Invitalia, è accusato di corruzione e traffico di influenze. Sequestrati dalla Guardia di Finanza anche 230 mila euro
    Le tappe
    Arrestato il figlio dell'ex ministro Visco "Rete di relazioni al di fuori delle regole"
    Grazia Longo
    Roma
    Le mazzette chiamate «pasta» per ingannare l'orecchio investigativo, i contanti consegnati in una «cartellina o una busta azzurra», regali come un iPhone da 1.300 euro, fatture false per 230 mila euro spartiti con un avvocato amico con cui pagare «le rate della Bmw, la spesa, la farmacia, le toelette per il cane» e la ricerca di «amici politici per scalare i vertici di Invitalia».
    Nelle 67 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare della gip Maria Gaspari i reati di corruzione e di influenze illecite per l'appalto pilotato di una diga di oltre 4 milioni di euro vedono come deus ex machina Gabriele Visco, 51 anni, figlio dell'ex ministro Ds delle Finanze Vincenzo ed ex dirigente di Invitalia (Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa). È finito agli arresti domiciliari come è accaduto ai suoi tre presunti complici: l'avvocato romano Luca Leone e gli imprenditori Pierluigi Fioretti, ex consigliere comunale di Alleanza Nazionale in Campidoglio, e Claudio Favellato di Isernia, che lavora nel campo della costruzione di reti idriche, strade e sistemazioni idrauliche. È stato inoltre attivato un sequestro preventivo di 230 mila euro.
    L'inchiesta della procura di Roma, guidata da Francesco Lo Voi, si è sviluppata grazie alle indagini del Nucleo speciale polizia valutaria della Guardia di finanza, che ha scoperto «una rete di relazioni al di fuori delle regole». Secondo l'accusa Gabriele Visco avrebbe favorito Favellato, con la mediazione di Fioretti, a vincere la gara per la diga, e avrebbe cercato di far assumere il figlio di un suo amico in Invitalia (senza però centrare questo obiettivo) per cui si ipotizza il reato di traffico di influenze. Mentre per la falsa consulenza di Visco all'avvocato Leone, con cui si sarebbe diviso i soldi delle false fatture, si profila l'accusa di corruzione.
    Ecco allora l'ex dirigente di Invitalia rivendicare con ingordigia «maggiori e più concrete utilità da parte di Favellato». Intercettato mentre parla di lui con Fioretti gli chiede: «Ma mercoledì quello scemo lo vedemo? Ce porta a pasta? Ce porta a pasta». Visco punta anche a far carriera in Invitalia e chiede ai due imprenditori, che rivendicano «amicizie con politici» di aiutarlo nella crescita professionale. Fioretti e Favellato garantiscono di fare pressione in questa direzione e «vantano un rapporto con persone che lavorano a fianco del ministro Urso (viene fatto il nome di Federico Eichberg o sottosegretari come il senatore Claudio Barbaro) e con l'ex sindaco di Roma Gianni Alemanno». Tutte persone estranee all'inchiesta. E non si deve neppure escludere l'ipotesi che stessero millantando queste «amicizie».
    Lo scopo di Visco Jr è che i politici intervengano sull'amministratore delegato di Invitalia Bernardo Mattarella, nipote del Presidente della Repubblica, che non ha nulla a che fare con le indagini. Visco insiste molto su questo tasto: «Se potete fa' du' telefonate a qualcuno che alza il telefono, chiama il mio amministratore… guardate Gabriele è bravo». E fa capire che se non riesce a fare carriera «non riuscirà a essere funzionale agli interessi degli imprenditori». Infatti dice: «Perché sennò, se non riesco ad occuparmi… tutto quanto… io non riesco andà a fa' quello che interessa».
    I politici sono un chiodo fisso anche degli imprenditori. Fioretti, conversando con Favellato, in merito all'appalto vinto afferma: «Adesso abbiamo vinto quella cosa l'ho fatta, mi è sembrato che Rocca (presidente della Regione Lazio) era favorevole, mo' vediamo, lo sai com'è, all'inizio è sempre un po' un casino». Anche in questo caso va precisato che Rocca è estraneo alle indagini.
    La fame di tangenti di Gabriele Visco, secondo i magistrati, non si è fermata neppure dopo il licenziamento da parte di Invitalia, il 12 aprile 2023. L'ex manager affermava infatti: «Mo' riscuoterò tutti i crediti che c'ho da riscuotere in giro per carità... quello è il minimo». E quando termina il suo rapporto professionale Visco si preoccupa principalmente che non venga scoperta la falsa consulenza che aveva affidato all'amico avvocato Luca Leone. Ma in ufficio qualcuno sospettava: una collega intercettata definisce quella collaborazione come «una marchetta». Ci sono 19 «giroconti» riferiti ai prelievi su una carta tedesca comune a Visco e Leone, di cui quest'ultimo scrive su numerosi messaggi WhatsApp, mentre il primo li ha cancellati dal suo cellulare. — Chi è vicino all'ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco, 82 anni, lo definisce turbato e profondamente provato per l'arresto del figlio Gabriele. Al telefono rivela un mix di emozioni tra lo sconcerto di un padre e la capacità di mantenere i nervi saldi di un esperto uomo politico. Gentile, con la voce pacata, commenta in modo amaro quanto accaduto: «La notizia mi ha colto di sorpresa, non ho potuto parlare con mio figlio perché è ai domiciliari, ma soltanto con il suo avvocato che incontrerò di persona domani (oggi per chi legge, ndr). Al momento non abbiamo dettagli sui motivi all'origine dell'arresto».
    Ma lei si sente tranquillo? «No, non sono tranquillo perché quella dell'arresto è una notizia inattesa e impensabile».
    Vincenzo Visco è professore di Scienza delle Finanze. Ha insegnato presso le Università di Pisa, Luiss e Roma La Sapienza. È stato ministro delle Finanze dal 1996 al 2000 (governi: Prodi I, D'Alema I e D'Alema II; lo era già stato per pochi giorni soltanto nel 1993 con il governo Ciampi), Ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica dal 2000 al 2001 (governo Amato II) e vice ministro dell'Economia con delega alle Finanze dal 2006 al 2008 (governo Prodi II). La sua vita parlamentare è durata 25 anni e 7 legislature: entrò a Montecitorio nel 1983 come indipendente di sinistra (nelle liste del Pci). Venne rieletto nel 1987 e divenne componente della Commissione Finanze e Tesoro. È stato ministro delle Finanze del governo ombra di Achille Occhetto dal 1989 al 1992. Ha sostenuto la svolta della Bolognina che ha trasformato il Pci in Partito Democratico della Sinistra; con la nuova formazione politica Visco è stato eletto senatore nel 1992. Nel 1992 diviene membro della Direzione e coordinatore delle politiche economiche del Pds.
    Suo figlio Gabriele Visco è, invece, entrato in Invitalia dopo un'esperienza a Telecom nel luglio del 2007. Ha cominciato come semplice consulente per scalare in fretta i gradini e diventare in breve tempo dirigente della società partecipata, nel periodo in cui era guidata da Domenico Arcuri. La sua ascesa professionale ha scatenato non poche polemiche proprio a causa della parentela con il famoso padre. Infatti la Spa in cui ha lavorato fino allo scorso aprile - che si occupa di attrazione di investimenti e sviluppo d'impresa - è controllata dal dicastero di Via XX Settembre, dove all'epoca il padre Vincenzo ricopriva l'incarico di vice ministro.
    L'avvocato difensore di Visco Jr, Leo Mercurio, al momento preferisce non rilasciare commenti. Invitalia, invece, ha diffuso una nota in cui sottolinea: «Con riferimento alle vicende che chiamano in causa un ex dipendente, Invitalia precisa di aver cessato ogni rapporto di lavoro con il signor Gabriele Visco a inizio 2023. L'Agenzia è a disposizione delle autorità inquirenti per fornire tutte le informazioni e i documenti necessari e valuterà ogni possibile azione al fine di tutelare la propria posizione come parte lesa». Viene inoltre ribadito che il rapporto professionale «è stato risolto consensualmente per motivi legati alle prestazioni»
  2. LA LICENZA DI UCCIDERE ELETTORALE  ZAPPA SUI PIEDI DELLA LEGA : L'ultimo è l'orso M90. Abbattuto. La colpa? Si era avvicinato troppo a una coppia di fidanzati che se ne andava a passeggio su una strada forestale nel Comune di Mezzana, in Val di Sole. Era arrivato a una decina di metri di distanza dai due, per poi subito allontanarsi per i fatti suoi. Non è bastato. Perché aveva dei precedenti, l'ignaro animale, e si era già avvicinato a centri abitati, con frequentazioni non richieste «di strade urbane e periurbane», come si legge nell'ordinanza. Anche senza far niente, ma non importa. Aveva un radiocollare dalla notte tra il 14 e il 15 settembre 2023. Ed erano stati segnalati 12 avvicinamenti a centri abitati e tre casi, che, nel linguaggio ermeticamente burocratico di questi provvedimenti, rientrano «nella fattispecie 16 del Pacobace». Traduzione: «Orso segue persone». Che poi lo faccia per vedere se hanno del cibo da offrigli o per chissà che altro, perché magari non ritiene gli umani pericolosi, chi lo può dire? Lui, invece, in base a questi pregressi è stato ritenuto altamente «pericoloso». E il presidente della Provincia Autonoma di Trento Maurizio Fugatti non ha esitato a firmare l'ordinanza di abbattimento. Anzi, quasi neanche il tempo di informare chi di dovere, che il Corpo Forestale aveva già assolto il compito. Scatenando un bel po' di polemiche. Anche perché di tutti gli episodi citati, sono solo due quelli con testimoni: il primo su una statale, un mese fa, quando era stato avvistato alle prime ore dell'alba da un automobilista, ma senza nessuna conseguenza. Il secondo è quello dei due fidanzati, che invece si erano spaventati.
    Va ricordato che proprio vicino a Mezzana si trova Caldes, il paese dove nell'aprile dell'anno scorso un'orsa aveva aggredito e ferito e ferito a morte il runner Andrea Papi. Da allora è partita la caccia all'orso, a torto o a ragione. Certo è che oggi, per quest'ultimo abbattimento, le critiche arrivano anche dal ministro dell'Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, che ha tenuto a sottolineare come la soppressione non possa essere «l'unica alternativa», ma piuttosto «una soluzione estrema», dichiarando poi di aver «mobilitato tutte le strutture che fanno capo al ministero per definire una strategia tempestiva», così da individuare in futuro soluzioni che garantiscano «una convivenza pacifica nei territori». C'è un po' di politichese, ma non sembrano frasi di elogio. Molto più duri, ovviamente, gli animalisti. L'Organizzazione internazionale per la protezione degli animali: «Quella della provincia autonoma di Trento è una politica miope e nemica degli animali, che non tutela la biodiversità. Il presidente Fugatti è sordo anche alle istanze dell'opinione pubblica». La Lega antivivisezione: «Mentre pubblicavano il decreto erano già pronti con le carabine per impedirci di difendere l'orso». Massimo Vitturi: «Una caccia all'orso, una vera e propria esecuzione, studiata a tavolino per uccidere M90, un giovane orso di appena tre anni da poco indipendente dalla madre».
    Gli animalisti hanno già indetto una manifestazione di protesta. In prima fila sul banco degli imputati, loro hanno messo soprattutto lui, Maurizio Fugatti. «Bisogna fermarlo», urlano, Dalla fine di aprile 2023, dopo la morte di Andrea Papi, al mese di ottobre, secondo il Wwf, nella Provincia di Trento erano già stati rinvenuti 7 orsi morti, più di uno al mese. Una sorta di strage che in pratica ha colpito circa il sette per cento dell'intera popolazione di questi animali fra le montagne del Trentino, che era stimata intorno ai cento individui. Da allora non si può dire certo che la situazione sia migliorata: da un lato, sostiene il Wwf, si sono succedute continue campagne di allarmismo sui grandi carnivori «e dall'altro il presidente Fugatti si è contraddistinto per la compulsiva emanazione di ordinanze finalizzate alla cattura e all'abbattimento di orsi, ma anche di lupi. «Quello che emerge chiaramente, alla fine, è che la gestione di questa specie da parte della provincia Autonoma sta mostrando grosse carenze mettendo seriamente a rischio il futuro degli orsi bruni sull'arco alpino». Dal 2000 a oggi invece dovrebbero essere stati 50 gli orsi uccisi, per lo più dai bracconieri. In ogni caso nell'elenco di tutti gli orsi morti, uccisi e non, con provvedimento o senza, non c'è l'orsa JJ4, proprio quella accusata di aver ucciso il runner Andrea Papi. È rinchiusa nel centro faunistico di Casteller, in attesa che decidano del suo futuro. Una cosa è certa: M90 è stato molto meno fortunato.
  3. LICENZA DI UCCIDERE  CON L'ACQUA : Acque potabili contaminate da Pfas nella provincia di Alessandria e in oltre 70 comuni della città metropolitana di Torino, incluso il capoluogo. La rivelazione è contenuta in un nuovo report di Greenpeace.  RAPP PFAS L'analisi dell'associazione ambientalista si basa su dati ufficiali degli enti pubblici piemontesi ottenuti tramite istanze di accesso agli atti. L'altro dato che emerge dal report è che per la maggior parte delle province piemontesi, invece, non esistono dati. Gli enti pubblici non li raccolgono. I Pfas sono un gruppo di oltre 4.700 sostanze chimiche artificiali (Ocse, 2018), le due più note sono il Pfoa (acido perfluoroottanoico) e il Pfos (acido perfluoroottansolfonico). Di recente la Iarc, l'agenzia dell'Oms per la ricerca sul cancro, ha pubblicato uno studio circa la loro cancerogenicità: il Pfoa è stato classificato come cancerogeno certo, il Pfos come possibile cancerogeno. Utilizzati sin dagli anni ‘40 del secolo scorso per molti usi industriali, ad esempio per l'impermeabilizzazione di tessuti o pentole antiaderenti, i Pfas (acidi perfluoroalchilici) sono resistenti ai processi naturali di degradazione. Un documento dell'Agenzia Europea per l'Ambiente (dicembre 2019) sintetizza il rischio sanitario derivante dalla loro contaminazione. Nel 2020 Efsa (l'autorità europea per la sicurezza alimentare) ha stabilito una dose massima settimanale di assunzione pari a 4,4 nanogrammi per chilo di peso corporeo per 4 sostanze (Pfoa. Pfos, Pfna e PfhxS) appartenenti al gruppo dei Pfas.
    Un'inchiesta di Le Monde ha ricostruito un anno fa la mappa della contaminazione europea da Pfas. Tra le zone contaminate note ci sono anche il Nord Italia e il Piemonte. «Per questo, dopo Veneto e Lombardia, abbiamo iniziato a chiedere dati agli enti piemontesi con la procedura dell'accesso agli atti per avere un'idea dei livelli di Pfas presenti nell'acqua pubblica», spiega Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento approdato a Greenpeace dopo anni da ricercatore universitario, con un dottorato in ecotossicologia, esperto di economia circolare e inquinamento. A fine luglio 2023 Greenpeace ha inviato 43 richieste alle otto Asl regionali, alla direzione generale di Regione Piemonte, ai 29 gestori del servizio idrico integrato e a cinque comuni che gestiscono autonomamente la propria rete potabile. «Solo 10 enti, pari al 23% del totale - riferisce Ungherese - hanno risposto positivamente inoltrando copia delle analisi effettuate; 10 tra comuni ed enti non hanno invece risposto; 11 tra Asl e gestori hanno giustificato l'assenza di dati con il fatto che la direttiva europea (che fisserà anche in Italia nuovi limiti di concentrazione nelle acque potabili, ndr) entrerà in vigore solo nel 2026 e fino ad allora quindi non occorrono monitoraggi; 8 tra Asl e gestori si sono giustificati sostenendo che non sono in vigore leggi che impongono dei limiti alla presenza di Pfas nelle acque potabili (vero, ndr); due gestori hanno infine comunicato come la ragione dei mancati controlli fosse riconducibile a una specifica richiesta di Arpa Piemonte di non ricercare i Pfas nell'acqua potabile ovunque ma solo nelle aree a maggior rischio». Il 28 agosto 2023 la Regione Piemonte ha risposto così alla richiesta di dati: «Le informazioni richieste non sono in nostro possesso». Il 21 marzo 2023 è stato votato il decreto legislativo 23 febbraio 2023 n. 18, che ha recepito la direttiva europea (2020/2184/UE) per le acque destinate al consumo umano. Sarà in vigore solo dal 12 gennaio 2026 e introdurrà una nuova soglia: la concentrazione massima di Pfas dovrà essere pari a 100 nanogrammi/litro per la somma di 24 sostanze (0,1 microgrammi/litro). Per altri due anni quindi non ci saranno vincoli da rispettare e a quanto emerge dal report nemmeno gli enti locali, nonostante i sempre più numerosi studi scientifici, hanno adottato misure di controllo e prevenzione a tutela pubblica.
    In alcuni Paesi europei, che come noi hanno recepito la direttiva europea, le cose stanno invece andando in maniera differente. «La Danimarca ha messo un valore limite pari a 2 nanogrammi nell'acqua potabile, la Svezia 4, le Fiandre 4, la Germania lo metterà a 20, cioè sotto il valore che ha fissato l'Europa. Gli Stati Uniti addirittura hanno proposto come valore soglia lo zero tecnico, che per alcune sostanze diventa 4 nanogrammi per litro - spiega Ungherese -. Un valore scelto per consentire a tutti i laboratori sul territorio americano di rilevare tali concentrazioni». Insomma, come sempre quando si parla di rapporto tra inquinamento e salute, c'è uno scollamento tra quello che dicono le norme e ciò che ha stabilito la scienza. Dei 671 campioni di acqua a uso potabile di cui gli enti locali hanno condiviso i dati con Greenpeace Italia - analizzati tra il 2019 e il 2023 - nel 51% è stata riscontrata la presenza di Pfas, con le maggiori positività nella provincia di Alessandria. In questa area cinque comuni, lungo il torrente Scrivia, hanno evidenziato la presenza degli inquinanti in tutti i prelievi effettuati in questi anni: Alzano Scrivia, Castelnuovo Scrivia, Molino dei Torti, Guazzora e Tortona. «Ma la situazione dell'Alessandrino era nota, ci aspettavamo questi dati - è sempre Giuseppe Ungherese ad illustrare le tabelle -. La sorpresa è stata trovare Pfas in 77 comuni sui 291 della città metropolitana di Torino».
    Nello specifico, per la città metropolitana di Torino, il 45% dei campioni è risultato positivo alla presenza di Pfas. Greenpeace ha realizzato anche 15 prelievi autonomi nelle otto province piemontesi da fontane pubbliche di parchi giochi. «Le analisi eseguite da un laboratorio indipendente accreditato hanno evidenziato la presenza di Pfas in 5 campioni su 15». C'è da dire, per correttezza e per non fare allarmismi inutili, che a parte un caso (ad Alzano Scrivia la presenza di Pfoa riscontrata è di 120 nanogrammi per litro, ovvero sopra il limite che dal 2026 diventerà legge) i dati raccolti sono tutti sotto i 100 nanogrammi: «Ma questo - accusa Ungherese - non può rassicurare viste le più recenti evidenze scientifiche che identificano seri rischi per la salute umana. Ricordiamo che per le sostanze cancerogene non esistono soglie sicure: dovremmo fare come Danimarca, Germania, Stati Uniti. Non accontentarci di aspettare il 2026 per vedere entrare in vigore un limite altissimo che non mette in sicurezza la cittadinanza». La Asm, il gestore dell'acqua potabile di Vercelli, ha motivato l'assenza di dati specificando che nel «Piano Regionale Integrato dei controlli di Sicurezza Alimentare Prisa 2019» è Arpa Piemonte che ha ritenuto «sufficiente, in assenza di regolamentazione specifica, estendere la ricerca di tali molecole (Pfas)» solo per la provincia di Alessandria, «zona maggiormente interessata». La sfida che ci attende, non solo in Piemonte, è azzerare queste sostanze e parallelamente trovare chi inquina, per intervenire su chi sversa. «È possibile - conclude Ungherese - che nella città metropolitana di Torino abbiamo trovato elevati livelli di Pfas anche in quei posti che sono oltre i 1.000 metri di altitudine? A Bardonecchia per esempio». I Pfas, una volta dispersi, possono rimanere nell'ambiente per tantissimo tempo, sono chiamati «inquinanti eterni». Se non sappiamo da dove provengono come facciamo a bloccarne l'emissione e garantire la salute pubblica?

 

 

 

 

05.02.24
  1. LE REALTA' IGNORATE DA ISRAELE :   Muhammad ricorda nei dettagli la notte di dicembre in cui le forze armate israeliane hanno fatto irruzione nel campo profughi di Jenin. La gente da dietro le finestre guardava il cielo, per capire se il campo sarebbe stato bombardato un'altra volta. Muhammad e i suoi vicini hanno preso i bambini e sono corsi verso l'ospedale vicino, il posto considerato più sicuro, e si sono nascosti nelle corsie, lì hanno aspettato la fine dell'incursione. Poche ore dopo si è diffusa la notizia che i mezzi militari si fossero ritirati ed è tornato a casa con la moglie e i tre figli, due bambini di sei e quattro anni, e l'ultimo appena nato, ma i soldati israeliani erano ancora nel campo, nascosti nelle case, e sui tetti. Muhammad e i suoi vicini hanno cominciato a correre, hanno attraversato il quartiere di Somaran e raggiunto un'altura. Lì, poco dopo, sono stati raggiunti da un razzo. È svenuto per qualche minuti, poi ha ripreso i sensi, cercando di capire cosa fosse accaduto, ha guardato la sua mano, non vedeva l'anulare, pensando fosse abbassato. Ma non c'era più. Poi ha provato ad alzarsi, ma non aveva più le gambe.
    Da allora in poi è rimasto cosciente «vedevo le mie gambe amputate proprio davanti a me». Quando due giovani sono riusciti ad arrivare le gambe erano a pochi metri da lui, ma nessuna ambulanza poteva raggiungerli. Bloccate dai mezzi militari israeliani che avevano circondato l'ingresso degli ospedali. Così due giovani l'hanno preso in braccio e hanno raggiunto l'ospedale a piedi. Una volta svegliato, dopo l'operazione, dice di aver pensato che per lui si fosse aperta la porta dell'inferno. Oggi Muhammad vive chiuso in casa, il suo amico Mustapha ha imparato qualche esercizio da fargli fare, va in visita da lui ogni giorno. Lo sposta dal divano alla sedia a rotelle che gli è stata donata da un'organizzazione umanitaria. Era l'unico a lavorare e oggi, per sfamare la moglie e i tre figli, deve contare sull'aiuto della sua famiglia.
    Fino a un mese fa lavorava in Israele. Questo, dice, rende il suo destino ancora più tragico. «Avevo un'autorizzazione, lavoravo in Isreale, a Qiryat Shemona, e Hatzor, lavorando con ebrei, il che significa che il mio supervisore era ebreo, il che significa che per loro ero "pulito", che non ho mai rappresentato una minaccia».
    Dai suoi figli
    I suoi rapporti con i datori di lavoro israeliani non avevano mai avuto un'ombra, nelle ultime settimane gli avevano chiesto «ma perché torni a casa? perché torni a Jenin, resta qui che sei al sicuro».
    Sapevano delle incursioni quasi quotidiane, dei morti, della distruzione che avanza in Cisgiordania.
    Ma Muhammad voleva tornare dai suoi figli, da sua moglie. «È proprio perché i vostri militari entrano e escono dal campo continuamente, che devo tornare da loro».
    Prima, una volta tornato da Qiryat Shemona e Hatzor, prendeva i bambini e li portava a giocare, a fare la spesa. Oggi non può più. I bambini lo guardano e dicono: «Papà è stato colpito da un aereo».
    Hanno sostituito il desiderio delle costruzioni con quello di pistole giocattolo.
    «Hanno iniziato a comportarsi come i militari, nascondendosi in un angolo e nell'altro, perché è così, il ragazzo dice che vuole "programmarsi per la guerra"».
    Muhammad non si arrende, non compra le pistole giocattolo. Li fa uscire di casa il meno possibile. Quando sente il ronzio dei droni dice solo: passerà presto.
    Prima del 7 ottobre, nel 2023, le forze israeliane avevano ucciso 205 palestinesi in Cisgiordania, mentre i coloni israeliani erano responsabili di altri nove morti. Di questi decessi, 52 sono avvenuti solo a Jenin. Oggi, stando ai dati aggiornati del Ministero della Sanità di Ramallah la conta dei morti è salita 350, quella dei feriti a tremila.
    Dalla seconda Intifada
    Dalla scorsa primavera le forze israeliane hanno cominciato a condurre attacchi aerei in Cisgiordania, non accadeva dalla seconda Intifada, all'inizio degli anni 2000.
    Il 3 luglio, durante un'operazione militare durata due giorni nel campo profughi densamente popolato di Jenin, sono state sganciate bombe da aerei da combattimento e sono stati condotti attacchi con droni. Da lì in poi, la violenza non ha fatto che aumentare. Una delle ultime, violente incursioni, a dicembre, è durata 60 ore. Incursioni con una strategia comune, che coinvolge gli attacchi alle strutture sanitarie, diventati sistematici, così come la distruzione di strade e infrastrutture, condutture idriche e sistemi fognari.
    Tra il 7 ottobre e la fine di gennaio, la Mezzaluna Rossa Palestinese ha documentato 160 incidenti in cui le forze israeliane hanno impedito il lavoro delle sue squadre in Cisgiordania e nell'annessa Gerusalemme est. Significa blocco delle ambulanze, strutture mediche circondate, significa dunque mancato accesso alle cure. L'esercito israeliano afferma di essere «obbligato» a ispezionare le ambulanze, sostenendo che «i terroristi si nascondano» lì e vicino agli ospedali e che le truppe cerchino di ridurre al minimo i ritardi. Medici, paramedici e operatori sanitari condannano: «La mancanza di rispetto per gli ospedali è sconcertante: da ottobre abbiamo assistito alla sparatoria e all'uccisione di un ragazzo di 16 anni nel complesso ospedaliero, i soldati hanno sparato più volte proiettili veri e gas lacrimogeni contro l'ospedale, i paramedici sono stati costretti a spogliarsi e inginocchiarsi per strada», dice Luz Saavedra, coordinatore di Medici Senza Frontiere a Jenin.
    L'esercito nel campo
    Nei fatti, il blocco dell'assistenza sanitaria è diventata una procedura standard in ogni incursione: l'esercito entra nel campo seguito dai bulldozer, i cecchini si posizionano sui tetti, le squadre cercano depositi di armi e conducono decine di arresti, e le strutture mediche, compresi gli ospedali pubblici, vengono circondati dai veicoli armati e dai soldati israeliani.
    Una domenica di metà dicembre Ahmad, 13 anni, affetto da gravi problemi al sistema immunitario, si era svegliato nella sua casa di Al-Yamun, dieci minuti in macchina da Jenin.
    Non era la prima volta che suo padre, Mohamed Asaad Sammar, un bottegaio di 56 anni, doveva prenderlo in braccio, caricarlo in macchina e portarlo in ospedale.
    Nel campo di Jenin era in corso un'incursione. Non era la prima volta che raggiungere una struttura medica si sarebbe trasformato in un'odissea. Due mesi prima erano stati costretti a dormire in ospedale, bloccati lì dai combattimenti all'esterno. E ancora prima, mentre erano in clinica per una visita di Ahmed, la struttura era stata colpita da un razzo, e il cugino di Ahmed era rimasto ferito.
    I check point
    A dicembre ha provato a chiamare l'ambulanza. Ma le ambulanze erano bloccate, perché le forze armate israeliane impedivano ai mezzi medici di lasciare il parcheggio degli ospedali, il mal di stomaco e gli spasmi del ragazzo non facevano che aumentare, il ragazzo diceva «papà non respiro», così, sebbene arrivassero notizie dei violenti scontri nel campo profughi, Mohamed non ha avuto scelta, l'ha messo in macchina, aiutato dal figlio maggiore, e si è diretto all'ospedale con la sua auto. Mezz'ora in macchina, per coprire un percorso che quotidianamente fa in sei, sette minuti, moltiplicati dai check point della sicurezza israeliana.
    Ahmed diventava sempre più pallido, così suo padre è sceso dalla macchina, l'ha stretto tra le braccia e ha cominciato a camminare verso l'ospedale.
    Un video di quella mattina lo ritrae mentre sostiene il corpo del ragazzino, circondato dalle telecamere che stazionavano davanti all'ingresso dell'ospedale al-Suleiman.
    Di fronte all'entrata i soldati israeliani al lato di un tank che bloccava l'accesso.
    Mohammed Asaad Sammar non esita di fronte a loro, continua a camminare con Ahmed tra le braccia, attraversa l'area con le ambulanze bloccate e entra nel pronto soccorso.
    Quando finalmente riesce a stendere il suo corpo su una barella è troppo tardi. I medici che si sono avvicinati gli hanno chiuso le palpebre e l'hanno dichiarato morto.
    Ogni giorno, da allora, cammina fino al cimitero. L'ingiustizia, dice, non è qualcosa di nuovo per lui, non è qualcosa di nuovo per i palestinesi. In qualche modo, dice, tutti hanno imparato a conviverci. Ma non riesce, né vuole, rassegnarsi alla morte di un figlio, di un ragazzino malato che nessuna ambulanza ha potuto raggiungere. Può succedere a chiunque, sempre.
    È successo a lui, da allora non ha pace. «Ahmed era solo un ragazzino di tredici anni. Che colpa aveva il mio ragazzo? ».
    La pioggia scende sul cimitero di al Yamun, Mohammed apre le mani coi palmi rivolti al cielo, abbassa la testa e prega.
  2. IL PUNTO DI RIFERIMENTO DI YAKY, MELONI E SALVINI : I membri del Cda dell'azienda produttrice di auto elettriche di Elon Musk, Tesla, si sono trovati davanti a un dilemma. L'investitore Steve Jurveston, direttore da molti anni insieme ad altri, aveva lasciato l'azienda dopo che un'indagine interna ha rivelato la sua condotta libertina con molte donne nel settore hi-tech e l'uso illegale di stupefacenti. Alcuni dettagli sono stati pubblicati dalla stampa nel 2017 e gli altri direttori di Tesla hanno discusso come gestire la situazione. Alcuni lo hanno sollecitato a dimettersi. Per sua fortuna, Jurveston – anche se l'azienda lo considerava un direttore indipendente – aveva un buon amico con il quale intratteneva stretti legami finanziari e che aveva preso parte con lui alle feste usando ecstasy e Lsd: Elon Musk.
    In incontri riservati, Musk ha convinto i consiglieri a permettere a Jurveston di prendersi un congedo straordinario e quindi a dimettersi di sua volontà nel 2020. Alla fine, è rimasto nel management di SpaceX, l'azienda che produce razzi, sempre di proprietà di Musk. Quando gli è stato chiesto in che modo il Cda avesse gestito il caso, Antonio Gracias, un altro ex direttore indipendente di Tesla e buon amico di Musk, in una deposizione in tribunale del 2021 ha detto: «La reazione? Non si è fatto niente, siamo rimasti a vedere quel che sarebbe successo». Si stima che Gracias e la sua società di venture-capital abbiano investito nelle aziende di Musk circa 1,5 miliardi di dollari. Molti altri direttori delle aziende di Musk hanno rapporti personali e finanziari molto stretti con lui e hanno tratto enormi profitti da questa relazione. I loro rapporti sono un misto confuso di amicizia e ricchezza e alcuni azionisti stanno iniziando a porsi interrogativi sull'indipendenza dei membri del Cda incaricati di vigilare sul direttivo. Martedì, un giudice del Delaware ha annullato il pacchetto salariale multimiliardario di Musk presso Tesla, affermando che i membri del Cda che l'avevano autorizzato nel 2018 erano in debito con lui.
    Numerosi direttori o ex direttori di Tesla e SpaceX prendono parte a feste insieme a lui, vanno in vacanza in posti esotici con lui e frequentano insieme al tycoon «Burning Man», il festival di arti e musica in Nevada. Musk e questi direttori – tra cui gli investitori Gracias e Ira Ehrenpreis, il tecno-guru Larry Ellison, l'ex media executive James Murdoch e lo stesso fratello Kimbal Musk – hanno investito decine di milioni di dollari l'uno nelle aziende dell'altro. Alcuni hanno ottenuto da Musk anche sostegno per fare carriera. Secondo persone che hanno assistito al suo consumo di sostanze stupefacenti, alcuni manager di spicco di Tesla e di SpaceX conoscono le sue abitudini ma non hanno mai preso iniziative in merito.
    A gennaio il Wall Street Journal ha scritto che Musk fa uso di varie sostanze, tra cui cocaina, ecstasy, Lsd e funghi allucinogeni, e ha detto che per i dirigenti di Tesla e SpaceX la situazione è preoccupante, specialmente per quello che riguarda il consumo ricreativo di chetamina, per la quale dice di avere una prescrizione medica. L'uso di sostanze stupefacenti illegali viola le rigide politiche antidroga delle aziende di Musk e potrebbe compromettere i contratti federali di SpaceX e i controlli di sicurezza. La quantità di sostanze stupefacenti consumate da Musk e dai membri del Cda si è fatta inquietante. Nella cultura che Musk ha creato attorno a sé, alcuni amici, tra cui alcuni direttori, hanno l'impressione che da loro ci si aspetti il consumo di queste sostanze e che astenersene potrebbe contrariare il miliardario che ha fatto guadagnare loro ingenti ricchezze. Per alcuni di loro questo vuol dire quasi sentirsi amici di un re. Musk e il suo rappresentante legale Alex Spiro non hanno voluto rispondere alle domande dei giornalisti o fare commenti. Spiro ha detto che l'imprenditore si «sottopone a test antidroga random a SpaceX e li ha sempre superati tutti». Dopo quell'articolo, lo stesso Musk ha twittato di essersi sottoposto a controlli casuali dopo l'episodio del 2018 – nel quale aveva fumato erba in diretta durante una trasmissione – senza che gli siano «mai state trovate minime quantità di droghe o alcol». In un altro tweet ha scritto che «se le droghe fossero davvero utili per migliorare la mia produttività nel tempo, le prenderei senz'altro».
    Alcuni membri del Cda paventano le ripercussioni negative del comportamento di Musk sulle sei aziende che dirige e i circa 800 miliardi di asset degli investitori. Malgrado le preoccupazioni, però, il Cda di Tesla non ha svolto indagini né ha registrato i suoi timori nei verbali ufficiali, che potrebbero essere resi di pubblico dominio.
    Nell'inverno del 2022 - raccontano i bene informati - Larry Ellison, grande amico di Musk ed ex membro del Cda di Tesla, lo ha invitato nella sua isola alle Hawaii per prendersi una pausa rilassante dal lavoro e disintossicarsi. Ellison l'anno scorso aveva visto Musk a una corsa automobilistica a Miami, poi - quando gli ha fatto la sua offerta - il multimiliardario si trovava a una festa a Hollywood Hills dove ha assunto ecstasy in forma liquida da una bottiglietta d'acqua. Prima che lo facesse, ha raccontato chi lo ha visto, le guardie del corpo hanno allontanato gli ospiti da quel piano della casa per assicurargli privacy.
    Per i suoi molteplici rapporti personali e professionali con i membri del Cda delle sue aziende e per gli enormi capitali in gioco, Musk è l'esempio più eclatante di un amministratore delegato legato ai suoi direttori. Tesla versa a questi ultimi somme di denaro di gran lunga più ingenti degli stipendi medi dei consiglieri della maggior parte delle aziende americane. Secondo uno studio recente della National Association of Corporate Directors and compensation consultant, Pearl Meyer, nel 2023 il salario complessivo medio più alto per consiglieri d'amministrazione negli Stati Uniti è stato di 329.351 dollari. Negli anni, i membri del Cda di Tesla, retribuiti perlopiù in stock option, hanno ricevuto centinaia di milioni di dollari per le poltrone che occupano, molto più della media nelle aziende pubbliche.

 

04.02.24
  1. Borrell : bisogna lavorare perché la soluzione si realizzi
    "Stati Ue pronti a riconoscere la Palestina"
    L'Ue «non può riconoscere alcuno» Stato, «non abbiamo questo potere, lo hanno gli Stati. Ma so che alcuni Stati membri dell'Ue stanno pensando» di riconoscere ufficialmente la Palestina. Lo dice l'Alto Rappresentante dell'Ue, Josep Borrell, in conferenza stampa al termine del Gymnich a Bruxelles. La soluzione a due Stati, aggiunge, «non cresce sugli alberi»: se la si vuole perseguire, bisogna «lavorare» perché diventi realtà. La ministra degli Esteri belga, Hadja Lahbib, spiega: «In Belgio abbiamo il riconoscimento dello Stato palestinese nell'accordo di governo. Aspettiamo il momento buono». Tuttavia, la ministra ricorda anche che Ungheria e Repubblica Ceca hanno «riconosciuto lo Stato palestinese, ma questo non ha cambiato le politiche», dato che ora sono «percepiti come molto vicini a Israele. Questi riconoscimenti simbolici non cambiano molte cose, malgrado il fatto che sono certamente importanti e che stiamo valutando di farlo. Vogliamo un piano di pace, che dia una prospettiva politica per un vero Stato» palestinese, conclude.

 

 

03.02.24
  1. In nove mesi cachet per 300mila euro Sangiuliano: complicato lavorare con lui
    niccolò carratelli
    roma
    Lunedì pomeriggio sarà ufficiale, con la pubblicazione delle conclusioni dell'istruttoria condotta dall'Antitrust. Ma Vittorio Sgarbi, come previsto in questi casi, è stato informato in anticipo, già ieri mattina, dell'esito del procedimento nei suoi confronti. E ha capito che non c'era alternativa alle dimissioni. Al di là della sicurezza ostentata negli ultimi mesi, infatti, l'ormai ex sottosegretario era consapevole che l'accusa di aver svolto attività incompatibili con la carica di governo avesse un suo fondamento. Come lo aveva capito Gennaro Sangiuliano, esaminando il dossier anonimo, ma molto dettagliato, recapitato al ministero lo scorso ottobre.
    Il ministro della Cultura si era consultato con i suoi consiglieri giuridici e poi aveva ritenuto doveroso girare tutto il materiale all'Autorità per la concorrenza, perché valutasse il possibile conflitto di interessi di Sgarbi. Con il quale Sangiuliano, da quel momento, non ha praticamente più parlato, affidando le comunicazioni al suo capo di gabinetto. «Sono stati mesi complicati nel rapporto con lui», ha spiegato il ministro a chi ci ha parlato in queste ore, dicendosi «umanamente dispiaciuto» per tutta la vicenda. Una storia costellata da eventi culturali in giro per l'Italia, connessi al ruolo di sottosegretario, come conferenze, convegni, inaugurazioni di mostre o presentazioni di libri. Per le quali, però, Sgarbi si è fatto pagare cachet sostanziosi, in veste di "professore" o "critico d'arte", sorvolando sul suo incarico di governo, in virtù del quale non potrebbe ricevere compensi. Fino a 7mila euro (più Iva) per un paio d'ore di presenza a una mostra, circa 200 euro al minuto per una lectio magistralis su Caravaggio, tanto per fare due esempi. Lo scorso anno, in nove mesi, l'incasso ha superato i 300mila euro. Pagati dai Comuni ospitanti o dalle aziende sponsor, che hanno fatturato a due società riconducibili allo stesso Sgarbi, una gestita dal suo addetto stampa (e fin qui capo segreteria al ministero) Antonino Ippolito, l'altra dalla sua storica compagna e attuale "manager" Sabrina Colle. Società con capitali sociali irrisori e sede legale a casa di Sgarbi, create solo per incassare i bonifici dei pagamenti delle varie attività parallele. Un modo per non far figurare Sgarbi come beneficiario diretto e provare ad aggirare la legge Frattini in materia di conflitto di interessi (la numero 215 del 2004), che impone a chi ricopre incarichi di governo di dedicarsi «esclusivamente alla cura degli interessi pubblici». Dal giuramento in poi, «al titolare non può derivare, per tutta la durata del governo, alcuna forma di retribuzione o vantaggio». Vieta poi di «esercitare attività professionali o di lavoro autonomo in materie connesse con la carica di governo, di qualunque natura, anche se gratuite, a favore di soggetti pubblici o privati». La legge precisa che «sono vietate anche all'estero», ma Sgarbi le ha svolte serenamente in Italia. Il sottosegretario si era difeso sostenendo che il suo caso non rientrerebbe in questa fattispecie e sottolineando che non c'era alcun atto da lui firmato, anche solo una lettera, con la quale avesse potuto agevolare i suoi interessi. Ora, lasciato il ministero, potrebbe comunque impugnare il pronunciamento dell'Antitrust. Che, peraltro, ha successivamente ampliato l'istruttoria, con un'altra accusa a carico di Sgarbi, relativa alla vendita dei suoi libri con dedica personalizzata sul proprio sito internet (vittoriosgarbi.it) perché «potrebbe integrare gli estremi dell'attività di rilievo imprenditoriale».
    Infine, a rendere ancora più complicata la permanenza al governo del critico d'arte, l'inchiesta della magistratura nata da un servizio della trasmissione di Rai3 Report, su un dipinto del Seicento rubato 10 anni fa da un castello in Piemonte e poi misteriosamente ricomparso come un "inedito" di proprietà di Sgarbi, finito indagato per riciclaggio di beni culturali. Con tutto questo quadro davanti, le opposizioni invocavano da tempo le sue dimissioni e avevano presentato una mozione alla Camera per chiedere la revoca delle deleghe. Ora, per il sollievo di Giorgia Meloni e dei partiti di maggioranza, il voto su quella mozione non sarà più necessario. —
  2. Io, tradito
    scuola
    dalla
    Damiano Cassanelli
    "
    FILIPPO FIORINI
    MODENA
    I ferri corti tra Damiano Cassanelli, diciott'anni, e la dirigenza dell'Ites Barozzi di Modena sono incominciati l'ultimo giorno di scuola dell'anno scorso, quando, probabilmente per evitare che gli studenti festeggiassero l'arrivo delle vacanze, è stata organizzata una perquisizione all'ingresso sequestrando cibi e bevande. Così, quando lo scorso novembre, questo rappresentante d'istituto ha convocato, insieme agli altri, uno sciopero per protestare contro quell'episodio e il respingimento degli altri reclami che avevano avanzato, i rapporti erano già tesi e la presidenza ha minacciato di chiamare la Digos. La manifestazione, poi, i ragazzi l'hanno fatta lo stesso e, a una giornalista, Damiano ha spiegato perché erano lì. Risultato: a gennaio gli è stata data una nota sul registro, poi, una sospensione di 12 giorni, approvata in consiglio d'istituto, ma non ancora messa in atto. Il motivo? Parlando alla stampa avrebbe leso l'immagine dell'istituto.
    Damiano, come vive questi giorni?
    «Continuo ad andare a scuola. Cerco di impegnarmi, ma faccio fatica a concentrarmi. Questa situazione è sgradevole. Mi sono sentito tradito da una scuola che mi ha insegnato dei valori sani e a dire la verità, ma ora mi punisce per questo stesso motivo. Io formalmente non ho ricevuto notizie della mia sospensione. Mi è stata solo comunicata a voce, dopo che il consiglio d'istituto l'ha approvata. Poi, due settimane di limbo. Nessuna notizia di un ripensamento e mi dispiace».
    Quali sono i provvedimenti contro di lei?
    «La vicepreside mi ha dato una nota sul registro, motivandola con le dichiarazioni che ho rilasciato alla Gazzetta di Modena, in occasione dello sciopero che abbiamo fatto il 28 novembre. Poi ha convocato un consiglio di classe, proponendo di sospendermi per 12 giorni. Lì, i voti sono stati tutti contrari. Si è deciso all'unanimità di non sospendermi. La ragione, in quel caso, era il fatto che avessi diffuso agli altri rappresentanti di classe una risposta che lei stessa mi aveva mandato via mail, a proposito di una delle istanze che avevamo avanzato. Ma non era una conversazione riservata, era un tema che abbiamo discusso in assemblea. Era mio dovere informare anche gli altri rappresentanti».
    Cos'ha detto in quell'intervista?
    «Avevo evidenziato il fatto che non potessimo fare gite all'estero. Nella mia scuola c'è un indirizzo linguistico, e comunque anche tutti gli altri indirizzi studiano almeno una lingua straniera. Quindi, andare all'estero ci sembrava una buona opportunità. Un'altra problematica è quella delle macchinette che distribuiscono cibo e bevande. Al Barozzi non ce ne sono e non c'è nemmeno un bar. Gli studenti che non si sono portati la merenda da casa, devono stare senza bere e mangiare per 6 ore. Un altro punto, era quello di poter entrare a scuola prima delle 8. C'è gente che arriva da fuori Modena con le corriere e deve aspettare al freddo. Infine, il fatto che l'ultimo giorno di scuola dell'anno scorso, noi studenti siamo stati perquisiti».
    Chi vi ha perquisito?
    «Il personale scolastico».
    Il personale scolastico non ha diritto di perquisire un privato cittadino. Per quale motivo lo avrebbero fatto?
    «Noi non siamo una scuola problematica. Non ci sono stati episodi di criminalità o proteste violente. Anche la manifestazione in cui ho rilasciato l'intervista è stata fatta in modo civile, ma il nostro sciopero non era stato autorizzato e alla vigilia la dirigenza scolastica ha minacciato che, se fossimo andati, avrebbero chiamato la Digos. Credo che faccia tutto parte di un clima volto a disincentivare le nostre iniziative».
    Ieri al Barozzi si è discusso un altro provvedimento disciplinare, cosa si è deciso?
    «È un mio compagno, a sua volta rappresentante, la cui sospensione è stata discussa in consiglio di classe. I voti sono stati tutti contrari, quindi per ora il risultato è positivo, ma non posso escludere che poi la vicenda si ripeta uguale alla mia».
    C'è stata grande solidarietà per la sua vicenda. La conforta?
    «Ringrazio di cuore gli altri studenti del Barozzi e da tutta Italia che mi hanno fatto sentire la loro vicinanza. Ho ricevuto approvazione anche da esponenti politici di ogni colore, mi ha fatto molto piacere».
    Lei fa il rappresentante d'istituto per passione politica? Magari una passione che vorrebbe coltivare anche dopo il diploma?
    «Sono due anni che lo faccio. La prima volta mi sono detto che valeva la pena provare. Mi interessava poter presentare le proposte di noi studenti a chi prende le decisioni. Mi è piaciuto e ho deciso di ricandidarmi. Però, no, non credo di entrare in politica dopo il diploma. Voglio continuare a studiare le lingue».

 

 

02.02.24
  1. Crosetto: "Dietro gli assalti ci sono Russia e Cina"
    Federico Capurso
    Roma
    Gli attacchi dei ribelli Houthi contro le navi mercantili nel mar Rosso «minacciano la nostra stabilità economica», mette in guardia il ministro della Difesa Guido Crosetto, in audizione di fronte alle commissioni Esteri e Difesa della Camera, perché comportano l'ennesimo «aumento delle materie prime». E questo, accusa Crosetto, è «uno degli strumenti più efficaci con cui Mosca e Pechino perseguono l'obiettivo di prevalere slealmente nella competizione internazionale e di guadagnare nuove sfere di influenza».
    L'Italia parteciperà quindi alla missione europea Aspides «con almeno una nave militare per 12 mesi, e valutiamo anche l'invio di assetti aerei con compiti di sorveglianza e raccolta dati». Un impegno, però, che ha bisogno di «un finanziamento aggiuntivo rispetto a quanto previsto nella legge di Bilancio». Insomma, servono più soldi. Qualcosa si recupererà spostando i fondi destinati alla precedente operazione Atalanta, inglobata da Aspides, ma Crosetto chiama il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti a trovare quel che mancherà tra le pieghe di un Bilancio già piuttosto stirato. E non solo per contrastare gli Houthi. Crosetto chiede ulteriori risorse anche per finanziare nuovi aiuti militari all'Ucraina, visto che l'Italia sta fornendo «un intervento pari a quello di Paesi che hanno un terzo o un quinto del nostro Pil». Al Consiglio informale Difesa di mercoledì a Bruxelles, racconta il ministro con un certo imbarazzo, «quando la Germania ha annunciato che fornirà 7 miliardi di aiuti, io ho preferito tacere». Ma su questo tavolo la partita economica rischia di essere più lunga e complicata, visto che potrebbe giocarsi a giugno, a ridosso delle Europee, con l'ingombrante impegno di preparare una manovra correttiva di bilancio. E con le opposizioni che continuano a criticare l'anima «bellicista» del governo.
    Fortunatamente, l'Italia non è sola. Sul fronte ucraino l'Europa ha appena stanziato 50 miliardi di euro. Nel Mar Rosso, invece, prende corpo la missione Aspides, guidata da Grecia e Francia, che «fisserà probabilmente a Larissa, nel Peloponneso, il suo quartier generale». Le azioni militari di Stati Uniti e Regno Unito contro le postazioni militari dei ribelli, intanto, «hanno dimezzato le "attività cinetiche" degli Houthi». Un calo che il ministro della Difesa definisce «significativo». Eppure, nonostante questo, «è impossibile pensare di riuscire a fermarli completamente. Gli Houti sono militarmente organizzati e valgono 10 volte Hamas»

 

 

01.02.24
  1. NON E' IL POSTO ADATTO PER PRODURRE:    Un investimento da 25 milioni di euro che darà lavoro a cento persone: firmata l'intesa con il gruppo dei microsatelliti
    San Mauro, nelle ex cartiere Burgo Argotec aprirà uno Space Park
    andrea bucci
    San Mauro si trasforma in città dell'aerospazio grazie all'insediamento di Argotec Space Park. E darà lavoro a cento persone. L'annuncio, ieri, in municipio dove è stato firmato il protocollo d'intesa, pubblico e privato, fra Regione, Argotec, Agenzia Piemonte Lavoro e Comune di San Mauro. La compagnia aerospaziale si avvarrà della rete regionale dei servizi pubblici per ricercare le professionalità necessarie: ingegneri aerospaziali, elettronici, informatici e delle telecomunicazioni ma anche profili tecnici per le operazioni di produzione, nonché professionisti dell'area amministrativa, legale, marketing e comunicazione.
    Argotec, ovvero la società specializzata nella produzione di microsatelliti aprirà in città lo Space Park, un nuovo grande stabilimento che, dal 2025, sarà ospitato negli spazi delle ex cartiere Burgo (sorgerà su 11 mila e 500 metri quadrati all'interno di 17 mila metri quadri di spazi verdi aperti al pubblico, di cui mille e 200 di aree dedicate a imprese, incubatori e start up). L'ex cartiera ospiterà anche la sede societaria, che al momento ha base a Torino. L'investimento è stimato in 25 milioni di euro. E poi c'è un altro investimento di 4,5 milioni di euro per un nuovo impianto produttivo nel Maryland (Stati Uniti), dove Argotec ha già una sua sede. La scelta di ristrutturare l'ex cartiere sanmaurese realizzata da Niemeyer nasce dalla volontà di non versare nuovo cemento e di valorizzare un'opera prestigiosa sul territorio che andava recuperata. L'azienda sarà in grado di produrre 52 satelliti all'anno (uno a settimana), con la possibilità di aumentare ulteriormente la produzione in futuro.
    Ad annunciare le politiche di lavoro è Romana Garavet, alla guida della funzione Human Capital di Argotec: «Il nostro piano di assunzioni conferma le ambizioni e le prospettive di crescita del Gruppo. Nell'ultimo anno abbiamo raddoppiato il numero dei colleghi, in Italia e negli Stati Uniti, ed è su questa falsariga che intendiamo proseguire, creando un forte impatto occupazionale sul territorio».
    «Questa collaborazione ci consente di supportare concretamente una realtà solida come Argotec nella ricerca di personale in possesso sia di competenze tradizionali sia nuove ed emergenti, mostrando che il sistema regionale è dinamico e in continua evoluzione, come l'attuale mercato del lavoro», aggiunge la direttrice di Agenzia Piemonte Lavoro, Federica Deyme.
    Un'attenzione verso il territorio salutata con soddisfazione dalla politica. Perché un ruolo chiave nella partita l'ha giocato, appunto, l'assessore regionale al Lavoro, Elena Chiorino: «Orgogliosi che una realtà virtuosa come Argotec scelga di investire sul territorio. Come Regione abbiamo il dovere di mettere in campo ogni sforzo possibile per fare incontrare domanda e offerta, certi che sul territorio piemontese siano presenti competenze ed eccellenze uniche, che meritano di essere valorizzate». E' entusiasta anche la sindaca, Giulia Guazzora: «Siamo soddisfatti di aver fatto da tramite per un accordo che rappresenta un ulteriore passo nel rilancio dell'area del Pescarito, con importanti ricadute sul tessuto socio economico ed occupazionale».

 

 

 

31.01.24
  1. "L'Unrwa è parte del problema palestinese un impero economico in mano ai jihadisti"
    Orlando Trinchi
    «Quando si parla di "giorno dopo", questo è uno dei temi su cui si dovrà discutere». Il politologo franco-israeliano Emmanuel Navon si riferisce al futuro dell'Unrwa, l'Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi. Classe 1971, professore all'Università di Tel Aviv e presidente di Elnet, organizzazione dedicata ai rapporti fra Israele ed Europa, Navon ha dato alle stampe un importante saggio sulla storia diplomatica del popolo ebraico, La stella e lo scettro. Storia della politica estera di Israele (Giubilei Regnani, 2023).
    «Coinvolgimento con gli attacchi di Hamas del 7 ottobre», accuse all'Unrwa. La preoccupa?
    «Lo Shin Bet, l'agenzia di sicurezza israeliana, e l'Idf hanno denunciato il coinvolgimento attivo del personale, dei veicoli e delle strutture dell'Unrwa nell'attacco terroristico del 7 ottobre».
    Il segretario generale dell'Onu, Guterres, si è detto «inorridito» e il rappresentante della politica estera dell'Ue Borell ha espresso «preoccupazione» per le rivelazioni.
    «Per chiunque abbia familiarità con l'Unrwa, tuttavia, questa non è stata una sorpresa. In teoria, l'Unrwa è un'agenzia umanitaria delle Nazioni Unite. In pratica, è un impero economico corrotto controllato dall'Olp e da Hamas. Avrebbe dovuto essere smantellato con l'istituzione nel 1950 dell'Alto Commissariato Onu per i rifugiati (o Unhcr)».
    Per quale motivo?
    «Dal momento della sua creazione nel 1949, l'Unrwa è stata incaricata dalla Lega Araba di perpetuare il problema dei profughi palestinesi, invece di risolverlo. Vi sono milioni di rifugiati in tutto il mondo, ma solo per i rifugiati palestinesi esiste un'agenzia Onu separata e solo questa agenzia separata trasferisce automaticamente lo status di rifugiato di generazione in generazione, anche a chi non è un vero rifugiato. Nel 1948 c'erano circa 600 mila rifugiati palestinesi, ma secondo l'Unrwa oggi ve ne sono 5 milioni e hanno il diritto di stabilirsi in Israele e diventare cittadini israeliani. Questa fantasia non ha precedenti storici né basi nel diritto internazionale. È anche incompatibile con una soluzione a due Stati. L'Unrwa è parte del problema, non della soluzione, e deve essere ritenuta responsabile del ruolo svolto nelle atrocità del 7 ottobre. Accolgo con favore la decisione degli Usa, del Regno Unito, della Francia, del Canada, dell'Australia, dell'Italia, dell'Austria, della Finlandia e dei Paesi Bassi che sospenderanno i finanziamenti all'Unrwa».
    Netanyahu sembra aver definitivamente voltato le spalle alla soluzione dei due Stati e si oppone allo Stato palestinese. Un errore?
    «Netanyahu è un politico che lotta per la sopravvivenza politica. Questa sopravvivenza dipende dai partner di estrema destra, motivo per cui non vuole che abbiano una scusa per lasciare la sua coalizione (appoggiare uno Stato palestinese fornirebbe sicuramente qualcosa del genere.
    Americani, egiziani e Qatar si stanno muovendo per un accordo. Funzionerà?
    «Il fuoco cesserà solo dopo che Israele negherà ad Hamas la possibilità di perpetuare un altro 7 ottobre. Israele deve, e lo farà, ripristinare la sua deterrenza insegnando ai suoi nemici una lezione che loro, e il mondo, non dimenticheranno mai. Successivamente sarà necessario trovare un nuovo modus operandi nella Striscia di Gaza e anche in Cisgiordania. Ma nessun modus operandi del genere potrà reggere finché i palestinesi saranno motivati dalla distruzione di Israele e finché l'Iran diffonderà caos e distruzione in Medio Oriente». —
  2. Antonio Di Pietro
    "Sto con i trattori, siamo solo all'inizio Governo impotente, è tutta colpa dell'Ue"
    andrea rossi
    Alle tre del pomeriggio Antonio Di Pietro ha appena finito di occuparsi dei pulcini. «Spero per Pasqua di avere i polli. Sa, ci vogliono almeno otto mesi, non come in certi allevamenti dove bastano trenta giorni. Vuole sapere come sta l'agricoltura? Gliel'ho appena spiegato».
    Ex garagista, ex metalmeccanico, ex segretario comunale, ex commissario di polizia, ex pm di Mani Pulite, ex leader dell'Italia dei Valori, ex ministro, a 74 anni l'uomo che ha diviso l'Italia tra chi lo considerava paladino della giustizia e chi un camaleontico populista è tornato alle origini. Montenero di Bisaccia, colline molisane: «Lavoro la terra che mi ha lasciato mio padre: olio, vino, grano, orzo. Per me, mia sorella, i miei figli e chi mi vuol bene». Intorno solo appezzamenti coltivati. «Vuol dire che l'amore per la terra è ancora forte, il problema è che non dà più da vivere a nessuno». Vista dalla prospettiva di un pensionato che si diverte a fare un po' di attività fisica (parole sue), la protesta dei trattori è sacrosanta e per di più appena all'inizio. «Crescerà, si fidi».
    Perché ne è così sicuro?
    «In tv vediamo grandi distese di campi. Una cartolina. La realtà è fatta di famiglie che devono campare con 15-20 ettari».
    E ci riescono?
    «Impossibile».
    Lei ci riesce?
    «Ho una buona pensione e 20 ettari. C'è chi si fa le settimane bianche e chi pota gli ulivi. Io non devo campare, mi diverto, ma i miei colleghi qui sono disperati».
    I principali problemi?
    «Un'infinità. I macchinari sono inavvicinabili. La manodopera non si trova: fatico a farmi potare gli ulivi e le viti. I cinghiali distruggono tutto. Poi, nel Centro-Sud non c'è irrigazione: guardiamo il cielo sperando che piova. Ho una vigna di due ettari, potrei fare 400 quintali d'uva l'anno: sa com'è andata lo scorso autunno?».
    Male?
    «Nemmeno un grappolo. Sono andato a comprare il vino alla cantina. Ma chi deve vivere di quello?».
    Non ce la fa.
    «E non riceve nemmeno un minimo di attenzione. Come si fa a reggere così?».
    Chi protesta accusa le multinazionali.
    «Fanno i loro interessi. Il problema è chi permette che realizzino maxi-profitti alle spalle del sistema produttivo diffuso».
    Il governo?
    «Ma si figuri, cosa vuole che faccia il governo».
    Se fosse ministro lei cosa farebbe?
    «Mi sentirei impotente. A me produrre un litro d'olio costa 12 euro. In giro lo trovo in vendita a 2 euro e 50. Solo le latte costano un euro e 50 l'una. Chi può reggere con questi squilibri?».
    I suoi colleghi dicono che è tutta colpa dell'Europa.
    «Hanno ragione. L'Europa sì che potrebbe fare qualcosa. Invece impone regole uguali per tutti, che siano grandi o piccole aziende, sulle colline molisane o nella sterminata pianura tedesca. Come se tutti potessero produrre le stesse cose, nello stesso modo e al medesimo costo. E poi non ti lascia lavorare».
    In che senso?
    «Siamo costretti a ruotare le coltivazioni. Ma chi ha 15 ettari cosa ruota? Chi ha i cinghiali che devastano tutto? E vogliamo parlare della burocrazia?» .
    Parliamone.
    «Ieri sera è venuto un vicino a portarmi due balle di fieno per le oche. Aveva il furgone pieno di scartoffie».
    E quindi?
    «Una volta dentro le auto dei contadini trovavi gli attrezzi. Ora ci sono montagne di carta: un'elefantiaca produzione di divieti e obblighi. Così i piccoli vengono fagocitati. O stai dentro il sistema della grande impresa o sei fuori dal mercato».
    Si riesce a stare dentro?
    «E come? Io con un ettaro di terra faccio 25 quintali di grano l'anno; c'è chi fa venti volte tanto. Non si può seminare il grano raccolto, bisogna acquistare i semi che costano tre volte tanto. Uno ci prova, poi al porto di Brindisi, o Genova, arriva un'enorme nave piena di grano e ti abbatte ulteriormente il prezzo. L'Europa dovrebbe tutelare la specificità dei suoi territori. Invece con i suoi vincoli di fatto favorisce le grandi imprese: coltivazioni verticali e allevamenti intensivi, animali che muoiono senza aver mai fatto un passo».
    Non è anche colpa di noi cittadini-consumatori?
    «C'è chi può permettersi di non adeguarsi, ma gli altri? Chi ha poco o niente compra l'olio a 2, 50 euro al litro e ancora ringrazia».
    Tra i grandi accusati sono finite pure le associazioni di categoria, a cominciare da Coldiretti. Giusto?
    «Di Coldiretti sono socio. Era una grande realtà, merita rispetto, ma è antistorica. Noi chiediamo a Coldiretti o al governo di andare in battaglia armati di baionetta contro chi ha la bomba atomica».
    Ha nostalgia della politica?
    «No, sono orgoglioso di ciò che ho fatto, da magistrato e da politico. Ma è importante rendersi conto del tempo che passa e di quello che resta. Rincorrere il potere fino alla fine dei propri giorni non fa per me».
    Cosa pensa di Giorgia Meloni e del suo governo?
    «Le auguro di fare il bene del Paese, che ne ha bisogno. Lo augurerei a chiunque al posto suo. Non ho pregiudizi, oggi mi sento molto lontano da posizioni preconcette».
    E del ministro Nordio?
    «Ha promesso di coprire gli organici in due anni. Mi auguro che ci riesca, la situazione della Giustizia è drammatica».
    La sua è una foto senza luci.
    «Vivo la terza fase della mia vita: dalla mia collina mi guardo intorno e vedo l'amarezza di chi deve trovarsi un altro lavoro perché con la terra non ce la fa. E ne soffro».
    Non ha più voglia di lottare? Magari di scendere in strada con gli altri agricoltori?
    «Lo sto già facendo. A modo mio: idealmente e mettendomi a disposizione. Da qui passano in tanti: chi ha un problema con l'Agenzia delle entrate, con le banche, chi ha bisogno di un consiglio. La porta è sempre aperta». —
  3. si è rotta Russia
    Una fontana di acqua bollente è esplosa a Nizhny Novgorod, in pieno giorno: 12 passanti, tra cui due bambini, sono rimasti gravemente ustionati nella rottura di una tubatura del riscaldamento. Il giorno dopo è stato il turno di Volgograd, con un altro geyser che ha raggiunto l'altezza del sesto piano: cinque ustionati e centinaia di stabili rimasti senza riscaldamento. Il giorno prima, in un altro quartiere della stessa città, altre 223 case sono rimaste senza calore nel pieno del gelo di gennaio.
    Mentre Vladimir Putin sta cercando di ridurre in macerie le città ucraine, alle sue spalle si è aperta un'altra linea del fronte, che passa per le città russe. Secondo il ministero della Protezione civile di Mosca, ogni 7 minuti viene registrata un'emergenza: un incendio, un blackout, una fuga di gas o di acqua. La Russia sta andando a pezzi, e gli incidenti con le caldaie, che hanno lasciato al gelo migliaia di abitanti dell'hinterland moscovita, attirando l'attenzione di Putin e dei media internazionali, sono soltanto la punta di un iceberg. I primi allarmi sullo sgretolamento delle infrastrutture ereditate dall'Unione Sovietica sono stati lanciati dai tecnici all'inizio degli anni Duemila, ma all'epoca il regime e l'economia putiniani erano in ascesa, e sembrava un problema transitorio. Trent'anni dopo, «la quantità si sta trasformando in qualità», avverte l'economista Igor Lipsitz, che nell'intervista alla rivista Spektr emette la diagnosi: «La Russia è attrezzata con impianti follemente obsoleti, usurati e assolutamente inaffidabili».
    La media dell'usura dell'impiantistica - tubi, cavi, pompe, turbine, caldaie, motori - si aggira intorno al 65-70%. A Nizhny Novgorod, grande e ricca, dopo l'incidente del geyser le autorità si sono vantate di aver ridotto il tasso di obsolescenza dal 77% al 50%, in alcuni agglomerati si aggira sul 100%, nella ricca Mosca tende allo zero. L'Associazione ascensoristica russa ha appena fatto sapere che su 81,5 mila ascensori da sostituire, manca il finanziamento per 45 mila, quasi il 10% del parco totale. La Russia, contrariamente all'immaginario europeo, non abita in casette rustiche, ma in casermoni di cemento, e la prospettiva di vecchi o bambini imprigionati al 22esimo piano senza ascensore, e con i caloriferi rotti, appare apocalittica.
    La causa è scontata, quanto la soluzione. L'impiantistica sovietica, centralizzata, elefantiaca e inefficiente, ha dei costi di gestione mostruosi. Per gli enti locali erano eccessivi: fino al 60% delle spese del ricco comune di Mosca veniva divorato da riscaldamento, acqua calda e altre funzioni vitali. La ricchezza apparente e appariscente della Russia del boom petrolifero è stata spesa altrove: i privati in auto e vestiti, gli oligarchi in yacht e squadre di calcio, i sindaci in progetti immobiliari scintillanti e ricchi di appalti ambigui, il Cremlino in Olimpiadi e guerre. Ora, per tamponare l'emergenza infrastrutturale ci vorrebbero, secondo l'economista ed ex deputato della Duma Ivan Grachov, 10-20 trilioni di rubli ogni anno, per 3-5 anni (un euro equivale a 100 rubli).
    La finanziaria del 2024 è di 35 trilioni, di cui un terzo speso per la guerra. Ogni raid aereo sulle città ucraine polverizza chilometri di tubature e centinaia di caldaie: la spesa per le infrastrutture comunali è stata ridotta a 818 miliardi nel 2024 e si dimezzerà a 455 nel 2025, per scendere a 360 nel 2026. «Le condizioni di vita della popolazione non hanno più nessuna rilevanza per il potere», commenta Lipsitz: «Tanto può sempre giustificare povertà e disagi con la guerra».
    La modernizzazione delle infrastrutture potrebbe essere un motore di rilancio, ma il Cremlino preferisce le bombe, e la popolazione non ha i mezzi. Il presidente dell'Associazione ascensoristica Pyotr Kharlamov dice che la sostituzione degli ascensori dovrebbe venire finanziata dai condomini, ma gli inquilini russi non hanno messo da parte i soldi necessari nemmeno per un impianto. Il fatto che gli ascensori siano prevalentemente occidentali, di marchi che boicottano il mercato russo, e che i prezzi siano aumentati del 50%, è quasi irrilevante di fronte a una constatazione amara: la Russia è un Paese povero, come dimostra il fiume di volontari disposti a morire nelle trincee ucraine per qualche migliaio di euro.
    È stato Putin in persona a nazionalizzare la caldaia rotta di Klimovsk, il paese nei pressi di Mosca, mostrando la via. Il capo della Duma Vyacheslav Volodin chiede la rinazionalizzazione della rete elettrica, nonostante dovrebbe a quel punto venire sovvenzionata dal governo. E il presidente della Camera di industria e commercio Andrey Shirokov ha rotto un tabù sostenendo che la privatizzazione degli alloggi dei russi negli anni Novanta «è stata un errore che ha generato una classe di proprietari miserabili». Secondo lui, fino al 60% degli inquilini non sono in grado di permettersi le spese comunali e condominiali, e dovrebbero rinunciare agli appartamenti di proprietà.
    Un'ammissione del fallimento dell'utopia postcomunista, che regalava case a chi le abitava nella speranza thatcheriana di creare una classe di piccoli proprietari, che avrebbero avuto qualcosa da perdere oltre alle loro catene. Quarant'anni dopo, si sta pensando a una nuova Urss, che abita in una gigantesca banlieue di case popolari (comunque fatiscenti). Una riscrittura definitiva del patto sociale: invece di cittadini che scelgono dove e come vivere, e da chi farsi governare, dei sudditi totalmente dipendenti dallo Stato, e pronti a farsi mandare in guerra, stavolta senza nemmeno i soldi per accendersi un mutuo.

 

 

 

01.02.24

 

 

 

 

 

30.01.24
  1. l modello sarà la Riserva selezionata istituita nel 2002 dopo la fine del servizio obbligatorio

    Nell'agosto 2022 è stata votata una legge delega per la riforma dell'ordinamento militare che prevede una dotazione suppletiva di uomini e donne in divisa e nuove regole per il reclutamento, sancendo di fatto la nascita di una riserva di fino a 10 mila "volontari". Il testo esplicita solo che i riservisti siano ripartiti in distretti regionali e ipotizza un impiego in «attività in campo logistico nonché di cooperazione civile-militare». Mentre in molti Paesi europei è una tradizione radicata – Usa, Svizzera, Israele – in Italia è un istituto relativamente nuovo e nella formula pensata dal ministro Guido Crosetto è aperto a ex militari o civili che volontariamente desiderano aderire. Sui punti ancora da chiarire – catena di comando, selezione, addestramento, richiamo, regole di ingaggio – si ipotizza un funzionamento simile a quello della Riserva Selezionata istituita nel 2002 in concomitanza della sospensione della leva obbligatoria, in seguito alla quale sono venute meno una serie di professionalità impiegate nei ranghi, come avvocati, ingegneri, interpreti. Il primo a partire è stato l'Esercito, poi si sono aggiunti Marina, Aeronautica e Carabinieri, ognuno con funzionamenti differenti (specie i Carabinieri perché formano ufficiali di polizia giudiziaria). Il bacino più ampio però rimane l'Esercito, che usa un modello mutuato da quello americano seppur con sfumature diverse.
    Si fanno due corsi l'anno dove in media partecipano 35/40 persone e si formano ufficiali tra una serie di candidati che sulla carta devono esser laureati o avere specialità professionali specifiche (come parlare arabo o cinese). Il mese e mezzo di corso è diviso in due moduli che si svolgono alla Scuola di Applicazione di Torino ovvero nella stessa sede dove finisce il percorso di formazione degli ufficiali d'Accademia (ultimo triennio, dopo il biennio a Modena). Cioè si viene specializzati nella formazione militare.
    Gli interessati fanno domanda al distretto militare di appartenenza, una volta ammessi al corso ricevono il grado di tenente col quale si svolge il corso praticando materie come geopolitica, addestramento formale, addestramento fisico. Un'infarinatura militare perché sebbene in teoria non si vada a combattere (l'impiego dei riservisti è volto principalmente alla logistica, cioè a far funzionare la macchina bellica) può capitare di dover essere costretti dalle circostanze a farlo, specie quando si vien impiegati in teatri come Libano o Afghanistan.
    Quello che governa il tutto è il codice dell'ordinamento militare secondo cui se un reparto esprime un'esigenza di profili professionali invia una richiesta allo Stato Maggiore Difesa (Sme) che individua un profilo adeguato. Una volta selezionato il riservista viene impiegato per un periodo di tempo di sei mesi prolungabile per un totale massimo di un anno meno una settimana. —
  2. Emendamento per tutelare gli amministratori: puniti solo i casi di grave dolo
    Scudo erariale fino al 2026 per la Pa I Cinque Stelle contro la proroga

    Il centrodestra ci riprova con lo scudo erariale. La maggioranza ha depositato un emendamento al Milleproroghe, all'esame delle commissioni della Camera, per prorogare lo scudo degli amministratori pubblici fino alla fine del 2026. Allo stato attuale la norma scade a giugno di quest'anno, grazie a un rinvio inserito nel decreto della Pubblica amministrazione approvato qualche mese fa.
    Lo scudo erariale è destinato a funzionari e amministratori, limitando ai casi di dolo e grave inerzia le contestazioni della Corte dei Conti. I magistrati contabili hanno contestato più volte questa misura perché, spiegano, l'indebolimento della responsabilità erariale può favorire la dispersione delle risorse pubbliche, specialmente di quelle legate al Pnrr, determinando perciò un clima favorevole per le infiltrazioni della criminalità organizzata.
    Il ragionamento della Corte dei Conti è chiaro: esentare dalle responsabilità gli amministratori che hanno provocato un danno all'erario ha una ricaduta diretta sullo Stato e sugli enti locali.
    L'idea dello scudo erariale nasce a causa dell'annosa questione della paura della firma, con la necessità di garantire agli amministratori di non essere perseguiti se invece danno il via libera agli atti.
    «Per noi è irricevibile», attaccano i 5 Stelle. «In questo modo il centrodestra punta a rendere stabile una norma nata con il governo Conte II in un contesto emergenziale e pensata come eccezione per un arco temporale molto breve», spiegano i capigruppo M5s nelle commissioni Affari Costituzionali e Giustizia della Camera, Alfonso Colucci e Valentina D'Orso, che aggiungono: «La proposta della maggioranza è sbagliata e pericolosa di per sé, ma diventa esplosiva se letta in combinato disposto con l'abolizione del controllo concomitante della Corte dei Conti sul Pnrr, già voluta dal governo e approvata dalla maggioranza, e con la prossima abrogazione dell'abuso d'ufficio».
    Secondo i pentastellati si tratta di «un vero e proprio liberi tutti». Il governo, in occasione dell'ultima proroga, aveva promesso «una disciplina aggiornata e stabile», ma se l'emendamento dovesse essere approvato la riforma arriverà solo dopo la chiusura del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
  3. L'analisi Istat-Banca d'Italia: "Rapporto ricchezza-reddito tornato al 2005"
    L'inflazione brucia il 12% della ricchezza frena ancora l'industria: a dicembre - 2,8%

    Luca Monticelli
    L'inflazione mangia la ricchezza delle famiglie. Nel 2022 il patrimonio degli italiani si è ridotto del 12% a causa dell'aumento dei prezzi. La stima è calcolata in un rapporto diffuso dall'Istat e dalla Banca d'Italia. Alla fine del 2022 la ricchezza netta delle famiglie italiane è stata pari a 10.421 miliardi di euro, rispetto al 2021 è diminuita del 12,5%. E a dicembre è frenata l'attività industriale, -2,8%.
    La ricchezza netta dei nuclei familiari viene misurata come somma delle attività non finanziarie (come abitazioni, terreni) e delle attività finanziarie (depositi, titoli, azioni) al netto delle passività (prestiti a breve, medio e lungo termine).
    «Il rapporto tra la ricchezza netta e il reddito lordo disponibile è sceso da 8,7 a 8,1, tornando ai livelli del 2005», si legge nello studio. Il valore delle abitazioni è cresciuto, ma a incidere sulla ricchezza c'è il dato relativo alle attività finanziarie che si sono contratte di oltre il 5%, principalmente per effetto della riduzione del valore delle azioni e degli strumenti del risparmio gestito. Dopo circa un decennio sono tornati a crescere i titoli di debito detenuti dalle famiglie, si è passati da 231 a 253 miliardi di euro in un anno, con una risalita del 9,4%. Si tratta di titoli «in buona parte emessi dalle amministrazioni pubbliche - rileva l'analisi - mentre l'aumento dei depositi è stato contenuto, dopo il forte accumulo osservato nel triennio precedente». A perdere appeal è anche il mercato azionario, in calo dopo tre anni di crescita. Gli andamenti negativi dei mercati, spiega la nota economica, determinano una riduzione dei valori delle attività finanziarie, solo in parte controbilanciata dagli acquisti di nuovi prodotti. Le famiglie hanno riportato perdite in conto capitale, derivanti principalmente dalla svalutazione di riserve assicurative, quote di fondi comuni, azioni e titoli.
    Intanto, da Confindustria arriva un nuovo indice per leggere l'economia in tempo reale attraverso le fatture elettroniche. Gli economisti di via dell'Astronomia lo hanno chiamato Rtt, real time turnover, perché nasce con l'ambizione di «far emergere in maniera istantanea le inversioni di tendenza», sottolinea il direttore generale di Confindustria Raffaele Langella. Lo strumento consente di capire la dinamica del Pil grazie a un'analisi su 400 milioni di fatture elettroniche, pari a 900 miliardi di euro di valore. Al suo debutto, l'indice registra una crescita del Pil del +0,8% nel quarto trimestre del 2023, sostenuta da servizi e costruzioni. Di contro, l'industria rallenta di quasi 3 punti percentuali a dicembre, dopo +3,2% a novembre. Questo dato, letto insieme alla dinamica piatta delle scorte Istat a fine anno, anticipa un calo della produzione. —
  4. SARA' UN FLOP TOTALE PER LA SCELTA SOLO ELETTRICA : "La nuova Lancia riparte dall'Italia Dal 2026 tutte le auto saranno elettriche"
    Luca Napolitano
    giuliano balestreri
    «Ripartire dall'Italia per la nuova Lancia. Il mandato che mi ha dato l'amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, è molto chiaro. Contribuire ad aumentare il fatturato dei marchi premium di Stellantis con DS e Alfa Romeo». Luca Napolitano, 55 anni e tre figlie, da tre anni è al vertice di Lancia con l'obiettivo di riportare il marchio ai fasti del passato, dalla B24 protagonista nel "Sorpasso" con Vittorio Gassman alla Delta che ha fatto sognare gli appassionati: «Lancia è il marchio dell'eleganza italiana e tocca il cuore di tanti appassionati in tutto il mondo, non solo in Italia. Lancia nasce e si crea al Centro Stile a Torino dove c'è chi disegna il marchio delle belle auto italiane e da lì si riparte. Avevamo il sogno di fare rinascere questo marchio. E ce la faremo. Con tre nuove vetture dal 2024 al 2028».
    La prima arriva tra pochi giorni.
    «È la nuova Ypsilon, una vettura completamente cambiata. Un omaggio dovuto a un'auto così amata dagli italiani e in particolare dalle donne che sono il 65% degli acquirenti. La presenteremo a Milano il 14 febbraio, in collaborazione con Cassina, uno dei più grandi interior designer a livello internazionale. Sarà la prima vettura della nuova era sia elettrica che ibrida e verrà venduta per l'80% in Italia».
    Perché con Cassina?
    «Perché parliamo di due marchi italiani con un secolo di storia ciascuno alle spalle, due esempi di eccellenza e dai valori condivisi quali italianità, iconicità, innovazione, ricerca, rispetto per la tradizione, oltre all'attenzione alle tematiche ambientali. Non si tratta di una collaborazione industriale, insieme abbiamo ricreato a bordo della nuova Ypsilon quella unica sensazione di comfort o di sentirsi a casa, la stessa sensazione che si provava sulle belle Lancia del passato fino alla Lancia Thema degli anni '80».
    C'è l'obiettivo di andare all'estero?
    «Sì. Prima vogliamo avere successo in Italia e poi subito dopo, certo, vogliamo riportare la Lancia in Europa. La nostra missione è quella di rafforzare l'offerta premium di Stellantis. Con un posizionamento ben differenziato e chiaro rispetto agli altri. I nostri valori sono: la nostra storia, il design italiano e una visione ambiziosa per il futuro. Lavoriamo con umiltà, un passo alla volta ma anche con grande passione e amore per il nostro brand».
    Un'operazione ambiziosa.
    «Sì. Si tratta di una sfida ambiziosa. La Lancia deve fare un grande salto in termini di posizionamento. Noi crediamo molto nel nostro piano. In fondo l'attuale Ypsilon è in Italia la city car dei record, leader storico del segmento B, con 39 anni di successi, quattro generazioni, 3 milioni di unità vendute e un parco circolante di un milione di italiani fedeli».
    La crisi non aiuta la vendita di auto.
    «Vero, ma lo scorso anno con 44.743 immatricolazioni, il 9% in più rispetto all'anno prima, Lancia Ypsilon è stata la terza auto più venduta nel mercato italiano e il secondo modello più venduto di Stellantis, raggiungendo (con il 14,9%) la seconda maggiore quota di mercato nel segmento B della sua storia. Due anni, il 2022 e il 2023, consecutivi da record».
    Un solo modello per questi obiettivi non sarà sufficiente.
    «Il nostro piano è a dieci anni e prevede tre nuove vetture, una ogni due anni: la seconda, la Gamma, verrà prodotta proprio in Italia nello stabilimento di Melfi che nel 2026, farà il suo ingresso nel segmento più grande del mercato, con il 50% dei volumi destinato all'Italia. Nel 2028 uscirà il terzo modello, la Delta, la vettura che ogni appassionato di Lancia sta aspettando e che susciterà l'entusiasmo degli amanti dei rally in Italia e non solo. Per l'ammiraglia siamo agli ultimi dettagli. Per la Delta abbiamo ancora un po' di tempo perché sappiamo quanto questo modello sia importante per tanti appassionati. A tutto questo si sta aggiungendo una rete di concessionari che è stata interamente rinnovata per massimizzare una esperienza in perfetto stile Lancia».
    Il tutto mentre l'industria affronta la transizione verso l'elettrico.
    «Il cammino verso le emissioni zero è qualcosa di molto naturale per il marchio che già oggi non dispone più in gamma di motori a benzina o diesel. Lancia è infatti pronta a tornare con una chiara strategia di elettrificazione, con la Nuova Ypsilon disponibile sia in versione elettrica che ibrida e a partire dal 2026 con una gamma composta solo da vetture elettriche.

 

29.01.24
  1. Ingiusta detenzione ed errori giudiziari, ogni giorno tre persone finiscono in cella senza colpe
    In vent'anni 30 mila innocenti in carcere quasi un miliardo le spese per lo Stato
    franco giubilei
    torino
    Gli anni di libertà rubati dalla giustizia italiana costano cari per le spese di risarcimento che lo Stato è chiamato a rifondere, due milioni e 460 mila euro all'anno, ma non hanno prezzo per le persone che subiscono la detenzione essendo innocenti. I numeri danno la dimensione di un fenomeno che in vent'anni, fra il '91 e il 2021, ha colpito 30 mila persone nel nostro Paese: significa che in media ogni anno 961 cittadini finiscono dietro le sbarre senza avere alcuna responsabilità dei delitti che vengono loro attribuiti. Nel lasso di tempo interessato, lo Stato ha sborsato quasi un miliardo di euro, 932.937.000 per l'esattezza. Nel solo 2022, 539 persone sono state incarcerate innocenti, per una cifra di 27 milioni 378 mila euro per indennizzi liquidati.
    Si potrà obiettare che l'errore, nelle indagini e nei processi così come in qualsiasi altra attività, non è umanamente eliminabile, ma qui c'è qualcosa di più se l'ingiusta detenzione investe tanta gente. Occorre comunque distinguere fra quanti «subiscono una custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari, salvo venire assolti» e le persone che restano vittime di errori giudiziari veri e propri, cioè coloro che «dopo essere stati condannati con sentenza definitiva vengono assolti in seguito a un processo di revisione», spiegano Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone. Sono i giornalisti che da oltre venticinque anni osservano il fenomeno dal loro osservatorio del sito www.errorigiudiziari.com.
    I dati fanno riferimento al 2022, quando gli errori giudiziari sono stati otto, uno in più rispetto all'anno precedente, mentre nell'arco dei ventun anni dal '91 in poi il totale ammonta a 222 casi - in media sette all'anno - per una spesa complessiva per risarcimenti di 76 milioni 255 mila euro. Se ci si ferma a considerare solo il 2022 la spesa ha sfiorato i dieci milioni, ma qui a colpire è il divario all'anno prima, quando la cifra era sette volte più bassa. Gli autori dell'analisi a questo riguardo spiegano però che sull'elaborazione degli indennizzi pesano «i criteri di elaborazione dei risarcimenti, che sono molto più discrezionali e variabili rispetto a quelli fissati invece dalla legge per l'ingiusta detenzione». Questa degli innocenti chiamati a pagare per delitti che non hanno commesso è solo una delle piaghe che affliggono il mondo carcerario italiano e chi ha la ventura di varcare i cancelli di un istituto di pena. Il sovraffollamento delle celle su cui era intervenuta anni fa l'Unione europea, stabilendo una superficie minima a disposizione di ogni detenuto, è tornato a farsi sentire: i reclusi hanno raggiunto quota 60 mila mentre la capienza degli istituti ammonta ufficialmente a 51.272 posti.
    Ai detenuti in sovrannumero corrispondono, secondo i sindacati di categoria, organici insufficienti di polizia penitenziaria. Un disagio che si esprime anche nel numero abnorme di suicidi, uno ogni cinque giorni, denuncia l'associazione Antigone. —

 

 

 

 

28.01.24
  1. "Il mondo è cambiato, l'Italia si prepari se c'è pericolo servono i riservisti "
    Guido Crosetto
    L'esercito
    Nuovi equilibri
    "
    Il rischio
    FRANCESCO OLIVO
    ROMA
    Secondo Guido Crosetto gli attacchi alle navi nel Mar Rosso non sono solo un'offensiva militare, ma un nuovo capitolo «di guerra ibrida». Per il ministro della Difesa, infatti, la decisione degli Houthi di non colpire le navi cinesi e russe di fatto «altera le regole del commercio mondiale». E quindi la missione europea è ancora più urgente «per gli interessi italiani». Lo scenario globale è cambiato, anche perché «gli attori che lo stanno destabilizzando, Iran, Russia e Corea del Nord, hanno una capacità produttiva militare superiore a quella della Nato».
    Ministro, quante navi invierà l'Italia nel Mar Rosso?
    «L'Italia manderà una nave che si aggiunge alle altre già presenti in zona per le altre missioni».
    Per l'Italia questa è davvero una priorità?
    «Per l'Italia molto più che per altri Stati».
    Perché allora questa lentezza nelle decisioni?
    «Per andare più rapidi abbiamo trovato un accordo con Francia e Germania. Poi, però, per dei puri dettagli, si perdono settimane e ora non ce lo possiamo permettere».
    Ha influito il fatto che la Spagna abbia frenato su un intervento europeo?
    «Quella del governo spagnolo è una diffidenza ideologica. Sánchez ha fatto prevalere l'interesse dei suoi accordi politici su quelli della sicurezza internazionale».
    Qual è l'aspetto più preoccupante di questa crisi?
    «C'è una guerra commerciale in atto che vuole alterare le regole globali».
    In cosa consiste?
    «Le navi russe e cinesi non vengono attaccate e la cosa viene annunciata apertamente. Questo crea un disallineamento commerciale, perché le loro merci hanno costi di trasporto e di assicurazioni inferiori, cosa che si riflette sui prezzi. È una guerra che si innesca su un'altra guerra».
    Una guerra ibrida?
    «Sì. È l'inizio di qualcosa di diverso».
    Le navi italiane potranno colpire le postazioni degli houthi?
    «Noi non possiamo bombardare, a meno che ci sia una risoluzione internazionale o la richiesta di un Paese amico. Possiamo rispondere agli attacchi, magari anche anticipandoli».
    Verrà coinvolto il Parlamento?
    «Di sicuro. Ci saranno delle comunicazioni o passaggi formali, a seconda della configurazione della missione, con un voto dell'Aula».
    Le azioni di Stati Uniti e Gran Bretagna stanno ottenendo risultati concreti?
    «Sì, ma non è facile: gli Houthi sono molto organizzati e non facili da sconfiggere. Io spero che passi il messaggio che siamo davanti a uno scenario nuovo, che ci riguarda da vicino e che ci dobbiamo attrezzare».
    Cosa significa?
    «Abbiamo costruito regole con l'idea di un mondo sempre pacifico, di nazioni che non invadono le altre, di guerre che non incidono sul benessere dei nostri cittadini. E invece ci ritroviamo in un mondo diverso, in cui gli attori che lo stanno destabilizzando, Iran, Russia e Corea del Nord, hanno una capacità produttiva militare superiore a quella della Nato».
    Deve cambiare il ruolo delle forze armate italiane?
    «Sì, abbiamo trasformato le forze armate con l'idea che non ci fosse più bisogno di difendere il nostro territorio e che la pace fosse una conquista di fatto irreversibile. Le forze armate, in questo quadro, al massimo partecipano a missioni di pace, senza arrivare a scontri veri e propri. Ora i recinti sono stati abbattuti, non ci sono più regole».
    Non crede che si generi allarme tra i cittadini?
    «Il ruolo del ministro della Difesa presuppone di prendere in considerazione gli scenari peggiori possibili».
    Qual è lo scenario peggiore?
    «Doversi difendere sul proprio territorio. Altra cosa che va prevista è intervenire in Paesi lontani per difendere gli interessi italiani».
    Come pensa verrà accolto questo discorso?
    «So che è un discorso difficile da accettare perché tutti noi tendiamo a nasconderci in una comfort zone».
    Per questo propone di creare una riserva militare?
    «Sì».
    È una svolta militarista?
    «Noi non vogliamo la guerra, i riservisti non servono per fare la guerra, ma per difendersi, in supporto alle forze armate regolari, e solo nel caso, poco probabile, di un attacco diretto. Non c'è una visione ideologica, ma pragmatica. Come in Svizzera che non partecipa a conflitti da secoli ma è pronta a difendersi».
    Di cosa si tratta?
    «Di volontari che, in caso di necessità, possono essere attivati per affiancare le forze armate. I militari dovranno specializzarsi sempre di più, ma poi serve un bacino più ampio».
    Questo richiede una riforma della Difesa?
    «Sì. Le faccio un esempio: se io ho bisogno di esperti di intelligenza artificiale o di hacker, con le regole ed il trattamento economico del pubblico impiego, non li troverò mai».
    Agirete subito?
    «Per la riserva esiste già una delega del Parlamento».
    Sarà lunga la crisi?
    «È una vicenda legata alla guerra di Gaza. Anche per questo bisogna trovare una soluzione rapidamente».
    La posizione italiana è cambiata?
    «Noi abbiamo condannato duramente i crimini di Hamas. Dopodiché abbiamo detto a Netanyahu che non si può essere contrari alla soluzione dei due Stati che tutto il mondo sostiene. Né si può stare zitti davanti al numero altissimo di vittime civili».
    Oggi comincia la Conferenza Italia-Africa. Ci dice in due parole che cos'è in concreto il Piano Mattei?
    «È un'avanguardia basata su dei paletti chiari. Seguiranno degli sforzi politici ed economici molto forti».
    Quali?
    «Non è fuffa. La vittoria di Meloni è stata far capire a tutti gli Stati occidentali che questo è il secolo dell'Africa».
    L'analisi è chiara, ma cosa si farà concretamente?
    «Ci saranno interventi su istruzione, commercio, sanità, ricerca, infrastrutture. Si partirà con esperimenti in alcuni Stati, per poi allargarsi agli altri».
    La convince l'accordo con l'Albania sui migranti?
    «È un tentativo innovativo. Poi vedremo i risultati».
    Il Fatto Quotidiano ha scritto che lei nel corso di un evento privato ha dato per scontata la vittoria di Putin e l'allargamento del conflitto in Medio Oriente. È vero?
    «Assolutamente no, mai detto né pensato. E per fortuna non c'è neanche bisogno di smentire perché il mio intervento è registrato. L'articolo del Fatto Quotidiano lo considero un atto di guerra ibrida».
    Addirittura? Il quotidiano ha confermato il contenuto dell'articolo.
    «Quelle fake news non fanno male a me, ma allo Stato. Perché mettono in discussione, attraverso frasi mai pronunciate, le posizioni cruciali della politica estera e di difesa dell'Italia».
    Servirebbe uno sforzo maggiore per arrivare alla pace in Ucraina?
    «La pace non è un'opzione nelle nostre mani: la guerra continuerà a lungo perché Putin ha ancora l'idea di arrivare a Kiev».
    Il sostegno all'Ucraina si sta affievolendo?
    «Potremmo girarci dall'altra parte, poi però ci troveremmo i carri armati di Putin sotto casa».
    Il governo ora cerca risorse con le privatizzazioni, si stanno mettendo in vendita gli asset dello Stato?
    «Con questo governo gli asset dello Stato non saranno mai messi in vendita».
    Meloni in passato aveva denunciato i tentativi di privatizzazione delle Poste. Una giravolta?
    «Non si tratta di una vera privatizzazione, nel senso che lo Stato mantiene il controllo». —

 

 

27.01.24
  1. In orbita i satelliti militari degli Ayatollah
    L'Iran manda in orbita tre satelliti nell'ambito di un programma che, secondo l'intelligence occidentale, punta a perfezionare l'impiego dei suoi arsenali balistici. L'operazione è da inquadrare negli sforzi collaterali attuati da Teheran per rafforzare il proprio ruolo nello scacchiere internazionale in una fase di inesorabile allargamento del conflitto che affonda le radici nella guerra a Gaza. La messa in orbita rappresenta un passo in avanti dal punto di vista tecnologico, perché portata a compimento con un vettore che in passato aveva registrato diversi fallimenti. Il filmato diffuso dalla televisione di Stato, mostra il lancio notturno del razzo Simorgh, avvenuto secondo un'analisi compiuta dell'Associated Press alla base aerospaziale dell'Imam Khomeini nella provincia rurale di Semnan. «Il ruggito del Simorgh ha risuonato nel cielo del nostro Paese e nello spazio infinito», ha commentato l'emittente pubblica iraniana, che ha identificato i satelliti coi nomi di Mahda, Kayhan-2 e Hatef-1. Il primo ha scopi di ricerca, mentre Kayhan e Hatef sono "nanosatelliti" focalizzati rispettivamente sul posizionamento globale e sulla comunicazione. Secondo gli 007 Usa lo sviluppo di tali tecnologie satellitari «accorcia i tempi» nei quali l'Iran potrà dotarsi di un missile balistico intercontinentale, come menzionato in un rapporto che cita specificamente il Simorgh quale vettore a duplice uso

 

 

 

26.01.24
  1. E spunta il dossier contro l'Onu "Dipendenti complici dei jihadisti"
    nello del gatto
    GERUSALEMME
    Israele ha presentato all'Unrwa le prove del coinvolgimento di suoi dipendenti nel massacro del sette ottobre. Il segretario delle Nazioni Unite, Guterres, ha chiesto una rapida inchiesta interna, cosa ribadita anche dal capo dell'Unrwa, Lazzarini, che si è detto scioccato e ha annunciato il licenziamento immediato di questo personale. Nell'attesa dei risultati dell'inchiesta, gli Stati Uniti hanno bloccato i finanziamenti all'Unrwa. Israele ha più volte accusato l'agenzia per i rifugiati di aiutare Hamas. Alcuni ostaggi rilasciati da Gaza hanno detto di essere stati rinchiusi in strutture dell'Unrwa e tenuti da insegnanti dell'organizzazione. Accuse anche all'Oms per l'uso militare che Hamas fa degli ospedali, subito respinte al mittente.
    «Continueremo a difendere noi stessi e i nostri cittadini rispettando il diritto internazionale». Questa la reazione a caldo del premier israeliano Benjamin Netanyahu al pronunciamento della Corte internazionale di Giustizia dell'Aia. Il tribunale, che non ha chiesto formalmente un cessate il fuoco a Israele, impegna il Paese ebraico a mettere in campo tutte le misure per prevenire atti di genocidio nella Striscia di Gaza. Ma Netanyahu va avanti per la sua strada. «Israele sta combattendo una guerra giusta come nessun'altra. Continueremo – ha aggiunto il premier - questa guerra fino alla vittoria assoluta, finché tutti gli ostaggi non saranno restituiti, e Gaza non sarà più una minaccia per Israele». Il premier si è anche soffermato sul fatto che la Corte continuerà a discutere dell'accusa di genocidio verso Israele, su richiesta sudafricana, decisione che, per lui, è «una vergogna che non sarà cancellata per generazioni».
    Dello stesso parere è anche ministero degli Esteri israeliano che in una nota, ribadendo che la guerra di Israele è contro Hamas e non i civili palestinesi, scrive che «l'accusa di genocidio mossa contro Israele alla Corte Internazionale di Giustizia è falsa e scandalosa. Si tratta di una vergognosa strumentalizzazione della Convenzione sul genocidio che non solo è del tutto priva di fondamento nei fatti e nel diritto, ma è anche moralmente ripugnante».
    Una cinquantina tra ex militari, professori universitari e imprenditori hanno scritto una lettera contro Netanyahu, invitandolo alle dimissioni, perché «è un pericolo per la nazione». Il premier ha chiesto ai membri del governo di non parlare, di non commentare la sentenza della Corte di Giustizia dell'Aia. Ma il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, ha comunque liquidato l'Alto tribunale internazionale come «antisemita», dichiarando che «non cerca giustizia, ma piuttosto la persecuzione del popolo ebraico».
    Hamas ha invece accolto con favore la sentenza affermando che «contribuisce a isolare Israele», continuando a parlare di genocidio in una nota trasmessa via Telegram. Il ministro degli Esteri palestinese Riyad al-Maliki ha sottolineato che la decisione della Corte mondiale costituisce un «obbligo legale vincolante», e ha chiesto a tutti i Paesi di far rispettare il pronunciamento.
    Per il Sudafrica, il pronunciamento della Corte è una «vittoria decisiva» per lo stato di diritto internazionale. Mentre l'Egitto dice che si aspettava la richiesta di sospensione dei combattimenti. La Commissione europea, infine, in un comunicato, chiede che le parti rispettino quanto richiesto dalla Corte.
  2. I mercantili occidentali non transitano da Bab el-Mandeb per paura degli attacchi dei ribelli yemeniti. Al loro posto ci sono le compagnie del Dragone
    Il lasciapassare Houthi per le navi cinesi I cargo di Pechino padroni del Mar Rosso

    Francesco Semprini
    Nel Mar Rosso infestato dagli attacchi delle procure iraniane, scosso dai bombardamenti alleati e affollato da gendarmi marittimi, c'è una flotta silenziosa che si incunea tra lo stretto di Aden e il canale di Suez, pronta a solcarne incolume i mari in tempesta. È una flotta che viene da lontano, dalla Cina, attore privilegiato in questa fase del conflitto che, dalla Striscia di Gaza, sta contaminando con le sue metastasi il Medio Oriente mettendo a dura prova il traffico marittimo dell'intero Pianeta. Di fronte all'instabilità causata dagli arrembaggi Houthi (compiuti con raid missilistici e azioni piratesche via mare) diverse compagnie di navigazione cinesi hanno redistribuito le loro navi per servire il Mar Rosso e il Canale di Suez, in quello che secondo gli analisti è un tentativo di sfruttare l'immunità del Dragone dagli attacchi della formazione yemenita filo-iraniana. Gli stessi che hanno causato molti armatori attivi in quel bacino a ordinare cambi di rotta ai propri bastimenti.
    Si tratta di linee più piccole che servono i porti di Doraleh a Gibuti, Hodeidah nello Yemen e Jeddah in Arabia Saudita, scali alle prese con pronunciati cali dei volumi di traffico dovuti al cambio di rotta delle navi container costrette a doppiare il Capo di Buona Speranza in Sudafrica. Tra i mercantili del Dragone che operano nell'area ci sono la Zhong Gu Ji Lin e la Zhong Gu Shan Dong, entrambe battenti bandiera cinese, sebbene sull'identità dell'armatore viga il mistero, spiega il Financial Times. Entrambe le navi all'inizio di questa settimana erano indicate sul sito web della Transfar Shipping con sede a Qingdao, che si descrive come «un attore emergente nel mercato transpacifico», tuttavia, la società ha dichiarato di aver smesso di gestire le navi nel febbraio 2023 e di non sapere quale compagnia le gestisca adesso. L'entrata in scena di queste realtà più snelle e smaliziate avviene dopo che la maggior parte delle grandi compagnie di trasporto marittimo di container – tra cui la stessa Cosco, operatore cinese della quarta flotta più grande del settore – hanno abbandonato il Mar Rosso meridionale a causa dei rischi per la sicurezza. I dati di Clarksons, azienda di servizi marittimi, mostrano che gli arrivi di navi portacontainer a metà gennaio all'ingresso del Mar Rosso sono stati del 90% in meno rispetto alla media della prima metà di dicembre.
    Gli attacchi Houthi iniziati alla fine di novembre in solidarietà con i palestinesi di Gaza (ma che in realtà celano anche altri motivi) si sono intensificati nelle ultime settimane al punto tale da far scattare le rappresaglie di Stati Uniti e Gran Bretagna capofila della missione "Operation Prosperity Guardian" a cui si affiancherà presto quella europea (con postura limitata a difesa e deterrenza) "Aspis". I leader della formazione yemenita hanno affermato che non attaccheranno le navi associate a Cina o Russia, entrambe alleate dell'Iran, finché non avranno legami con Israele. Gli Usa, peraltro già alle prese con il boicottaggio dei colossi della Corporate America McDonald's, Coca-Cola e Starbucks da parte Paesi arabi, hanno chiesto a Pechino di sollecitare l'Iran a tenere a freno gli Houthi, senza riscuotere successo almeno al momento. Cichen Shen, esperto di Lloyd's List Intelligence, ha affermato che la «spiegazione più semplice» della corsa degli operatori cinesi nella regione è che stanno cercando di sfruttare la loro presunta invulnerabilità per fare i giusti affari. Questo nonostante le preoccupazioni espresse da Pechino sull'escalation nel Mar Rosso.
    L'approccio è simile a quello adottato quattro anni fa dalla China United Lines (CULines), con sede a Yangpu, sull'isola di Hainan. La società è cresciuta in modo significativo durante l'interruzione degli scambi dovuta alla pandemia di Covid-19 e si è concentrata sulle rotte Cina-Europa e Cina-Stati Uniti. Strategia valida anche ora visto che CULines ha appena annunciato l'avvio di un servizio Red Sea Express che collegherà Jeddah in Arabia Saudita con una serie di porti cinesi. A essa si affiancano operatori sino ad oggi sconosciuti come Sea Legend con sede a Qingdao, le cui unità battono bandiera cinese e navigano nella zona di pericolo del Mar Rosso scortate dalla marina militare di Pechino. E Fujian Huahui Shipping che gestisce la Hui Fa e la Hui Da 9, entrambe registrate di recente in transito nel Canale di Suez. Secondo esperti sentiti dal Ft i nuovi operatori sono destinati a «scomparire rapidamente» una volta terminata la crisi, elemento questo che richiederebbe chiarimenti su eventuali legami cinesi degli stessi Houthi.
  3. "Il governo smantella la sanità pubblica" Schlein invoca più risorse e personale
    «Il governo va nella direzione dello smantellamento della sanità pubblica». Così la segretaria Pd Elly Schlein all'inaugurazione del circolo Pd intitolato a Guido Rossa a Genova: «Servono più risorse sulla sanità pubblica, serve sbloccare il tetto delle assunzioni del personale, credere di più nella sanità territoriale e riuscire ad aiutare le emergenze urgenze». La leader aggiunge: «Questi circoli siano altrettanti semi di un impegno che annaffiamo ogni giorno per un'Italia migliore. Non facciamoci dire che l'alternativa a questo pessimo governo non c'è, l'alternativa c'è e a partire da noi, la costruiremo su un programma sui bisogni delle persone, aperto alle altre forze di opposizione, l'Italia merita di più».

 

 

25.01.24
  1. Epidemie in crescita per la mancanza di acqua potabile
    Gaza, in 20 uccisi da un raid facevano la coda per il pane Tajani: scudi umani di Hamas
    nello del gatto
    GERUSALEMME
    Almeno 20 rifugiati, in fila per prendere aiuti umanitari e cibo, sono stati uccisi a seguito in un attacco vicino a Gaza City. Il ministero della Sanità gestito da Hamas ha denunciato che l'esercito israeliano avrebbe preso di mira una folla nei pressi della rotonda Kuwait, a est del quartiere di Zeitoun. Il portavoce del ministero, Ashraf al-Qidra, ha detto che nell'attacco sarebbero anche rimaste feriti centinaia di persone e che il bilancio delle vittime potrebbe aumentare poiché decine di persone gravemente ferite sono state portate all'ospedale Shifa della città.
    L'esercito israeliano ha respinto le accuse di essere il responsabile della strage, facendo sapere di star esaminando quanto accaduto, sottolineando, come già detto altre volte, che Israele non prende di mira i civili. È salito invece a tredici il bilancio dei morti nel Centro di formazione Khan Younis dell'Unrwa che è stato colpito mercoledì. Sono almeno 56 i feriti, dei quali una ventina i gravi, estratti dalla palazzina dove c'erano 800 persone, 43mila in tutta la struttura delle Nazioni Unite.
    «Tutto quello che sta accadendo è colpa di Hamas che ha fatto di tutto affinché Israele non facesse l'accordo con l'Arabia Saudita», ha argomentato il ministro degli esteri Antonio Tajani in conferenza stampa a Gerusalemme dopo una giornata di incontri con i vertici israeliani e palestinesi: «Siamo preoccupati – ha continuato - per la popolazione civile palestinese lo abbiamo detto a Israele, ma sappiamo bene che Hamas usa la popolazione civile come scudi umani, è una organizzazione terroristica che ha compiuto atti quasi peggiori di quelli dei nazisti. Siamo per un cessate il fuoco da entrambe le parti e ci impegneremo per il dopo, ma senza Hamas. Bisogna rinforzare il ruolo dell'Autorità nazionale Palestinese». Il capo delle feluche italiane ha ribadito che, con l'avallo israeliano, si sta lavorando per permettere a un centinaio di bambini feriti di Gaza di uscire dalla Striscia ed essere trasportati in Italia per cure.
    La guerra non ferma però i colloqui per la liberazione degli ostaggi. Il ministro Tajani ne ha parlato sia con gli israeliani che con il presidente palestinese Abu Mazen, il quale sarebbe d'accordo ad un loro rilascio incondizionato. Per sostenere il dialogo, gli Stati Uniti hanno inviato il capo della Cia, William Burns, per colloqui con Israele, Egitto e Qatar. Dopo che Hamas ha respinto l'ultima proposta israeliana, secondo una fonte vicina ai negoziati, le due parti avrebbero raggiunto un accordo di base sulla maggior parte dei termini della nuova proposta. Secondo le indiscrezioni, l'accordo durerà 35 giorni, durante i quali verranno rilasciati tutti gli ostaggi israeliani. In cambio, Israele libererà prigionieri palestinesi e fornirà aiuti umanitari alla Striscia di Gaza. Secondo la fonte citata da Haaretz, l'unica questione che le parti non riescono a risolvere è se nell'accordo verrà dichiarato un cessate il fuoco completo, una richiesta di Hamas che Israele rifiuta.
    «La gente vuole il cessate il fuoco! Netanyahu e Sinwar, vogliamo il cessate il fuoco. Basta con la guerra e basta con la distruzione!». Sono queste le voci che si sentono in un video registrato a Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, dove una grande folla di palestinesi ha marciato chiedendo di porre fine alla guerra a Gaza. Non si sa quando sia stato girato il filmato che arriva un giorno dopo un altro simile diffuso dal portavoce arabo dell'esercito israeliano.
    In attesa del pronunciamento di oggi della Corte Internazionale di Giustizia, che potrebbe chiedere a Israele una sospensione dei combattimenti, il paese ebraico ha declassificato documenti che dimostrano il proprio impegno nel non colpire i civili. Intanto, secondo indiscrezioni, un responsabile di Hamas ha detto che se oggi la Corte internazionale di giustizia ordinerà un cessate il fuoco immediato nella sua sentenza sul caso di genocidio contro Israele, Hamas lo rispetterà se Israele ricambierà. —

 

 

 

24.01.24

 

  1. Akio Toyoda torna a manifestare tutti i suoi dubbi sulle auto elettriche. Il manager giapponese, diventato da pochi mesi presidente del consiglio di amministrazione della Toyota dopo 14 anni da numero uno assoluto, ha colto l'occasione di un dialogo con i dipendenti per ribadire un'opinione che negli anni scorsi gli ha attirato non poche critiche: "Non importa quanti progressi facciano le elettriche, penso che avranno comunque solo una quota di mercato del 30%" e pertanto non arriveranno a 'dominare' il mercato". 

    Neutralità tecnologica. Inoltre, per Toyoda, i consumatori "non dovrebbero essere obbligati ad acquistare" auto elettriche e l'industria non dovrebbe subire imposizioni industriali da parte dei politici. Insomma, i veicoli a batteria non dovrebbero essere sviluppati escludendo altre tecnologie come l'ibrido o le celle a combustibile di idrogeno. In poche parole, Morizo, come viene chiamato Toyoda nel mondo delle competizioni sportive, ha ribadito la sua preferenza per un approccio "tecnologicamente neutrale" alla transizione energetica e "multi-percorso" perché il vero nemico da combattere non è l'auto, bensì la CO2.

    Non deve decidere la politica. Toyoda non ha lesinato un altro attacco ai legislatori, partendo dalle sue previsioni sul futuro del mercato: a fronte di elettriche destinate ad assicurarsi al massimo il 30% del mercato, ci sarà un restante 70% rappresentato da auto ibride, fuel cell e a idrogeno. Di conseguenza, i motori a scoppio continueranno ad avere un ruolo importante anche in futuro e spetterà ai consumatori scegliere la miglior soluzione per le loro esigenze: "Penso che debbano essere i clienti a decidere, non le normative o la politica". Del resto, il dirigente giapponese ha ribadito la limitata attrattività delle auto a batteria a livello globale, sottolineando ancora una volta un dato incontrovertibile: un miliardo di persone vive ancora senza elettricità e non può neanche avvicinarsi a mezzi non solo costosi, ma dipendenti dalla presenza di un'infrastruttura di ricarica. "Forniamo veicoli anche a queste persone, quindi la sola opzione delle Bev non può garantire i trasporti a tutti. Ecco perché cerco di avere una varietà di opzioni".  

    Le critiche. Nel suo discorso, Toyoda è tornato sulle critiche mosse alla Toyota per i ritardi nello sviluppo di modelli Bev, quantomeno rispetto alla concorrenza, insistendo, anche in questo caso, su un concetto non nuovo. Infatti, il manager ha ripetuto come sia giusto per l'azienda giapponese concentrarsi su tecnologie alternative, ma ha ammesso anche la difficoltà di "combattere da soli". A tal proposito, ha lanciato l'allarme sulla possibilità che le banche chiudano i rubinetti del credito ad aziende ancora impegnate nella produzione di motori a combustione.

     
  2. IL CLIMA E' CAMBIATO E YAKY SE NE VA :    Altro che l’Italia, Stellantis guarda al Marocco. A dirlo in un’intervista sul Messaggero è Carlo Calenda: “Sono in possesso di una lettera che Stellantis ha inviato ai fornitori italiani, decantando le opportunità di spostare gli investimenti in Marocco, dove il gruppo di Elkann è già presente in maniera massiccia. Oltre alla lettera, hanno inviato un dépliant del governo marocchino, che esalta le facilitazioni per l'industria dell'automotive in quel paese. La fuga dall'Italia continua sempre di più”.

    Il Foglio ha potuto visionare la missiva con la quale il gruppo invita [...] i suoi fornitori italiani a una due giorni d’incontri in un hotel di Rabat, il 9 e il 10 novembre scorsi. [...] Stellantis [...] studia come spostare alcune attività a sud, questione di costi più bassi (il Marocco ha 150 mila laureati l’anno ma un salario minimo di 280 dollari al mese) e integrazione della produzione.

    Durante il primo giorno gli invitati hanno potuto prima assistere alla presentazione delle attività di Stellantis in Marocco, poi partecipare a una cena cocktail di networking.

    Mentre il secondo giorno […] era previsto un tour nell’impianto Stellantis di Kenitra (dove Peugeot produceva già dal 2015), con navette a ogni ora tra le 7.45 del mattino e l’una del pomeriggio, e, nella stessa fascia oraria, incontri business to business tra fornitori e i dirigenti di Stellantis che si occupano dell’acquisto di materie prime e semilavorati.

    Alla missiva con l’invito a Rabat […] è stato allegato anche un dépliant del governo marocchino dal titolo “Morocco now, invest and export”. Il documento, 21 pagine, contiene tre capitoli.

    Nel primo sono indicati i fondamentali dell’economia marocchina […], nel secondo il peso dell’industria dell’automotive, in particolare con gli investimenti di Renault e ovviamente di Stellantis […] che raggiunge quasi un milione di veicoli assemblati ogni anno (450 mila per quattro modelli, principalmente Peugeot, ma dal 2023 c’è anche la Fiat Topolino).

    “L’obiettivo oggi – è dichiarato nel documento – è raggiungere un alto tasso di integrazione”. Ovvero portare in Marocco non solo l’assemblaggio, ma un pezzo più vasto di catena produttiva. Con una meta finale: arrivare a una produzione di 1,5 milioni di veicoli e alla piena decarbonizzazione della produzione attraverso l’uso delle energie rinnovabili locali.

    L’ultimo capitolo […] parla degli incentivi e degli aiuti statali per chi è disposto a investire nel paese nordafricano. Tra le varie informazioni si parla dell’assenza di restrizioni per i non residenti negli investimenti in aziende marocchine, nessun costo per lo spostamento di profitti e capitali dal Marocco e l’accordo di protezione degli investimenti stranieri che riguarda sessanta paesi, tra i quali ovviamente anche l’Italia. […
  3. Giorgia Meloni torna a parlare di Stellantis e dell'industria automobilistica italiana a neanche due giorni dagli attacchi contro il gruppo automobilistico. "Noi vogliamo, come sempre, difendere l'interesse nazionale e instaurare un rapporto equilibrato con Stellantis. Il ministro Urso ha incontrato più volte le persone in questione per difendere la produzione in Italia, i livelli occupazionali e tutto l'indotto dell'automotive", ha affermato il presidente del consiglio, durante un question time alla Camera. "Con questo scopo è stato sottoscritto un protocollo d'intesa tra il Ministero delle Imprese e del made in Italy e l'associazione della filiera dell'automotive, è stato istituito un tavolo permanente di sviluppo del settore – al quale partecipano tutti i soggetti istituzionali e produttivi, che si relazionano anche con Stellantis – e per questo ancora abbiamo previsto degli incentivi, come l'ecobonus per sostenere la domanda e misure di sostegno per attrarre nuovi investitori e nuovi costruttori".

    Protocolli e incentivi. Inoltre, "abbiamo modificato le norme, da una parte incentivando chi torna a produrre in Italia e, dall'altra, scoraggiando chi delocalizza, che dovrà restituire ogni beneficio o agevolazione pubblica ricevuta negli ultimi dieci anni. Vogliamo, cioè, tornare a produrre in Italia almeno un milione di veicoli l'anno con chi vuole investire davvero nella storica eccellenza italiana. Ciò significa anche che, se si vuole vendere un'auto sul mercato mondiale pubblicizzandola come 'gioiello italiano', allora quell'auto dev'essere prodotta in Italia. Questa è un'altra questione che intendiamo porre, perché con l'attuale governo queste sono le regole, e valgono per tutti", ha proseguito Meloni, rispondendo all'interrogazione del deputato di Azione, Matteo Richetti, "Iniziative volte a garantire la continuità produttiva e occupazionale presso gli stabilimenti italiani di Stellantis e di Magneti Marelli, nell'ambito di un piano di rilancio del comparto automobilistico".

    Un altro attacco. Il presidente del consiglio non ha comunque mancato l'occasione di lanciare un'altra bordata. "Il gruppo Fiat e i marchi italiani collegati – ha affermato – rappresentano una parte importante della storia industriale nazionale e un patrimonio che merita la massima attenzione, e questo credo significhi avere anche il coraggio di criticare le scelte del management, come lo spostamento della sede fiscale all'estero, o l'operazione di presunta fusione tra FCA e il gruppo francese PSA che celava in realtà un'acquisizione da parte francese dello storico gruppo italiano tanto che oggi nel cda di Stellantis siede un rappresentante del governo francese, e non è un caso se le scelte industriali del gruppo tengano conto molto più delle istanze francesi. In Italia siamo passati da oltre un milione di auto prodotte nel 2017 a 700mila nel 2022. In Italia sono andati persi oltre 7 mila posti di lavoro". 

    La replica di Richetti. "La questione Stellantis – ha quindi replicato il deputato – non è un elemento di puntiglio verso un'azienda, una proprietà o un organo di informazione. Qui siamo di fronte al fatto che, a fronte di garanzie ricevute con vincoli precisi, un'azienda non ha mantenuto poi gli impegni presi. Negli ultimi mesi Carlo Calenda è stato abbastanza isolato nel tentare di porre un tema che non è contro qualcuno, ma riguarda la manifattura e l'industria italiana. Io spero che diventi priorità di tutte le forze politiche". "Ricordo – ha aggiunto – le garanzie date su Magneti Marelli, che sono state poi disattese e Magneti Marelli è stata venduta fuori dai confini europei. E allora, se ci occupiamo seriamente dei lavoratori e delle imprese italiani questa è una cosa che ci riguarda tutti, perché riguarda la produzione dell'auto in Italia. Noi nel 2017, al netto di chi era il proprietario dell'azienda FCA, producevamo oltre un milione di veicoli, nel 2022 siamo arrivati a 685.000, con un calo dell'occupazione del 30%. E questo – ha concluso – è un problema della politica, non di una parte della politica"

     

  4. ERRORI STRATEGICI :    Ma le aziende del food sfidano il ministro
    lorenzo cresci
    Voci isolate, singole dichiarazioni, poi diventate un coro unanime. Un documento, da inviare a Bruxelles. Così Unione Italiana Food, che rappresenta le imprese del cibo aderenti a Confindustria (550 aziende, 51 miliardi di fatturato, 100 mila dipendenti), si è schierata contro la legge del ministro Francesco Lollobrigida, che proibisce la produzione di carne coltivata, mirando allo stralcio della parte sul meat sounding, emanazione dell'ex ministro all'Agricoltura Gianmarco Centinaio, ma con grande spinta di Coldiretti. Bocche cucite in Viale del Poggio Fiorito, a Roma, dove ha sede Unionfood: «Quel che avevamo da dire lo abbiamo detto, è pubblico in un documento condiviso. Niente di più». E se dal presidente Paolo Barilla ai suoi vice nessuno parla, le loro posizioni sono note e mirano proprio alla politica di Coldiretti e del suo presidente Ettore Prandini. In particolare, chiedendo lo stralcio del meat sounding, provvedimento che vieta l'uso di parole come "bistecca veggie" o "hamburger di ceci" perché - sostengono Coldiretti, il ministro e l'ex ministro - richiamano a prodotti tradizionalmente di origine animale e quindi confondono il consumatore». Chi è confuso, però, sostengono gli imprenditori, è il fronte Coldiretti-governo, che ha mescolato il tema della carne coltivata con quello dei prodotti a base vegetale. Tanto che, fanno osservare, si considera la presa di posizione «spiazzante e ingiusta». E questo perché i temi della produzione sono assai distanti tra loro: da una parte si parla di ricerca e sperimentazione di carne coltivata in laboratorio, dall'altra di nomi commerciali di prodotti che hanno origine vegetale e utilizzano (anche) alimenti della tradizione agricola italiana. Industrie differenti, finite in un calderone unico. Sonia Malaspina, presidente del Gruppo Prodotti a base vegetale di Unionfood, poche settimane fa dichiarava che «una scelta simile rischia soltanto di disorientare il consumatore» che oggi ha chiare le etichette, invece.
    Se il malcontento stava covando - nel mezzo c'è finita anche una lite Unionfood-Coldiretti sui prezzi della pasta - ora è esploso. Con tempi che si spiegano così: il ddl carne coltivata è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il 1° dicembre, per entrare in vigore il 16 dicembre. Per essere però anche sospeso (almeno tre mesi) in attesa della Commissione Ue chiamata a dare un giudizio sul provvedimento complessivo. Lo scontro, dopo mesi di messaggi trasversali e incontri andati male (come quello del settembre scorso tra Centinaio, firmatario con Giorgio Maria Bergese della parte che oggi gli industriali chiedono di stralciare e Unionfood stessa) non ha portato a nulla. Quindi, l'attacco.
  5. Farmaci
    I numeri chiave
    La guida: non andare oltre la data consigliata con anticonvulsivi, anticoagulanti e ormoni tiroidei
    il trucco della scadenza

    Paolo Russo
    roma
    Siamo grandi consumatori di pillole, soprattutto dopo una certa età, tanto che un ultra sessantacinquenne su 10 ne manda giù più di 10 al giorno. Ma le usiamo male in circa il 40% dei casi perché interrompiamo le terapie prima del dovuto oppure qua e là ci scordiamo di prenderle. In più una pasticca su dieci finisce nel cestino perché le industrie che le producono continuano a vendere confezioni o troppo «large» o eccessivamente «smart» rispetto ai giorni di terapia necessari.
    Uno spreco che in tutto ci costa intorno ai 2 miliardi l'anno. Che potrebbero ridursi all'osso se qualcuno andasse a spulciare lo studio condotto su oltre tremila lotti di farmaci dalla Food and drug administration americana (Fda), la versione a stelle e strisce della nostra Aifa, che svela come il 95% di quella marea di scatole e scatolette scadute che ingombrano i nostri armadietti dei medicinali funzionino ancora benissimo anche dopo oltre un anno. Anzi, nel 25% dei casi rimangono attivi anche oltre i quattro anni. Il che non significa che d'ora in avanti potremo usare pasticche e sciroppi scaduti come fossero caramelle. Perché la loro efficacia oltre i termini di scadenza dipende sempre dal fatto che siano stati ben conservati, mentre alcuni prodotti non vanno assolutamente utilizzati oltre la data di scadenza.
    Il che equivale a dire che per non sbagliare è sempre meglio sentire prima un medico. Il quale vi dirà che oltre la scadenza non si può andare nel caso di anticonvulsivi, anticoagulanti, ormoni tiroidei, contraccettivi e la teofillina, utilizzata contro numerose malattie respiratorie. Altri medicinali che sarà bene non conservare oltre il dovuto sono tutti quelli a formulazione liquida, come sciroppi, colliri o fiale iniettabili. Si tratta di prodotti meno stabili rispetto alle composizioni solide, oltre che maggiormente sensibili alle alte temperature. A volte le alterazioni sono visibili a occhio nudo, altre volte no, per cui meglio non utilizzarli quando scaduti, anche perché posso provocare persino shock anafilattici. Ma fatte le debite eccezioni in ben oltre 9 casi su 10 compresse e capsule funzionano bene dopo un anno dalla loro data di scadenza, in diversi casi anche oltre, certifica sempre lo studio della Fda. Che solitamente non fa sconti all'industria del farmaco, la quale evidentemente quei limiti temporali all'uso dei suoi prodotti li fissa con una buona dose di arbitrarietà, funzionale più ai suoi già scintillanti bilanci che alla tutela dei pazienti.
    Prima di tutto va specificato che quelle date di scadenza non stabiliscono l'inefficacia del prodotto o la sua dannosità, ma soltanto la cosiddetta «stabilità garantita», ossia la capacità del principio attivo di mantenere le stesse capacità terapeutiche. E da questo punto di vista l'indagine della Fda americana ha stabilito che in più del 95% dei casi i medicinali testati «sono risultati in possesso del loro principio attivo con prolungato effetto ad agire» anche dopo la data di scadenza. Insomma funzionavano benissimo. L'88% dei lotti di farmaci accumulati nei magazzini - quelli in buone condizioni dopo 4 anni - sono poi risultati essere ancora in ottime condizioni in media 66 mesi dopo, ossia 5 anni e mezzo oltre la loro scadenza. Va ancora meglio per la popolarissima aspirina, visto che l'acido acetilsalicilico che la compone ha dimostrato di conservare tutte le sue proprietà anche dopo 10 anni.
    Per allungare la vita ai medicinali, oltre che a noi stessi, è comunque necessario che i prodotti siano ben conservati. «Le modalità di conservazione dei farmaci sono generalmente indicate nel foglietto Illustrativo del medicinale», spiega un vademecum della Società italiana di farmacologia. «Tuttavia, se non specificato, la regola generale prevede che i medicinali siano conservati in un luogo fresco e asciutto a una temperatura inferiore ai 25°C, lontano da fonti di calore (termosifoni, stufe), dall'esposizione diretta ai raggi solari e dall'umidità. Inoltre, è fortemente raccomandato di conservare sempre i medicinali nelle confezioni originali con il loro foglietto illustrativo e di segnare la data di apertura nel caso di medicinali multi-dose, come ad esempio i colliri», spiegano sempre i farmacologi. Ma niente panico se si assume una pasticca già scaduta, purché ben conservata. Per evitare lo spreco miliardario dei farmaci scaduti sulla carta ma perfettamente funzionanti servirebbe però che qualcuno, tra chi regolamenta il mercato di pillole e sciroppi, andasse a verificare se quelle date riportate nelle scatolette non siano un po' troppo ravvicinate. Magari solo per vendere di più.
  6. Dispositivi Gps per localizzare chi è affetto da demenza senile
    Le persone che convivono con forme di demenza senile, una volta uscite di casa, possono anche dimenticare la strada del ritorno. Vagano per ore e sono momenti di angoscia sia per loro sia per le famiglie. Adesso, grazie ad un piccolo dispositivo Gps, sarà possibile rintracciarle. «Non perdiamoci di vista» è il progetto condiviso fra il Comune di Pinerolo e la Diaconia valdese che prende il via oggi, ecco un altro passo in avanti in quel percorso iniziato nel 2017 nell'ambito del programma «Dementhia Friendly». Spiega Lara Pezzano, l'assessora alla Politiche sociali del Comune: «Si devono aumentare nei cittadini le conoscenze di questa malattia ma anche fare ricorso alla tecnologia». Si chiama Opplà il piccolo dispositivo che le persone dovranno tenere in tasca. Il trasmettitore Gps manderà sempre un segnale per rilevare la posizione e in caso di caduta farà scattare un segnale d'allarme che arriverà su uno smartphone o un tablet di un parente. Solo a Pinerolo e su richiesta dei familiari la localizzazione potrà arrivare alla centrale operativa della polizia locale. Aggiunge Marcello Galetti, della Diaconia Valdese di Luserna: «Nel nostro territorio l'Asl stima 1.500 le persone con demenza, il servizio costa 40 euro al mese».

 

 

24.01.24
  1. SCRIVE GRISERI : PR FIAT DAL 1998 QUANDO FECE L'INTERVISTA AD EDOARDO AGNELLI CHE FIRMO LA SUA CONDANNA A MORTE . INFATTI DAL MANIFESTO PASSO A REPUBBLICA ED A LA STAMPA :  Nuovo attacco di Giorgia Meloni a Stellantis: «Fa gli interessi dei francesi». Da Torino rispondono con le cifre della produzione degli stabilimenti italiani e con la percentuale di auto che quegli stabilimenti esportano all'estero «migliorando la bilancia commerciale». Uno scontro durissimo nei toni anche se in questi casi spesso la baruffa precede un'intesa. Lo ha detto ieri la stessa Meloni parlando al Question Time della Camera: «Il governo vuole difendere l'interesse nazionale e instaurare un rapporto equilibrato con Stellantis per difendere la produzione e i livelli occupazionali. Vogliamo tornare a produrre in Italia almeno un milione di auto all'anno».
    L'obiettivo del governo non è molto chiaro. Se si intende che in un anno vengano prodotte in tutta Italia un milione di auto, il traguardo è vicino. Sommando le 752 mila di Stellantis con quelle di Lamborghini e Dr, si superano le 800 mila vetture. Difficile pensare che tutta la manovra del governo miri ad aumentare di 60 auto al giorno la produzione dei singoli stabilimenti. Sarebbe un fatto certamente positivo ma non in grado di garantire maggiore occupazione o difendere la produzione più di quanto avvenga oggi. Diverso è se dal calcolo vengono tolti i veicoli commerciali prodotti nello stabilimento Sevel di Atessa, quello visitato due giorni fa dall'ad del gruppo Carlos Tavares, che nel 2023 ha visto uscire dalle linee 230 mila veicoli. In quel caso l'attuale produzione di auto in Italia sarebbe di circa mezzo milione di pezzi e l'obiettivo del governo sarebbe dunque di raddoppiarla.
    Non sono calcoli fini a se stessi. Da quei numeri dipendono la strategia del governo e quella di Stellantis. Meloni ha ripetuto ieri la polemica sulla francesizzazione del gruppo «le cui scelte industriali tengono maggiormente in considerazione le istanze di Parigi rispetto a quelle italiane». Un portavoce di Stellantis ha ricordato ieri i numeri della produzione in Italia e il fatto che «il 63 per cento dei veicoli prodotti sia destinato all'esportazione», dunque produca in vantaggio per i conti della Penisola. Stellantis, dicono a Torino, «è fortemente impegnata in Italia dove ha investito diversi miliardi di euro in nuovi prodotti e siti produttivi».
    Basterà tutto questo a rassicurare il governo e in sindacati? Probabilmente no. Ci sono stabilimenti "scarichi" come si dice in gergo, che potrebbero produrre molto di più. Il caso più evidente è quello di Mirafiori dove nel 2023 le auto prodotte sono state 85.000 in gran parte 500 elettriche. Cifre molto basse che rischiano di non garantire le numerose aziende dell'indotto che lavorano a lato dell'assemblaggio finale. Perché le fabbriche d'auto non sono cattedrali isolate ma il punto di approdo di una vastissima rete di aziende medio piccole.
    È possibile spingere Stellantis a raddoppiare la sua produzione di automobili in Italia? Sarebbe molto difficile anche se il governo italiano fosse in consiglio di amministrazione. Ieri Meloni ha lamentato che «nel cda siede un membro del governo francese». Questo accade perché al momento della fusione il gruppo francese Psa aveva all'interno rappresentanti del governo di Parigi, come è sempre avvenuto. Perché Fca non aveva un membro del governo italiano in Cda? Perché i vari governi di Roma si sono ben guardati dal farlo e perché se lo avessero fatto i liberisti oggi alleati di Meloni e la sinistra radicale oggi nel Pd sarebbero insorti all'unisono. Stupirsi adesso di questa oggettiva disparità tra Roma e Parigi nella stanza dei bottoni di Stellantis rischia di essere un puro elemento di propaganda. La verità è che il gruppo di Tavares è impegnato negli stabilimenti italiani ma non può da solo raddoppiare la produzione di auto nella Penisola. Ed è vero che l'attuale livello di produzione rischia di non essere sufficiente a garantire tutto l'indotto dell'automotive. Ecco allora il passaggio chiave dell'intervento della presidente del Consiglio ieri: «Vogliamo tornare a produrre in Italia con chi vuole investire davvero sulla storica eccellenza italiana». Il governo sta cercando produttori aggiuntivi a Stellantis che vogliano insediarsi nella Penisola? Magari sfruttando gli incontri dei prossimi mesi previsti dal calendario del G7 che Roma presiederà fino al 31 dicembre? È una possibilità. Forse più realistica di quella avanzata ieri da Meloni: «Se si vuole vendere un'auto pubblicizzandola come un gioiello italiano allora quell'auto deve essere prodotta in Italia». È stata la stessa premier a smentire questa regola assistendo, nel dicembre scorso, all'annuncio del leader serbo Vucic che ha approfittato della visita della collega italiana per dire che la Panda elettrica verrà prodotta nel suo Paese. Il criterio, del resto, è scivoloso: a Melfi non dovrebbero più produrre Jeep Renegade e Compass. Ed è dubbio che i suv Lamborghini (marchio italiano ma gruppo tedesco) potrebbero continuare ad essere costruiti in Emilia. Perché l'auto, prodotto globale per antonomasia, sfugge al sovranismo della lamiera.
  2. COSA DICONO GLI ELETTORI DI SPERANZA ? I partiti di opposizione incalzano la giunta. La Regione replica, annunciando la volontà, e le risorse, per migliorare il migliorabile. Tirare in ballo la campagna elettorale sarebbe semplicistico. Perchè se è vero che da una parte e dall'altra cominciano le esibizioni muscolari, è altrettanto vero che le liste di attesa in Sanità continuano ad essere un problema.
    Il tema, sempre aperto, è rilanciato dal vicecapogruppo di Alleanza Verdi Sinistra alla Camera, Marco Grimaldi, e da Silvana Accossato, capogruppo di Liberi Uguali Verdi in Consiglio regionale. Parlano di «Purgatorio». Probabilmente eccessivo. Di certo chi oggi tenta di prenotare nel pubblico in molti casi deve mettere in conto tempo, chilometri, spese.
    Colonscopia: posto solo a settembre a Verduno. Visita dermatologica: a marzo, ma solo a Castelnuovo Scrivia. Radiografia della colonna: una radiografia della colonna: a gennaio del 2025 al Mauriziano oppure a giugno di quest'anno ma a Rivoli. Ecodoppler dei tronchi sovraortici: a dicembre alle Molinette. Ecografia dei tessuti molli: prima disponibilità di una prenotazione per ottobre 2024 presso le strutture pubbliche di Ivrea o Cuorgnè.
    «Parliamo di visite specialistiche e di eventuali diagnosi e cure che hanno bisogno di grande tempestività - protestano Grimaldi e Accossato dopo avere snocciolato qualche caso -. Diverse le segnalazioni di cittadini che, avendo bisogno di prenotare un esame diagnostico, ricevono come risposta dal CUP (Centro Unico di Prenotazione) una prima disponibilità a 12 mesi in poliambulatori anche a distanza di 60 chilometri dalla loro abitazione». Ce n'è per il governo e per la Regione, che non nega il problema ma rivendica quanto è stato fatto e quanto ci si prepara a fare per colmare il gap: un obiettivo, a scavalco, di Azienda Sanitaria Zero e della direzione della Sanità, anche con il concorso dei privati.
    «Il piano straordinario punta a recuperare le prescrizioni più urgenti - U, B e D – su cui si sono concentrati gli sforzi, perché si tratta di prestazioni tempo-dipendenti». Se si confrontano i primi 11 mesi dell'anno, aggiungono dalla Regione, nel 2018 le prestazioni ambulatoriali di questo tipo erano state 1.081.744, nel 2019 1.144.304 e nel 2023 sono state 1.535.868, con tempi di attesa sostanzialmente invariati. «Ma non basta - si ammette preventivamente -. Nei prossimi mesi lo sforzo sarà concentrato in maniera specifica sulle P, le prestazioni programmabili. Oltre ai 14 mila slot per esami e prestazioni aggiuntive da effettuare il sabato e la domenica, è stato chiesto al neo direttore di Azienda Zero (ndr: Adriano Leli) di preparare un nuovo piano straordinario, finanziato con 25 milioni di risorse regionali, proprio per ridurre i tempi di attesa delle P». P come programmate, si è detto. E, ad oggi, come pazienza. —

 

 

 

 

 

23.01.24

 

  1. MEGLIO TARDI CHE MAI :   Senatore Calenda, la de-industrializzazione è una delle questioni italiane più gravi. Non crede che si parli troppo poco della responsabilità di alcuni gruppi economici nell'indebolimento della nostra competitività?

    «Io credo che questo discorso debba riguardare anzitutto Stellantis. Quella di questo gruppo è una storia allucinante. Sia per le dimensioni della vicenda sia per l'omertà della sinistra e del sindacato».

    Sta dicendo che l'ex Fiat e gli eredi Agnelli sono uno dei problemi italiani?

    «Dopo la morte di Sergio Marchionne, John Elkann ha cominciato a vendere le attività, innanzitutto la Magneti Marelli. L'ha ceduta durante il governo Conte a una società giapponese, super-indebitata, di proprietà di un fondo. All'epoca, chiesi al governo d'intervenire bloccando la vendita attraverso il golden power. Ma Conte decise di non farlo». […]

    «[…] All'epoca, Elkann diede assicurazioni sugli stabilimenti e sul lavoro in Italia. Come abbiamo visto con la brutta fine della fabbrica Magneti Marelli a Crevalcore, queste assicurazioni non valgono nulla. Ma questo non è che il principio. La morale è l'irresponsabilità di un capitalismo che usa l'Italia a proprio piacimento. Anzi, è più di questo.

    Durante il Conte 2, Fca riceve una garanzia pubblica di 6,3 miliardi, per consentire agli azionisti di pagarsi un dividendo in Olanda da 3,9 miliardi di euro. E di fatto vendere la ex Fiat a Peugeot. Questi sono capitalisti che si fanno gli affari loro. Se ne infischiano dell'Italia e sono stati favoriti da una politica debole e compiacente».

    Ne fa le spese il Sistema Italia?

    «Sì, basta guardare la situazione degli stabilimenti Stellantis francesi rispetto a quelli italiani. Quelli francesi sono tutti pronti per i motori elettrici, di quelli italiani soltanto uno è al passo con i tempi. [...] Le fabbriche italiane, a cominciare da Mirafiori, si vanno desertificando.

    E Tavares viene a inaugurare a Mirafiori una linea di rottamazione, spacciandola per economia circolare [...] . E ancora: la fabbrica di Grugliasco […] è stata messa in vendita su Immobiliare.it. E comunque, quello che voglio dire è che delle assicurazioni date da John Elkann non rimane più niente.

    […] La triste realtà è che oggi quel gruppo produce in Italia il 30 per cento in meno rispetto all'epoca Marchionne. E i nuovi modelli, spacciati per made in Italy, vengono fatti in Serbia».

    Sta parlando di un caso di anti-italianità, di negazione degli interessi nazionali?

    «Di italiano la ex Fiat non ha più nulla. [...] L'Italia è diventata per loro un mercato qualunque e chiedono ai governi soldi e incentivi, per mantenere quel minimo di presenza a cui sono arrivati. La vuole una notizia?».

    Ma certo.

    «Sono in possesso di una lettera che Stellantis ha inviato ai fornitori italiani, decantando le opportunità di spostare gli investimenti in Marocco […]. Oltre alla lettera, hanno inviato un depliant del governo marocchino che esalta le facilitazioni per l'industria dell'automotive in quel Paese. La fuga dall'Italia continua sempre di più».

    Perciò il ministro Urso vuole aprire le porte a un'altra industria dell'auto?

    «Mi auguro che accada. Purtroppo non è facile. Noi, come governo Renzi, riuscimmo a far investire Lamborghini, gruppo Audi, nella nuova linea dei suv […] e lo facemmo solo attraverso un grande lavoro diplomatico e un pacchetto dedicato. Ma non bisogna dare Stellantis per persa. Il governo deve il prima possibile incontrare Tavares, anche perché mi pare che sia lui l'unico a decidere».

    Non crede che l'opinione pubblica italiana non sia avvertita a sufficienza della gravità della situazione?

    «Certo che è così. La sinistra e la Cgil hanno smesso di parlare della fuga della ex Fiat da quando gli Elkann hanno comprato Repubblica, il principale giornale della sinistra. Maurizio Landini è arrivato a fare un'intervista a quel quotidiano, parlando di crisi dell'automotive senza mai nominare Stellantis che è l'unico produttore italiano.

    Da quando dico queste cose, il gruppo editoriale Gedi non mi ha più fatto fare una singola intervista su uno dei loro giornali. Neanche Berlusconi aveva mai silenziato in questa maniera gli avversari politici sulle sue televisioni. Altro che conflitto d'interessi e editto bulgaro!

    Le voglio fare una facile previsione. Quando gli Elkann avranno finito di dismettere le attività in Italia, venderanno Repubblica che gli è servita solo per coprire "a sinistra" la fuga dal nostro Paese».

    Ma dove è finito il Landini che attaccava Marchionne?

    «E' sparito. In quel periodo, la Fiat […] produceva il 30 per cento in più di adesso e investiva massicciamente in Italia. Ma Landini se la prendeva tutti i giorni con Marchionne […] . Oggi che il lavoro in quel gruppo sta sparendo, Landini, diventato segretario generale della Cgil, sembra non riuscire a pronunciare la parola Elkann. Forse ha paura di venire bandito da Repubblica».

    Ma perché, secondo lei, c'è un capitalismo che sta sempre dalla parte sbagliata: dove non c'è l'Italia?

    «Perché gli italiani, spesso, sono bravissimi imprenditori e pessimi capitalisti. […] La vicenda Elkann ne è la dimostrazione».

    Sta qui la nostra debolezza rispetto a Francia e Germania?

    «[…] Di fatto, le imprese francesi vengono a comprare la manifattura italiana, che resta leader nelle medie imprese. In alcuni casi, […] combinano disastri. Disastri che, per quanto riguarda Stellantis, sono coperti dalla sinistra, dal sindacato e dai governi incompetenti come è stato quello dei 5 stelle».
  2. MODELLO ITALIANO INTERPRETAZIONE VENETA:   Il progetto era stato ribattezzato «Native Grapes Academy» e si era visto assegnare, in epoca pre-Covid, un finanziamento dell'Agenzia esecutiva della Ue per i consumatori, la salute, l'agricoltura e la sicurezza alimentare di circa 4 milioni di euro, l'80% del valore complessivo pari a 5 milioni. Nelle intenzioni dei proponenti, avrebbe aiutato a rafforzare la competitività del vino italiano fuori dall'Ue (Canada, Giappone e Russia le frontiere da sedurre) con investimenti in promozione e informazione. Ma per la procura europea, dietro c'era una truffa. O meglio «illeciti accordi tra la cooperativa Uiv (Unione Italiana Vini) e il soggetto esecutore del progetto europeo», ossia Veronafiere, l'organizzatrice di Vinitaly, per consentire alla prima «di vedersi riconosciuto un ingiusto profitto non contemplato dal progetto», che prevedeva che il beneficiario avrebbe sostenuto «il 20% dei costi dell'attività oggetto dei sussidi, non maturando quindi alcun guadagno». L'Unione Italiana Vini (Uiv) aveva scelto Veronafiere come ente che avrebbe attuato il progetto e che avrebbe dovuto spendere i 5 milioni. Un patto tra colossi a quanto pare non trasparente, o almeno questa è l'ipotesi di accusa. E che qualcosa non andasse in questo «accordo» se n'era reso conto per primo l'avvocato torinese Alberto de Sanctis, all'epoca organismo di vigilanza monocratico di Uiv. De Sanctis, sentito poi dalla Guardia di Finanza, aveva sollevato diversi profili di criticità salvo poi dimettersi a settembre 2020 per assenza di intervenuti cambi di rotta. A ruota, lo avevano seguito i componenti del collegio sindacale (i commercialisti Luigi Borgarello e Gianni Stra e l'avvocato torinese Duilio Cortassa), che si erano opposti all'approvazione dei bilanci 2021 e 2022 e, infine, lo stesso presidente Ernesto Abbona, palesemente contrario, era stato «accompagnato» alle dimissioni.
    Uiv e Veronafiere (che nel frattempo ha modificato radicalmente il management) tra pochi giorni (il 13 febbraio) si presenteranno in aula a Verona nella veste di imputati (come persone giuridiche). Sono quattro invece le persone fisiche imputate di truffa aggravata di fondi unionali in concorso: l'ex direttore generale di Veronafiere Giovanni Mantovani, Paolo Castelletti, già ad e attuale presidente della cooperativa Uiv; Alessio Aiani, direttore finanziario di Uiv; Pietro Versace, consulente sia di Uiv sia di Veronafiere spa.
    Secondo i magistrati della procura europea Sergio Spadaro e Emma Rizzato, che hanno coordinato l'inchiesta della Guardia di Finanza di Milano, il sistema fraudolento sarebbe consistito «nella pre-individuazione della società che avrebbe svolto il ruolo di «implementing body», la quale si sarebbe poi agevolmente aggiudicata la successiva procedura di selezione». Un'operazione di «mera facciata atta a celare -si legge agli atti - all'organismo europeo una preesistente situazione di conflitto di interessi in cui sarebbero versati il soggetto percettore del finanziamento e l'esecutore stesso». Inoltre, le due società hanno anche stipulato «un contratto di servizi» denominato «Accordo Quadro» per l'accusa «simulato» perché «apparentemente indipendente - si legge nella richiesta di rinvio a giudizio - dal progetto, ma in realtà destinato a dissimulare la retrocessione alla cooperativa di un importo pari al 35% del costo ammissibile». Un modo - in sintesi - per far giungere a Uiv circa 2 milioni di euro fuori dalle stringenti direttive di quel progetto. Così le due imprese avrebbero «indotto in errore» l'agenzia dell'Unione Europea riguardo «l'effettiva esistenza di un nesso strutturale e di un conflitto di interessi tra le parti, nonché sulla reale destinazione dei fondi erogati».
    Tutti gli imputati respingono le contestazioni, compreso Versace: il suo legale Vittore d'Acquarone spiega come «l'accordo in ipotesi d'accusa simulato riguardava la prestazione di beni e servizi che nulla avevano a che fare con le attività oggetto del contributo pubblico». Ma il 13 febbraio alcuni accusati potrebbero optare per riti premiali (anche patteggiamenti). Il processo fa seguito alla contestazione di danno erariale per 2 milioni fatta dalla Corte dei Conti della Lombardia alla Uiv, sulla scorta delle contestazioni della procura europea con contestuale sequestro preventivo. La cooperativa ha prestato il consenso alla restituzione della cifra all'Ue «pur non rendendo ammissioni di responsabilità»
  3. BENE BRAVI: È un vero e proprio impero finanziario e immobiliare del valore di 8 milioni di euro. Una tabaccheria, due bar (uno nella piazza centrale di Volpiano; l'altro, il Nimbus Play nel parco commerciale accanto al Bennet a Chivasso e che per pura coincidenza si affaccia su via Peppino Impastato), due ristoranti, uno – il Belmonte – aperto a pochi passi dal santuario di Valperga, un altro il Lago Reale tra i comuni di Mappano e Caselle (sequestrate solo le quote societarie). E ancora, l'hotel Vazzana a Volpiano e una tabaccheria nel centro commerciale Bennet a Chivasso, 4 immobili, sei autovetture, alcune costose come una Volvo XC60 e una Bmw, una moto Triumph Motorcycles limited e 19 rapporti finanziari.
    Un impero sconfinato, ma non giustificato quello che nelle scorse ore la Direzione Investigativa Antimafia (Dia) di Torino ha confiscato ai fratelli Mario e Giuseppe Vazzana, considerati 'ndranghetisti di rango (quantomeno dal 1991) e che da decenni sono residenti a Volpiano e Chivasso. La proposta della Dia è stata accolta dalla Sezione misure di prevenzione del tribunale di Torino e presieduta dal giudice Giorgio Gianetti.
    I fratelli Vazzana sono stati di recente coinvolti e condannati nell'operazione Platinum, indagine eseguita proprio dalla Dia coordinata dal pm Valerio Longi che ha colpito, tra gli altri, il braccio economico delle famiglie originarie di Platì dislocate nell'area nord della provincia di Torino. A settembre Giuseppe e Mario Vazzana erano stati condannati in tribunale a Ivrea per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso: 6 anni e 8 mesi di reclusione il primo, 6 anni e 11 mesi il secondo.
    Ora entrambi i fratelli sono stati raggiunti dall'applicazione della misura personale della Sorveglianza Speciale di Pubblica Sicurezza, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza e divieto di allontanarsi senza autorizzazione del giudice, per la durata di 5 anni.
    Il patrimonio accumulato dai due imprenditori affiliati alla locale 'ndranghetista di Volpiano, è riconducibile – secondo i giudici - all'impiego di capitali provenienti dalle attività illecite della struttura criminale.
    I fratelli Vazzana sarebbero legati alla potente enclave mafiosa degli Agresta e avrebbero «posto sistematicamente a disposizione di altri 'ndranghetisti alcune loro strutture per garantire ospitalità riservata – non comunicata alla polizia – assumendo al contempo alle dipendenze delle loro imprese boss e gregari dell'organizzazione» allo scopo di farli uscire dal carcere. Ad esempio all'hotel Vazzana ha lavorato per un periodo Luigi Marando figlio del narcos e capo mafia (deceduto) Pasquale Marando. E sempre nel ristorante interno era stato arruolato Antonio Agresta, considerato dal nipote Domenico (collaboratore di giustizia) il capo della 'ndrangheta in Piemonte. «Questa decisione - spiega il capocentro della Dia Tommaso Pastore - conferma l'importanza del doppio binario nella lotta ai clan: alle contestazioni penali sono partite in parallelo articolate indagini patrimoniali.
  4. PIU' FORESTALE PIU' CONTROLLI: Ad osservarla dalla piazza d Orio Canavese la collina è completamente disboscata. Nel parco dell'ex Preventorio dell'Asl To4 inserito tra i luoghi del Cuore Fai, sono stati tagliati centinaia di alberi, alcuni anche secolari. Ma le piante tagliate potrebbero essere molte di più: alcune sono già state portate via, altre sono ancora accatastate lì nel parco in attesa di essere utilizzate. Lo denuncia il circolo di Legambiente «Pasquale Cavaliere» di Caluso.
    La vicenda sta assumendo davvero i contorni di un mistero perché la proprietà del parco dove sono stati tagliati gli alberi è dell'Inps, che avrebbe da tempo affidato ad una ditta privata la manutenzione del verde. Chi ha tagliato quelle piante? Erano malate? E soprattutto chi le ha tagliate aveva l'autorizzazione? E anche chi le ha portate via. Tutte domande alle quali i carabinieri Forestali dovranno fornire una risposta. Militari che proprio ieri hanno effettuato un ulteriore sopralluogo sulla collina spoglia per verificare che il taglio sia avvenuto correttamente.
    Ad essere preoccupata del taglio è anche la sindaca del paese alle porte di Caluso, Sara Ponzetti: «Nessuno ci ha mai avvisato di quel disboscamento. Certo è che a guardare la collina dal paese fa impressione perché si tratta di un taglio importante e non vorrei ci fosse anche un danno ambientale. Per questo motivo ho chiesto l'intervento dei carabinieri già la scorsa settimana». Ed è attesa nei prossimi giorni una relazione dettagliata dei militari.
    Le piante tagliate erano, appunto, all'interno del parco dove ha sede l'ex Preventorio di Orio, una struttura che veniva utilizzata fino agli anni Ottanta per la cura delle malattie tubercolari nei bambini. L'ex Preventorio è abbandonato dagli anni Novanta ed era stato anche il castello dimora dei conti Sallier De la Tour, famiglia che l'aveva acquistata nel 1833 e poi nel corso degli anni è diventato un ospedale pediatrico. In tutto un'area che si estende su una trentina di ettari.
    L'ex Preventorio di Orio e il suo parco verde ritornano così al centro della cronaca, dopo essere stati al centro dell'attenzione in passato per vicende legate a presunti avvistamenti di fantasmi e alle più recenti, e concrete, tasse non pagate dall'Asl To4. E ora ci sarebbe il mistero di quel disboscamento. a. buc.

 

 

22.01.24
  1. MELONI PARAVENTO ?  Sconti fiscali per il calcio e proroga del Superbonus per i condomini. Si profila un altro scontro tra la maggioranza e il Tesoro in vista dell'esame parlamentare di due decreti: il Milleproroghe e il provvedimento sul 110% che a dicembre aveva recepito i ritocchi rimasti fuori dalla legge di bilancio a vantaggio delle famiglie a basso reddito. Le misure sul Superbonus erano arrivate a fine anno dopo un lungo tira e molla tra il ministro Giancarlo Giorgetti e Forza Italia. Proprio il partito guidato da Antonio Tajani torna in pressing sia sul maxi incentivo edilizio, sia per ripristinare le agevolazioni del decreto Crescita che consentono alle società sportive che mettono sotto contratto atleti provenienti dall'estero di avere le tasse sul loro ingaggio scontate del 50%.
    In un emendamento depositato alla Camera al decreto Milleproroghe, gli azzurri chiedono il ripristino fino al 2028 della possibilità per i giocatori che vengono in Italia di usufruire di una fiscalità di vantaggio come già accadeva con il vecchio decreto Crescita. Quelle norme, però, nell'ambito del riordino della normativa sul rientro dei cervelli, erano state cancellate per gli sportivi, scatenando le proteste di tutto il mondo calcistico e anche del ministro Andrea Abodi. Era stata la Lega, nel corso dell'ultimo infuocato Consiglio dei ministri del 2023, a stoppare la proroga degli "impatriati sportivi", con i ministri Salvini e Giorgetti in prima fila contro una regola definita «immorale». Secondo il deputato di Forza Italia Alessandro Cattaneo è sbagliato impostare il dibattito sul calcio su questo piano: «E' un'industria che vale miliardi e dà lavoro a migliaia di persone, non solo ai calciatori. Negli ultimi anni il calcio ha vissuto una crisi e si è creato un gap competitivo rispetto agli altri Paesi, perciò il ragionamento va fatto sui numeri».
    Protagonista delle trattative all'interno del centrodestra è il senatore azzurro e patron della Lazio, Claudio Lotito: «Il decreto Crescita porta vantaggi per lo Stato perché assicura incrementi di gettito. Lukaku e Mourinho non sarebbero mai venuti a Roma senza lo sconto fiscale sui loro stipendi e quindi non avrebbero pagato le tasse in Italia». Lotito sostiene che questa misura «non si può abolire dall'oggi al domani, noi di Forza Italia vigiliamo sul buonsenso perché le cose siano fatte con equilibrio e con il cervello».
    Anche il gruppo di Noi Moderati ha presentato un emendamento simile, proponendo però che i club destinino il 10% del beneficio ottenuto a società dilettantistiche. Il ministro Giorgetti è intervenuto più volte per sottolineare come le agevolazioni del decreto Crescita abbiano un effetto distruttivo per il vivaio dei giovani calciatori italiani, penalizzati dal fatto che il loro stipendio viene a costare di più. Il tema è essenzialmente politico e se ne riparlerà in commissione Finanze a Montecitorio da oggi pomeriggio.
    Più delicata, invece, un'eventuale proroga del Superbonus, perché i margini di finanza pubblica sono strettissimi. Il Tesoro sembra irremovibile, ma domani è prevista una riunione. Fratelli d'Italia ha già annunciato di aver ritirato gli emendamenti che danno un salvagente di due o sei mesi per i condomini che al 31 dicembre 2023 sono al 70% dei lavori complessivi. La stessa proposta era stata messa sul tavolo da Forza Italia a Natale e bocciata da Giorgetti. In commissione alla Camera anche Pd e Movimento 5 stelle hanno depositato proroghe analoghe del Superbonus, perciò l'esecutivo ha bisogno di raggiungere un accordo con la maggioranza per non rischiare sorprese.
    Un altro problema il governo ce l'ha con le concessioni idroelettriche: nel centrodestra diversi parlamentari spingono per un rinvio delle gare. In questo caso a opporsi è il ministro Raffaele Fitto che difende gli impegni presi con il Pnrr.
    Nel gran calderone degli emendamenti dovrebbe invece ottenere il via libera quello per il rifinanziamento della fondazione Ebri, l'istituto di ricerca nato per volontà di Rita Levi Montalcini. Più difficile che passi lo smart working per i lavoratori fragili della pubblica amministrazione. Per questioni di spesa, infatti, nel decreto Anticipi la modalità agile per questi lavoratori era stata prevista solo nel settore privato.
  2. LA SANGUISUGA E' VIVA E VEGETA : Taglieggiano disperati che si ostinano a tener su la saracinesca o strangolano con bische e prestiti. Si spaccano di cocaina. Scimmiottano il fraseggio. Si mostrano tronfi nelle discoteche – Dom Perignon White gold edition da 11mila euro - ma in fondo rimangono imitatori scadenti, pagliacci violenti, insomma, tutto chiacchiere e gargarismi criminali. La banda della Magliana, il gruppo che ha fatto inginocchiare Roma Urbe per 15 anni di sangue, si sbiadisce negli almanacchi, finita la saga nera, terminata la rappresentazione su pellicola del Freddo, Renatino e il Libanese, rimane il ricordo di qualche ex che declina la vita passata, ancora al presente.
    Ne deve saper qualcosa Antonio Mancini, abruzzese trapiantato nel quartiere romano di san Basilio, l'Accattone della batteria, elevato a boss per poi diventare collaboratore di giustizia. Solleva l'attenzione sul "gruppo Carminati", sostenendo che la banda è ancora attiva e pericolosa. Ma davvero è così? «La banda della Magliana non ha eredi – spiega Giovanni Melillo, procuratore nazionale antimafia -, se al contrario oggi c'è un luogo dove rilevare plasticamente la generale tendenza delle criminalità organizzate a integrarsi, tra loro questa è proprio Roma». Insomma, un tempo c'era il cartello della banda che univa Acilia, Testaccio e appunto Magliana oggi le mafie si mescolano e fortificano: «Qui operano mafie tradizionali come locali di ‘ndrangheta, proiezioni affaristiche di camorra e Cosa Nostra – prosegue Melillo - ma anche organizzazioni straniere, albanesi e cinesi che non gestiscono più settori marginali del ciclo ma snodi cruciali».
    «La Magliana? In attività, vediamo epigoni e reduci riciclati in altre attività – spiega Otello Lupacchini, giudice istruttore di diversi processi sul gruppo – ma parlare di banda della Magliana sopravvissuta è un'idiozia. Qualcuno può averne riciclato reputazione criminale, carica di violenza ma non è la vecchia banda che aveva una sua specificità e, soprattutto, una collocazione socio-politica senza uguali».
    In effetti, la tesi fotografa la parabola di Salvatore Nicitra, ex boss proprio della banda finito in manette nel 2020, insieme a 38 sodali, come nuovo "re di Roma nord". Negli anni della Magliana era una figura secondaria, nel 1993 un pentito storico come Maurizio Abbatino, lo descriveva così: «Siciliano, con trascorsi di rapinatore, venne anch'egli "arruolato" nella banda per la conduzione di circoli privati, per la commercializzazione della droga nella zona di Primavalle, per la sua capacità di gestire il gioco». Si era fatto amico dei grandi capi della Magliana, come Franco Giuseppucci per diventare referente di Enrico De Pedis poi finita la banda, tra una detenzione e l'altra, Nicitra è sopravvissuto, cresciuto per quarant'anni a slot e crimine sempre in penombra sino a diventare appunto il monarca a Roma nord. Con opulenza e sfarzi, mega villa, piscina circondata da statue, insomma cafonate da far invidia ai Casamonica che del pacchiano detengono incontrastati la palma d'oro: «Io sono un boss, metto macchinette e slot machine dove voglio – si vantava tronfio al telefono - Su tutta Roma». Certo, a Nicitra sequestrano beni per 13 milioni di euro ma siamo sempre comunque lontani dai tesori della Magliana, sia in denaro (con i depositi segreti allo Ior, la banca vaticana) sia in relazioni, Nicitra avvicina agenti di commissariato, la Magliana s'intrecciava con i segreti e i poteri del Paese.
    Oggi il gruppo più numeroso della banda è finito sotto due metri di terra, gente ammazzata o morta per anzianità. A iniziare proprio da Giuseppucci, il boss vicino a Nicitra, a fondatori come Nicolino Selis, a delinquenti come Edoardo Toscano e Gianni Girlando. Più interessanti le figure decedute in circostanze inquietanti e poco definite.
    Come Danilo Abbruciati, detto Er Camaleonte, il 27 aprile 1982 salì a Milano per uccidere il ragioniere Roberto Rosone, braccio destro di Roberto Calvi del banco Ambrosiano, il banchiere dei segreti, quello che chiedeva allo stesso Rosone "sigle di solidarietà" sui fidi concessi senza garanzie a personaggi come Flavio Carboni. «Quella mattina uscii di casa - raccontò Rosone in una bolla d'ingenuità -, vidi di fronte un uomo che indossava un cappotto di cammello stupendo e quindi mi avvicinai per apprezzarlo meglio, ma lui si girò per spararmi». La pistola si inceppò, Abbruciati riuscì solo a gambizzare il povero ragioniere, prima di essere freddato da una misteriosa guardia giurata. Prima dell'attentato, Abbruciati era passato in via san Barnaba, dove tuttora ha sede l'Ordine equestre del santo Sepolcro di Gerusalemme. Il motivo è rimasto sconosciuto, ma è facile immaginare che non dovesse incontrare qualcuno per parlare della beneficenza che l'ordine storicamente compie.
    Famoso al grande pubblico è invece Renatino De Pedis, detto "bambolotto" per eleganza e cura nell'abbigliamento, a capo del gruppo dei testaccini, morto incensurato, ammazzato in sella a un motorino dietro Campo dei Fiori nel 1990. Amico del rettore della basilica di sant'Apollinare, don Pietro Vergari, De Pedis venne sepolto nella cripta della stessa chiesa dov'era scomparsa Emanuela Orlandi, spalancando la porta delle indagini a una ridda di ipotesi rimaste tuttora purtroppo con il finale segnato da un punto interrogativo. «Gli omicidi di Abbruciati e De Pedis – prosegue Lupacchini – fanno parte delle cosiddette "morti con la coda", ovvero malviventi della Magliana uccisi per motivi incongrui, malviventi che avevano a che fare tutti con i misteri del nostro paese a iniziare dal sequestro di Aldo Moro». Erano dei ricattatori? «Sicuramente quelli che non hanno collaborato con la giustizia -ipotizza Lupacchini -, soprattutto nel gruppo dei testaccini, sanno qualcosa che non hanno raccontato, ma chi cercava di operare ricatti è morto ammazzato».
    Diversi per rimanere in vita o per crisi di coscienza, hanno invece scelto la strada della collaborazione, come lo stesso Accattone, come Fulvio Lucioli, detto er Sorcio che dava gli assalti ai treni o, per salire di livello, Abbatino, Fabiola Moretti, Vittorio Carnovale, detto er Coniglio, cognato di Toscano e amico del fondatore Selis. Tutti i pentiti si sono rifatti una vita, conducono un'esistenza normale senza riapparire nelle cronache criminali, né sono oggetto di indagini. Vivono sotto falsa identità, in località segrete lontane da Roma. C'è chi ha scritto qualche libro, chi vive di piccoli lavoretti. Ma anche qui emergono le eccezioni, a iniziare dalla stessa Moretti, 68 anni, ex compagna dell'Accattone, arrestata nell'estate del 2022 per nove anni di cumulo pene da scontare. Conosciuta al grande pubblico per aver ispirato il personaggio di Donatella Caviati in Romanzo Criminale, la zarina Moretti è accusata di gestire lo spaccio nella Scampia della capitale, a Roma sud. Con un gruppo di complici venivano organizzate le piazze. Ma della vecchia Magliana troviamo solo l'abitudine dei nomignoli, e allora nelle intercettazioni ambientali era tutto un Er Faina, Tonino, Testa lucida, Gianni l'albanese, Bestione, Chicco, Chicca, Celletto, Nefertari, Licco, Er Ciuppa.
    Già nel 2019 la Cassazione aveva sbriciolato il mondo di mezzo di Massimo Carminati, detto Il Cecato, altro esponente di spicco della banda della Magliana, ex terrorista dei Nar, con collegamenti attivi nell'estrema destra, tratteggiato dalle investigazioni del procuratore Giuseppe Pignatone e da Michele Prestipino come associazione mafiosa. "Mafia capitale" non è mafia. Le ragnatele di Carminati tra affari minacce sub appalti e burocrazia doppiogiochista non rientrano nelle tipologie strutturate di cosa nostra, 'ndrangheta e camorra ma si tratta di sodalizi, banditismo.
    Del resto, bisognava forse capire il contrappasso già dieci anni fa quando, in una tragicomica telefonata al call center di un operatore telefonico, innervosito per il ritardo nell'allacciamento, proprio l'ex boss sbottava, come un disgraziato qualunque: «Oh senti, ascolta a me, io mi chiamo Massimo Carminati, segnatelo sto' nome, capito? Segnatelo: Carminati...Io sono quello che abita là, se mi venite a fare l'impianto bene, se non venite non me ne frega un c… di niente, hai capito? Massimo Carminati, segnatelo, così vai su internet e vedi chi sono io? Capito? Segnate sto' nome, così sai che cazzo sono io! Se non mi attaccate il telefono entro domani, poi vengo a cercare te». Ai tempi d'oro Carminati non aveva certo bisogno di farsi riconoscere. Oggi è indicato tra i frequentatori del bar Pontisso a Roma, in zona Prati, cappuccio cornetto e due chiacchiere. Ma a far rimbalzare il cognome in questi giorni è soprattutto il figlio Andrea, assai attivo nella capitale e fino all'ottobre 2022 socio di Fabio Pileri, a sua volta legato a Tommaso Verdini.
    È passato mezzo secolo, oggi «Roma è un unicum – prosegue Melillo, procuratore nazionale Antimafia - il territorio della città è gigantesco e spiega la co-presenza di modelli diversi con una concentrazione di rischi eterogenei. Senza dimenticare le piccole mafie: prima si nascondevano, oggi si mostrano, promuovono concerti di piazza, matrimoni, battesimi perché hanno bisogno di consenso sociale quartiere per quartiere».
    Ma c'è di peggio, perché tutto questo avviene proprio nella capitale delle istituzioni, della politica e dovrebbe preoccupare ancor di più. «Le mafie si muovono con modelli, sistemi di relazioni e complessità...», chiosa Melillo. Ci sarebbe quindi da interrogarsi sull'allarme sociale che la situazione dovrebbe destare ma il procuratore nazionale la gira la questione all'opinione pubblica: «questa è una domanda che lascio ai lettori». Ma la risposta è sotto gli occhi di tutti.

 

 

 

21.01.24
  1. ASSALTO LEGALIZZATO ALLA DILIGENZA :    Uno spoils system profondo, sistematico, quasi vendicativo nei confronti di una burocrazia vista come un ostacolo alle riforme. È il bottino del governo di Giorgia Meloni, nei ministeri come a Palazzo Chigi. Bottino, peraltro, è proprio la traduzione letterale dell'inglese "spoil", il sistema introdotto vent'anni fa dalla riforma Bassanini che consente all'esecutivo di sostituire funzionari pubblici apicali con persone di fiducia.
    «Non è solo una necessità momentanea – spiega un autorevole esponente della maggioranza sotto anonimato – quel che vogliamo fare è intervenire nei gangli del deep state per condizionare anche le scelte dell'amministrazione pubblica in futuro, quando a governare ci sarà qualcun altro. La sinistra l'ha fatto per decenni, ora tocca a noi». Un meccanismo denunciato da Sabino Cassese sul "Corriere della Sera", che in un editoriale uscito giovedì spiegava come il governo non si sia concentrato sul ricambio dei dirigenti apicali, ma stia allungando le mani sui «livelli dirigenziali inferiori». Questo a scapito della terzietà della pubblica amministrazione oltre che dell'equilibrio di bilancio, ma anche a danno del buon funzionamento dell'amministrazione, perché la fedeltà non sempre va a braccetto con la competenza.
    L'ex ministra della Pa, la deputata del Pd Marianna Madia, invoca «una riforma della dirigenza che consenta percorsi di carriera meritocratici e non automatici, e con una maggiore autonomia dalla politica. Noi ci avevamo provato con il governo Renzi – ricorda – ma la riforma fu bloccata dalla Consulta».
    Il professor Roberto Perotti, docente della Bocconi e consigliere dell'allora premier Matteo Renzi, sostiene che «gli alti dirigenti pubblici italiani siano ancora tra i più pagati in Europa, nonostante il tetto al trattamento economico che non può superare i 240 mila euro annui».
    Detto ciò, lo spoils system «lo fanno tutti», prosegue Perotti, «quello del governo Meloni appare più evidente perché gli ultimi esecutivi avevano una componente di centrosinistra e quindi una buona parte dei funzionari veniva di volta in volta confermata. I governi precedenti erano molto simili, perciò avevano meno bisogno di fare lo spoil system. È normale che ci sia stato un cambiamento così radicale».
    Con Fratelli d'Italia nelle stanze del potere, però, la decadenza delle figure tecniche è stata strutturale. Basta vedere le nomine a Palazzo Chigi, dove la presidente Meloni ha sostituito 18 dirigenti su 20.
    Difficile quantificare oggi quanto la sostituzione dei burocrati e la loro moltiplicazione possa impattare sui costi della politica. Quel che invece emerge dai numeri, dopo anni di dibattiti sul taglio delle spese dei palazzi, è che la politica ha sempre lo stesso costo, indipendentemente da misure e riforme votate a furor di popolo. Un caso emblematico è rappresentato dal referendum sul taglio dei parlamentari, battaglia storica del Movimento 5 stelle su cui tutti i partiti si sono allineati. Ebbene, le spese di Montecitorio continuano ad attestarsi intorno al miliardo di euro: i costi complessivi con 400 deputati non sono cambiati rispetto a quando gli onorevoli erano 630. Il consuntivo del 2022 stabilisce per la Camera una spesa di 960 milioni di euro mentre il bilancio di previsione del 2023 si attesta sui 971 milioni di euro. La dotazione nel triennio rimane invariata, cambiano alcune voci, alcune si gonfiano, altre si riducono. Se il taglio di un terzo dei parlamentari fa risparmiare 60 milioni di euro tra indennità e rimborsi, aumentano le spese legate all'inflazione, alle bollette e alla dinamica previdenziale. Stesso discorso per Palazzo Madama, dove i senatori sono passati da 315 a 200. Il rendiconto 2022 del Senato segna spese per 487 milioni, il bilancio previsionale del 2023 stanzia 575 milioni. Da Palazzo Madama fanno notare che il budget è sempre più alto e che il confronto andrà fatto sul rendiconto 2023 per capire l'impatto del taglio dei parlamentari, ma quel che interessa osservare in questo caso è che le spese delle due Camere restano comunque stabili, indipendentemente dal numero di onorevoli e senatori.
  2. PAGA PANTALONE : Fi rilancia gli sconti fiscali ai giocatori "Il calcio un settore economico di peso"
    Forza Italia prova a far rientrare dalla finestra del Milleproroghe gli sconti fiscali ai calciatori previsti dal vecchio decreto Crescita del governo gialloverde e poi usciti dalla porta della manovra. Tra i 1.300 emendamenti ce n'è infatti anche uno degli azzurri che punta a sgravi fiscali per i calciatori che rientrano in Italia, un tema che era, tra l'altro era già previsto in alcune bozze del decreto. «Proveremo ad affrontare un'emergenza che riguarda i trattamenti fiscali, ma è necessario fare un ragionamento più sistemico, affrontando i temi fiscali e infrastrutturali in maniera ampia e non più estemporanea – ha detto Alessandro Cattaneo, deputato di Forza Italia e responsabile dei Dipartimenti del partito –. Ricordiamo che il calcio è un importante settore economico che genera ricchezza e occupa migliaia di persone».
  3. DEMAGOGIA ELETTORALE: Pressing bipartisan per ripescare il 110% "Proroghe per gli alluvionati e i disabili"
    sandra riccio
    Si riapre la partita del Superbonus al 110%. L'occasione è la conversione alla Camera del decreto Salva-Spese. In questo contesto sono spuntati numerosi emendamenti bipartisan e altri presentati dai partiti di maggioranza che, in varie forme, chiedono un salvagente per le migliaia di famiglie e imprese che rischiano di venir affossate dai cambiamenti decisi dal governo Meloni sul maxi incentivo. Le richieste vanno da una mini-proroga per i condomini, all'innalzamento del tetto di reddito per gli aiuti alle famiglie, fino al mantenimento delle detrazioni al 110% per chi ha figli disabili. A spingere sulla riapertura della partita non è solo l'opposizione. A dar forza alle domande è in particolare Forza Italia che da mesi insiste per una riapertura dei termini. Le stesse richieste sono arrivate a più riprese anche da Ance, la più grande associazione di costruttori, oltre che dall'Associazione Esodati del Superbonus che raccoglie le famiglie in difficoltà a causa delle tante modifiche introdotte.
    Più nel dettaglio, Partito democratico, Fratelli d'Italia e il gruppo misto hanno presentato tre emendamenti identici per prorogare la detrazione al 110% per i condomini che al 31 dicembre 2023 hanno effettuato lavori «per almeno il 70% dell'intervento complessivo». La norma riguarda le abitazioni che hanno iniziato i lavori sia nel 2022 che nel 2023 ed estende la detrazione del 110% «fino al sessantesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione» del decreto. Altri tre emendamenti identici, presentati sempre da Pd, FdI e Misto, chiedono di alzare da 15 mila a 25 mila il tetto del reddito per beficiare del contributo riservato ai redditi bassi per le spese sostenute tra gennaio e ottobre 2024.
    Gli emendamenti presentati arrivano anche in aiuto dei territori toscani colpiti dalle recenti alluvioni: una proroga di sei mesi delle detrazioni al 110% o al 90% è stata presentata da FI. La proposta di modifica chiede che le detrazioni per le quali è stata esercitata l'opzione della cessione o dello sconto in fattura continuino ad «applicarsi nella misura del 110% prevista per il 2022, comprese le deroghe, e del 90% previsto per il 2023», nei territori colpiti delle avversità atmosferiche di eccezionale intensità verificatesi nei mesi di ottobre e di novembre 2023, «per le spese sostenute fino al 30 giugno 2024». La Lega va anche oltre: prevedere il Superbonus pieno, ancora al 110%, fino al 2025 nei territori colpiti dalle alluvioni del 2022 e 2023 e nei quali è stato dichiarato lo stato di emergenza.
    Ci sono poi richieste che riguardano i nuclei familiari con disabili a carico. Tra chi è rimasto impigliato nei tanti cambiamenti che ha visto il Superbonus ci sono anche casi con figli con gravi difficoltà di salute. Con lo stop della cessione del credito e le nuove norme si sono ritrovati con i cantieri in casa, un affitto da pagare e tanti debiti da saldare. La proposta, in un emendamento di FdI, è di intervenire in questa direzione e chiede di prevedere la detrazione al 110%, con un tetto di spesa, per le famiglie con figlio disabile grave fino a fine 2025. La proposta di modifica, a prima firma Congedo, chiede di riconoscere il Superbonus pieno e «fino alla soglia massima di 150.000 euro», ai nuclei con figli con disabilità grave, residenti nella prima abitazione che non hanno beneficiato delle agevolazioni Superbonus nel 2022 e 2023, «per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2025 destinate all'efficientamento energetico, tecnologico e per una maggiore fruibilità della prima casa a vantaggio delle persone con disabilità fisica, sensoriale e mentale».
  4. LINCENZA D'UCCIDERE Scudo penale per un anno, arriva l'ok all'emendamento
    Per i camici bianchi anche la pensione (volontaria) a 72 anni
    È arrivato con un emendamento di maggioranza al decreto "milleproroghe" lo scudo penale che per un anno proteggerà i medici dalle cause penali per colpa lieve ma anche da quelle per errori gravi quando si lavora in condizioni di difficoltà per carenza di personale. Anche se per gli assistiti resta sempre la possibilità di ricorre al processo civile per ottenere il risarcimento. Di fatto una riproposizione della norma varata per decreto nel 2021 in piena emergenza pandemica, che considerando i vuoti in pianta organica presenti un po' ovunque, renderà di fatto perseguibile solo il dolo. Tanto per capire, davanti al giudice finirà il medico che per guadagno impianta una protesi quando non dovrebbe, ma non il chirurgo che dimentica la garza nell'addome del paziente. Ma la vera novità è la possibilità per i medici di restare al lavoro fino a 72 anni, anziché 70. L'emendamento era stato osteggiato dai sindacati medici, che lo avevano in prima battuta definito «un regalo a non più di un migliaio di baroni universitari». Gli stessi rappresentanti dei camici bianchi accendono ora la luce verde alla nuova versione, che prolunga si di due anni l'età del pensionamento, pur se sempre su base volontaria. Ma toglie a chi deciderà di restare in servizio i galloni di Primario. In pratica i medici ultra settantenni faranno da tutor ai giovani specializzandi immessi in corsia a fare assistenza, così come potranno continuare a seguire i pazienti, ma senza più impartire ordini in reparto. Una norma che non servirà a risolvere il problema della carenza di personale, ma che almeno non sarà di ostacolo alla carriera dei giovani.

 

 

20.01.24
  1. Diecimila dollari per la fuga da Gaza "Hamas e l'Egitto vogliono tangenti"
    gerusalemme

    Per loro «non contiamo nulla. La nostra vita non vale niente. A meno che non siamo in grado di pagare loro la tangente per uscire». Walid sta cercando di trovare 10 mila dollari per pagare la «tassa di coordinamento» ad Hamas ed egiziani e uscire. È l'unica possibilità che ha di salvarsi. Il nome è di copertura, per ragioni di sicurezza. Abitava a Nord della Striscia, è fuggito prima al centro e da due settimane è a Rafah. Insieme a tanti, troppi. Ha provato ad affittare una casa, ma i prezzi sono aumentati in maniera esponenziale. Da qui la scelta: pagare per avere un tetto o per uscire. I suoi amici e parenti all'estero lo stanno aiutando a racimolare i soldi.
    In guerra la libertà ha un prezzo e si salva chi ha più soldi. Sembra questa l'amara verità che emerge dalle macerie e dal quel che resta della Striscia di Gaza. Secondo le Nazioni Unite, oltre l'85 per cento della popolazione di Gaza è sfollata. La maggior parte delle persone ha dovuto lasciare le loro case, nella maggior parte andate distrutte dai bombardamenti, e sono stipate nella città meridionale di Rafah, al confine con l'Egitto. Sperando di trovare il modo di uscire. Le pagine Facebook che offrono notizie dal valico di Rafah sono piene di post di palestinesi che chiedono aiuto per essere inseriti nelle varie liste.
    Ognuno mette in campo quello che può, quello che ha. Chi ha parenti in Europa o negli Stati Uniti cerca, facendo appello alle varie rappresentanze diplomatiche, di avvalersi di questa parentela per essere inserito nelle liste di evacuazione. Pochi riescono. I privilegiati che escono in maniera "legale" sono davvero in pochi. Molti peraltro non hanno documenti validi, o non li hanno affatto, perché andati persi nei bombardamenti o nella fretta di lasciare la casa.
    Le richieste alle sedi diplomatiche sono tante. Una sorta di coordinamento tra il Cogat, il reparto dell'esercito israeliano che si occupa dei Territori palestinesi, Hamas e l'Egitto. I consolati presentano le liste, queste tre entità, per ragioni diverse, le falciano. Hamas per esempio non permette l'uscita ai giovani; per il Cogat possono solo i parenti stretti (mariti, moglie figli, neanche genitori) ma solo di cittadini palestinesi con doppio passaporto. Gli egiziani, non vogliono nessuno, obbligano al soggiorno massimo nel loro paese per 72 ore, finiti quali i gazawi devono partire. Per cui una volta che si ottiene il permesso, ci si presenta a Rafah. Usciti, un funzionario del Paese straniero di cui è cittadino il parente che ha fatto domanda attende all'esterno, accompagnando poi il gazawi a Il Cairo da dove, dopo aver messo il visto sul passaporto (valido solo per il paese del parente) lo portano in aeroporto. E se non hanno i documenti? Non se ne fa nulla. Si tratta di migliaia di richieste delle quali solo una minima parte va a buon fine necessitando controlli a monte, coordinamento delle varie autorità coinvolte.
    In questo quadro a dir poco desolante si inserisce lo sfruttamento. Da Gaza arrivano testimonianze secondo le quali i palestinesi che cercano disperatamente di lasciare la Striscia senza parenti all'estero, hanno la possibilità di farlo, pagando tangenti che superano anche i 10.000 dollari, a intermediari per aiutarli a lasciare il territorio attraverso l'Egitto. Le famose "tasse di coordinamento" per i gazawi sono sempre esistite con gli egiziani e Hamas. Ma stavolta sono diventate particolarmente onerose. Come gli affitti delle poche case in piedi, che si lasciano a non meno di 3000 dollari l'una. Pochi però hanno disponibilità delle somme necessarie tanto che sono partite, da parte dei parenti all'estero o di associazioni che operano a tutela dei palestinesi, anche campagne di crowdfunding per raccogliere fondi.
    «Una volta che hai soldi – ci dice Ahmed (altro nome di fantasia) - si viene messi in contatto con intermediari, mentre i pagamenti vengono effettuati in contanti, a volte tramite persone con sede in Europa e negli Stati Uniti. Stanno mercanteggiando sul nostro dolore. I soldi li prendono gli egiziani e hamas, come sempre». A volte i soldi aumentano in corso d'opera. «Un mediatore – spiega Mohammed – prima mi ha chiesto 10mila dollari, poi ha aumentato la sua richiesta a 13mila, quando sono cominciate a uscire queste notizie. Più gente vuole mangiarci e speculare. I miei parenti americani e in Germania stano cercando di raccogliere soldi. Pagheranno una parte su un conto turco e un'altra su uno egiziano. Siamo disposti a tutto pur di scappare».
    Ma c'è pure chi, nonostante abbia le possibilità, non si muove. Salim è un imprenditore conosciuto, fa affari con tutto il mondo. Lavora nel campo dei preziosi. Sotto la sua abitazione ha un bunker con diversi oggetti, che non vuole lasciare. «Rappresentano la mia vita, sono la storia della mia famiglia. Non posso neanche portarli con me. Una volta arrivato a Rafah, sia quelli di Hamas di qua che gli Egiziani di là se li dividerebbero. La nostra vita non ha valore per loro, valiamo solo come fonte di guadagni facili».

 

 

19.01.24
  1. Le coste italiane sventrate dai balneari un disastro per l'ambiente e per l'economia
    Mario Tozzi
    I connotati paradossali della vicenda delle concessioni demaniali delle spiagge italiane sono già ampiamente noti, mentre sembrano sottovalutati gli aspetti ambientali che, a guardar bene, sono quelli davvero essenziali. E che riguardano la tutela e la conservazione delle spiagge che sono patrimonio inalienabile di ciascun italiano. Che non solo non sono state garantite dai concessionari, ma sono state addirittura ignorate e disattese. Soprattutto le costruzioni non removibili, in cemento e mattoni, messe in opera dai concessionari nei decenni. Varrà la pena di ricordare che l'articolo 1161 del Codice della Navigazione parla di «esclusione del diritto collettivo d'uso … in modo da impedire la fruibilità… o da comprimerne in maniera significativa l'uso…» e che, in questo contesto, nessuna costruzione è legittima sulle spiagge demaniali.
    Sarebbe stato il caso di approfittare della direttiva europea non solo e non tanto per censire i chilometri di spiaggia italiani liberi da concessioni, ma soprattutto per censire quante e quali costruzioni non removibili sono state erette sul patrimonio di tutti quanti noi per favorire il guadagno di pochissimi. Ma anche il censimento delle spiagge si è rivelata una simpatica buffonata: se devo censire un bene comune dovrei appellarmi agli organismi preposti e, in campo ambientale, in Italia, per fortuna, ce ne è uno davvero autorevole che è l'Ispra, per non dire di Cnr, Università, istituti oceanografici e marini, osservatori geofisici. E poi ci sarebbe il buon senso, che indica che non puoi considerare tutta la linea di costa della penisola e delle isole, ma devi censire le spiagge, tenendo però fuori le aree marine protette, i tratti non balneabili, le spiagge abbandonate, quelle dove sorgono le città, per un totale di tratti di costa bassa e sabbiosa non disponibili in concessione a priori di circa il 30% (sottostimando) o meno.
    Non stupisce che né l'una né l'altro abbiano guidato il censimento governativo, che nella "Relazione sullo stato di avanzamento dei lavori del tavolo tecnico consultivo" sulle concessioni è arrivato a stimare il totale delle linee di costa in 11.172,794 metri. Una cifra così precisa che fa presumere che tutte le coste italiane siano difese da un perimetro di cemento, perché, se fossero davvero naturali, nessuno potrebbe conteggiarle in maniera esatta, visto che sono in grado di variare di un centinaio di chilometri in pochissimi anni. E, in extremis, a cercare di propalare l'idea che si possano dare in concessione anche le coste rocciose, prefigurando scenari ambientali da incubo, prima che impossibili, perché ciò significherebbe coprire letteralmente di infrastrutture tubulari, metalliche e di legno, fissate, rocce e scogliere (cosa che già accade dovunque si tentano queste sciagurate strade).
    Un risultato fantastico, un allungamento delle spiagge senza precedenti, visto che tutti sappiamo che l'Italia ha circa 8.000 chilometri di spiaggia: come hanno fatto a diventare oltre 11.000? Ci sono riusciti grazie agli stessi balneari che erano ben rappresentati al tavolo tecnico, in cui non hanno avuto alcuna voce in capitolo scienziati e ricercatori degli istituti sopra menzionati. Così risulterebbe che solo il 19% delle spiagge è attualmente dato in concessione nel nostro Paese, quando i dati reali ammontano al 69%, una discrepanza che fa tutta la differenza del mondo: nel primo caso non c'è alcun bisogno di applicare la direttiva europea, perché la risorsa non è scarsa, nel secondo bisogna applicarla immediatamente, perché altrimenti la consumiamo tutta.
    Fortunatamente la Ue ha già smascherato la presa in giro che è stata messa in piedi e ricordato che c'è già una procedura di infrazione in atto, che ricadrà sulle spalle di tutti noi, che quelle spiagge le vorremmo e le vogliamo libere perché sono di tutti. Per questa ragione propongo un manifesto per la liberazione delle spiagge patrie che si articola nei seguenti punti:
    1. Tutte le coste italiane sono patrimonio inalienabile dello Stato e non possono essere privatizzate
    2. Il 60% delle spiagge deve essere, tornare o restare libero
    3. Il restante 40% può essere gestito in concessione demaniale dai Comuni che possono attrezzarle e metterle a disposizione a prezzi calmierati. I servizi sono gratuiti. Come accade in Francia, Spagna, Grecia e Portogallo
    4. Una parte di quel 40% residuo può essere data in concessione ai privati che possono attrezzarla a canoni consistenti con il valore e la scarsezza del bene, con garanzie ambientali rigorose e con gare rinnovate su tempi brevi. A tutt'oggi, a fronte di 100 milioni circa di canoni riscossi, il fatturato dei quasi 13.000 concessionari balneari è di 30 mmiliardi di euro (ammesso che non ci siano entrate non dichiarate). Stabilimenti e lidi devono garantire l'accesso libero alla battigia. Portarsi cibo e bevande in quei contesti deve essere consentito
    5. Nessuna struttura permanente (cemento, mattoni o acciaio) può essere imposta sul demanio costiero. Cabine, chioschi, spogliatoi, ristoranti e quanto altro devono essere rimovibili. Eventuali strutture permanenti già presenti vanno abbattute a spese di chi le ha costruite. Il reato di abusivismo sulle linee di costa non è sanabile da alcun condono statale. Per troppo tempo i concessionari si sono sentiti padroni di un bene che è di tutti e hanno costruito dove non avrebbero dovuto, arrivando a risultati clamorosi, come il "lungomuro di Ostia" o gli scempi adriatici
    6. Da novembre a marzo nessuna struttura, neanche rimovibile, può persistere sulle spiagge e i litorali vanno sgombrati a ogni stagione.
    Così una nazione tutela il proprio patrimonio inalienabile e ne fa attrazione culturale, paesaggistica, ambientale e turistica (e economica) collettiva in nome di un bene comune che non può essere la sommatoria di singoli interessi corporativi. Sottrarre alla speculazione le coste è motivo di soddisfazione per tutti gli italiani, garantirne la libera fruizione e tutelarne le caratteristiche fisiche sono un obbligo di chi amministra. Per fortuna già molti concessionari si comportano così, qui non ci si rivolge a loro, ma a tutti gli altri. E a chi finge di non sentire.
  2. Tommaso Caligari un ricercatore vero.
    Niccolò Zancan
    Novara
    L'idea migliore, fino a qui, la deve al nonno. «Nonno Sergio era un meccanico. Produceva viti, minuterie, barre filettate. Passava il tempo a lavorare. Anche quando era in pensione, stava sempre nel suo garage-officina. E io con lui. Non c'era niente che insieme non potessimo aggiustare».
    Quando il nonno Sergio Caligari si è ammalato di Parkinson, il nipote Tommaso ha parlato con i suoi dottori. Era molto sofferente, troppo. A quello stadio della malattia non c'era più niente da fare: non si poteva aggiustare. «Un medico mi ha spiegato che ci sono degli indicatori precisi per fare la diagnosi nella fase iniziale, quando ancora la malattia è curabile. In particolare, mi ha spiegato che si può diagnosticare il Parkinson osservando la riduzione di oscillazione degli arti superiori e anche un'asimmetria che non è visibile a occhio nudo, ma c'è. Quella frase mi è rimasta in mente. Dopo un mese ho iniziato a pensare al dispositivo "Parkinson Detector"».
    Tommaso Caligari, 17 anni, inventore da Cressa, Novara. Martedì sarà premiato in Senato per il programma che permette la diagnosi precoce del Parkinson. Ha già presentato il suo progetto anche all'Eucys di Bruxelles. Insomma, l'idea era buona.
    In cosa consiste il Parkinson Detector?
    «Ho sviluppato un algoritmo. Ci sono due telecamere collegate al computer. L'intelligenza artificiale legge i movimenti di una persona senza bisogno di marcatori, senza bisogno di scanner o di liquido di contrasto. Basta passare davanti alle telecamere in linea retta. L'algoritmo rileva con precisione i movimenti di quella persona. Angolo spalla. Angolo gomito. Lato destro, lato sinistro».
    A quel punto?
    «Parte l'elaborazione dei dati. Il confronto che l'intelligenza artificiale riesce a fare con i casi di persone malate e con quelli di persone sane».
    Come ha verificato i risultati?
    «Mi ha aiutato mio padre. Con lui siamo andati insieme all'Associazione Parkinson di Arona. Abbiamo chiesto di poter fare il test su undici pazienti. Poi l'ho replicato su persone non malate. L'algoritmo funziona. Il bello di questo sistema è che costa poco. Bastano pochi minuti. Non è invasivo. Può aiutare il medico a fare la diagnosi».
    Il nonno l'ha mai saputo?
    «No, alla fine era molto stanco. Quando è stato ricoverato c'era il Covid. Era un problema andarlo a trovare. Facevamo le videochiamate. L'ultima volta che mio padre l'ha visto in ospedale, gli ha raccontato che sarei andato negli Stati Uniti per un'altra invenzione. Il nonno ha commentato: Orpo!».
    Quanto ci hai messo a mettere a punto l'invenzione sul Parkinson?
    «Un anno. Ho lavorato tutta l'estate».
    Niente vacanze?
    «Ero già andato in America, quell'anno lì. Ero già stato a Genova per un concorso. Ero già stato a Milano. E poi io mi diverto di più a casa mia, nel mio laboratorio in mansarda. Mi sono dedicato allo sviluppo del sistema».
    Condividi le idee?
    «Con mio padre. Mi piace parlarne con lui, sentire cosa ne pensa. Alle volte facciamo delle litigate amichevoli».
    Breve campionario delle invenzioni?
    «La prima: un mini go kart ricavato da un passeggino. Poi delle torce con dei tappi di CocaCola. Alle elementari ho riprodotto il sistema solare partendo da una lampadina a led».
    Quando sono diventate esperimenti scientifici?
    «Quando mi sono iscritto all'Omar di Novara. È un istituto tecnico industriale. Il primo anno ho costruito una foglia artificiale che converte l'anidride carbonica in metanolo. Poi ho fatto il progetto «ContromaNO», per rilevare i veicoli in contromano in autostrada e inviare l'allarme».
    Cosa pensi dell'intelligenza artificiale?
    «A parere mio, è una cosa meravigliosa. Ci aiuterà tantissimo. Ma va gestita nel modo corretto, come qualsiasi cosa. Come le armi. Come le bombe».
    Stai già lavorando a un'idea nuova?
    «Sì, mi piace moltissimo, riguarda sempre l'intelligenza artificiale nell'ambito della ricerca medica. Ma non posso ancora raccontarla. Devo presentarla entro il 2 febbraio».
    Scuola e compiti, mansarda laboratorio, garage officina: quando stacchi?
    «È una passione. Mi diverto tantissimo. Soprattutto in estate: quando posso lavorare in giardino, dove ho costruito l'impianto fotovoltaico».
    Piani scolastici?
    «Il mio sogno è fare Ingegneria elettronica. Sto studiando i test di ingresso. Sono in dubbio fra il Politecnico di Torino e quello di Milano, ma la vita a Milano costa troppo».
    E la vita sociale?
    «A scuola ho trovato altri come me. Anche qui a Cressa dove abito, 1.500 abitanti, ho un amico del cuore. Insieme ci divertiamo a costruire la qualunque».
    Tipo?
    «Pozzi. Ponti. Abbiamo le api nel bosco. Gestiamo qualche arnia. Ho inventato un sistema di monitoraggio a distanza. Prima con una Sim, ma costava troppo. Adesso con un'antenna piazzata sul tetto di casa. Così riceviamo i dati: peso, umidità, temperatura dell'aria».
    Fate il miele?
    «Quest'anno non è stata la stagione migliore. Ma l'anno scorso cinquanta barattoli d'acacia e cinquanta di castagno li abbiamo regalati».
    Quanto pensi al futuro?
    «Ogni tanto. Ma non ho ancora un'idea precisa. Forse mi piacerebbe aprire un'azienda dove progettare le mie idee, altre volte invece mi vedo come un dipendente».
    Secondo te, cos'è il talento?
    «Domanda molto difficile. Non so se so rispondere. So che il talento ha a che vedere con la passione, con la voglia di scoprire cose nuove e di mettersi in gioco. Io ho tantissima ansia quando faccio i concorsi, ma ci vado. In quei momenti penso di avere un po' di talento. Perché la voglia batte la paura».

 

 

 

 

 

 

18.01.24
  1. Padre Ibrahim Faltas: "A Gaza scuole chiuse e corpi per le strade"
    L'allarme dei francescani "Il conflitto sfugge di mano"
    Nel conflitto tra Israele e Hamas «spetta alla comunità internazionale trovare una soluzione: tutti dicono "due popoli in due Stati". Quando realizzare il progetto se non adesso, dopo tutti questi morti e distruzione? Questo è il momento di fissare una data e di arrivare alla pace". E se non faremo presto «il conflitto si allargherà agli Stati circostanti e non solo. In parte sta già accadendo. Il rischio è una terza guerra mondiale. All'Europa chiedo di fare presto e di tutto per la pace, perché il vento della guerra tira forte». Così padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa a Gerusalemme, in un'intervista a Toscana Oggi. Il francescano, a Firenze per alcuni incontri, sottolinea come Gaza sia un «cimitero a cielo aperto» con «vittime ancora sotto le macerie» e «corpi abbandonati per strada». Anche la situazione in Cisgiordania non è migliore: «Ci sono scontri quotidiani in tutte le città». Padre Faltas è direttore delle scuole della Custodia di Terra Santa che dopo l'inizio del conflitto sono state chiuse per quindici giorni. I ragazzi, racconta, «quando sono tornati in classe erano cambiati. Segnati dalla guerra. Hanno perso il sorriso. C'era una bambina di cinque anni che, quando è tornata in classe, ogni mezz'ora voleva chiamare il padre al telefono perché temeva per la sua vita». Il francescano è stato citato più volte nei discorsi di Papa Francesco
  2. PADRE E PADRONE DEL PD TORINESE : Mauro Laus
    l'intervista
    " Il Pd è in ritardo per colpa di Gribaudo Doveva unire, ma infesta il dialogo coi 5S "
    paolo varetto
    «A ottobre Chiara Gribaudo ha chiesto di sospendere le primarie, sostenendo che sul suo nome sarebbero confluiti i 5 Stelle. Un teorema sbagliato: doveva unire, invece è quella che divide di più. Ora, mentre si lavora a un'alleanza anti Cirio, rilancia le primarie. Così si infesta il dibattito». Mauro Laus, uomo forte del Pd torinese e grande elettore del sindaco Lo Russo, attacca Chiara Gribaudo, vicepresidente nazionale del Pd, che ha rilanciato la sua candidatura per la Regione.
    Onorevole Laus, il centrosinistra ha una bussola da tenere verso le regionali?
    «Il ripensamento di Gribaudo sulle primarie crea una situazione di stallo. Ha ragione la capogruppo dei 5 Stelle Disabato: è inopportuno che un potenziale candidato intervenga a ridosso dell'incontro decisivo di domani. I posizionamenti dei singoli, in una fase così delicata, infestano il terreno del confronto con tutte le forze alternative alla destra meloniana».
    Cosa vuol dire «infestare»?
    «Siamo appesi a un filo e lei irrompe nel dibattito irrigidendo il quadro. Una scelta improvvida e inopportuna».
    Ma perché allora lo ha fatto?
    «Che lei puntasse e continui a puntare alle Europee non è un segreto per nessuno, e credo che tutto il partito dovrebbe sostenerla. Ma in questo momento tanto delicato siamo a un bivio: o lotta di potere dannosa e di posizionamento interno che non interessa nessuno o prova di una classe dirigente responsabile».
    E come si concretizza questa prova di responsabilità?
    «Anche se ci sono state tensioni, bisogna fare quadrato e andare tutti su di lei per le Europee».
    Ma il suo candidato non è Giorgio Gori?
    «Sì, ma si possono esprimere tre preferenze, e ben venga una donna piemontese. Questa è la strada per uscire dallo stallo».
    Gribaudo uscirà dalla competizione per la Regione?
    «No, lei sarà comunque candidata, anche come consigliera semplice, lo dicono le sue parole. E questo mentre tutto il partito dovrebbe ringraziare il Tour Dem dei consiglieri regionali. Anche per questo, e per rispetto delle altre delegazioni al tavolo delle trattative, servirebbe più prudenza nelle esternazioni pubbliche».
    Quale dovrebbe essere il comportamento da tenere?
    «A Torino abbiamo un grande sindaco e la sua vittoria ci ha consegnato un modello condiviso di partecipazione. Ripartiamo da lì».
    Eppure nel centrosinistra c'è chi dice che proprio Lo Russo, con la sua concordia istituzionale con Cirio, danneggia la campagna elettorale.
    «La concordia è un dovere civico, qui non si parla di inciuci. Lo Russo è il sindaco di tutti e lo stesso vale per Cirio nel ruolo di governatore. A marcare le differenze devono essere i partiti».
    E come deve portare avanti la campagna il Pd?
    «Il Pd ha bisogno di concretezza, non possiamo contrapporre alla politica degli annunci una politica degli slogan: fare come Gribaudo, dare degli incapaci e degli ignoranti ai nostri colleghi di destra, è un errore. Il nostro compito è proporre soluzioni alternative a tutti gli elettori, compreso chi non vota. Se la butti in caciara, non ne usciamo più».
    Ma a sensazione sua, l'alleanza Pd-M5S si farà?
    «Quando Gribaudo è intervenuta, si stava delineando la candidatura verso Valle. L'intervento di Chiara è stato legittimo, ma dire prima no alle primarie e poi cambiare idea a distanza di mesi crea solo una situazione di stallo. Raggiungere un accordo con i 5 Stelle già non è semplice in Piemonte, e allora che si lasci dignità al tavolo delle trattative: non sono mica burattini».
    Ma se Gribaudo sarà candidata di tutto il partito alle Europee, Valle sarà candidato presidente anche con i 5 Stelle?
    «Lo deciderà il tavolo, ma bisogna essere seri».
    L'ipotesi che emerga un candidato terzo e alternativo, magari un civico?
    «Se il confronto sarà in grado di riannodare i fili, qualsiasi soluzione che aumenti le possibilità di confronto con la destra meloniana andrà valutata».
    Senza alleanza la partita contro Cirio è persa in partenza?
    «No, in politica la situazione è magmatica, quello che è certo oggi può cambiare domani, sono troppe le variabili. Ma abbiamo poi la certezza che sia Cirio il candidato? Anche Bardi in Basilicata doveva essere blindato. Questa non è più la democrazia partitica di 15 anni fa, è cambiato il mondo».
    Ma Elly Schlein, a cui Gribaudo è particolarmente vicina, ha un ruolo sulle vicende piemontesi?
    «Io non credo che Gribaudo parli a nome di Schlein. Sono due soggetti diversi, con pensieri diversi e ruoli diversi. E comunque questa è una partita che si deciderà qui, a livello territoriale».
    Non trovate comunque che siate in ritardo con la campagna elettorale?
    «In grande ritardo. E di questo ci sono responsabilità enormi».
    Di chi?
    «Di chi ha creato questa situazione di stallo, in primis Gribaudo e chi l'ha aiutata livello nazionale. Non certo di Daniele Valle».
    Ma la sua vicenda giudiziaria la frena o pesa sul dibattito politico?
    «No. Per ragioni personali ho lasciato la guida del gruppo in commissione lavoro. Ma chi mi stava vicino mi sta ancora più vicino. Non mi frena, zero. Però dico una cosa: le sentenze si accettano, la tortura psicologica no. E allora meglio evitare di dare il "la" a chi crede ci siano responsabilità o consapevolezze».
  3. Rear, nuovo corso al vertice Nel Cda sotto inchiesta un banchiere e un magistrato
    Finisce il commissariamento della coop di cui è socio il dem Laus Confermati 3 consiglieri su 5. Rambaldi e Girolami i nuovi nomi

    Corriere Torino18 Jan 2024Christian Benna

    Il colosseo Rear ha vinto la gara per gestire il servizio di biglietteria del Colosseo di Roma La vicenda Il commissario governativo ha confermato 3 membri del cda su 5 Resta presidente Tony Munafò

    Riparte dall’ingresso in Cda di un uomo di banca, Vladimiro Rambaldi, presidente di Torino Finanza ed ex manager Unicredit, e da un magistrato, Giancarlo Girolami, già a capo del Tribunale di Asti, il nuovo corso di Rear, la cooperativa di servizi museali da 40 milioni di ricavi e 1.600 dipendenti finita per 4 mesi in commissariamento, fino al 15 gennaio, a seguito dell’inchiesta della Procura di Torino per truffa e malversazione.

    Riparte dall’ingresso in Cda di un uomo di banca, Vladimiro Rambaldi, presidente di Torino Finanza ed ex manager Unicredit, e da un magistrato, Giancarlo Girolami, già a capo del Tribunale di Asti, il nuovo corso di Rear, la cooperativa di servizi museali da 40 milioni di ricavi e 1.600 dipendenti finita per 4 mesi in commissariamento, fino al 15 gennaio, a seguito dell’inchiesta della Procura di Torino per truffa e malversazione.

    Nella sua ultima relazione ai soci della coop, il commissario governativo Francesco Cappello, ha confermato 3 membri del cda su cinque: Valeria Cardone, moglie del deputato Pd Mauro Laus, nonché socio Rear e tra i sei indagati dalla Procura di Torino, il presidente Tony Munafò e Omar Bochicchi. Entrano in Cda due nomi nuovi: Vladimiro Rambaldi e Giancarlo Girolami.

    Ai 342 soci presenti Cappelli ha illustrato la gestione del commissariamento (i nuovi appalti vinti, come la biglietteria all’accademia di Francia, quella del Colosseo e le prossime gare: dal Museo dell’auto ai musei di Firenze) e anche i rilievi della «due diligence» che sarà oggetto di esame della Procura di Torino. Sotto la lente del Commissario sono stati rilevati investimenti in attività che «occupano pochi o nessun socio» della cooperativa, come il Camping Vallestretta di Bardonecchia, il Bar dei Bini e il Market Agro. Situazioni, non considerate «illegittime» e che non intaccherebbero la «condizione di mutualità prevalente della cooperativa». Più delicata la questione dei finanziamenti in favore di società non legate all’attività della coop ma ricollegabili agli amministratori e allo stesso Mauro Laus. Come i finanziamenti alla 1 Ag, che possiede l’insegna Gransicily, circa 830 mila euro di fondi erogati; Sapori Lucani; 101 mila euro; e Futura Investimenti, 550 mila euro. Per questi finanziamenti il Commissario ha rilevato, oltre alla mancata evidenza della finalità strategica dell’investimento, anche la «censurabilità dell’erogazione infruttifera»; pertanto invita il prossimo Cda a recuperare queste risorse. In proposito i vertici di Rear sostengono che questi progetti hanno permesso di creare nuovi posti di lavoro e comunque non pongono problemi di solidità dei conti e della liquidità. Altro capitolo di accusa che la coop vorrebbe lasciarsi alle spalle è quello relativo agli emolumenti ad personam e le assunzioni di parenti dei soci. Il Commissario non ha riscontrato irregolarità dal punto di vista fiscale, tuttavia suggerisce di adottare regolamenti e policy per regolamentarne l’erogazione, incluso un codice etico e un organismo di controllo. In sostanza si chiede più managerialità per una coop che ha raggiunto dimensioni da media azienda, fornendo servizi di vigilanza per grandi musei e istituzioni. Cappello ha anche chiesto di adeguare il compenso degli amministratori, che era rimasto fermo da 20 anni, aumentandolo di circa il 40%, pari a 140mila euro lordi. Il presidente Tony Munafò, riconfermato al vertice di Rear, ha affermato: «Questi impegni, a sostegno del processo di crescita, sono parte integrante dei nostri obiettivi di miglioramento ,che perseguiamo peraltro da anni con dedizione e percepiamo questi suggerimenti, che valuteremo con spirito costruttivo, come un’opportunità per rafforzare la nostra cooperativa e per consolidare la fiducia dei nostri soci».
    Article Name:Rear, nuovo corso al vertice Nel Cda sotto inchiesta un banchiere e un magistrato
    Publication:Corriere Torino
    Author:Christian Benna

 

 

 

 

 

17.01.24
  1. Processo ai Casamonica La Cassazione: "È mafia"
    Roma
    Il clan dei Casamonica è una struttura criminale di stampo mafioso. È quanto ha sancito la Cassazione nell'ambito del maxiprocesso a carico di una trentina di persone, tra cui anche i vertici della famiglia. Proprio nei confronti di alcuni boss la Suprema Corte ha anche riconosciuto l'aggravante della natura «armata del sodalizio», disponendo quindi il processo di appello bis per la rideterminazione della pena. Nei confronti di alcune posizione minori è, invece, venuta meno l'aggravante di avere agito nell'interesse del clan. La Cassazione ha inoltre confermato l'esistenza di una associazione parallela dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti, con funzione agevolatrice della associazione mafiosa. Regge quindi anche al vaglio della Suprema Corte l'impianto accusatorio dei pm della Dda di piazzale Clodio poi ribadito nella sentenza di secondo grado nel novembre del 2022

 

 

 

16.01.24
  1. IL FINE DELLA PATRIMONIALE DELLA NUOVA LEADER DELLA SINISTRA :    Questo signore con la faccia pallida, un ex autista di pullman, viene per le garze. «Ogni mattina devo fare la medicazione. Ogni sera devo disinfettare e cambiare la fasciatura una seconda volta. Non posso permettermi di andare in farmacia. Sono quasi 300 euro al mese». Si guarda intorno, abbassa il berretto sulla fronte. «Qui mi danno le garze gratis. E io vengo ogni settimana. Mi hanno operato due volte, la prima nel 2015. È una brutta cosa, mi hanno detto. Non so quanto mi resta da vivere».
    Sono le tre di pomeriggio. C'è il sole e la coda si allunga. Quartiere di Porta Palazzo, ambulatorio medico del Sermig. Una dottoressa in camice bianco esce sulla porta e dice a alta voce: «Per favore, mettetevi in coda. Un po' alla volta, vi prometto che entrerete tutti».
    Nella coda, dietro al signore delle garze, c'è un ragazzo bengalese con il cappello di Just-eat. «Questo dente. Non sai che male. Sono giorni che non riesco neppure a mangiare. Mi hanno detto che qui il dentista non si paga». E dietro al fattorino che cerca sollievo a un dolore che gli deforma il viso, c'è una signora incinta con un figlio nel passeggino. Il bambino piange, non si sa perché. Ancora dietro, ecco la signora Nadia R., 58 anni, madre di due figli adulti, divorziata, lavoratrice povera: «Ho due contratti part time. Uno da operatrice scolastica, l'altro in un'impresa di pulizie dove lavoro da più di trent'anni. Io ho sempre lavorato, questo è il fatto. Ma cinque anni fa, dopo il divorzio, mi sono ritrovata in difficoltà per tutto. Ho un tumore benigno alla testa. È un periodo che non sono proprio al top. Devo risparmiare. Non riesco più a pagare l'affitto e le bollette: per me venire qui a prendere gratis gli antidolorifici è fondamentale».
    Questo posto è una frontiera dentro a Torino. Da qui si vede bene quello che sta succedendo. «Quando nel 1989 abbiamo aperto il nostro ambulatorio avevamo due medici volontari, oggi ne abbiamo cento», dice Ernesto Olivero. È lui l'inventore di questa città dell'accoglienza. Scuole, laboratori, posti letto per chi non sa dove andare a dormire. Il presidio medico era nato come ambulatorio per i senzatetto e per i migranti appena arrivati in città. «Ma noi non abbiamo mai fatto distinzione, non abbiamo mai detto che qualcuno poteva entrare e qualcun altro no» ci tiene a precisare Olivero. Fatto sta che all'inizio il 98% dei pazienti era di origine magrebina. Adesso non più. A poco a poco, sono arrivati anche gli italiani poveri e impoveriti. Sempre di più: pensionati, disoccupati, giovani genitori. «Quello che è successo dopo la pandemia è sotto gli occhi di tutti», dice la dottoressa Maria Pia Bronzino. «Le liste d'attesa si sono allungate all'inverosimile, anche per gli esami più urgenti. Ora la sanità pubblica è meno pubblica di prima. Nel senso che chi ha i soldi taglia le code e accede al servizio, ma chi quei soldi non li ha spesso rimane senza cure».
    Esempi. «Un signore è arrivato da noi senza essere riuscito a farsi fare un'ecografia. Mal di pancia, dimagrimento repentino. Abbiamo scoperto un tumore in fase avanzata con metastasi. Lo abbiamo indirizzato in ospedale per fare una risonanza magnetica, ma gliel'hanno programmata tre mesi dopo. Dopo un mese è tornato da noi, camminava a stento. Era un uomo solo, viveva al dormitorio. Siamo riusciti a farlo ricoverare in ospedale. È morto due giorni dopo».
    La dottoressa Bronzino è la responsabile dell'ambulatorio. Organizza il lavoro dei cento medici volontari che si alternano per garantire il servizio. «Le più richieste sono le cure odontoiatriche e le visite oculistiche, poi facciamo visite ginecologiche e fisiatriche che nella sanità pubblica ormai hanno tempi di attesa troppo lunghi. Arrivano persone che fanno fatica a pagare il ticket da 36 euro. Se vai all'Asl a fare un impianto, ti chiedono di pagare i materiali. Se hai bisogno di un fisioterapista, può capitare che ti facciano aspettare sei mesi».
    È questa la frontiera. Qui è dove finisce la Costituzione e inizia la nuova Italia che ti cura o non ti cura in base al reddito. Qui è dove si cerca di porre un argine contro questa ingiustizia. Sempre qui è dove la coda si allunga ogni giorno: 90 mila persone sono passate in questi anni all'ambulatorio del Sermig. Non è privato, non è pubblico. Si basa sull'invenzione del fondatore, sul lavoro sociale e sul volontariato di medici che scelgono di devolvere un po' del loro tempo per chi sta male. Che paradosso. «Abbiamo anche dei medici in pensione, che trovano un senso e delle motivazioni per continuare a esercitare la professione».
    La coda si allunga. Fra poco tocca alla signora Nadia. «Che momento triste. Ormai è chiaro: lo Stato se ne frega di quelli come noi. Io non mi vergogno di essere in coda, non ho sbagliato niente. Però, lo dico sinceramente, non mi aspettavo che sarebbe finita così».
  2. HA RAGIONE : Intervista televisiva con Alan Friedman in Washington Files su Sky
    Schlein critica Netanyahu "Finché c'è lui niente pace"

    Elly Schlein dice che non ci sarà una pace duratura nel Medio Oriente finché resta al potere in Israele il Primo Ministro Benyamin Netanyahu. «Ne dubito fortemente», ha detto la segretaria del Pd in una intervista con Aln Friedman per la trasmissione "Washington Files" in onda ieri sera su Sky. «Credo che dobbiamo trovare gli interlocutori con cui ricostruire un necessario percorso per la pace in Medio Oriente, verso la soluzione dei due popoli, due Stati. Innanzitutto chiediamo immediatamente un cessate il fuoco per liberare tutti gli ostaggi ancora tenuti da Hamas».
    Quindi che cosa deve fare Israele per garantire che non riaccadrà un altro 7 ottobre? «Intanto servirebbe appunto subito un cessate il fuoco», ripete: «La strategia del governo Netanyahu, in questo momento, non sembra minimamente interessata». E come pensa Elly Schlein di ottenere un cessato al fuoco se neppure Joe Biden riesce? La Casa Bianca in queste ore ha fatto capire che Biden è arrabbiato con Netanyahu perché non riesce a fargli vedere ragione. E Netanyahu, per la sua sopravvivenza politica, deve rimanere primo ministro, e quindi non vuole finire la guerra per quel motivo. «È un problema suo: qui stiamo parlando della violazione costante del diritto internazionale. È in corso un massacro di civili a Gaza e la popolazione palestinese non è Hamas. Sono due cose diverse. Hamas è un'organizzazione terroristica, va senz'altro fermata. Ma il costo non possono essere più di 20.000 morti tra i civili».
  3. ANCHE QUESTA VOLTA GLI USA HANNO RAGIONE: Ucraina, il dossier segreto dell'esercito tedesco "Putin attaccherà un Paese della Nato nel 2025"
    jacopo iacoboni
    Ieri a Mosca è apparso un cartellone pubblicitario elettorale con la faccia di Putin e, sotto, la scritta perturbante: «I confini della Russia non finiscono da nessuna parte». Proprio in quelle ore un documento delle forze armate tedesche, leakato alla Bild e ad altri reporter europei, mostrava che la Germania ha iniziato a prepararsi per un attacco diretto di Vladimir Putin alla Nato nell'estate del 2025. Non una previsione, ma un "worst case scenario", il peggior scenario possibile, non più impossibile.
    Il cuore dell'attacco della Russia alla Nato sarebbe il tentativo di conquistare il "Suwalki corridor", il corridoio Suwalki, quella striscia di terra polacca che congiunge Kaliningrad – l'exclave russa da tempo dotata, nel silenzio complice dei pacifisti e nel disinteresse, per lunghi anni, delle opinioni pubbliche europee – di missili Iskander con testate nucleari, e la Bielorussia del dittatore vassallo di Putin, Alexandr Lukashenko.
    Anche se vengono omessi i dettagli sugli spostamenti di truppe, per non compromettere la sicurezza degli eventuali movimenti, il documento spiega anche per quale motivo le intelligence polacche e lituane stiano intensificando in questi giorni gli incontri proprio sul dossier-Suwalki, come una fonte di intelligence occidentale conferma a La Stampa: il 12 gennaio il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, ha incontrato nella città di Trakai il suo omologo polacco, Radoslaw Sikorski, e la fonte ci dice che i due Paesi di frontiera della Nato stanno per sperimentare nuove forme più agili di collaborazione proprio avendo come principale oggetto la protezione del corridoio Suwalki.
    Il testo del Ministero della Difesa tedesco descrive come potrebbero svilupparsi gli eventi che potrebbero portare allo scoppio della guerra nell'estate del 2025. A febbraio 2024 la Russia avvia un'altra ondata di mobilitazione e richiama nelle forze armate altre 200 mila persone per lanciare un'offensiva di primavera in Ucraina che, a causa dell'indebolimento dell'assistenza occidentale, e delle divisioni interne all'Europa e agli Stati Uniti, ha successo e conquista alcuni importanti nuovi territori.
    Il vero e proprio attacco russo alla Nato comincerebbe a luglio 2025, in due fasi. La prima, celata, prevede guerra ibrida (nella quale in realtà già ampiamente siamo) e attacchi informatici, diretti soprattutto ai Paesi baltici, per provocare divisione e rivolta al loro interno. Mosca farebbe leva sui russi in Lettonia, Estonia e Lituania per suscitare scontri di piazza e rivolte che userà come pretesto per far scattare nella tarda estate (settembre 2024) delle «esercitazioni su larga scala Zapad-2024».
    Ai movimenti di truppe – esercitazioni che sono in realtà, sulla falsariga di quanto già avvenuto con l'Ucraina, una vera e propria preparazione alla guerra – prenderanno parte inizialmente 50 mila soldati essenzialmente in Bielorussia (diventato uno dei teatri operativi del nuovo Gruppo Wagner post Prigozhin, embeddato nel ministero della Difesa russo).
    A ottobre 2024 Mosca schiererà altri missili Iskander a Kaliningrad, e altre truppe nell'area. Prima per mettere sotto pressione il corridoio Suwalki, che collega Kaliningrad con la Bielorussia, poi, nel dicembre 2024 verrà provocato un conflitto di confine – con disordini e numerose vittime – e si cercheranno pretesti.
    La Bundeswehr ipotizza che dopo il conflitto nel corridoio di Suwalki la Russia convocherà una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e accuserà a specchio l'Occidente di stare per attaccare in Russia. Nel gennaio 2025 in una riunione straordinaria del Consiglio della Nato Polonia e Paesi baltici riferiranno drammaticamente la situazione, ma faticheranno ancora a essere creduti.
    Nel marzo 2025 la Russia schiererà altre truppe verso i Paesi baltici (in primis Lituania), e arriverà ad avere, solo in territorio bielorusso, due divisioni corazzate e una divisione fucilieri motorizzati. In tutto, 70 mila soldati.
    Solo nel maggio 2025 la Nato si muoverebbe formalmente, spostando per prevenire un attacco a Suwalki circa 300 mila soldati. La Bundeswehr scrive che di questi, 30 mila sarebbero soldati tedeschi.
    Un portavoce del Ministero della Difesa tedesco, a cui la Bild ha chiesto un commento, ha solo spiegato che «considerare diversi scenari, anche se estremamente improbabili, fa parte dell'attività militare quotidiana». Ma già a novembre la Dgap (German Council on Foreign Relations) aveva pubblicato un report che sosteneva che i Paesi europei della Nato hanno solo dai sei ai dieci anni per prepararsi a una guerra con la Russia.
    Dmitry Peskov, il portavoce di Putin, ieri in tarda mattinata ha definito il testo «una bufala, quindi preferirei non commentare». L'ultima volta che l'ha fatto, nel gennaio 2022, due settimane dopo la Russia ha invaso l'Ucraina. —

 

15.01.24
  1. LA BONTA' DI DIO : Il miracolo di Lorenzo salvato in un vicolo "Pronti ad adottarlo"
    gianni giacomino
    «Ma io posso adottarlo? Perché se me lo chiedono lo faccio senza problemi, eh. Gli metto il mio cognome Laforet e lo tiro su con mia moglie Letizia come abbiamo fatto con gli altri tre figli che abbiamo, Alen di 30 anni, Seyla di 25 e Casey di 15. Purtroppo, non penso che sia così semplice ottenere un'adozione, con tutta la burocrazia che c'è di mezzo. Comunque io ci sono». Paolo Laforet è reduce da una notte insonne. Ha pensato e ripensato a sabato sera quando, intorno alle 19, suo figlio ha spalancato la porta di casa urlando: «Fuori c'è un bimbo, c'è un bimbo in una borsa della spesa». Laforet e la moglie Letizia sono corsi in strada e, accanto al bidone per la raccolta dell'immondizia, hanno visto quel fagotto dal quale più che un pianto proveniva un lamento e sbucavano due piedini. Qualcuno lo aveva lasciato poco prima adagiandolo in un vecchio vicolo che taglia il paese di Villanova Canavese, ad una trentina di chilometri da Torino. Nel buio e nel gelo.
    «L'abbiamo raccolto e portato in casa, aveva ancora la placenta attaccata stava cominciando a diventare viola, il suo più di un pianto sembrava un lamento - ricorda Laforet, un escavatorista di 49 anni di etnia sinti -. Meno male che ce ne siamo accorti subito e lo abbiamo scaldato un po' con la coperta termica che usiamo per i gatti. È stato il destino, io ci credo. Qualcuno più in alto di noi ha voluto che in quel momento uscisse dal portone Casey e sentisse il lamento. Questione di dieci minuti, un quarto d'ora e il bimbo sarebbe morto anche perché la temperatura era sullo zero o addirittura un grado sotto».
    Un'ambulanza del 118 scortata dai carabinieri del nucleo radiomobile di Venaria ha poi trasportato il neonato all'ospedale di Cirié, dove il personale del reparto di Pediatria ha deciso di chiamarlo Lorenzo. «Pesa tre chili e tre etti, è lungo 51 centimetri e gode di ottima salute - dice con un pizzico di emozione il dottor Giovanni Agriesti, responsabile della Neonatologia -. Ma poteva andare davvero molto peggio se fosse rimasto al freddo ancora per un po'». Lorenzo è in incubatrice e piange come tutti i neonati. Resterà in ospedale a Cirié fino a quando il Tribunale non deciderà per l'adozione o, più probabilmente per l'affidamento temporaneo. Se la madre dovesse cambiare idea, ha tempo dieci giorni per riconoscerlo. «Spero davvero che la mamma o chi per essa si metta una mano sulla coscienza, cambi idea e si presenti per riprendere il piccolo - continua Laforet -. Per noi sinti piemontesi i bambini, le mogli e figli sono le uniche cose che contano, sono sacri. Io e mia moglie siamo sposati da quando avevamo 16 anni e la nostra famiglia è la nostra vita». Poi china la testa e sospira: «Certo che una donna che fa un gesto simile o è molto giovane e non ne ha coscienza, oppure è stata costretta e non aveva altra soluzione. Sarebbe opportuno capire la sua situazione. Perché non si deve giudicare quando non si conoscono le vite degli altri. E spero anche che questo bambino abbia tanta salute e viva a lungo».
    Intanto continuano le indagini per cercare di risalire a chi si è disfatto del neonato. Per gli investigatori, coordinati dal pm della procura di Ivrea Elena Parato, non dovrebbe arrivare da molto distante. Perché, sempre secondo gli inquirenti, chi l'ha fatto conosce bene il territorio e, soprattutto quella stradina in mezzo ai vecchi cortili. Non si esclude che possa essere una minorenne.
    Da diverse ore i carabinieri stanno visionando i filmati girati da alcune telecamere che sorvegliano la zona e gli ingressi del piccolo centro. Basta un numero di targa per indirizzare le indagini. Ma i militari sono impegnati anche a setacciare i tabulati telefonici per capire se ci sono stati «movimenti anomali» di qualche apparecchio cellulare. Nel caso si risalisse al responsabile, si configurano i reati di tentato infanticidio per la madre oppure tentato omicidio se l'ha abbandonato qualcun altro
  2. LA CATTIVERIA UMANA : L'impresario suicida dopo il flop a teatro
    Il festival organizzato a fine novembre al teatro Pirandello di Agrigento era stato un flop, per questo era stato sbertucciato i social e non aveva retto. Alberto Re, 78 anni, aveva deciso di spararsi un colpo in testa. Era morto il giorno dopo in ospedale. A stravolgere la sua esistenza era stato l'odio social causato dallo scarso successo dell'evento organizzato nella cittadina siciliana. Alla serata inaugurale riservata ai partecipanti non si era presentato nessuno. —
  3. Trovata morta la pizzaiola criticata per la recensione in difesa di disabili e gay
    ANDREA SIRAVO
    LODI
    Le due saracinesche della pizzeria Le Vignole si sono abbassate nel tardo pomeriggio e non si sono più riaperte per servire i clienti della domenica sera. Una chiusura inevitabile quando è arrivata la conferma che il corpo della donna trovata intorno alle due di pomeriggio dai carabinieri nel fiume Lambro all'altezza del ponte di viale dell'Autonomia a Sant'Angelo Lodigiano era quello di Giovanna Pedretti.
    Dal mattino di ieri i militari dell'Arma del comando provinciale di Lodi la stavano cercando dopo che nella caserma del piccolo Comune al confine con il Pavese si erano presentati i famigliari della ristoratrice per denunciarne la scomparsa.
    Della cinquantanovenne, finita nei giorni scorsi al centro di un caso mediatico per una recensione omofoba e contro i disabili lasciata da un cliente su Google, non si avevano più notizie da sabato sera. Pedretti aveva lavorato come sempre nella pizzeria assieme al marito Nello e alla figlia. Dopo la chiusura, però, era rientrata a casa. Quando ieri mattina nessuno riusciva a mettersi in contatto con lei è scattato l'allarme. In poche ore i carabinieri hanno trovato la sua Fiat Panda parcheggiata in una strada sterrata poco prima dell'imbocco del ponte di ferro. In acqua il corpo di Pedretti, recuperato dai sommozzatori dei vigili del fuoco.
    Pochi dubbi tra gli inquirenti che si sia trattato di un gesto volontario, anche se non è stato trovato nessun messaggio d'addio. Nessuna avvisaglia era stata percepita anche da chi la conosceva bene. Da una prima analisi della scena setacciata dalla sezione Rilievi dell'Arma non emerge il coinvolgimento di altre persone. La procura di Lodi, diretta dal procuratore reggente Maurizio Romanelli, ha comunque aperto un fascicolo per fare tutti gli accertamenti su una vicenda dai contorni chiaroscuri. Nelle quarantotto ore precedenti, Pedretti era passata da essere osannata eroina social a vittima della gogna degli odiatori del web. «Mi hanno messo a mangiare di fianco a dei gay. Non mi sono accorto subito perché sono stati composti, e il ragazzo in carrozzina mangiava con difficoltà. Mi spiaceva, ma non mi sono sentito a mio agio. Peccato perché la pizza era eccellente e il dolce ottimo, ma non andrò più», aveva scritto un cliente. Una recensione che per Pedretti meritava una risposta: «Il nostro locale è aperto a tutti e i requisiti che chiediamo ai nostri ospiti sono l'educazione e il rispetto verso ognuno. Le sue parole di disprezzo verso ospiti che non mi sembra vi abbiano importunato mi sembrano una cattiveria gratuita e alquanto sgradevole». E ancora: «A fronte di queste bassezze umane e di pessimo gusto... credo che il nostro locale non faccia per lei. Non selezioniamo i nostri clienti in base all'orientamento sessuale e men che meno sulla disabilità. Le chiedo gentilmente di non tornare da noi a meno che non ritrovi in sé i requisiti umani che nel suo atteggiamento sono mancati».
    A sollevare i primi sospetti sulla veridicità della vicenda era intervenuto, tra i primi, Lorenzo Biagiarelli, esperto di cucina e compagno di Selvaggia Lucarelli. Era stata la giornalista a rilanciare parlando di «un'operazione di marketing spacciata per eroica difesa di gay e disabili».
    E con la morte della ristoratrice, la Lega ha polemizzato con Selvaggia Lucarelli seppure senza nominarla: «La lezione degli ultimi giorni che arriva dalla sinistra e dai suoi giornalisti: si possono attaccare un ragazzo mutilato da uno squalo, una pizzaiola sospettata di una recensione fake. A sinistra non cambieranno mai: spietati con i deboli e con gli avversari, servili con gli amici. Vergogna».—
  4. NON SE LI PORTERANNO NELLA TOMBA :   l'1% dei paperoni possiede il 59% dei titoli in circolazione
    Oxfam: un mondo sempre più ineguale 5 super-ricchi raddoppiano il capitale
    DALL'INVIATO A DAVOS
    Sempre più ricchi, sempre più lontani dal resto del mondo, costretto a soffrire per gli effetti della pandemia e delle due guerre, in Ucraina e in Medio Oriente. Mentre il World economic forum di Davos sta per entrare nel vivo, la ong Oxfam mette in evidenza quanto sia sempre più diseguale il mondo del 2024. Tra il marzo 2020 e lo scorso novembre, i cinque uomini più ricchi al mondo, ovvero Elon Musk, Bernard Arnault, Jeff Bezos, Larry Ellison e Warren Buffett, hanno più che raddoppiato le proprie fortune - da 405 a 869 miliardi di dollari - a un ritmo di 14 milioni di dollari all'ora. Inoltre, «l'1% più ricco del mondo possiede il 59% di tutti i titoli finanziari». Una concentrazione, secondo Oxfam, senza precedenti.
    Nella cittadina svizzera dove i potenti del mondo faranno il punto sulle sfide globali, emerge un quadro sempre più drammatico di povertà, disuguaglianze, crisi sociali e ricchezza estrema, quasi inimmaginabile. «Disuguaglianza: il potere al servizio di pochi», il nuovo rapporto pubblicato da Oxfam a corollario dell'evento di Davos, traccia una mappa con tantissime luci e poche ombre. Tra marzo 2020 e novembre 2023, la ricchezza dei miliardari è cresciuta di 3.300 miliardi di dollari in termini reali (+34%), secondo il rapporto. E il tasso di crescita è stato tre volte superiore a quello dell'inflazione. Di contro, tra il 2019 e il 2022 la ricchezza complessiva del 60% più povero dell'umanità (quasi 4,8 miliardi di persone) ha visto un calo dello 0,2% in termini reali (-20 miliardi di dollari). Una discrepanza che non sembra conoscere freni.
  5. I POLITICI ITALIANI NON RISPETTANO I LORO ELETTORI Anche in Europa la salute sta diventando un lusso e chi non può permetterselo non si cura o si impoverisce. A dirlo è un nuovo studio condotto dall'Oms su 40 Paesi europei, che mostra come per decine di milioni di cittadini del vecchio continente la salute sia ormai sinonimo di difficoltà finanziarie. In tutti i Paesi esaminati il 20% più povero delle famiglie sostiene almeno il 40% delle spese sanitare «catastrofiche», percentuale che sale a oltre il 70% in Paesi come Croazia, Repubblica Ceca, Francia, Ungheria, Irlanda, Lussemburgo, Montenegro, Serbia, Slovacchia, Svezia, Svizzera, Turchia e Ucraina. Il tasso di spesa sanitaria catastrofica varia in tutto il continente, ma la situazione è più critica in Armenia, Bulgaria, Georgia, Lettonia, Lituania e Ucraina, dove oltre il 14% delle famiglie deve affrontare il problema.
    «A causa dell'inaccessibilità dei trattamenti, le famiglie svantaggiate hanno maggiori probabilità di ritardare il ricorso a cure mediche professionali, il che significa che potrebbero dover ricorrere a servizi di emergenza costosi per far fronte a condizioni aggravate», sottolinea il report dell'Oms. La stessa Organizzazione mondiale della sanità sottolinea inoltre che «nei 40 Paesi studiati, le famiglie più svantaggiate hanno maggiori probabilità di essere costrette ad effettuare spese mediche che intaccano il loro budget». E se l'Europa sta messa male, l'Italia va ancora peggio. In termini percentuali di famiglie che hanno dovuto sostenere spese sanitarie catastrofiche siamo penultimi con il 9,44%: peggio di noi sta solo il Portogallo (10,64), mentre distanti sono Spagna (1,59%), Francia (2,07), Gran Bretagna (1,47), Germania (2,43) e Svezia (1,62%
  6. LICENZA DI UCCIDERE : In arrivo lo scudo penale per i medici Il ministro Schillaci: "Tempi maturi"
    Scudo penale e innalzamento volontario dell'età pensionabile da 70 a 72 anni per i medici. Le due misure saranno molto probabilmente previste con emendamenti al Milleproroghe. Ma se i camici bianchi ribadiscono la necessità della depenalizzazione («Siamo tra i pochi Paesi al mondo a non averlo fatto - così Pierino Di Silverio, segretario Anaao Assomed -, nonostante il fatto che su oltre 35.000 cause giudiziarie contro medici e strutture sanitarie presentate ogni anno in Italia, oltre il 95% si concluda con un nulla a procedere»), si dicono però pronti a dare battaglia anche ricorrendo «a un nuovo sciopero» sul tema pensioni. Dal canto suo, il ministro della Salute Orazio Schillaci ha sottolineato che «i tempi sono maturi per intraprendere la via della depenalizzazione dell'atto medico, a esclusione del dolo, mantenendo la responsabilità civile». —
  7. ANCHE LA MELONI PUO' SBAGLIARE TANTO LEI  NON PAGA:  È ben più di un colpo di spugna. Il combinato disposto abrogazione dell'abuso d'ufficio e riscrittura del traffico di influenze illecite - contenuto nell'articolo 1 del Ddl Nordio, votato dalla maggioranza con l'ausilio di Italia Viva - è purtroppo l'ennesimo esempio della cultura autoritaria del governo Meloni, che taglia le unghie ai poteri di controllo e di garanzia e conferisce alla pubblica amministrazione un potere quasi sovrano, e insindacabile, nei confronti del cittadino-suddito, abbandonato di fronte a vessazioni, favoritismi, prevaricazioni. Un arretramento dello stato di diritto. Non solo cadranno processi in corso e condanne definitive ma grazie alla presunta riforma diventeranno leciti comportamenti odiosi, anche rispetto all'integrità della pubblica amministrazione, la cui discrezionalità dev'essere orientata alla tutela dell'interesse pubblico, non di quello privato. Un segnale devastante. Con buona pace della questione morale.
    L'uno-due delle destre di governo si è consumato la scorsa settimana in commissione Giustizia al Senato, che nei prossimi giorni licenzierà il provvedimento per l'aula. L'abrogazione dell'abuso viaggia insieme alla riscrittura del reato di traffico di influenze illecite, introdotto nel 2012 dalla legge Severino n. 190, sotto la spinta delle Convenzioni internazionali sulla corruzione firmate dall'Italia. La mediazione illecita, o traffico di influenze, è una condotta considerata prodromica rispetto alla corruzione vera e propria. Gli intermediari in fatti corruttivi, più volgarmente detti "faccendieri" o "facilitatori", sono un fenomeno internazionale: l'Università di Stanford ha rivelato che oltre il 90% delle tangenti pagate nell'ambito di transazioni economiche internazionali è stato veicolato proprio da intermediari.
    La nostra mediazione illecita, però, fin dall'inizio è risultata troppo generica, tanto più in mancanza di una legge sulle lobbies, e difatti è stata "tipizzata" dalla Cassazione, secondo cui il reato sussiste quando la condotta del faccendiere è rivolta alla commissione di un reato, quasi sempre l'abuso d'ufficio. Che ora, però, viene abrogato. Scompare e fa scomparire così tutti i processi e le condanne basate su quello schema. Non sarà più reato pagare una persona affinché "spinga" su un magistrato per ottenere una decisione piuttosto che un'altra, visto che quest'ultima condotta non è più punita come abuso. Diventerebbe lecito anche il pagamento di danaro a chi promette una raccomandazione al componente di una commissione di un concorso, con cui può spendere rapporti personali pregressi, per far risultare vincitore il suo "cliente".
    Non soddisfatti di questo risultato, si è voluto comunque riscrivere il reato, cambiandone a tal punto i connotati da prefigurare un ulteriore e più ampio colpo di spugna, di cui beneficeranno anche nomi "eccellenti" (già circolano quelli di Gianni Alemanno e di Luca Palamara).
    Ma governo e maggioranza non fanno una piega.
    Nel caso dell'abuso d'ufficio, la cancellazione di quel che resta del reato dopo le precedenti scarnificazioni è stata giustificata in nome di un diritto penale liberale, mentre è vero esattamente il contrario: chi sostiene l'abrogazione è dalla parte del diritto penale autoritario perché alzare una barriera di immunità intorno al pubblico ufficiale equivale a violare il principio di uguaglianza. A sottolinearlo è un professore ultra garantista di diritto penale, avvocato e accademico dei Lincei, Tullio Padovani, ricordandoci che l'abuso è entrato negli ordinamenti europei con la rivoluzione francese ed è figlio del diritto penale liberale, per cui creare una zona franca di discrezionalità insindacabile ci fa tornare a uno stadio che precede, appunto, lo stato di diritto.
    Anche un altro giurista, avvocato e professore di diritto penale, Massimo Donini, parla di "scelta autoritaria" e considera "una bufala giornalistica e politica" la narrazione secondo cui l'abuso d'ufficio riguarderebbe solo i sindaci e quindi sarebbe imposto dalla loro "paura della firma" anche per ridare slancio all'economia.
    Da una ricerca sulle sentenze di Cassazione è emerso che i sindaci non sono affatto il bersaglio privilegiato del presunto accanimento dei magistrati: le sentenze che li riguardano sono di poco più numerose (82) di quelle riguardanti altre cariche elettive (presidenti di regione o di provincia, consiglieri comunali o assessori: 72) ma di molto inferiori a quelle che hanno come protagonisti dei tecnici (dirigenti di uffici di enti territoriali, medici, professori universitari…: 176). Pensiamo al detenuto arbitrariamente e intenzionalmente escluso dall'ora d'aria, dalle visite dei parenti o al quale viene impedito l'esercizio di un suo diritto (senza violare l'articolo 608 del Codice penale); al professore universitario che fa entrare in ruolo solo i suoi allievi mediocri sottovalutando abusivamente candidati più meritevoli; al primario ospedaliero che demansiona un aiuto medico perché non dirotta alcuni pazienti verso la sua clinica privata… La casistica è immensa. Ed è singolare che non si spenda una sola parola sulla gravità del reato e sul suo effetto deterrente. Di fronte alle accuse di panpenalismo, il liberale Nordio continua a giustificarsi dicendo che sono segnali di attenzione che lo Stato deve mandare ai cittadini. Ma quale segnale viene mandato con la cancellazione dell'abuso d'ufficio, se non quello di abbandonare il cittadino alle angherie dei detentori del potere pubblico? Silenzio.
    Muti e sordi, anche rispetto agli impegni internazionali. Se si tratta di colletti bianchi, bisogna sbianchettare i reati, partendo dall'abuso, "ferma restando la possibilità – è la concessione messa a verbale dalla presidente della commissione Giustizia Giulia Bongiorno – di valutare in prospettiva futura specifici interventi additivi volti a sanzionare, con formulazioni circoscritte e precise, condotte meritevoli di pena in forza di eventuali indicazioni di matrice euro-unitaria che dovessero sopravvenire". Fuori dal giuridichese: se sarà necessario colmare lacune interverremo con nuove norme tipizzate. Ma perché, allora, non farlo subito, contemporaneamente all'abrogazione dell'abuso? È evidente che se la "riforma Nordio" resterà in vigore anche un solo giorno, tanto basterà a fare tabula rasa dei procedimenti in corso e delle condanne passate in giudicato.
    Lo stesso effetto si produrrà con la riscrittura del traffico di influenze illecite, che ne ha ristretto il perimetro: "l'utilità" concessa per la mediazione dev'essere solo economica, i soldi devono essere destinati anche al pubblico ufficiale, e chi paga deve essere certo (dolo specifico) che una parte dei soldi andrà al pubblico ufficiale. Tutto questo è quasi impossibile da provare perché non sempre nel traffico di influenze c'è passaggio di soldi ma spesso solo di favori (viaggi, vacanze, e altri benefici) e non a caso anche l'Europa parla semplicemente di utilità.
    I tanti rischi di questa "riforma" sono stati illustrati al Senato anche da magistrati esperti nel contrasto alla corruzione, tra cui Raffaele Cantone, Procuratore a Perugia. Che ha avvertito: l'effetto del Ddl Nordio sarà di rendere condotte odiose non solo penalmente irrilevanti ma addirittura pienamente lecite. Chiunque potrà raccomandare i propri protetti per ottenere una sentenza favorevole o la vittoria in un concorso pubblico. Bel colpo per chi si erge a tutore della legalità. —
  8. "Propaganda mascherata da cultura Chiocci ora riferisca alla Vigilanza"
    «Con il servizio del Tg1 su una manifestazione organizzata dal movimento Gioventù nazionale, definita non politica ed elevata a evento patriottico culturale, la Rai ha toccato il fondo» attaccano i parlamentari dem in commissione di vigilanza Rai. «Dopo gli allontanamenti selettivi di autorevoli professionisti, dopo il crollo degli ascolti, dopo la messa in mora di un serio piano di investimenti per il rilancio del servizio pubblico - si legge nella nota dei democratici -, siamo adesso alla bassa propaganda mascherata da servizi culturali. Il direttore Chiocci venga a spiegare in vigilanza Rai se ha cambiato ruolo e se è diventato il portavoce dei movimenti giovanili di destra che hanno sede in via della Scrofa. La misura è colma: chiediamo l'immediata audizione di Chiocci», direttore del Tg1. «Inaccettabile l'atteggiamento del Pd - contrattacca il deputato di Fratelli d'Italia Gianluca Caramanna -. È il solito atteggiamento di chi reclama la libertà di espressione, ma poi si permette di voler condizionare la linea editoriale del Tg». «Non consentiremo che una segreteria di partito, quella del Pd, possa pensare di condizionare il sommario del Tg1 o di qualsiasi altra testata Rai», afferma in una nota UniRai, sindacato dei liberi giornalisti Rai.
  9. il sondaggio kpmg
    L'industria globale punta sull'ibrido

    I dirigenti delle case automobilistiche sono meno certi del successo della transizione all'elettrico, si investe di più sugli ibridi. Sono i dati dell'annuale sondaggio Kpmg. La fiducia "totale" - in Europa - nel passaggio ai motori completamente elettrici è scesa, rispetto a un anno fa, dal 31% al 24%. Negli Stati Uniti dal 48% al 43% in Giappone dal 32% al 10%. In Cina invece questo dato è salito dal 28% al 36%.
  10. creata dal movimento per la vita
    A Torino una sola culla per la vita "Nell'emergenza si può trovare aiuto"
    A Torino c'è una sola culla per la vita. È in via Andreis 18, nel retro del Sermig, e da oltre dieci anni è una certezza per le donne che scelgono di non tenere il proprio figlio. Qui possono lasciarlo in anonimato al caldo e al sicuro, pronto a essere abbracciato da qualcuno che se ne prenda cura. Realizzata dall'associazione Movimento per la vita, finora la culla non è mai stata utilizzata. È riscaldata, si chiude dopo aver deposto il bimbo ed è collegata via radio al 118. «Dobbiamo far correre la voce, anche tra le persone più fragili, che esiste questa estrema possibilità - dice Valter Boero, presidente dell'associazione -. Tutti sperano che le mamme possano tenere il proprio figlio, ma nel caso in cui scegliessero di non farlo, devono sapere che esiste un posto dove possono lasciarlo al sicuro». c

 

 

14.01.24
  1. UN DONO DI DIO MA LA CHIESA DOV'E'?  Un neonato, poche ore di vita, il cordone ombelicale ancora attaccato alla placenta, è stato gettato in un cassonetto dell'immondizia a Villanova Canavese, alle porte di Torino. Un passante ieri pomeriggio ha sentito dei lamenti, si è avvicinato, ha aperto con cautela il portellone, "pensavo a un animale, ma animale è la persona che lo ha sbattuto lì" racconta ancora sconvolto l'uomo. Ha 49 anni, abita in un caseggiato poco lontano. "Ma si rende conto? Fuori ci saranno stati un grado o due sotto lo zero: quanto avrebbe resistito il piccolo?".
    Ha afferrato lo smarphone, ha chiamato il 112, incerto se raccogliere quell'esserino e stringerlo a sé per dagli calore, e tutto il suo amore. Ma alla fine ha deciso di non strafare, "ho avuto troppa paura di fargli involontariamente del male". Sono arrivati i carabinieri del nucleo radiomobile di Venaria, è arrivata l'ambulanza. Mani esperte hanno preso il neonato, lo hanno appoggiato con cura su una lettiga in cui pareva ancora più piccolo di quanto non sia. Non c'è stata la necessità di correre: "In questi casi - raccontano i sanitari - la cosa più importante è procedere con calma, e l'ambulanza attrezzata serve proprio a quello". Lo hanno portato all'ospedale più vicino, che si trova a Cirié. Qui, è stato visitato dai medici che hanno detto poche cose, le sole che al momento rappresentano l'identità del piccolo: è un maschio, carnagione chiara, sui tre chili e, cosa ancora più importante, sta bene. Un miracolo. Chi può aver fatto una cosa simile? Quanta cieca disperazione ci vuole per gettare un neonato come ci si libera del sacchetto dell'immondizia? I carabinieri hanno avvisato il comando di Torino, sono arrivate squadre di esperti. Si cerca una mamma, forse una coppia, chi può dirlo? Il passante che lo ha salvato è stato accompagnato in caserma per firmare il verbale, ma più di quello che ha raccontato non sa. Ha già fatto tutto quello che doveva fare, che se ne vada a casa adesso. Fuori fa sempre più freddo, le auto parcheggiate cominciano ad essere bianche dell'umidità che gela. In giro non c'è anima viva.
    La loro notte, i carabinieri la passeranno alla ricerca di una traccia, magari del fermo immagine di una telecamera di sicurezza. Cinque mesi fa c'era stato un caso analogo a Taranto. Un bambino vicino a un cassonetto, salvato da una donna a spasso con il cane. La madre, alla fine, era stata rintracciata. Le cronache non dicono più che fine abbiano fatto.
  2. SALA AL SERVIZIO DEGLI USA: Chi si ricorda di Julian Assange? Dal nostro recente passato riemerge la storia scandalosa - scandalosa, comunque la si pensi - di questo giornalista australiano, fondatore nel 2006 di Wikileaks, e autore nel 2010 della più clamorosa fuga di notizie (i "leaks"), la pubblicazione di quasi mezzo milione di documenti riservati del governo americano a proposito delle operazioni militari in Iraq e in Afghanistan fra il 2004 e il 2010. Quei documenti rivelarono una serie di condotte che non è esagerato definire repellenti da parte di militari americani al fronte. Ed essenzialmente per questo motivo Assange è in un carcere di massima sicurezza inglese da quattro anni e mezzo, in una cella di 3 metri per 2, in isolamento per 23 ore al giorno e senza la possibilità di vedere la luce del sole neanche nell'ora d'aria; non è stato condannato, e nemmeno processato, è in attesa di essere estradato negli Stati Uniti; fatto questo che avverrà senza indugio dopo l'udienza dell'Alta Corte del prossimo 20 febbraio che deve decidere sull'appello finale dei difensori. Lo attende una condanna per spionaggio di 175 anni, ma probabilmente la morte molto prima secondo i legali che lo assistono e che parlano di condizioni di salute drammatiche. Ha compiuto 52 anni il 3 luglio scorso.
    Una storia segnata, insomma; e anche sostanzialmente archiviata per l'opinione pubblica. E invece se ci fossimo sbagliati? Se Julian Assange fosse invece "un martire della libertà di stampa" e tutta questa fosse "una grande persecuzione", come recita il libro di Nils Meltzer, relatore per le Nazioni Unite sulla tortura, che ha analizzato la vicenda? La richiesta di guardare le cose da un altro punto di vista - che sfida apertamente gli Stati Uniti e il Regno Unito - viene dall'Italia, anzi da alcune delle più importanti città italiane, che stanno concedendo ad Assange la cittadinanza onoraria. Parliamo di Roma, la prima capitale al mondo a mobilitarsi per Assange; di Napoli, la città che ospita la base della Sesta Flotta degli Stati Uniti; di Reggio Emilia, dove nacque il tricolore; di Bari, capoluogo di una regione strategica per la Nato. Nessuno di questi atti, presi singolarmente, può cambiare il finale della storia, ma visti tutti assieme, dal punto di vista simbolico, sono un segnale potente.
    Ce ne sono altre, di città: sono molte decine quelle che hanno preso questa strada clamorosa. Alcune sono molto piccole, come Lucera, 33 mila abitanti in provincia di Foggia, che il luglio 2022 è stato il primo comune ad approvare la proposta, senza voti contrari, di un esponente del partito comunista locale. Secondo il sito del comitato "Free Assange Italia", da quel momento in poi si sono si sono mobilitate Pinerolo, Marcellinara, Pescara, Castelnuovo Cilento, Passignano sul Trasimeno, Catania, Monterotondo, Montegabbione, Chiusi, Campobasso, Castelfranco Emilia, Ferrara, Modena, Savona, Strambinello e Vicovaro. La prossima dovrebbe essere Bologna, dove una richiesta di cittadinanza onoraria è arrivata sul tavolo del sindaco Matteo Lepore che ci ha ragionato su un po' e ha deciso di lasciare libertà di voto al consiglio comunale.
    Vedremo come andrà, comunque è già una valanga. Che è iniziata con un passo falso a Milano. Era il maggio del 2022, subito dopo la decisione della corte di Westminster di concedere l'estradizione; e il consiglio comunale si trovò ad esaminare la proposta dei consiglieri comunali dei Verdi. Erano a favore anche i due esponenti della lista del sindaco Giuseppe Sala ma il partito democratico allora assunse una posizione netta e che non ha più ribadito in nessun altro caso: no alla cittadinanza e nessuna opposizione all'estradizione, «perché uno Stato ha il diritto di secretare i documenti». Un esponente di Italia Viva disse addirittura che Assange «aveva messo a rischio la democrazia liberale», e la cittadinanza onoraria non passò.
    Da lì però qualcosa è cambiato. Ai comitati per Assange si sono associati affiancati gli esponenti di Articolo 21, l'associazione che si batte per la libertà di espressione sancita dall'articolo 21 della Costituzione; la Federazione della Stampa, che ha organizzato manifestazioni e convegni; e l'Ordine dei giornalisti che gli ha assegnato la tessera onoraria. Insomma Julian Assange è un giornalista italiano. Uno di noi. Allora la macchina per le cittadinanze onorarie si è rimessa in moto con una capillarità che nessuno aveva previsto. Spesso sono stati i consiglieri comunali dei 5 Stelle a prendere l'iniziativa, ma a Napoli, per esempio, è stato determinante anche l'impegno dell'ex sindaco Antonio Bassolino. Il giorno del voto c'era la moglie di Assange, Stella Moris, a festeggiare il fatto, incredibile, che il marito adesso condivide la cittadinanza onoraria di Napoli con gli ex presidenti Scalfaro e Ciampi, con il Napoli di Spalletti che ha vinto l'ultimo scudetto e con Diego Armando Maradona, ovviamente.
    Poi è stata la volta di Reggio Emilia e qui il sindaco Pd Luca Vecchi racconta che c'è stata una vasta mobilitazione popolare che è arrivata in consiglio comunale; e che lui stesso ha voluto rifletterci bene, perché Reggio Emilia ha una lunga tradizione in difesa dei diritti civili, la cittadinanza onoraria è stata data ai premi Nobel per la Pace Lech Walesa e Desmond Tutu, a Roberto Saviano e al popolo curdo (e a Zucchero); e proprio per questo, dice, ha deciso per il sì assieme al partito democratico locale. A Roma la cosa è stata più complicata: la proposta è stata avanzata dall'ex sindaca Virginia Raggi, ma per mesi il pd locale ha preso tempo. Ci sono voluti il lavorio diplomatico di Vincenzo Vita (articolo 21) e una manifestazione in Campidoglio dove prese la parola fra gli altri l'attrice Laura Morante, per cambiare le cose. La mozione in Campidoglio è passata ad ottobre; domani si vota in commissione; prima del 20 febbraio, data della fatidica decisione dell'Alta Corte britannica, ci sarà il voto finale dell'Aula. Da quel giorno Assange condividerà la cittadinanza onoraria di Roma con l'ex presidente Giorgio Napolitano, la senatrice a vita Liliana Segre e il premio Oscar Paolo Sorrentino.
    Potrà mai essere un reietto un uomo così? E se fosse davvero la vittima di una persecuzione? Chi potrà salvarlo? Qualcuno dice: papa Francesco, che qualche mese fa, il 30 giugno, ha ricevuto in Vaticano, in udienza privata, la moglie Stella Moris e i due figli. «Il pontefice capisce che Julian sta soffrendo ed è preoccupato» disse lei dopo. Qualcosa può ancora succedere.
  3. Voto di scambio con le cosche "Rosso nel solco di Nevio Coral"
    giuseppe legato
    «Il monitoraggio investigativo restituisce la prova certa di un soggetto politico, Roberto Rosso, che giammai ha disdegnato di assumere condotte evocative di continuità con l'operato di soggetti politici quantomeno contigui alla criminalità organizzata (si riporti in tal senso la formidabile evidenza costituita dall'assunzione della segretaria Raffaella Furnari, già segretaria della nuora di Nevio Coral dimostrativa – al di là della pacifica estraneità della Furnari - dell'assoluta disponibilità del prevenuto a porsi in un solco di prosecuzione di un modus operandi proprio di politici coinvolti nel processo Minotauro».
    L'accostamento tra l'ex assessore regionale già di Fdi, condannato a 4 anni e 4 mesi per voto di scambio politico mafioso con la ‘ndrangheta e l'ex sindaco di Leini amico di boss e picciotti che ha già scontato la sua pena a 8 anni per concorso esterno, è nero su bianco nella motivazioni di sentenza firmate dalla Corte d'Appello di Torino (Prima sezione penale, presidente Mario Amato) e divenute pubbliche da alcune ore. «Roberto Rosso – si legge nel corpo della pronuncia che ha confermato l'impianto accusatorio del pm Paolo Toso e le indagini del Gico della Guardia di Finanza - era a conoscenza dello spessore di Garcea e Viterbo (due boss delle cosche già condannati in separato giudizio ndr) e ha di fatto costretto la sua amica a interfacciarsi coi due procacciatori di voti dopo essere stato edotto di quali soggetti si trattasse senza voler operare alcuna distinzione tra gli interlocutori affidabili e quelli non, accettando incondizionatamente le proposte di sostegno elettorale». Non si comprenderebbe altrimenti «la ragione per la quale Rosso – scrivono i giudici - abbia scelto di avvalersi di Garcea e Viterbo sprovvisti di competenze e referenze preferendoli all'affidabile De Bellis collaboratore della sua amica e se l'attività delegata ai due fosse stata meramente esecutiva non si comprenderebbe ancora – insistono i togati - l'esosa entità del corrispettivo loro accordato, 15 mila euro peraltro a stretto giro, appena dieci giorni, prima della tornata elettorale allorché le concrete possibilità di intervento erano esigue». Per la Corte «è logicamente evidente che il valore aggiunto portato dai due procacciatori riposasse proprio sulla loro appartenenza alla ‘ndrangheta meritevole di una remunerazione di tale portata evocativa di risultati elettorali appetibili. Il fatto - ancora - che Rosso abbia pagato in nero per ragione di esaurimento del budget non è credibile. Si è trattato di un pagamento preordinato pur in presenza di una capienza elevata». L'avvocato Giorgio Piazzese, legale dell'ex assessore regionale controbatte: «Rosso sa di non avere concluso un patto elettorale con la 'ndrangheta. La sentenza fornisce una motivazione sulla consapevolezza della caratura criminale dei suoi interlocutori, ma negli atti del processo vi sono diverse possibili ricostruzioni logiche alternative. Quindi esiste un dubbio logico e ragionevole. Tutto ciò si risolve in una questione di diritto che potrà essere certamente affrontata in Cassazione». —

 

 

13.01.24
  1. gli houthi governano sanaa dal 2015
    Chi sono i "Partigiani di Dio" yemeniti sostenuti dall'Iran e nemici di Israele
    Gli Houthi prendono il nome dalla famiglia che ha fondato il movimento negli anni Novanta. Negli anni 2000 l'organizzazione armata si è definita Partigiani di Dio o Gioventù credente. Il movimento ha incarnato il malcontento di una folta schiera della popolazione, soprattutto sciita, tanto da ergersi a "salvatore dello Yemen", oltre a definirsi «il vero e unico bastione anti-qaedista» sul territorio. La milizia rivoluzionaria è stata creata dallo sceicco Hussein Baddreddin Al-Houthi. Nel gennaio 2015 gli Houthi hanno circondato il palazzo presidenziale prendendo il controllo della capitale. Gli Houthi hanno uno stretto legame con gli Ayatollah iraniani, appartengono allo Zaydismo, ramificazione sciita presente in Yemen. Una fonte significativa di armi deriva dalle scorte dell'ex governo yemenita, acquisite dall'Unione Sovietica. Ma l'Iran è fonte cruciale di tecnologia missilistica avanzata per gli Houthi.
  2. PETROLIO E GAS CONTINUANO A CONDIZIONARCI:   Il Mar Rosso è diventato zona di guerra, molte navi evitano il transito dal Canale di Suez, e le conseguenze già si fanno sentire sul costo dei noli, perché girare attorno all'Africa richiede più tempo e più carburante; inoltre (fatto raramente citato) fa rincarare i cosiddetti Eu Ets, che sono una specie di tassa sulle emissioni di CO2. E dato che tutto, alla fine, si scarica sui prezzi dei prodotti pagati dai consumatori, il rischio è che l'inflazione rialzi la testa, e che i tagli dei tassi da parte delle banche centrali vengano rinviati. L'esito sarebbero più inflazione e meno crescita economica, cioè il contrario di quello che si prevedeva nel 2024.
    Lo scenario peggiore, tuttavia, non è scontato, e Cesare d'Amico, titolare dell'omonimo gruppo navale e vicepresidente degli armatori di Confindustria, dice a La Stampa che è meglio non affrettare le conclusioni: «I costi dei noli sono sempre saliti o scesi, a seguito di normali oscillazioni di mercato, senza che questo avesse un impatto immediato sull'inflazione. Per adesso, eventuali aumenti dei prezzi al consumo sarebbero soltanto speculativi».
    Anche Augusto Cosulich, proprietario del gruppo genovese di shipping, contattato al telefono invita a circoscrivere il problema: «L'impatto sull'aumento di costi di trasporto c'è, ma è calcolabile e prevedibile, e continuerebbe a esserlo anche se la crisi si protraesse. I noli costavano 1500 euro per ogni container da 40 piedi, ora sono balzati, sulle rotte attorno all'Africa, a 6 mila euro, e questo è male, ma è controllabile. Non si tratta di una crisi dalle conseguenza imprevedibili come quella dell'Ucraina», quando il gas balzò da 15 a 340 euro per MWh e avrebbe potuto fare anche peggio.
    Comunque, basta poco per allontanare l'obiettivo di inflazione al 2% che convincerebbe i banchieri centrali a tagliare i tassi.
    I dati certi sul traffico navale sembrano preludere a una chiusura di fatto del Canale di Suez. Il Kiel Institute for the World Economy segnala che il numero dei transiti è crollato del 60 per cento, da 500.000 container al giorno a 200.000.
    Che conseguenze ha questo sul commercio globale? Notevoli, benché non enormi. Da Suez passa il 12% delle merci. Da quando sono cominciati gli attacchi degli Houti, dice ancora l'istituto di Kiel, il traffico marittimo mondiale è diminuito dell'1,3%. Tuttavia ci sono due postille: quel -1,3% può dipendere dagli attacchi dei terroristi, ma anche da altre cause (ad esempio, potrebbe essere sintomo di un'incipiente recessione internazionale). Inoltre, per l'Italia l'impatto rischia di essere molto maggiore, visto che la nostra quota di import e di export che transita da Suez è vicina al 40%.
    Inoltre il nostro Paese subirebbe un ulteriore colpo dalla chiusura del Canale: i nostri porti vedrebbero crollare il traffico e il giro d'affari. Una curiosità di giornata: la società Db Group di Montebelluna ha riattivato una linea di collegamenti ferroviari con la Cina predisponendo due treni speciali da 50 vagoni che partiranno il 31 gennaio; l'operazione verrà replicata nelle settimane successive. Il viaggio avrà una durata di 25 giorni e oltre al Mar Rosso taglierà fuori anche il continente africano.
    Conti in tasca agli operatori: Augusto Cosulich dice a La Stampa che «ogni nave portacontainer che circumnaviga l'Africa anziché transitare da Suez ci costa 4 o 5 milioni di euro in più». Gli chiediamo di commentare la notizia che il produttore americano di auto elettriche Tesla sospende la produzione per sopravvenute difficoltà di approvvigionamento, e in particolare gli chiediamo se corrisponde all'esperienza del gruppo Cosulich che sia in atto un fenomeno di de-globalizzazione, a causa delle reti di fornitura che al tempo del Covid si sono mostrate vulnerabili. Risponde: «Sì, notiamo diverse aziende che accorciano le reti, e spostano la produzione dalla Cina alla Polonia o alla Turchia».
    Questo prescinde dall'attuale crisi nel Mar Rosso, la cui storia è ancora da scrivere.
  3. TANTO VA SUA SUA PREPOTENZA AL LARGO CHE CI LASCIA LO ZAMPINO: Il Rutilio Manetti che Vittorio Sgarbi giura essere un inedito di sua proprietà è ora è nelle mani dei carabinieri. Toccherà a loro procedere ai necessari «riscontri scientifici» per valutare se il sottosegretario dice il vero o se invece il dipinto è quello trafugato nel 2013 dal castello di Buriasco e riapparso, modificato, nella mani del critico d'arte.
    I carabinieri del Nucleo tutela patrimonio hanno sequestrato ieri il quadro attribuito al pittore del Seicento senese Manetti, al centro dell'inchiesta che vede il sottosegretario alla Cultura Sgarbi indagato per riciclaggio di beni culturali. «Ho consegnato spontaneamente l'opera perché siano fatte tutte le verifiche del caso – dice lui – a partire dalle misure del dipinto rispetto alla cornice di quello rubato. Sono assolutamente sereno. Il sequestro è un atto dovuto. Non ho nulla da temere».
    Della vicenda si occupa la procura di Macerata che qualche giorno fa ha aperto un fascicolo a carico del critico d'arte. Ieri l'accelerazione e il sequestro. Si tratta, scrivono i carabinieri, di «un quadro del 1600 di grosse dimensioni raffigurante "un giudice che condanna un uomo dal viso venerando dal profilo di San Pietro" di autore ignoto ricordante i pittori Solimena e il Cavallino, provento di furto avvenuto presso il castello di Buriasco ai danni della proprietaria Margherita Buzio e denunciato il 14 febbraio ai carabinieri di Vigone, in provincia di Torino, "in concorso con persone allo stato ignote"» .
    Secondo i pm Sgarbi avrebbe successivamente alterato il quadro, con «operazioni finalizzate ad ostacolarne la provenienza delittuosa, facendovi inserire in alto a sinistra della tela una torcia, attribuendo l'opera al pittore senese Rutilio Manetti dal titolo "La cattura di San Pietro" ed affermando altresì la titolarità del quadro asseritamente rinvenuto all'interno di un immobile acquistato dalla fondazione Cavallini-Sgarbi».
    Una ricostruzione che il sottosegretario contesta. «Mi difenderò con ogni mezzo con chi specula sulla vicenda e chi se ne rende complice», promette. Sgarbi afferma di aver trovato per caso il quadro, piegato in due e occultato in un sottoscala di una villa da lui acquistata nel viterbese. Sostiene inoltre di averlo fatto restaurare e dalla pulizia sarebbe meglio emersa una fiaccolanell'angolo in alto a sinistra che lo distinguerebbe dal dipinto trafugato dal castello di Buriasco.
    Un'opera che poi venne presentata come un inedito di Rutilio Manetti ed esposta a Lucca nel 2021, nella mostra curata da Sgarbi dal titolo "I pittori della luce". Il critico ha più volte ribadito che il quadro di Rutilio Manetti è suo e che «la fiaccola c'è sempre stata», mentre quello rubato a Buriasco «è una brutta copia».
    La Procura maceratese, guidata da Giovanni Fabrizio Narbone, ha delegato al Comando carabinieri Tutela patrimonio culturale di Roma «l'esecuzione di perquisizioni domiciliari con contestuale notifica della posizione di indagato a carico» di Sgarbi per il sequestro del dipinto. Il quadro è stato rinvenuto nei magazzini di Ro Ferrarese, in provincia di Ferrara, nella disponibilità della Fondazione Cavallini-Sgarbi, unitamente ad una copia in 3D, fatta eseguire da un laboratorio di Correggio, in provincia di Reggio Emilia.
    Le operazioni dei carabinieri del Nucleo tutela patrimonio artistico sono state estese anche alle case romane e marchigiane. Quest'ultima si trova a San Severino Marche nel Maceratese, cittadina di cui Sgarbi fu sindaco nel 1992 e dove dichiara il proprio domicilio, circostanza che ha fatto scattare la competenza sul caso dei magistrati maceratesi a cui la Procura di Imperia aveva subito inviato gli atti ricevuti dai carabinieri dopo l'avvio dell'indagine a seguito anche di un'inchiesta congiunta del Fatto Quotidiano e di Report. Oltre al dipinto i militari hanno sequestrato anche documenti che potrebbero rivelarsi utili all'inchiesta come computer, carte e telefonini.
  4. POTEVAMO E POSSIAMO FORMARE GLI OCCUPABILI DEL EX REDDITO DI CITTADINANZA: «Wir bauen für ihre Gesundheit». Costruiamo per la vostra salute. Il cantiere viaggia spedito. Costi permettendo – sono già lievitati di un terzo rispetto alle previsioni – l'ospedale sarà pronto fra quattro anni: quasi 400 posti letto, sale operatorie all'avanguardia, centinaia di posti di lavoro.
    Briga è un delizioso paese nel cantone Vallese: il confine italiano dista venti chilometri, è un crocevia logistico – la città d'approdo per chi esce dal traforo del Sempione – e turistico, ma ha appena 12 mila abitanti e appare difficile capire perché proprio lì, anziché nel cuore del cantone, la Svizzera abbia deciso di investire per rifare completamente e ampliare un polo sanitario. Ma se la scelta è caduta proprio a ridosso del confine una ragione c'è e dovrebbe allarmarci: servono infermieri. E li si prenderà dall'Italia.
    Nell'ultimo anno il Piemonte ne ha persi oltre 400. «Cancellati dall'albo, tanti sono andati a lavorare all'estero», racconta Francesco Coppolella, coordinatore regionale del NurSind, uno dei sindacati di categoria, «stremati da condizioni inaccettabili e attirati da stipendi che l'Italia si sogna». Una buona parte ha attraversato proprio il Sempione, svuotando gli ospedali di Verbania e Domodossola. Tanti fanno i frontalieri: si lavora di là con stipendio doppio (o triplo) ma poi si torna a casa dove vivere costa meno della metà.
    Annalisa Deregibus abita a Premosello, fra Verbania e Domodossola, ha trent'anni e per farsi assumere dal sistema sanitario italiano ha fatto la precaria per tre anni. Ha superato tre concorsi: «Prima a Domodossola, vicino a casa. Per avere il tempo indeterminato mi sono trasferita a Varese, in pronto soccorso pediatrico. Quindi Novara. Nel 2020 sono riuscita a tornare a Domodossola. Dopo tutta questa fatica non pensavo di dovermi trasferire un'altra volta». E invece da qualche mese lavora a Locarno. «Ho mandato il curriculum, mi hanno chiamata dopo una settimana: in un colpo solo mi hanno riconosciuto tre scatti d'anzianità; in Italia avevo colleghi con vent'anni alle spalle e nemmeno uno scatto». Lavorando 20 ore a settimana guadagna 2.400 euro rispetto ai 1.700 del suo tempo pieno in Italia, con le notti, i riposi saltati, le ferie impossibili. «Era diventato pericoloso: qui ho venti minuti per fare un prelievo, in pronto soccorso inserivo dieci canule. Non ci fermavamo mai. Ora ho due weekend liberi al mese, le ferie garantite. A me dispiace, l'Italia mi ha formata in maniera straordinaria. Ma non si può trattare così chi si sbatte. La gente pensa che ce ne andiamo per i soldi ma non sa che per noi è una sconfitta terribile».
    I frontalieri della sanità hanno quasi tutti meno di trent'anni, spesso hanno abbandonato la prima linea, i pronto soccorso, e si portano dietro un profondo senso di sconfitta. Aurora Buratti ha 25 anni, abita a Intra e da giugno lavora in una casa per anziani in valle Ticino. Anche lei è fuggita dal pronto soccorso di Domodossola: «Era diventato insostenibile dal punto di vista fisico e psicologico. Lavoravo a dieci minuti da casa; adesso devo guidare 110 chilometri al giorno per un impiego meno soddisfacente. Mi rendo conto di sacrificare la mia professionalità, ma non me la sentivo più».
    Difficile resistere quando da una parte ti costringono a turni massacranti e a saltare ferie e riposi per 1.800 euro al mese e dall'altra ti lasciano decidere quanto lavorare (part-time, tempo pieno, al 70%, all'80%). Anche Lorenzo Ricci, 28 anni, dal reparto di urgenza di Domodossola è finito alla Clinica Hildebrand di Brissago, uno dei principali centri di riabilitazione svizzeri. «Un giorno mi chiama un responsabile. Gli ho detto di no». E lui? «Mi ha chiesto se davvero stavo rinunciando a 5 mila euro al mese, il triplo del mio stipendio». Anche a lui è rimasto l'amaro: «Amavo il mio vecchio lavoro. E poi gli infermieri svizzeri sono diplomati; noi abbiamo la laurea e competenze maggiori. L'attaccamento alla professione che vedevo in Italia è raro. Però qui ti valorizzano. E ogni minuto in più viene pagato; per chi come me ha regalato ore alle Asl ha dell'incredibile».
    Anche Lorenzo, come Annalisa e Aurora, ha lasciato l'Italia nell'ultimo anno, con effetti che nelle aree di confine cominciano a pesare in maniera devastante. Per avere un'idea dell'impatto su chi è rimasto basta ascoltare Filippo Garboli, infermiere in pronto soccorso a Verbania. «Nell'ultimo mese, quando abbiamo fatto i turni, mancavano 8 colleghi rispetto al fabbisogno, senza considerare eventuali malattie o assenze. A inizio dicembre in dieci giorni ho fatto quattro turni di notte. Quando sei a casa chiamano per chiedere se puoi andare prima, quando il turno è finito ti fermi ancora». «Se a livello di contratti non cambia qualcosa diventa difficile pensare di continuare a fare questo lavoro», spiega Franca Carrabba, infermiera e delegata della Cgil. «Facciamo turni massacranti, non riesci più ad avere una vita. I servizi sono tutti a contingente minimo: basta che un collega si ammali e il turno è scoperto. Si fanno più notti, più pomeriggi. Ma in queste condizioni le conseguenze sulla sicurezza sono inevitabili».
    Secondo il Nursing Up, uno dei sindacati degli infermieri, all'Asl del Vco manca il 10% dei 750 infermieri in pianta organica. «E con l'ospedale di Briga la situazione peggiorerà», sostiene Milena Germano, referente per quest'angolo di Piemonte. «Già se ne vanno senza dare il preavviso, figuriamoci quando ci sarà un posto a venti minuti di navetta che offre condizioni di lavoro e salario imparagonabili». E chi resta? Rientri, turni allungati, straordinari. «I medici almeno hanno un riconoscimento economico e sociale. Noi siamo ancora considerati quelli che lavano le padelle. Come fai a trattenere le persone? Siamo sempre meno e lavoriamo di più: anziché 5-6 pazienti alla volta te ne trovi più del doppio. Ci sono colleghi in malattia da due mesi con diagnosi di burnout». Mancano anche i dottori. In questo caso la Svizzera c'entra poco ma le aree periferiche sono poco attrattive. Si ricorre ai gettonisti «ma così spesso oltre a fare il nostro dobbiamo sopperire alle lacune di dottori totalmente inesperti». La direttrice generale dell'Asl Vco si chiama Chiara Serpieri. È una manager che parla chiaro, senza infingimenti. «Quest'anno abbiamo coperto appena la metà degli oltre 40 posti del corso di laurea in Infermieristica, senza contare che tra chi si diplomerà un buon 50% cercherà lavoro altrove». La sua Asl ha 2 mila dipendenti: 350 sono medici, 1.200 professionisti sanitari, il resto tecnici e amministrativi. «È evidente che gli infermieri sono le gambe della sanità pubblica anche se tanta professionalità a volte non viene nemmeno riconosciuta. Facciamo miracoli, ma ci sono troppi vincoli: offriamo forme di lavoro rigide, senza agibilità personali, ed economicamente inadeguate. Se consideriamo responsabilità, rilevanza sociale e trattamento economico il bilancio per chi fa l'infermiere non è soddisfacente». Serpieri è stata tra i primi direttori generali a bussare in Regione per chiedere di riconoscere indennità aggiuntive ai lavoratori di confine, un po' come sta facendo la Valle d'Aosta, che in via sperimentale dà 400 euro netti al mese in più agli infermieri. In Piemonte la risposta è stata negativa. «Ho trovato grande sensibilità sul tema ma le regole e i vincoli di bilancio non lo consentono. Eppure se vogliamo che le persone acquisiscano una professionalità, la mantengano e la spendano nel pubblico, dobbiamo ripensare i livelli economici e le rigidità del sistema. Perché uno dovrebbe restare se può fare lo stesso mestiere altrove con carichi di lavoro inferiori, meno vincoli e stipendi più alti? Non siamo competitivi con il privato, tantomeno con l'estero».
    Roberto Faracchio ne è la prova vivente. Trentenne, da Salerno - dove è nato - si è trasferito dopo aver vinto un concorso all'ospedale di Verbania. «In pronto soccorso eravamo un bel gruppo. Si lavorava tanto ma fino all'esplosione del Covid tutto sommato bene. Dopo è cambiato tutto». Anche lui fa il frontaliero: lavora a Locarno, in pronto soccorso. «Già vivo lontano da casa, lavorare tanto e soprattutto male non aveva senso. Mi facevo carico di cose non di mia competenza, correvo rischi per me e per i pazienti di cui dovevo occuparmi». A Locarno fa i suoi turni e non solo: «Mi pagano la formazione. Anzi, mi spingono a farla. A Verbania invece dava fastidio che andassimo in università perché non potevano richiamarci in servizio».
    I costi per il nuovo ospedale di Briga e per quello di Sion, il capoluogo del Vallese, sono già cresciuti da 462 a 580 milioni di franchi svizzeri, oltre 600 milioni di euro. Eppure nessuno ha intenzione di fermarsi. Anzi, la ricerca del personale è già in corso. «Niente concorsi, basta un colloquio. Ci sono agenzie specializzate ma soprattutto c'è il passaparola», spiega Milena Germano. «Vuol dire che chi è già di là chiamerà i suoi ex colleghi e i nostri ospedali si svuoteranno ancora di più». Annalisa Deregibus non ha dubbi: «Sarà un altro esodo».
    Costruiamo per la tua salute, è il motto degli svizzeri. E alla nostra, ci pensa qualcuno?
  5. CAPO DEL PD TORINESE ? : Il commissario mandato dal ministero lascia la cooperativa dopo 120 giorni. Ora la nomina dei nuovi vertici
    Caso Rear, la perizia in procura "Privilegi a Laus e ai suoi parenti"
    irene famà
    Una gestione spavalda e familistica dei fondi della cooperativa Rear. È quando sarebbe emerso dalla perizia disposta dal commissario nominato dal Ministero delle imprese e made in Italy sulle attività di gestione della multiservizi da parte del cda. La due diligence, questo il termine tecnico, è stata acquisita dalla procura, che ha aperto un fascicolo per truffa e malversazione.
    A quanto si apprende, dagli accertamenti sarebbero spuntate operazioni di investimento e finanziamento in altre società che nulla avrebbero a che fare con le finalità statutarie della Rear. Non solo. Al centro della perizia anche l'attribuzione di superminimi al deputato Pd Mauro Laus, ex presidente e tra i soci più in vista della Rear, e ad alcuni suoi familiari, che nella cooperativa hanno ricoperto ruoli di spicco. E stipendi aumentati solo ad alcuni lavoratori senza seguire le disposizioni del regolamento interno.
    Le indagini prendono il via nella primavera scorsa, quando la Guardia di finanza si presenta negli uffici della Rear, della Regione, di cui Laus è stato presidente del Consiglio dal 2014 al 2018, e del Forte di Bard in Valle d'Aosta, dove la coop gestisce l'appalto per l'attività di presidio e accoglienza dei visitatori. Gli investigatori acquisiscono registri contabili, contratti, bilanci. Sei gli indagati, tra cui il deputato Laus e i suoi fedelissimi, già collaboratori nella cooperativa: la presidente del Consiglio comunale Maria Grazia Grippo e l'assessore ai Grandi Eventi Mimmo Carretta.
    A inizio settembre 2023, la Rear viene commissariata. E gli ispettori del ministero delle Imprese del made in Italy chiedono di «verificare la correttezza e l'esistenza dei presupposti oggettivi per il riconoscimento, solo in capo ad alcuni lavoratori, delle integrazioni salariali», di «provvedere a ripristinare la democraticità interna».
    Ora il commissario se ne va. E dalla cooperativa tirano le somme di questi 120 giorni di gestione commissariale: 128 nuovi soci ammessi (che passano da 1.542 a 1.670), commesse firmate per un valore di 10 milioni di euro. Non solo. Tra le gare d'appalto aggiudicate, oltre alla Reggia di Venaria, c'è anche il servizio di biglietteria ed accoglienza al Colosseo a Roma.
    Il 10 gennaio, il commissario governativo, a conclusione del suo incarico, ha convocato un'assemblea per il rinnovo delle cariche e per fornire indicazioni sulle possibili aree di intervento. Insomma, linee guida per svolgere un buon lavoro.
    Al quinto piano del Palagiustizia, sul tavolo del pubblico ministero Alessandro Aghemo, è invece arrivata la due diligence. I rilievi sollevato andranno a integrare il materiale di indagine e gli accertamenti ancora in corso da parte degli investigatori della finanza su altri possibili filoni.

 

 

12.01.24
  1. Nuovi sviluppi nell'indagine anti-dumping avviata dalla Commissione europea sulle auto elettriche di produzione cinese: secondo indiscrezioni della Reuters, nelle prossime settimane i funzionari di Bruxelles avrebbero in programma di condurre  delle ispezioni presso le sedi centrali della Byd, della Geely e della Saic. L'iniziativa non dovrebbe, invece, coinvolgere BMW, Renault e Tesla, ossia marchi occidentali che producono in Cina alcune alcune elettriche commercializzate in Europa (BMW iX3, Dacia Spring e Model 3). 

    L'indagine. L'inchiesta, lanciata ufficialmente lo scorso ottobre e della durata di almeno 13 mesi, intende accertare se le elettriche di origine cinese stiano o meno beneficiando di un sostegno pubblico contrario alle regole internazionali sulla concorrenza. L'iniziativa europea è stata già fortemente criticata da Pechino, così come dalle stesse Case: la Geely, per esempio, garantisce di aver sempre rispettato le regole e i principi di una concorrenza leale sul mercato globale. Ora, i funzionari avrebbero intenzione di verificare dal vivo le risposte che i costruttori hanno dato al questionario ricevuto lo scorso autunno. Le ispezioni, che dovrebbero concludersi entro l'11 aprile, rappresentano solo di una parte della complessa procedura investigativa e probabilmente coinvolgeranno altri costruttori cinesi presenti in Europa, come la Great Wal

     
  2. BASTA QUESTO PER CAMBIARE PAESE :   E così c'è tanta voglia di "omissis", nella maggioranza di destra-centro. I nomi eccellenti andranno sbianchettati dagli atti delle indagini per tutelare la loro privacy, in quanto «terzi non indagati». Il principio ha sicuramente una sua dignità. Ma quante cose di interesse pubblico non avremmo mai saputo! Non si sarebbe potuto scoprire, ad esempio, che Luca Palamara, allora leader di una corrente di magistrati, nell'estate del 2018 incitava a dare addosso a Matteo Salvini: «Mi dispiace dover dire - gli scriveva un collega - che non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando». E Palamara, in lapidaria risposta: «Ora Salvini va attaccato».
    Ecco, dato che qui l'indagato è Palamara e Salvini no, in futuro ogni riferimento al non indagato dovrà essere cancellato. E noi avremmo totalmente ignorato questo "sentiment" dei magistrati verso chi all'epoca era ministro dell'Interno. E non si dica che fu un aiutino delle toghe rosse al leghista.
    Per restare al circuito Palamara, con questa nuova legge non avremmo saputo nulla neanche della presenza degli onorevoli renzianissimi Luca Lotti e Cosimo Ferri alla riunione clandestina dell'hotel Champagne, dove si concordavano strategie e alleanze per decidere i capi di importanti procure. Lotti e Ferri non sono indagati. Non hanno commesso reato alcuno, partecipando a quella seratina. Ma chi può sostenere che non c'è un interesse pubblico a sapere come si nomina davvero un capo di procura?
    Se fossimo già in stagione di omissis, non avremmo saputo nemmeno che cosa si pensava nel giro più stretto di Renzi quando quegli s'intestardì per correre a Washington e presenziare a una cerimonia in memoria di Bob Kennedy. Ne scrisse infatti l'indagato Alberto Bianchi, presidente della fondazione Open, del giro più stretto: «134.900 euro???! Ma ha perso la testa?». I centotrentraquattromila euro servivano ad affittare un aereo privato e per venirne a capo, Renzi chiese a destra e a manca. Quanto spese in dettaglio, lo sappiamo dalla chat di un indagato.
    Anche Renzi, successivamente, forse anche per questo Whatsapp dell'avvocato Bianchi, finì indagato. Poi l'inchiesta sulla fondazione Open è sostanzialmente naufragata, la Corte costituzionale ha stabilito che nei suoi confronti ci sono state forzature inammissibili, ma questa è un'altra storia. Qui si parla delle sfaccettature di certe inchieste che rivelano i comportamenti non commendevoli dei politici, anche se non sono propriamente reati.
    La recentissima inchiesta sui Verdini, padre e figlio, lobbisti borderline, ha svelato una familiarità inattesa con il sottosegretario leghista Federico Freni. Non è indagato; il suo nome, in futuro, non potrà e non dovrà comparire dagli atti. Sarà sbianchettato e guai se qualcosa sfugge alla polizia giudiziaria oppure al pubblico ministero. Eppure a noi resta qualche domanda sul ruolo del sottosegretario. È normale che i Verdini gli diano nel corso di una cena una lista di funzionari Anas, chi promuovere a incarichi di responsabilità, chi allontanarne? Normale che il sottosegretario abbia il desiderio di partecipare con la sua signora alla Prima della Scala, edizione 2021, ne parli con Tommaso Verdini, e quello si scateni per trovargli gli agognati tagliandi? Si legge su un brogliaccio di intercettazioni, a cura dei carabinieri: «Verdini Tommaso chiama Zelli Gianluca (amministratore delegato di una società di somministrazione lavoro, non indagato, ndr) per chiedergli di acquistare dei biglietti per la Prima della Scala per Freni Federico (...) Verdini precisa che la segreteria di Federico non era riuscita a trovare i biglietti. Zelli, subito disponibile, afferma di provvedere all'acquisto».
    Lasciamo perdere che poi Verdini si vanti di avergli trovato dei biglietti che valgono 15mila euro. Sono rodomontate. Ad averli voluti comprare via Internet, perché ancora si trovavano, si pagavano 3mila euro l'uno. A Zelli, poi, non costarono proprio nulla perché la sua società affitta un palco alla Scala per tutto l'anno e figurarsi se non uscivano due poltrone per un sottosegretario all'Economia. Però è il segno di una grande familiarità con i faccendieri che manovravano in ambito Anas e Ferrovie... Non un reato. Ma tutto bene lo stesso?
    In fondo, questa è la dannazione dei "facilitatori": gli eccessi di familiarità, che poi finiscono nelle loro telefonate. Era il 2018, sembra un secolo fa. Francesco Paolo Arata, che era il consulente di Salvini per l'energia, e aveva le mani in pasta con l'eolico, si vantava con il figlio di avere piazzato il suo amicone Armando Siri come sottosegretario alle Infrastrutture. Ne aveva parlato con Gianni Letta e con il cardinale Burke, ma non era abbastanza. Così diceva, il 23 maggio 2018: «Gli ho detto che deve fare il viceministro con la delega all'energia, lui lo ha chiesto a Salvini e Salvini ha chiamato anche casa nostra ieri». Niente, di tutto questo non sapremo mai più niente.
  3. SATANA  RUSSO : L'amore dei russi benestanti per il made in Italy è celebre: dagli yacht alla moda, dalle ville in Sardegna e a Forte dei Marmi al prosecco, perfino le sanzioni internazionali e la proclamazione dell'Italia come "Paese ostile" da parte del Cremlino non ha impedito ai ricchi e ai famosi di Mosca di continuare a desiderarli. Anzi, con la svolta verso i "valori tradizionali" del conservatorismo religioso, è stata aperta anche una nuova voce nelle importazioni russe dall'Italia. Il largo pubblico se ne è accorto quando Mikhail Danilov, proprietario di diversi locali notturni nella capitale russa, si è presentato davanti alle telecamere per donare al parroco di una chiesa del centro di Mosca le reliquie di san Nicola, vantandosi di averle «comprate in Vaticano». Un'affermazione bizzarra, anche perché il patriarcato di Mosca, convinto sostenitore della guerra in Ucraina, negli ultimi anni ha rotto o diradato i contatti perfino con molti confratelli ortodossi, e la retorica dell'eccezionalismo della "Santa Rus" che sfida l'Occidente corrotto sembra contraddire lo "shopping di reliquie" in Vaticano. Ma Danilov sembrava molto convinto, e anche il sacerdote Mikhail Gulyaev - responsabile della chiesa dell'icona della Madre di Dio del segno, che gode di un rapporto privilegiato con il Cremlino - non sembra avere perplessità rispetto a una reliquia «comprata» in Italia, con tanto di «certificato di autenticità».
    Con il prezioso dono, l'imprenditore voleva ingraziarsi nientemeno che il Cremlino, e salvare il suo night club Mutabor, diventato un mese fa il teatro dell'"Almost naked party". Il festino "quasi nudo" ha attirato decine di star dello spettacolo insieme a numerosissimi esponenti del grande business moscovita, vestiti in abiti a effetto "nudo" o vistosa lingerie (tra i marchi prediletti, molti italiani, in particolare Dolce&Gabbana). Tra le celebrità che più hanno fatto scandalo, il rapper Vacio, vestito con soltanto un calzino firmato Balenciaga, indossato non sul piede), e la blogger Nastya Ivleeva, che sfoggiava su quella che ha definito «la scollatura posteriore» una collana di diamanti con uno smeraldo gigantesco, vantandosi che costava 230 mila euro. Pochi giorni dopo, l'ira del Cremlino si è abbattuta sulle star "quasi nude". Vacio è in carcere, e probabilmente dovrà scegliere tra l'incriminazione per «propaganda Lgbt» (in un video altri ospiti mimano un atto di sesso orale con lui, senza togliere però il calzino) e l'invio al fronte ucraino. Ivleeva passa le giornate in tribunale. Altre superstar sono state censurate dai concertoni di Capodanno, indagate dalla guardia di finanza e scaricate dagli sponsor. I social si sono riempiti di celebrità struccate, dimesse e con le guance rigate dalle lacrime, che chiedono perdono e versano cospicue donazioni in beneficenza, preferibilmente legata alla guerra in Ucraina: gira voce che tutte le star "quasi nude" dovranno espiare andando a esibirsi per le truppe russe nei territori ucraini invasi.
    Secondo l'agenzia Bloomberg, dietro alla improvvisa svolta moralista c'è Vladimir Putin in persona. Per salvare il club dello scandalo, il suo proprietario ha quindi tirato fuori l'artiglieria pesante: la reliquia del santo che ha ispirato Babbo Natale. Non ha funzionato: il Mutabor è stato chiuso dal tribunale per aver servito della «birra avariata». E ora, l'imprenditore rischia di trovarsi in uno scandalo ancora più imbarazzante: alcuni giornalisti e blogger non si sono limitati a ironizzare sulle reliquie «comprate in Vaticano», ma si sono presi la briga di ingrandire il "certificato di autenticità" che le accompagnava. Per scoprire che il documento, in latino, è stato emesso dalla diocesi di Novara, a firma del subdiacono Franco Cerruti, nel 2018. Una inchiesta di Radio Liberty ha permesso di individuare almeno altre quattro reliquie provenienti da Novara e certificate dallo stesso esperto: la cintura della Madonna, donata da un imprenditore e deputato di Russia Unita alla cattedrale di Kazan di Pietroburgo, i resti di san Spiridone, donati alla diocesi di Oryol da un altro imprenditore, proprietario di un mercato moscovita, le reliquie di Fede, Speranza e Carità e la loro madre Sofia, donate dal vescovo di Tikhvin a un convento pietroburghese, e un cofanetto con resti di 18 santi nella chiesa di san Giovanni Battista a Yukki.
    Sulle origini dichiarate delle reliquie, la confusione è massima: la cintura viene dichiarata proveniente dal Monte Athos, la diocesi di Oryol sostiene di aver ricevuto san Spiridone da «Navarra in Spagna» (avendo le idee poco chiare su dove si trovi Novara), e la badessa pietroburhese sostiene in un'intervista che il reliquario sia venuto dalla Francia. L'antiquario pietroburghese Ivan Boldyrev ha raccontato al canale Telegram "Teleghi i memasy" di possedere reliquie autenticate da Cerruti, e di credere che passassero da Novara perché «c'era un deposito di reliquari da monasteri dismessi». Nell'immaginario degli acquirenti russi, una sorta di outlet, dove invece delle collezioni fuori stagione delle griffe si possono comprare frammenti di santi a prezzi scontati, con i quali ingraziarsi i potenti russi. Se non fosse per un piccolo particolare: Franco Cerruti non lavora più nella diocesi di Novara dal 2015, e quindi il giallo non riguarda soltanto la provenienza delle reliquie, ma anche dei "certificati di autenticità", con i quali posare davanti alle telecamere.
  4. SPALLE AL MURO I TRAFFICANTI DI COCAINA: Per più di due decenni, prima a Locri, poi a Reggio Calabria e ancora a Catanzaro ha intuito prima di altri magistrati la dimensione internazionale del traffico di droga e che per combattere le rotte mondiali della cocaina bisognava andare in Sudamerica. A parlare con gli investigatori, intessere rapporti, aprire canali diretti.
    Ha studiato così i cartelli colombiani, poi i messicani di Sinaloa, del golfo e i Los Zetas, i brasiliani del Pcc di San Paolo, gli ecuadoregni. Che parlavano solo con gli affidabili broker della ‘ndrangheta a cui lui dava la caccia dall'Aspromonte al mondo. Nicola Gratteri, procuratore di Napoli, è un libro aperto sul mondo dell'oro bianco, business che ha mandato in tilt l'Ecuador con una rivolta armata figlia della protervia antistato dei narcos, diventato – da qualche tempo – il crocevia di immensi transiti di cocaina dai porti di Guayaquil e di San Pablo de Manta: 700 tonnellate all'anno.
    La sua analisi è una sentenza: «Prima dell'avvento dell'attuale presidente le carceri erano fuori controllo. I boss delle varie organizzazioni criminali uscivano e entravano quando volevano. Ora qualcosa sta cambiando. Il caos di questi giorni è legato a un cambiamento di passo che prevede l'estradizione dei detenuti stranieri e il trasferimento dei boss del narcotraffico nelle carceri di massima sicurezza». In definitiva: «I boss locali temono che l'Ecuador possa aprirsi sempre di più alla collaborazione con gli americani, rischiando anche l'estradizione negli Stati Uniti».
    Procuratore, perché questo caos e perché in Ecuador?
    «L'Ecuador è il terzo Paese al mondo per sequestri di cocaina, dopo Colombia e Stati Uniti. È incuneato tra Colombia e Perù e dai tempi dei cartelli colombiani garantisce la spedizione di ingenti partite di cocaina destinate al Nord America e all'Europa».
    Ci accorgiamo adesso che l'Ecuador era una polveriera narcos-dipendente solo perché ci sono morti eccellenti e un caos fuori controllo?
    «Succede spesso così, ma su questo Paese hanno messo gli occhi un po' tutti: dai cartelli messicani alle gang albanesi e alla stessa ‘ndrangheta».
    Quando a livello investigativo avete "scoperto" l'importanza dell'Ecuador nello scacchiere del traffico mondiale di cocaina?
    «Negli ultimi cinque-sei anni abbiamo notato un numero maggiore di carichi sequestrati in Italia provenienti da lì e un'attenzione particolare da parte di clan albanesi che sono andati a vivere nella zona portuale di Guayaquil. All'inizio c'è stato anche qualche boss albanese ucciso proprio in quel Paese. Ma a contendersi l'Ecuador da almeno dieci-quindici anni sono i cartelli messicani».
    Con chi abbiamo a che fare dal punto di vista criminale?
    «Con gente che prima viveva di espedienti, furti, omicidi su commissione ed estorsioni e oggi gestisce patrimoni enormi, grazie alla cocaina che viene raffinata in Ecuador e spedita in Nord America e in Europa».
    Quali oggi i cartelli dominanti in quel Paese?
    «Nel decreto del presidente Noboa sono stati elencati 21 gruppi criminali, ma fondamentalmente quelli più influenti sono due: i Choneros e i Lobos, rispettivamente legati al cartello di Sinaloa e a quello di Jalisco».
    Si può parlare di economia narcos-dipendente?
    «C'è un indotto che ruota attorno al narcotraffico, ma la maggior parte dei profitti vengono investiti nelle economie più ricche».
    Ecuador, Paese di smistamento o anche di produzione?
    «Ci sono laboratori per la raffinazione, ma fondamentalmente è uno snodo internazionale per il traffico di cocaina».
    Cercando di disegnare una griglia dei maggiori attori mondiali del narcotraffico quali sono i Paesi che detengono questo mercato?
    «La cocaina viene prevalentemente prodotta in Colombia, Bolivia e Perù, ma a distribuirla in Nord America sono i cartelli messicani. Il mercato europeo è molto fluido con la ‘ndrangheta che mantiene contatti importanti in quasi tutti i paesi dell'America Latina. La forza emergente è quella albanese».
    Perché?
    «Garantisce la consegna a domicilio in Italia e in Europa di ingenti carichi di cocaina a chi non vuole sporcarsi le mani. Si è assunta i rischi della spedizione. Ed è radicata in tantissimi Paesi».
    Quali sono i porti sudamericani più utilizzati per far partire i carichi verso l'Europa e il resto del mondo?
    «Quelli brasiliani, soprattutto quello di Santos, ma anche quelli ecuadoriani. Si spedisce anche dall'Argentina».
    Vede situazioni che possono degenerare come in Ecuador e su quei presupposti?
    «L'America Latina è una polveriera. Tutto può succedere. Bisogna non concedere spazio ai cartelli della droga che gestiscono enormi patrimoni e sono in grado di corrompere, politici, funzionari, giudici e poliziotti. Oggi uno dei principali quotidiani dell'Ecuador riportava alcuni passaggi dell'intervista rilasciata dal presidente a una radio di Quito, in cui si minacciava il pugno di ferro contro giudici e procuratori scoperti ad aiutare le organizzazioni criminali che sono state equiparate alla stregua di organizzazioni terroristiche».
    Altre mafie si affacciano per candidarsi come interlocutori per i narcos sudamericani?
    «Terrei un occhio aperto sul Primeiro Comando da Capital. È un'organizzazione brasiliana presente anche in Ecuador che è in continua espansione».
    È ancora la ‘ndrangheta il principale interlocutore dei narcos anche ecuadoriani?
    «Assolutamente e con le maggiori organizzazioni criminali del luogo».
    Cosa Nostra resta sullo sfondo?
    «La mafia siciliana ha ripreso i contatti con i produttori di droga dopo il delirio stragista dei Corleonesi. Non è ancor tornata ai fasti del traffico di eroina, ma alcuni recenti sequestri di cocaina in Sicilia fanno pensare a una ripresa dei vecchi rapporti. La ‘ndrangheta spesso acquista anche per loro e per la camorra».
  5. Ancora 139 gli ostaggi tenuti nelle prigioni
    Assalti armati in diretta tv, guardie carcerarie e poliziotti presi in ostaggio, città blindate, scuole e negozi chiusi: l'Ecuador è precipitato in un conflitto armato interno con gruppi di narcotrafficanti che in quattro giorni ha già provocato almeno 13 morti e decine di feriti. E mentre è ancora in vigore lo stato di emergenza, tre agenti di polizia, rapiti da «presunti terroristi» sono stati rilasciati vivi nel settore di Valencia, nella parte centro-occidentale del Paese. Le Forze armate comunicano di aver ucciso 5 criminali, di averne arrestati 329 e di aver liberato 41 ostaggi. Sono però 139 le persone ancora in ostaggio in almeno cinque prigioni (a Cuenca, Azogues, Napo, Ambato e Latacunga), comprese guardie e personale amministrativo, dove i reclusi si sono ribellati come protesta contro la dura politica che il presidente Daniel Noboa vuole implementare nel sistema carcerario. Secondo il Servizio penitenziario (Snai), «nessun ostaggio è stato assassinato». Per quanto riguarda le oltre 300 persone arrestate, il comandante dell'Esercito, Nelson Proaño, ha indicato che la maggior parte di loro appartiene alle gang Tiguerones, Lobos e Choneros. Questi gruppi, insieme ad altri, sono stati dichiarati «terroristi ed entità non statali belligeranti che costituiscono obiettivi militari», sulla base del decreto 111 firmato dal capo dello Stato, dove si riconosce che l'Ecuador affronta «un conflitto armato interno».
    Un gruppo di circa venti criminali, presunti responsabili degli attacchi, ha chiesto intanto scusa alla popolazione in un video: «Chiediamo scusa per i disordini, soprattutto a voi poveri, che siete i più colpiti». Nel messaggio viene attaccato il capo dello Stato, descritto come «un ragazzo ricco con il suo ego da supereroe».
  6. FRANCIA UN PAESE ETERODIRETTO: Poche modifiche ma ben mirate quelle che il presidente Emmanuel Macron ha portato nella nuova squadra di governo, annunciata ieri sera nell'ambito di un rimpasto atteso da giorni. Nessuna rivoluzione, più che altro un riassetto con qualche sorpresa all'interno di una strategia sempre più incentrata sul macronismo.
    Tra queste c'è la nomina a ministro degli Esteri di Stéphane Séjourné, eurodeputato e presidente dell'eurogruppo Renew, che in passato ha avuto una relazione con il neo-premier Gabriel Attal, nominato nei giorni scorsi dal presidente Emmanuel Macron. Come il suo ex compagno, con il quale ha avuto un'unione civile portata avanti sempre con il massimo della discrezione, Séjourné fa parte della più ristretta cerchia dei macroniani. Fino a pochi giorni fa in odore di candidatura alle prossime elezioni europee, il nuovo titolare del Quai d'Orsay prende il posto della diplomatica Catherine Colonna, che non è mai riuscita ad incidere durante il suo incarico.
    Tra le novità c'è anche il ritorno di Rachida Dati, guardasigilli durante la presidenza Sarkozy, che è andata alla guida della Cultura al posto di Rima Abdul Malak. Una nomina, quest'ultima, del tutto inattesa, soprattutto perché Dati, fino a ieri presidente del settimo arrondissement di Parigi, è sotto inchiesta per corruzione e traffico di influenze. La sarkozista, conosciuta per il suo carattere determinato e combattivo, è sospettata di aver esercitato un'attività da lobbista presso il Parlamento europeo per conto della Renault quando il gruppo era guidato da Carlos Ghosn. Essere sotto inchiesta «non è una condanna», ha sottolineato in serata Attal a Tf1, subito dopo che il partito dei Repubblicani ne ha annunciato l'espulsione.
    Per il resto, l'equilibrio della squadra dell'esecutivo resta immutato, con molte conferme nei principali dicasteri: Gérald Darmanin resta agli Interni, così come Bruno Le Maire all'Economia, Eric Dupond-Moretti alla Giustizia, Sébastien Lecornu alla Difesa e Marc Fesneau all'Agricoltura. Per Amélie Oudéa-Castéra, già titolare dello Sport e dei Giochi olimpici e paralimpici, è stato creato un super-ministero che include anche l'Istruzione, fino a pochi giorni fa guidata da Attal. Olivier Veran viene invece sostituito per l'incarico di portavoce del governo dalla 38enne Prisca Thevenot, altro astro nascente della sfera macroniana. Olivier Dussopt, dopo aver guidato la tanto contestata riforma delle pensioni e aver partecipato alla legge sull'immigrazione, lascia il posto alla chirachiana Catherine Vautrin.
    Un governo di «sobrietà», ha commentato il primo ministro. «Quello che voglio è azione, azione, azione», ha poi affermato, confermando l'impegno di Macron nel taglio delle tasse per le classi medie. Per l'ultima parte del suo mandato, che terminerà nel 2027, Macron preferisce non correre rischi affidandosi a soliti nomi. L'arrivo di Dati e di Vautrin sposta ancora più a destra il timone, anche se il premier rifiuta questa lettura: «Non sono qui per chiedere ai miei ministri di vuotare le tasche e mostrarmi la carta del loro partito». Ma la sinistra ha ironizzato parlando di un governo «Sarkozy IV» visto che ben otto ministri vengono dalla droite. La parità di genere, poi, è perfettamente rispettata con sette uomini e sette donne, anche se a queste ultime non sono andati molti ministeri di peso.
    Con questa nuova équipe Macron si presenterà alla partita delle prossime elezioni europee di giugno, dove il Rassemblement National di Marine Le Pen viene dato come grande favorito nei sondaggi, grazie soprattutto al candidato 28enne Jordan Bardella. Sarà lui il principale rivale del nuovo capo del governo nei prossimi mesi, durante i quali si annuncia una sfida ricalcata su quelle già viste in passato tra il presidente e la sua storica rivale di estrema destra.
  7. NON SAREBBE MEGLIO PROTEGGERLE INVECE CHE ELIMINARLE COME AVVIENE PER LE NUOVE STAZIONI ? È ferma da due anni la scala mobile Sud della stazione della metropolitana «Paradiso», la penultima a Ovest (sulle ventitré della linea 1) prima del capolinea di Fermi, lungo corso Francia, nel comune di Collegno ma a due passi dal quartiere Pozzo Strada. Si tratta di uno dei due impianti presenti a quella fermata, andato in tilt a dicembre del 2021 per un guasto elettrico e, da allora, mai ripartito. Un disservizio che obbliga i passeggeri del metrò, compresi quelli con bagagli pesanti, passeggini o problemi di deambulazione, a utilizzare la scala in pietra, da quarantuno scalini, per salire o scendere a piedi su quel lato della stazione. L'alternativa è sfruttare l'altra scala mobile, quella Nord, che però sbuca sul controviale opposto di corso Francia, asse ad altissimo scorrimento (e le prime strisce pedonali, una volta su, sono a cento metri di distanza). Due soluzioni tutt'altro che comode tanto che l'altro giorno anche un nostro lettore, Claudio Bertolotti, si è lamentato del disservizio su Specchio dei tempi, .
    E dire che Gtt, la scorsa primavera, aveva dato per imminente la ripartenza dell'impianto. «La scala mobile sarà riattivata il 19 giugno» era scritto sui cartelli affissi a suo tempo sui muri della stazione metro. Una deadline disattesa, come già accaduto più di una volta in questi due anni abbondanti. Il ripristino tarda ad arrivare, spiegano dall'azienda, per diversi motivi. In prima battuta, nel 2022, a impedire la manutenzione era stata la difficoltà nel reperire i pezzi di ricambio, poi arrivati in ritardo (a causa della guerra in Ucraina). Poi, quando la riparazione meccanica era stata completata, la scala non è ripartita per un errore nella programmazione della centralina elettrica da parte della ditta costruttrice. Successivamente, quando anche l'ultimo ostacolo sembrava superato, è scaduto il contratto dell'impresa che, per Gtt, si occupava delle manutenzioni. Lo scorso giugno, con la nuova ditta, la scala mobile non aveva superato l'ultimo collaudo a causa di un guasto alla catena di trazione, in seguito al quale si erano danneggiati diversi gradini. In quell'occasione era emersa la necessità di reperire ulteriori ricambi, allora non disponibili.
    La ripartenza dell'impianto, assicurano oggi da Gtt, è comunque imminente. Un mese o poco più: tanto, spiegano dall'azienda, dovranno pazientare i passeggeri del metrò. I nuovi gradini, nelle scorse settimane, sono stati consegnati alla ditta incaricata. Quel che manca è la catena di trazione, che arriverà entro la fine di questo mese di gennaio. Subito dopo partirà l'intervento di manutenzione, che l'azienda conta di ultimare nelle prime due settimane di febbraio. —

 

 

 

 

 

11.01.24
  1. Caso Sgarbi, la proprietaria della tela "Le orme nella neve ed era sparita"
    ANTONIO GIAIMO
    buriasco (torino)
    Margherita Buzio scosta di poco le tende bianche della finestra del piccolo alloggio al pian terreno che confina con il castello di Buriasco (Torino), il maniero di sua proprietà dove nel febbraio del 2013 venne rubato un quadro, attribuito a Rutilio Manetti, che ora vede coinvolto in una vicenda giudiziaria il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi.
    La castellana è una donna anziana a cui il clamore della vicenda, portata alla luce da un'inchiesta giornalistica condotta da Report e dal Fatto Quotidiano, ha lacerato la tranquilla routine. «Vorrei un poco di riservatezza», dice con un filo di voce. Tiene le distanze dall'inchiesta giornalistica - secondo la quale il quadro rubato, La cattura di San Pietro, sarebbe lo stesso ora nelle mani di Sgarbi ma con un dettaglio diverso, una candela - e da quella della magistratura e si limita a dire: «Spero di poter riavere il mio bel quadro, visto anche il suo valore». La pensava diversamente il 14 febbraio 2013 quando ai carabinieri, a cui si era rivolta per denunciare il furto, aveva dichiarato che le avevano rubato la riproduzione di un quadro il cui originale si sarebbe dovuto trovare in Vaticano. «Un'opera danneggiata da dei buchi in un angolo». E quando le avevano chiesto a quanto potesse ammontare il danno, aveva fatto mettere a verbale che lo stimava in 15.000 euro e che si trattava di una copia realizzata da un autore della scuola del pittore Francesco Solimena, o forse di Bernardo Cavallino. Un enigma che impone una soluzione: il quadro rubato è quello ora in possesso di Sgarbi (che ribadisce: «nessun mistero, le tele sono due») o sono appunto due versioni distinte?
    Margherita Buzio ha chiari i ricordi di quel mattino di febbraio quando, dopo aver visto delle orme nella neve, era entrata nel castello ed era entrata nel castello, dove si era accorta che l'opera era stata rubata, tagliata malamente dalla cornice. «Al suo posto c'era una tela plastificata sulla quale avevano stampato una riproduzione del quadro. Chissà, forse pensavano che non me ne sarei accorta, ma era stata fissata con dei punti come quelli che usano i tappezzieri». Per entrare i ladri avevano tagliato una catena che chiudeva un accesso secondario. La cornice era rimasta appesa al muro, anche perché, viste le dimensioni di due metri e mezzo di lato per oltre due di altezza, sarebbe stata difficile da trasportare. «Un bel quadro - aveva spiegato la donna ai carabinieri - che rappresenta un giudice che condanna un uomo».
    I carabinieri del Tpc, il nucleo che si occupa della tutela del patrimonio culturale, nei giorni scorsi sono tornati a Buriasco, hanno sentito la donna e hanno preso in custodia sia la cornice e sia un pezzetto della tela originale che era stato tagliato nella notte e dimenticato dai ladri. Gli inquirenti hanno riletto la sua vecchia denuncia in cui parlava degli incontri che aveva avuto al castello con possibili nuovi gestori, e fra questi aveva anche conosciuto Paolo Bocedi (ora presidente dell'associazione antiracket Sos Italia libera), collaboratore e amico di Sgarbi, che le aveva chiesto se quel grande quadro fosse in vendita. La risposta di Buzio era stata chiara: «Il quadro l'avrei ceduto con il castello».
  2. NUOVO METRO SENZA SCALE MOBILI : ASSURDO !     Per il secondo anno consecutivo la metropolitana sospenderà il servizio per l'intero mese di agosto. E gli orari serali ridotti continueranno almeno fino al primo semestre del 2025, quando (si spera) verrà inaugurato il troncone di 3,5 chilometri con le stazioni Certosa, Collegno Centro, Villaggio Leumann e Cascine Vica. Lo stop estivo servirà per proseguire con la migrazione del vecchio sistema di controllo e segnalamento analogico Val al più moderno Cbtc digitale. Ma solo al termine delle operazioni si potrà capire quando l'ultimo segmento della linea 1 potrà entrare in esercizio. Nel frattempo, l'augurio è che il governo apra finalmente il bando per finanziare il trasporto rapido urbano per l'acquisto di 12 treni aggiuntivi, necessari a coprire le nuove percorrenze senza dover aumentare il tempo di attesa in banchina. InfraTo, la società che si occupa della gestione infrastrutturale del trasporto pubblico locale torinese, abbandonerà i convogli Siemens scelti nel 2006 (e nel frattempo usciti di produzione) per quelli prodotti dalla Alstom di Savigliano per la municipalità di Lille in Francia.
    Bernardino Chiaia, presidente e amministratore delegato di InfraTo oltre che commissario per la realizzazione della linea 2, ha dovuto ammettere i ritardi di circa un anno che hanno condizionato i cantieri per lo scavo delle quattro nuove stazioni, costate oltre 380 milioni di euro. «A causa della pandemia e dei rincari energetici e delle materie prime dovuti alla guerra in Ucraina – ha spiegato alle commissioni Trasporti e Servizi pubblici del Comune, presiedute dai dem Antonio Ledda e Angelo Catanzaro – abbiamo dovuto fronteggiare aumenti anche del 40%. Ora confidiamo di sfruttare la flessione dei costi, soprattutto per quanto riguarda l'acciaio».
    Alla fermata Certosa sono già state sistemate le porte automatiche di accesso ai treni, prodotte dalla torinese Opla. Nei prossimi mesi, il cantiere procederà anche al recupero dell'ex acciaieria Mandelli, rudere che da decenni rappresenta un vuoto urbano per la cintura Ovest. Questa sarà anche l'unica delle nuove stazioni con scale mobili: le altre tre verranno servite da un sistema di doppi ascensori, funzionando anche da sottopassaggio pedonale per chi dovrà attraversare corso Francia. «Investimenti per il territorio e motore di sviluppo» ha commentato il sindaco di Collegno Francesco Casciano. «Per noi un banco di prova in vista dell'avvio della linea 2 – ha aggiunto il professor Chiaia – che ha dimostrato la resilienza dei territori a fronte di interventi impattanti. Qualche disagio per Torino Nord ci sarà, ma credo che corso Giulio Cesare potrà superarli come ha fatto corso Francia». «A impensierirci – ha aggiunto l'assessora comunale alla Mobilità Chiara Foglietta – è soprattutto la fase che interesserà il centro cittadino, dove procederemo anche con la pedonalizzazione di via Roma».
    Cascine Vica potrebbe comunque non essere il capolinea ovest della linea 1. Un progetto di fattibilità tecnico-urbanistico è già stato redatto per valutare lo scavo di ulteriori 2,5 chilometri di gallerie con altre due fermate per raggiungere Rivoli. Certo, restano da trovare i fondi. Soldi che invece sono garantiti per l'avvio della linea 2 partendo da Barriera di Milano. Dopo l'estate, quando i convogli riprenderanno a circolare tra i capolinea di Bengasi e Fermi, InfraTo confida di opzionare il materiale rotabile della nuova infrastruttura. La scelta dovrebbe ancora orientarsi verso treni a guida automatica, per quanto con una tecnologia ben più all'avanguardia di quella del 2006.

 

 

 

 

 

10.01.24
  1. TANTO VA LA GATTA AL LARGO CHE CI LASCIA LO ZAMPINO :   Il mistero di una candela e di un quadro rubato. L'accusa di riciclaggio di beni culturali. La richiesta delle opposizioni di revocargli le deleghe e buttarlo fuori dal governo. Vittorio Sgarbi è indagato per una vicenda che inizia più di 10 anni fa, con il furto di un dipinto caravaggesco del '600 dal castello di Buriasco, in Piemonte. L'opera intitolata La cattura di San Pietro, di Rutilio Manetti, secondo la ricostruzione fatta nelle inchieste del Fatto quotidiano e di Report sarebbe poi riapparsa nel 2021, esposta in una mostra a Lucca e presentata come un "inedito" di proprietà di Sgarbi. In effetti, diverso dall'originale, perché sullo sfondo compare una candela accesa, attaccata al muro, che sarebbe stata aggiunta (o fatta riemergere) in un secondo momento. Un ritocco confermato ai giornalisti autori dell'inchiesta dal restauratore di fiducia di Sgarbi, Gianfranco Mingardi, a cui l'opera sarebbe stata consegnata da un amico e collaboratore del critico d'arte poche settimane dopo il furto.
    Il sottosegretario alla Cultura racconta un'altra storia, nega che si tratti dello stesso dipinto, sostiene che quella trafugata fosse una copia e che la tela in suo possesso sia stata trovata casualmente nella sua villa di Viterbo, acquistata dalla madre nel 2000. «Io non ho ricevuto nessun avviso d'indagine. Né saprei come essere indagato per un furto che non ho commesso - spiega -. C'è stata una palese violazione del segreto istruttorio, l'unico reato di cui ci sia evidenza». Gli atti di indagine dei carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale sono stati trasmessi alla procura di Macerata per competenza, perché Sgarbi ha scelto come domicilio San Severino Marche, di cui è stato sindaco nel 1992. In base agli sviluppi, potrebbe rischiare accuse anche più pesanti: dalla contraffazione alla ricettazione di opere d'arte, fino alla truffa.
    Ma per le opposizioni quello che è emerso è già sufficiente per invocare un suo passo indietro. «Sgarbi, dopo essere stato segnalato all'Antitrust per vari affari e consulenze, adesso è indagato per la vicenda di un quadro rubato - attacca il presidente M5s Giuseppe Conte -. È compatibile con l'immagine dell'Italia e del governo italiano? Ma in che mani siamo?». E il capogruppo 5 stelle alla Camera, Francesco Silvestri, fa sapere che chiederà che venga «calendarizzata con urgenza la mozione di revoca che abbiamo già presentato ad ottobre, ora integrata a seguito dei ben noti sviluppi». Per Irene Manzi, capogruppo Pd in commissione Cultura a Montecitorio, siamo di fronte ad «accuse molto gravi che, se confermate, si sommano a una situazione già compromettente per un responsabile delle istituzioni. Basta tentennamenti, Meloni e Sangiuliano smettano di proteggere Sgarbi». Ma il ministro della Cultura, che pure vive da separato in casa con il suo sottosegretario, alza le mani: «Non faccio il magistrato - dice alla Rai -. Se la magistratura arriverà a una conclusione ne prenderemo atto, ma i processi si fanno nei tribunali».
  2. PROTEZIONE DAL SISTEMA :Liquidazione giudiziale per Ki Group, una delle società della galassia bio che in passato è stata gestita anche dalla ministra del Turismo Daniela Santanchè. Una volta si sarebbe parlato di fallimento, ma la sostanza non cambia: entro tre giorni la società dovrà depositare i bilanci e tutte le scritture contabili e fiscali. Così come non cambia il fatto che la liquidazione potrebbe presto aprire nuovi fronti giudiziari per la senatrice, già sotto inchiesta a Milano per falso in bilancio e bancarotta per la gestione del gruppo editoriale Visibilia (e coinvolta pure nel filone sulla presunta truffa ai danni dello Stato per il ricorso alla cassa integrazione a zero ore di alcuni dipendenti durante la pandemia).
    Dopo alcune settimane di riflessione i giudici del tribunale fallimentare di Milano hanno sciolto la riserva, accogliendo la richiesta della procura guidata da Marcello Viola e bocciando l'ammissione al concordato semplificato richiesto dalla srl. Quello che, fin dall'inizio di questa vicenda, aveva richiesto l'avvocato Davide Carbone, rappresentante di vari ex dipendenti, tutti poi già liquidati prima di questa fase. Il giudice delegato Francesco Pipicelli con i colleghi Macchi e Sergio Rossetti ha fissato l'incontro con i creditori per l'esame dello stato passivo il 7 maggio prossimo, mentre è stato nominato curatore Carlo Pagliughi. A lui spetterà il compito di redigere l'inventario dei beni e ricostruire la situazione della società. Di guardare dentro i cassetti, insomma.
    Nelle ventidue pagine con cui argomentano la loro sentenza, i giudici chiariscono che Ki Group srl è in «uno stato di definitiva incapacità» di «fare fronte regolarmente alle proprie obbligazioni», non ha «più credito di terzi e mezzi finanziari propri» e ha un «passivo esposto in ambito concordatario di oltre 8,6 milioni di euro». Ki Group, per salvarsi, puntava su almeno 1,5 milioni di euro che sarebbero dovuti arrivare dalla capogruppo Bioera. Società che nel frattempo, però, è impegnata a sua volta in un tentativo di salvataggio e ha chiesto di accedere alla procedura di composizione negoziata della crisi. «Le conseguenze dell'ingresso di Bioera spa in composizione negoziata - si legge ancora nella sentenza - sono particolarmente rilevanti nel presente giudizio in quanto comportano prioritariamente la necessità per Bioera spa di affrontare la propria crisi a beneficio del proprio ceto creditorio (...) con riflesso inevitabile di attuale ed insuperabile incertezza sulla sostenibilità del risanamento di altra società», ossia di Ki Group.
    Altri due dettagli importanti. Il primo: fino a poco tempo fa Canio Mazzaro, ex compagno di Santanchè, risultava ricoprire il ruolo di «responsabile delle relazioni con gli investitori» di Bioera. Il secondo: nel corso dell'udienza davanti al tribunale fallimentare, che si è svolta a dicembre, era emerso che i soldi per pagare i debiti con i lavoratori di Ki Group li avrebbe messi lo stesso Mazzaro, il cui nome però in queste settimane è scomparso sia dalla governance di Ki Group che da quella di Bioera.
    La decisione del tribunale fallimentare, a questo punto, oltre ad avere ricadute dirette sui creditori e sugli attuali vertici di Ki Group, spalanca le porte alla possibilità che i pm milanesi contestino l'accusa di bancarotta, in concorso, anche a chi in passato ha fatto parte degli organi di gestione della società. E dunque alla stessa Santanchè. Che, tra le altre cose, è stata anche presidente di Bioera. Con tutte le conseguenze politiche del caso. «Mi sono dimessa nel 2020, la questione non mi riguarda - ribadisce lei a La Stampa -. Il caso Ki Group è molto diverso da quello di Visibilia, dove ero ad. L'unico bilancio di Ki Group firmato da me risale al 2019, chi dice altre cose mente sapendo di mentire, e lo fa solo per screditarmi. L'ho ripetuto anche in Senato. Mi spiace per il padre di mio figlio, ma ora gli organi competenti si occuperanno della questione e i dipendenti riceveranno quanto spetta loro. E questo, invece, non può che farmi piacere».
  3. ILLUSIONISTA TEMERARIO E SPAVALDO : Vittorio Sgarbi
    "La tela è mia, quella rubata è una copia Il ministro è il primo ad avercela con me"

    Antonio bravetti
    Roma
    Il quadro di Rutilio Manetti «è mio» e «la fiaccola c'è sempre stata», quello rubato nel castello di Buriasco «è una brutta copia». Vittorio Sgarbi dice di aver incaricato un esperto per dimostrare «l'integrità» del suo dipinto e che tra quelli che ce l'hanno con lui «il primo è Sangiuliano».
    È indagato per furto e riciclaggio di beni culturali?
    «Non ho ricevuto nessun avviso di garanzia. È un continuo stalkeraggio, delatori che raccontano storie inverosimili».
    Le inchieste del Fatto Quotidiano e di Report sono circostanziate.
    «Sono diventati il ricettacolo di tutti quelli che hanno qualcosa da dire contro di me. Il primo è Sangiuliano».
    Ah.
    «È lui che ha preso la documentazione anonima spedita da un mio ex collaboratore e l'ha inviata all'Antitrust. Io ho fatto un lavoro paziente di ricostruzione di tutte quelle cose che fa anche lui e l'ho mandato all'Antitrust: conferenze, presentazioni, qualcuna pagata».
    Anche Sangiuliano fa delle conferenze pagate?
    «Se comprano i suoi libri è come se lo pagassero».
    Lei ha detto conferenze pagate, però.
    «Non credo che nessuno lo paghi. Per essere pagati occorre avere un credito».
    Lo ha sentito in questi giorni?
    «Non lo sento dal 23 ottobre, quando mi chiamò per dirmi che ero l'unico che si poteva occupare della Garisenda».
    Passiamo oltre. L'Antitrust, o meglio l'Agcm, si pronuncerà entro metà febbraio. Si dimetterà se le darà torto?
    «Se si pronuncia per la mia incompatibilità io dovrò prendere atto che possano dimettermi. Ma credo che dalla documentazione che ho presentato si evince che tutto era regolare: uno che parla e racconta l'arte non può essere incompatibile col ruolo di sottosegretario alla Cultura. C'è una sola persona competente al ministero e quello sono io».
    I Cinquestelle chiedono la revoca da sottosegretario.
    «Sono passati da Grillo a Conte, si può capire la loro decadenza. Da uno che faceva un caos infernale a un poverino».
    La sua Cattura di San Pietro attribuita a Rutilio Manetti è quella rubata dal castello di Buriasco nel 2013?
    «No. Alla proprietaria hanno rubato una copia di pessima qualità. L'ho vista anni prima nel castello, in mezzo a decine di altre copie».
    Sicuro?
    «Anche nella denuncia che ha fatto la signora c'è scritto "riproduzione dell'originale che si trova in Vaticano raffigurante un giudice che condanna un uomo dal volto di San Paolo". È chiaro che quella era una copia, tenuta come una tenda davanti alla cucina. Ha elementi diversi dal mio quadro».
    Quali?
    «Il mio dipinto ha una fiaccola bellissima che illumina meravigliosamente una colonna. Ho incaricato un esperto di dimostrarne l'integrità, Maurizio Seracini».
    Dove ha trovato il quadro?
    «A Viterbo, in una villa che ho acquistato: villa Maidalchina. Un giorno sono andato lì con un signore che doveva mettere a posto il bagno e mentre sposto dei mattoni nell'intercapedine di una scala trovo una tela piegata in due che apro e riconosco subito un Manetti».
    Un miracolo.
    «È un'attribuzione mia, confortata dal fatto che in quella villa è citato un quadro con San Pietro in un inventario del 1649».
    Però l'ex proprietario dice che la villa era un rudere, privo di oggetti di valore.
    «Non c'era niente dentro che lui conoscesse o ritenesse importante, era un'officina meccanica. Ma c'erano dentro almeno 15 porte del Seicento, affreschi, cornici. Il quadro era occultato».
    Poi?
    «L'ho portato al restauratore Gianfranco Mingardi nel 2010-2011, poco dopo averlo trovato».
    Che interventi ha fatto?
    «Ha fatto solo della velinatura. Non l'ha pulito fino in fondo, ha fatto un restauro sbagliato, non ha trovato la fiaccola. L'ho dovuto fare pulire da un altro restauratore. Lui si lamentava che non lo pagavo: la sua è una forma di estorsione indiretta».
    L'ha pagato?
    «Dopo 5 anni, quando si è reso conto che non aveva fatto niente di utile, mi ha mandato una richiesta di 211 mila euro per 40 opere, ma per il Manetti non mi ha chiesto nulla. Zero».
    Poi?
    «C'era una parte opaca da pulire. L'ho dato a un restauratore romano e poi a una di Padova. Mi è costato circa 5 mila euro. Poi l'abbiamo esposto a Lucca, per la mostra Pittori della luce e ora è a Ferrara, a casa mia».
    Quanto vale?
    «Forse 50-60mila euro, non è un pittore che ha mai fatto grandi cifre. Potrei donarlo a questo punto per togliermi questa rottura».

 

 

 

09.01.24
  1. YAKY E TAVARES NON CI SARANNO :     Tutti a Milano per incontrare Mario Draghi. I vertici delle principali aziende europee, secondo quanto apprende il Corriere della Sera, vedranno l’ex premier ed ex presidente della Bce mercoledì 10 gennaio. L’incontro, a quanto risulta, si svolgerà nel palazzo della Banca d’Italia in pieno centro.

    L’incontro sarebbe stato sollecitato dall’Ert, l’European Round Table of Industry, l’organizzazione che raccoglie 59 presidenti o amministratori delegati di altrettante multinazionali. Il gruppo è presieduto da Jean-Francois Boxmeer, presidente della britannica Vodafone. Tra le aziende associate figurano, tra le altre: le francesi L’Oréal, Michelin, Total, Saint Gobain; le tedesche E.on, Basf, Deutsche Telekom, Siemens, Mercedes, Bmw, Merck; la britanniche Bp e Gsk; le multinazionali con più sedi europee come Arcelor Mittal, Shell, Rio Tinto, Unilever, Airbus; le svedesi Ericcson e AstraZeneca; le svizzere Abb e Nestlè. La lista delle italiane comprende l’Eni, rappresentata dall’amministratore delegato Claudio Descalzi; la Cir, presieduta da Rodolfo De Benedetti, Techint, con il presidente Gianfelice Rocca.

    Non sono state diffuse informazioni ufficiali sulla formula e i contenuti della riunione. Ma chiaramente è legata al nuovo incarico che la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha affidato a Draghi, il 13 settembre 2023: preparare un rapporto sulla «competitività dell’industria europea», indicando anche possibili strategie per tenere il passo di Cina e Stati Uniti.

    L’iniziativa dell’European Round Table si incrocia con le indiscrezioni su un possibile ruolo politico di Draghi a livello continentale, come numero uno della Commissione europea o, più verosimilmente, come presidente del Consiglio europeo. Di norma una delegazione della Ert incontra i leader dei Paesi che stanno per assumere la guida semestrale dell’Unione europea.

    Vedremo se il passaggio a Milano di così tanti manager di primo piano sarà l’occasione per incontri anche con ministri o rappresentanti del governo Meloni.
  2. RISCHI ELETTORALI USA : Dei nomi che compaiono tra i soggetti ripresi nei video a luci rosse in possesso di Jeffrey Epstein è quello di Donald Trump a fare più rumore. Non solo perché tutto ciò che riguarda il tycoon viene amplificato dalla grancassa mediatica che lo marca ogni giorno con perseveranza e che lui agevola per via della sua scomposta esuberanza. Ma anche perché la vicenda arriva a una manciata di giorni dall'inizio delle presidenziali Usa 2024 con le primarie repubblicane in Iowa che Trump vuole blindare per agevolare la sua cavalcata verso la nomination. Al netto delle grane che gli capitano quotidianamente, giudiziarie, politiche e a luci rosse. Come quella di ieri secondo cui Epstein sarebbe stato in possesso di registrazioni video di rapporti sessuali tra una donna e alcuni suoi amici di alto profilo, tra cui Trump, appunto, ma anche Bill Clinton, il principe Andrea e il magnate britannico Richard Branson.
    La rivelazione giunge con la pubblicazione dell'ultima tranche di documenti legati alle inchieste sul finanziere 66enne travolto dallo scandalo sessuale che lo ha visto accusato di abusi, sfruttamento della prostituzione e traffico di minori. Epstein è stato trovato morto il 10 agosto 2019 dopo essersi presumibilmente impiccato nella cella del Metropolitan Correctional Center di Manhattan, dove era recluso in attesa del processo. Le carte svelano le dichiarazioni rilasciate da Sarah Ransome, una delle sue accusatrici, secondo la quale Trump avrebbe avuto «relazioni sessuali» con una delle sue amiche nell'abitazione del finanziere a New York «in occasioni regolari». In una serie di e-mail del 2016, la donna afferma anche di avere copie delle registrazioni a luci rosse fatte da Epstein all'insaputa di alcuni vip che frequentava, tra cui appunto il tycoon, l'ex presidente americano Clinton e il fratello di re Carlo. L'amica scrive in uno dei messaggi, «mi confidò la sua casuale "amicizia" con Donald. Trump aveva un debole per la ragazza e lei mi ha raccontato di come continuava a dire quanto gli piacessero i suoi "capezzoli sodi"». «So anche che aveva regolarmente rapporti sessuali con Trump nella villa di Jeffrey a New York», prosegue.
    Trump non ha voluto commentare la vicenda, almeno sino alla serata di ieri, rimanendo concentrato sull'Iowa, dove punta ad una vittoria a tappeto che secondo i consiglieri gli darebbe uno slancio cruciale verso la nomination. Anche se il tycoon è sempre riuscito a superare indenne gli scandali sessuali, l'affare dei video hard potrebbe muovere qualche coscienza specie tra l'elettorato della destra religiosa. Ancor di più perché si inserisce in una vicenda fosca e meschina che si allarga anche al reato di pedofilia e riguarda diversi nomi illustri del jet set Usa. Se il racconto fosse fondato, troverebbe riscontro quanto rivelato da un precedente faldone di documenti sugli obiettivi reali del traffico di adolescenti orchestrato dal finanziere insieme alla compagna: offrire minorenni a «numerosi eminenti politici americani, manager, capitani d'industria, presidenti stranieri, un noto primo ministro e altri leader mondiali», allo scopo di «ingraziarseli» per la sua attività finanziaria ma anche «per ottenere potenziali informazioni ricattatorie». Come? Facendosi raccontare dall'adolescente i dettagli degli incontri sessuali, oppure filmandoli, come sostiene Ransome.
    I 17 documenti diffusi ieri - per un totale di 327 pagine - si aggiungono alla montagna di informazioni emerse negli ultimi giorni sulla rete di ricchi e potenti di Epstein. Tra loro il principe Andrea, che «trascorse settimane» nella sua villa a Palm Beach, in Florida, dove il reale caduto in disgrazia avrebbe ricevuto massaggi «quotidiani». Una ragazza, identificata solo come Jane Doe 3, ha anche accusato il Duca di York di aver preso parte ad un'«orgia» con ragazze minorenni durante uno dei suoi soggiorni nell'isola privata di Epstein ai Caraibi, quella che poi si è rivelata essere per molte ragazze la prigione dorata di St. James.
  3. MISSIONE IMPOSSIBILE : Lanci di sonde robotizzate da vari Stati del pianeta, missioni con astronauti e persino i primi turisti lontano dalla Terra. È ancora la Luna la grande protagonista dell'esplorazione spaziale nel 2024, anno che si concluderà con la prima missione di astronauti 52 anni dopo l'ultimo allunaggio Apollo.
    Il grande ritorno verso il satellite, a differenza della sfida Usa-Urss degli Anni 60, è contrassegnato da molti protagonisti. E soprattutto dalle compagnie private, come dimostra la prima missione dell'anno, iniziata con il brivido: un nuovo razzo vettore, il Vulcan Centaur, ha lanciato ieri da Cape Canaveral un modulo di atterraggio lunare chiamato Peregrine, realizzato da Astrobotic. Il lancio è andato bene, ma poi le comunicazioni si sono interrotte dopo che la batteria si è scaricata a causa di un'anomalia al sistema di puntamento del Sole. Si sospetta un problema di propulsione, il che renderebbe molto difficile un allunaggio morbido. In ogni caso la missione è anche simbolica: sul secondo stadio del razzo vi è una piccola capsula che contiene le spoglie di alcuni attori di Star Trek, oltre a campioni di Dna di alcuni ex presidenti americani. Il sito di allunaggio (previsto il 23 febbraio) è la regione Sinus Viscositatis, una zona nell'emisfero Nord, sulla faccia a noi visibile del satellite, a forte interesse geologico: lo scopo principale è trasportare sei diversi esperimenti scientifici della Nasa, che ha notevolmente contribuito ai finanziamenti.
    Come sempre un po' nell'ombra ma confermando l'intenzione di inviare astronauti sulla Luna entro il 2030, anche la Cina vuole nuovamente a stupire dopo le tre missioni degli ultimi 10 anni, tra cui Chang'e 4 – funzionante dal 2018 –, la prima sulla superficie del satellite a noi nascosta. E ora prepara per il 2024 la Chang'e 6, destinata a recuperare campioni sempre dal lato a noi non visibile e a portarli sulla Terra. I campioni sono considerati di tale interesse che persino la Nasa collaborerà con i cinesi. In programma per il 2028 c'è anche la prima circumnavigazione lunare con i «taikonauti». Equivalente della missione Artemis 2 che la Nasa lancerà a novembre.
    E i turisti lunari? Per loro è previsto un viaggio di andata e ritorno. L'interrogativo però è d'obbligo, perché bisognerà attendere gli esiti dei test (almeno 4 dopo i flop del 2023) previsti quest'anno per il razzo Super Heavy di Space X. La compagnia di Elon Musk comunque punta – per dicembre - all'invio verso la Luna della sua astronave Starship, con a bordo il gruppo di otto artisti invitati dal miliardario giapponese Y?saku Maezawa per dearMoon, il nome della missione. Comunque sia, il traffico sulla Luna si intensificherà da febbraio, con il tentativo di allunaggio della sonda giapponese Slim, lanciata a settembre. E sempre in febbraio un'altra sonda di un'azienda privata verrà lanciata da SpaceX: è il modulo automatico di allunaggio Nova C di Intuitive Machines con a bordo diversi payload commerciali. Un successivo lancio, in primavera, porterà sulla Luna altri carichi scientifici sempre della stessa azienda statunitense.
    Le ultime settimane del 2024 saranno intense. A novembre è prevista una nuova missione di Astrobotic, che trasporterà sulla Luna il rover Viper della Nasa (realizzato in collaborazione con la Thales Alenia space), alla ricerca di ghiaccio nel cratere Nobile al Polo Sud. L'attenzione globale, però, sarà su Artemis 2, che si prevede porterà a Cape Canaveral 700 mila visitatori: i numeri delle storiche Apollo e del primo lancio dello Space Shuttle. È la missione che riporterà astronauti verso la Luna e ritorno per la prima volta dopo l'Apollo 17, del dicembre 1972. L'allunaggio non è previsto, ma spinti dal potente Space Launch System e a bordo della capsula Orion, vi saranno 4 astronauti. Per 10 giorni, il comandante Reid Wiseman, il pilota Victor Glover e la specialista di missione Christina Koch, tutti e tre della Nasa, insieme con lo specialista Jeremy Hansen dell'agenzia spaziale canadese (Csa), si inseriranno in orbita cislunare e arriveranno a una distanza dalla Terra mai raggiunta da un essere umano, superando il record di oltre 400 mila chilometri dell'Apollo 13.
    Il primo allunaggio invece, con Artemis 3, resta fissato a fine 2025 ma quasi certamente slitterà. Si attendono i progressi dell'astronave Starship di SpaceX: in caso contrario la Nasa guarda a un piano B, con i moduli progettati da Blue Origin e Dynetics. L'astronave Starship in versione lunare è alta 45 metri, gli astronauti non potranno più scendere sulla Luna con una scala: ecco perché è stato già realizzato (e testato) una sorta di ascensore, grazie a cui l'uomo potrebbe tornare sulla Luna. Il 2024 aiuterà a capire quanto è vicino quel momento.
  4. MENEFREGHISMO : Sei su sei. È un en-plein al contrario quello che si registra, da cinque giorni, alla stazione di Porta Nuova. Nel principale scalo ferroviario di Torino, infatti, sono fuori servizio tutti gli impianti che porterebbero sotto terra, verso i convogli della metropolitana (e viceversa). Sono bloccate le quattro scale mobili, due nell'atrio principale e due sulla banchina esterna, lungo corso Vittorio Emanuele II, e lo stesso vale per i due ascensori, entrambi all'ingresso. Un problema dettato in alcuni casi da guasti e in altri da manutenzioni in corso, che incidono sulla qualità del servizio del trasporto pubblico della città. Per i passeggeri di treni e metrò, che abbiano un bagaglio pesante o siano alle prese con problemi di deambulazione, non c'è infatti alternativa alle scale in pietra.
    Ad accorgersene, giovedì 4 gennaio, è stato Roberto Demichelis, segretario dello Spi Cgil di San Salvario, il sindacato dei pensionati del quartiere. È stato lui, dopo essere sceso ai binari di Porta Nuova, a trovare la strada sbarrata verso i convogli del metrò. Non ha perso tempo e ha scattato due foto agli impianti fermi, che ha poi postato sui social, accompagnandole con una richiesta precisa: farli ripartire al più presto.
    I sei impianti sono fermi per motivi diversi. Le due scale mobili nell'atrio, gestite da Rfi, sono in manutenzione da giovedì. Per loro una data di riattivazione non è stata fissata, ma i lavori non dovrebbero durare più di qualche settimana. Quando ripartiranno, saranno subito rimessi in funzione anche i due ascensori, a loro volta nell'atrio, sempre in capo a Rfi. Il loro blocco, infatti, non è dovuto a un guasto, ma al fermo delle scale stesse: nell'interdire al pubblico, al piano interrato, l'accesso a queste ultime, i tecnici di Rfi hanno chiuso anche l'area che porta agli ascensori, che si trova di fronte ad esse.
    Sono invece ferme per problemi tecnici le due scale mobili esterne, in capo a Gtt. Quella sul lato Ovest è bloccata dal 20 ottobre per un guasto all'albero motore, quella sul lato Est dall'inizio di quest'anno per un problema alla catena del motore. Gtt conta di riattivare la prima la prossima settimana.

 

 

08.01.24
  1. ANDRANNO IN PARADISO:  A Natale è arrivata una ragazza nigeriana. Camminava per strada assieme al figlio di quattro anni. Erano stati respinti. Scaricati al confine. Lei teneva in mano il foglio della polizia francese: «Refus d'entrée».
    «La cosa che mi fa più arrabbiare è che Maryam ha creduto a un maledetto passeur. Ha pagato 150 euro per lei e 150 euro per il figlio. Tutti i soldi che le restavano. E per cosa? Quello li ha caricati su un treno alla stazione di Ventimiglia. "Sicuro", ripeteva. "Sicuro, arriverete in Francia". Ma tutti sappiamo cosa succede su quei treni».
    Adesso Maryam è qui. Il figlio gioca con l'asinello preso dal presepe. Hanno un piatto di pasta in tavola. Perché c'è una casa sul confine Nord-Ovest italiano dove finiscono i respinti e dove si fermano i viaggiatori del mondo. È la casa di due pensionati italiani, che hanno ospitato più di 600 migranti negli ultimi quattro anni. «Quando, alla fine di luglio del 2020, la giunta di centrodestra ha chiuso l'unica struttura di accoglienza che c'era ancora a Ventimiglia, il Campo Roja, vedevamo questi ragazzi e queste ragazze sulle strade. Non è stata una decisione solenne, la nostra. È andata così. Forse perché ci siamo conosciuti negli scout, e quando sei scout lo sei per tutta la vita».
    Lei si chiama Loredana Crivellari, è un'infermiera in pensione. Nata a Vercelli da un padre veneto e da una madre emiliana. «Tutte le storie degli esseri umani sono storie di migranti», dice. E infatti, lui si chiama Filippo Lombardo, è un artigiano edile di Reggio Calabria arrivato a Ventimiglia per cercare lavoro. Si sono comprati questa casa sul crinale della città vecchia con quarant'anni di sacrifici. Adesso è aperta a tutti. E loro due, insieme, sono quelli del furgoncino rosso.
    «Ci dividiamo i compiti. Filippo va con il furgone quando sappiamo che ci sono delle donne o delle famiglie in mezzo alla strada. Lui ha denunciato molti passeur, conosce tutti. È andato anche dai carabinieri a spiegare quello che stiamo facendo. Io sono più brava con l'accoglienza, qui a casa». C'è il camino acceso. Maryam ha bisogno di dormire un po'. Il figlio guarda fuori dalla finestra.
    «In queste ultime settimane la frontiera francese è diventata invalicabile», dicono Loredana Crivellari e Filippo Lombardo. «Hanno messo i droni. Hanno chiuso i sentieri di montagna. Hanno mandato moltissimi agenti. Quando sali sul treno a Ventimiglia, ti fanno scendere alla stazione di Menton Garavan. La prima. Così è successo a Maryam con il suo bambino: una notte nel container, il foglio di via. E poi li hanno lasciati in un punto in cui avrebbero dovuto camminare per 12 chilometri». Loro, i pensionati scout, stanno lì: in quel pezzo di frontiera dove gli Stati si rimpallano uomini, donne e bambini.
    «Il primo si chiamava Hussain. Era un ragazzo tunisino. Lo abbiamo trovato malconcio, era stato picchiato. Siamo sempre rimasti in contatto. Era un pescatore di Sfax, adesso è un operaio specializzato in pareti di cartongesso ad Amsterdam».
    Non hanno mai avuto paura. Anzi, capita il contrario. «Quando tu avvicini queste donne che sono state violentate e imprigionate in Libia, donne in viaggio da anni, donne che hanno attraversato il mare, senti tutta la loro preoccupazione. Non si fidano più di nessuno. E se tu offri un letto o del cibo, loro pensano: cosa vorranno in cambio?». La terza cosa che offrono Loredana Crivellari e Filippo Lombardo forse è la più preziosa di tutte: consigli per non diventare vittime della frontiera.
    Qui a Ventimiglia ci sono stati feriti e morti di tutti i tipi: folgorati in galleria, precipitati da un sentiero, impazziti di alcol e crack al ventesimo respingimento, colpiti alla testa da poliziotti francesi durante un tentativo. «Adesso, diciamo a tutti di non tentare neppure. Sono altre le via da fare, in questo momento. Lo abbiamo detto anche a Maryam».
    La gente ti guarda in modo strano se lasci aperte le porte di casa. «Non ce ne siamo mai dovuti pentire», dice la signora Crivellari. «Nessuno ha mai portato via un solo euro. Certe ragazze hanno usato i miei profumi del bagno, questo sì. Ma le capisco».
    Un caffè caldo sul tavolo, pioggia alla finestra. Altri respinti sulla strada della frontiera. Arriva il messaggio vocale di un ragazzo pakistano che era stato qui nel 2023: «Per favore, sta arrivando mio fratello Ghulam. Per favore andate a prenderlo alla stazione, aiutatelo come avete fatto con me».
    «Questa è la cosa più bella. I rapporti che restano nel tempo. Vedere le facce cambiate. Nulla rende più stanchi di questa assurda guerra della frontiera. Alla fine, riescono a passare quasi tutti. E quando sono passati, scrivono per ringraziare e mandano una foto». Come fate con le lingue diverse? «C'è un linguaggio comune che supera i problemi. L'argomento è universale. È una cosa che definisco magica. Ci siamo sempre capiti con tutti, anche con i curdi che non conoscono neppure una parola di inglese». E fra voi, come avete fatto? Avete mai litigato? «No, abbiamo un po' discusso per certi casi che ci hanno messo alle corde, persone un po' ostiche che ci hanno abbastanza sfinito o perché avevano troppo pretese o perché era difficile gestire la situazione. Alle volte l'afflusso è massiccio, anche trenta persone in una settimana. Ma litigi, mai. Perché io e Filippo siamo d'accordo su quello che facciamo e ognuno di noi apprezza le capacità dell'altro».
    In questa casa sulla frontiera i migranti hanno cucinato i loro piatti preferiti. Hanno pregato. Hanno aiutato con le pulizie. Hanno fatto il carico di legna. Hanno ripreso fiducia e forza. «All'inizio lavoravamo ancora, lasciavamo la casa a loro».
    Così va ai due pensionati del furgone rosso. E seppure il finale della storia si addica poco a questi tempi odiosi, eccolo nelle parole della signora Crivellari: «In questi anni abbiamo capito che aiutare gli altri è bellissimo, ti cura l'anima. Questa è la verità».
  2. COPPI IL MIGLIOR AVVOCATO PENALISTA ITALIANO: «Chi ha ucciso Simonetta Cesaroni è un mostro. Solo un mostro può aver fatto scempio del suo corpo in modo così atroce. Ma quel mostro, signori della corte, non è Raniero Busco». Con queste parole si aprì l'arringa del professor Franco Coppi in corte di Assise, il 26 aprile 2012, che portò all'assoluzione dell'ex fidanzato di Simonetta Cesaroni. Una storia senza fine, quella del delitto di via Poma, che è tornata alla ribalta tre giorni fa quando i carabinieri hanno chiesto alla Procura di indagare Mario Vanacore, il figlio del portiere dello stabile.
    Professor Coppi, nel 2012 disse anche "Non so se il mostro è ancora vivo, probabilmente sta spiando questo processo come un pipistrello sinistro. Continuerà ad uccidere Simonetta ogni giorno fin quando non sarà scoperto". Sta per succedere?
    «Il tipo di delitto dà l'idea che a commetterlo sia stato qualcuno che non stava molto bene con la testa. Capisco l'ansia della famiglia di conoscere la verità, ma il tempo non giova alle indagini e più il tempo passa più eventuali prove, di qualsiasi tipo, svaniscono o si perdono del tutto. Con una ricostruzione dei fatti a 30 anni e la maggior parte dei testimoni che non ci sono più, credo che il tentativo non possa avere grande successo. Mi chiedo anzi, se non sia il caso di tornare sul tema della prescrittibilità anche per i reati come l'omicidio. È vero che è il più grave di tutti i reati ma ha senso continuare ad aprire indagini dopo 30 anni o non è invece più "sensato" e apprezzabile, anche in termini di amministrazione della giustizia, chiudere la partita quando dopo un certo numero di anni si capisce di non riuscire a raggiungere la verità? ».
    A meno di non avere la prova della "pistola fumante".
    «Ma non mi sembra il caso di via Poma, né di molti altri "cold case". Anche se capisco, ripeto, le ragioni della famiglia della vittima. Ma con questo ragionamento tutte le persone che in qualche modo hanno gravitato intorno a via Poma e a Simonetta potrebbero essere sottoposte a indagine da un momento all'altro».
    Quindi c'è anche un problema di garanzie?
    «Certo».
    Lei ha difeso Raniero Busco, anche in quel caso l'inchiesta fu riaperta dopo 20 anni "scordandosi" in giudizio una perizia fondamentale come quella fatta all'epoca dal direttore dell'Istituto di medicina legale Angelo Fiori secondo cui sulla scena del crimine c'era il sangue della vittima e di un'altra persona che non era però Busco.
    «E c'era anche il problema del morso che sarebbe stato inferto da Busco alla Cesaroni e che non corrispondeva alla dentatura di Busco. Ci fu molta superficialità all'inizio nella valutazione delle prove».
    Ora nel mirino degli inquirenti è finito Mario Vanacore, figlio di Pietro, a lungo sospettato a sua volta e morto in circostanze mai chiarite.
    «Bisognerebbe conoscere gli atti, ma se il pubblico ministero stesso chiede l'archiviazione significa che ci troviamo di fronte al nulla, perché se ci fosse uno spiraglio di prove avrebbe deciso diversamente. L'accusa ritiene che non ci siano elementi che giustifichino indagini. Probabilmente non si andrà oltre, ma intanto si sta consumando il più pericoloso dei processi».
    Quello mediatico? Il mostro sbattuto in prima pagina?
    «Certo nome, cognome, foto. È una cosa inaccettabile perché ci sarà sempre qualcuno convinto che potrebbe essere lui e che spiegherà tutti i comportamenti del padre come volti a proteggere il figlio».
    Quando lei si occupò del caso di via Poma, difendendo Busco, si era fatto un'idea alternativa?
    «No, anche perché io in genere quando affronto un processo mi preoccupo solo di vedere se l'accusa nei confronti dell'assistito è fondata o meno. Non ho mai cercato di difendere andando a cercare piste alternative. Se fosse necessario probabilmente lo farei, ma non mi è mai capitato».
    La premier Giorgia Meloni ha parlato del caso di Beniamino Zuncheddu, scarcerato dopo 32 anni di ingiusta detenzione e in attesa della sentenza della Corte d'appello penale di Roma sul giudizio di revisione. Quanto è frequente dalla sua esperienza l'errore giudiziario?
    «Non è infrequente che persone innocenti siano raggiunte da misure cautelari e poi alla fine assolte. Questo è tutto sommato fisiologico, la tragedia è quando vengono condannati in via definitiva degli innocenti, come nel caso del pastore sardo».
    Lei cita sempre il caso di Sabrina Misseri e di sua madre Cosima. Lei è convinto della loro innocenza nonostante l'ergastolo a cui sono state condannate?
    «È il mio dramma. Si per me sono innocenti e non so come urlare la loro innocenza. L'idea di morire senza essere riuscito ad aiutarle è una angoscia che mi accompagna giorno per giorno».
  3. QUANTI TOSSICI DECIDONO NELLE AZIENDE ? Elon Musk e i suoi sostenitori offrono diverse spiegazioni per le sue opinioni controverse, i discorsi senza filtri e le buffonate provocatorie. Sono un'espressione della sua creatività. O il risultato delle sue problematiche mentali. Oppure sono il risultato dello stress o della mancanza di sonno.
    Negli ultimi anni, alcuni dirigenti e membri del consiglio di amministrazione delle sue aziende e altre persone vicine al miliardario hanno sviluppato la persistente preoccupazione che ci sia un'altra componente che guida il suo comportamento: l'uso di droghe.
    E temono che tale utilizzo da parte dell'amministratore delegato di Tesla e SpaceX possa avere conseguenze importanti non solo per la sua salute, ma anche per le sei aziende e i miliardi di asset che supervisiona. A spiegarlo sono persone che hanno familiarità con Musk e le società che controlla.
    La persona più ricca del mondo ha fatto uso di Lsd, cocaina, ecstasy e funghi psichedelici, spesso in occasione di feste private in giro per il mondo, dove gli invitati firmano accordi di non divulgazione o rinunciano ai loro telefoni per entrare, secondo le persone che hanno assistito al suo uso di droghe e altre che ne sono a conoscenza. Musk ha già fumato marijuana in pubblico e ha dichiarato di avere una prescrizione per la ketamina, una sostanza psichedelica.
    Nel 2018, per esempio, Musk ha assunto diverse pastiglie di acido durante una festa da lui stesso organizzata a Los Angeles. L'anno successivo ha festeggiato con i cosiddetti "funghi magici" durante una serata in Messico. Nel 2021 ha assunto ketamina a scopo ricreativo con il fratello, Kimbal Musk, a Miami durante una festa in casa durante un appuntamento legato alla kermesse Art Basel. Inoltre, ha assunto droghe illegali con l'attuale membro del consiglio di amministrazione di SpaceX ed ex Tesla, Steve Jurvetson.
    Persone vicine a Musk, che ora ha 52 anni, hanno dichiarato che il suo consumo di droghe è continuo, soprattutto quello di ketamina, e che temono che possa causare una crisi significativa per la sua salute personale. Anche se non dovesse accadere, potrebbe danneggiare le sue attività.
    L'uso illegale di droghe costituirebbe probabilmente una violazione delle politiche federali che potrebbe mettere a rischio i contratti governativi di SpaceX, del valore di miliardi di dollari. La figura professionale di Musk è intrecciata in modo indissolubile al valore delle sue aziende, e così si potrebbero mettere a rischio circa 1.000 miliardi di dollari di asset detenuti dagli investitori, e quindi decine di migliaia di posti di lavoro e gran parte del programma spaziale statunitense.
    SpaceX è l'unica azienda statunitense attualmente autorizzata a trasportare gli astronauti della Nasa da e verso la Stazione Spaziale Internazionale. Il Pentagono, nel frattempo, ha intensificato gli acquisti di razzi SpaceX negli ultimi anni e la compagnia sta anche cercando di sviluppare l'attività di vendita di servizi satellitari alle agenzie di sicurezza nazionale.
    Una ex direttrice di Tesla, Linda Johnson Rice, si è sentita così frustrata dal comportamento instabile di Musk e dalle sue preoccupazioni per il consumo di droghe che non si è candidata per la rielezione nel board della società di auto elettriche nel 2019, secondo quanto riferito da soggetti vicino al dossier. A esplicita domanda, Musk non ha risposto alle richieste di commento.
    Uno degli avvocati del miliardario di origine sudafricana, Alex Spiro, ha dichiarato che Musk viene sottoposto «regolarmente e casualmente a test antidroga presso SpaceX e non ha mai fallito un test». Spiro, che ha detto di rappresentare Tesla, ha aggiunto, in risposta a domande dettagliate, che «ci sono altri fatti falsi» in questo articolo, ma non ha fornito dettagli a riguardo.
    Le persone che circondano Musk si sono abituate da tempo al suo comportamento scostante. Alcuni dirigenti di SpaceX che hanno lavorato a lungo con lui, tuttavia, hanno notato un cambiamento durante un evento aziendale alla fine del 2017.
    Centinaia di dipendenti di SpaceX si sono riuniti intorno al controllo della missione presso la sede della società missilistica a Hawthorne, in California, in attesa di Musk, che è arrivato con quasi un'ora di ritardo (...).
    Quando finalmente è salito sul palco, Musk è stato a tratti stranamente incomprensibile. Secondo i dirigenti presenti, ha farfugliato per circa 15 minuti e si è riferito ripetutamente al prototipo Big Falcon Rocket di SpaceX, noto come BFR, ovvero "Big F-ing Rocket". Il presidente di SpaceX, Gwynne Shotwell, è intervenuto e ha ripreso la riunione non senza imbarazzo.
    Non è stato possibile avere contezza se Musk fosse sotto l'effetto di alcool quel giorno. Ma dopo la riunione, i dirigenti di SpaceX hanno parlato in privato delle loro preoccupazioni che Musk fosse sotto l'influenza di droghe. Uno di loro ha descritto l'evento come «insensato», «squinternato» e «ridicolo». Spiro ha definito la descrizione dell'incidente di SpaceX «falsa, come confermato da innumerevoli persone che erano presenti». Ha inoltre rifiutato di approfondire cosa fosse falso nello specifico o di descrivere le innumerevoli persone.
    Poi, nel 2018, secondo persone che hanno familiarità con il comportamento di Musk, un altro incidente sembra segnare un punto di svolta per lui, dimostrando che l'uso di droghe potrebbe avere conseguenze per le sue attività. Quell'anno, Musk ha avuto problemi con la Nasa per aver fumato marijuana durante il Joe Rogan Show, sollevando alcuni dubbi sull'impatto commerciale della condotta di Musk e facendo sì che i dipendenti di SpaceX venissero sottoposti a test antidroga a campione.
    Oltre a violare i contratti federali, qualsiasi tipo di uso illegale di droghe violerebbe le politiche aziendali sia di SpaceX sia di Tesla e solleverebbe dubbi sul ruolo esecutivo di Musk nella Tesla, quotata in Borsa, dove il consiglio di amministrazione ha il dovere di supervisionare la gestione nei confronti degli azionisti.
    (...) Parte del problema che gli amministratori hanno affrontato nel corso degli anni è se l'uso di droghe da parte di Musk sia da attribuire al suo comportamento insolito, o se si tratti di qualcos'altro, come la sua costante privazione del sonno, di cui ha spesso parlato sui media.
    Musk supervisiona sei società, tra cui la piattaforma di social media X, l'ex Twitter, la sua impresa di tunneling, The Boring Co., la sua start-up di impianti cerebrali, Neuralink, e una nuova società di intelligenza artificiale, xAI. La sua vita professionale si intreccia con quella personale in un modo insolito anche per altri amministratori delegati.
    Per quanto riguarda Tesla e SpaceX, ha dichiarato di dormire regolarmente in ufficio. Non solo. Spesso manda e-mail ai luogotenenti dell'azienda nel cuore della notte e organizza riunioni di lavoro a mezzanotte. Ha dichiarato di lavorare quasi ininterrottamente. «Vacanza è una parola forte», ha detto nella testimonianza in tribunale del 2022. «Per me è un'e-mail non vista».
    In una nuova biografia autorizzata di Musk, l'autore Walter Isaacson ha descritto la «modalità demoniaca» di Musk: il magnate, scrive Isaacson, entrava in uno stato di intensa furia e si scagliava spesso contro dipendenti e dirigenti. Nel libro di Isaacson, Musk viene citato per aver detto: «Non mi piace affatto fare uso di droghe illegali».
    (...)Nel 2023, il Wall Street Journal ha riportato che Elon Musk assume microdosi di ketamina per la depressione e ne assume anche dosi massicce durante le feste. Dopo la pubblicazione dell'articolo, Musk ha twittato che la ketamina è un modo migliore per affrontare la depressione rispetto agli antidepressivi ampiamente prescritti che «zombificano» le persone.
    (...) In Tesla l'attuale presidente del Board, Robyn Denholm e gli altri dirigenti si sono spesso riuniti in modo informale con il fratello Kimbal per sapere se Elon dormisse abbastanza, e anche se non facevano domande specifiche sull'uso di sostante, quello era percepito come vero. (...) Rice, che non si è ricandidata per le rielezione nel 2019, ha sollevato più volte l'argomento e le sue preoccupazioni durante le conversazioni con gli altri membri del cda. Senza ottenere risposte.
  4. MANCA MARELLA CARACCIOLO IN AGNELLI: Nella luce e nelle ombre dei grandi uomini, nei loro successi, nelle loro crisi, nelle loro incoerenze. Eppure talmente forti da prendersi la scena e restare impresse nella mente. Il cinema sui maschi, fatto dai maschi, non può prescindere da una realtà che brilla nitida: inquadrare al meglio le biografie di personaggi celebri significa quasi sempre metterne a fuoco il rapporto con il femminile, con quelle mogli, o amanti o fidanzate, dal ruolo cruciale che hanno plasmato le personalità dei loro compagni. Nei film più importanti della stagione, compresi quelli in corsa per gli Oscar, la tendenza è prevalente, un segno distintivo che appare in tanti titoli, tutti concentrati su un'immagine virile che viene fuori a tutto tondo solo grazie a quella della donna che l'affianca. Gli esempi sono eclatanti e non sarà un caso se, per assistere a una vicenda in cui il divo dal talento sfavillante è sullo sfondo e l'amore della sua vita in primo piano, bisognerà aspettare l'uscita di Priscilla, diretto, guarda un po', da una donna, Sofia Coppola, e totalmente sorretto dalla prova di Cailee Spaeny, Coppa Volpi a Venezia, già in odore di candidatura ai prossimi Oscar.
    Nel biopic Maestro dedicato al musicista e direttore d'orchestra Leonard Bernstein, il regista e protagonista Bradley Cooper affronta di petto il tema dell'omosessualità di lui, coniugata, per tutta la vita, con l'amore potente, indistruttibile, nutrito per la moglie Felicia Montealegre: «Volevo che al centro del film ci fossero loro due - ha spiegato Cooper - così da mostrare la verità sul loro matrimonio. Si potrebbe dedicare un film intero solo all'esplorazione della fluidità sessuale di Leonard, ma sarebbe stato un altro film. Mi interessava, invece, descrivere il legame con Felicia, perché penso che quello fosse la base di tutto. Come poteva essere vivere in una struttura familiare eterosessuale, pur sapendo le verità dell'uno e dell'altra?».
    Essere insostituibili non significa avallare, cancellare se stesse, farsi da parte. Vincono la tenacia e anche la disperazione. Il faccia a faccia in cui Penelope Cruz affronta, con vestaglia e pistola in mano, il marito Enzo Ferrari (Adam Driver) è uno dei momenti alti del film che Michael Mann ha dedicato al leggendario ex-pilota, dirigente sportivo e imprenditore. Il racconto si sviluppa intorno al rapporto dilaniante con la moglie tradita Laura, cui Ferrari resterà, nonostante tutto, legato per sempre. Nel monumentale Oppenheimer di Christopher Nolan succede che le donne siano presenze/assenze fondamentali, un po' incubo, un po' sogno, in linea con un'abitudine che rifletterebbe la difficoltà del regista nel ritrarre il femminile. Stavolta, però, sia la moglie Katherine (Emily Blunt) che l'amante di gioventù Jean Tatlock (Florence Pugh), impongono, con i loro diversi profili, un cambio di prospettiva, una resa dei conti cui nemmeno l'inventore della bomba atomica può sfuggire: «Mi è piaciuto - ha confessato Blunt - interpretare un personaggio femminile che non vuole piacere ad ogni costo, che non è amata da tutti e che, anzi, mostra un carattere scomodo». Con lei, nei giorni dell'isolamento a Los Alamos, l'Oppenheimer interpretato da Cillian Murphy divide eccessi, alcol e sigarette, un menage lontanissimo dallo stereotipo Anni 50.
    Per Ridley Scott la scelta di raccontare l'epopea di Napoleone Bonaparte (Joaquin Phoenix) puntando l'obiettivo sulla moglie Giuseppina (Vanessa Kirby) risponde alla voglia di ritrarre un condottiero egotico, indebolito dal culto di sé stesso e capace di essere autentico solo sul campo di battaglia e nelle stanze in cui può lasciarsi andare alla passione per l'avvenente compagna, la bella creola, come veniva definita a corte, cui fu costretto a rinunciare in nome di un erede che non arrivò: «Giuseppina era un'outsider - ha osservato Kirby - proprio come Napoleone, si capivano profondamente, si identificavano l'uno nell'altra». Senza Giuseppina, l'imperatore non avrebbe potuto vincere e perdere le sue guerre, sul letto morte le sue ultime parole furono per la prima, adorata, moglie. Anche nel cinema dei prossimi mesi accanto a ogni grande uomo, non più dietro come si diceva un tempo, c'è sempre una grande donna. È questa la novità.
  5. ECCO PERCHE' BISOGNA FERMARE L'INCENERITORE CHE UCCIDE CON LE NANOPOLVERI : Secondo la legge regionale per la gestione dei rifiuti esiste ancora una quantità notevole di scarti che giustifica la realizzazione di un secondo inceneritore in Piemonte. In quel testo, però, non vengono indicati siti e nemmeno se esistano soluzioni alternative al termovalorizzatore che siano praticabili dal punto di vista economico, ambientale ma anche di impatto sociale. Il compito è stato affidato ad un'autorità d'ambito che sarà guidata da Paolo Foietta, attuale presidente della conferenza intergovernativa della Torino-Lione e che nei primi anni Duemila come dirigente della provincia di Torino avviò l'iter per la costruzione dell'inceneritore del Gerbido.
    Foietta la prima mossa tocca a lei. Che cosa farà?
    «Oggi, a differenza di allora, in Piemonte non c'è una situazione di emergenza e questo permetterà di lavorare con più serenità. Ma deve essere chiaro a Consorzi, Provincie, Città Metropolitana e ai Comuni, con amministrazioni spesso politicamente disomogenee, che senza uno spirito di condivisione e sostegno, analogo a quello di vent'anni fa, non si andrà da nessuna parte».
    E quindi? Quale sarà la sua strategia?
    «Per prima cosa studieremo ed ascolteremo le esigenze dei consorzi e delle amministrazioni locali. Non ci saranno scelte imposte dall'alto ma imposteremo un percorso che dovrà portare, entro la fine dell'anno, alla proposta da sottoporre ai diversi attori istituzionali»
    Cosa ci sarà nella proposta?
    «Sarà individuato il come, il quando e in quale forma dare attuazione alla legge regionale. E in quella proposta – che non sarà blindata ma metterà sul tavolo i possibili scenari di gestione - ci saranno anche le regole per garantire un controllo a livello locale sulla sicurezza dell'impianto e le compensazioni economiche».
    Ma c'è davvero bisogno di un secondo inceneritore?
    «Secondo i dati del piano regionale rifiuti e bonifiche aree inquinate ci sono 143 mila tonnellate di scarti, 150 mila tonnellate di rifiuti speciali e 9000 di carattere sanitario che potrebbero finire nel termovalorizzatore. Questo scenario tiene conto della necessità di raggiungere a livello regionale almeno l'82% di raccolta differenziata e di ridurre la produzione dei rifiuti urbani a livello regionale a meno di 2 milioni di tonnellate entro il 2035».
    Trm, la società che gestisce l'inceneritore di Torino ha messo a punto un piano industriale che prevede la costruzione di una quarta linea nel 2028. Può essere questa la soluzione del problema?
    «È una delle ipotesi che dovrà essere valutata tenendo conto delle necessità di tutta la regione. Secondo il piano regionale un secondo impianto potrebbe anche essere localizzato nel quadrante nord-est oppure nel quadrante sud est. Ci lavoreremo insieme ai territori».
    Dunque, ci sono tre opzioni in campo?
    «Nessuna decisione, lo ripeto, è stata ancora presa. L'Autorità dovrà anche tener conto della realtà e della grande varietà di soluzioni per lo smaltimento presenti a livello regionale: si va dalle discariche alla termovalorizzazione, al trattamento ed al successivo conferimento ai cementifici oppure ad impianti di altre regioni. Il nostro lavoro dovrà tener conto di questa situazione cercando di coordinare e razionalizzare le diverse soluzioni così come di uniformare le tariffe».
    Ci sono alternative?
    «Esistono diverse tecnologie: impianti di trattamento meccanico biologico che riducono il volume e la quantità del rifiuto, biodigestori per produrre biogas e compost. Alla fine di questi processi resta però una certa quantità di materia da smaltire in discarica o al termovalorizzatore. Sono soluzioni efficienti in genere per piccoli impianti e non credo compatibili con le quantità di smaltimento residuo previste dalla Regione».

 

 

 

 

 

07.01.24
  1. QUALCUNO PUO' AVER UCCISO Epstein ? Durante un'udienza su cauzione nel luglio 2019, il team legale dell'ex finanziere Jeffrey Epstein ha dichiarato che il loro cliente aveva un patrimonio di oltre 550 milioni di dollari.

    Il 66enne tycoon stava affrontando una serie di gravi accuse di traffico sessuale in un caso che ha attirato l'attenzione del mondo a causa delle potenziali ramificazioni con alcuni personaggi pubblici di altissimo profilo, tra i quali Bill Clinton, Donald Trump, il principe Andrea, Stephen Hawking, Michael Jackson, Noemi Campbell, David Copperfield.

    Tra le numerose domande importanti sul suo comportamento, sui suoi amici e sul suo destino ce n'era una che era centrale nella bizzarra vita di Epstein: da dove venivano tutti quei soldi?

    Contrariamente a quanto alcuni potrebbero pensare, conosciamo la risposta. Ma un mistero monumentale nella storia della sua fortuna rimane ancora oggi irrisolto.

    Secondo la maggior parte dei resoconti, Epstein era felice di raccontare la sua storia alle persone con cui faceva affari. Nato da una famiglia della classe media a Coney Island, New York City, nel gennaio 1953, dopo aver abbandonato il college, trovò lavoro come insegnante di matematica alla Dalton School della città.

    Si dice che la sua passione per l'argomento abbia attirato l'attenzione di Alan "Ace" Greenberg, padre di uno dei suoi studenti e amministratore delegato della banca di investimenti Bear Stearns, che gli disse che era sprecato nell'insegnamento e che avrebbe dovuto lavorare a Wall Street. .
    Nel 1976, Epstein iniziò a lavorare presso la banca d’affari Bear Stearns. Salì rapidamente di grado – grazie alle sue abilità matematiche, secondo quanto riferito – e nel giro di quattro anni era divenne un socio accomandante. Ma l’anno successivo venne licenziato.

    Alcuni media suggeriscono che fosse semplicemente desideroso di avviare la propria impresa, ma un'indagine del Wall Street Journal ha scoperto che era stato licenziato dopo essere stato accusato di aver assegnato azioni a qualcuno che si credeva fosse la sua ragazza, oltre ad altre infrazioni.

    Epstein finì presto per avviare la propria attività di gestione patrimoniale: J. Epstein and Co. (in seguito ribattezzata Financial Trust Co.), che iniziò ad operare nel 1982. È qui che entra in gioco il mistero. Quasi immediatamente, questo finanziere di livello relativamente medio ha gestito con successo la propria azienda con una regola straordinariamente ardita: non avrebbe accettato un cliente con un valore inferiore a 1 miliardo di dollari.
    Secondo un articolo del 2002 apparso sul New York Magazine, Epstein iniziò subito a raccogliere clienti. Uno in particolare, arrivato tra la metà e la fine degli anni Ottanta, gli avrebbe cambiato la vita.
    Les Wexner è il gigante commerciale dietro L Brands, che un tempo gestiva rivenditori tra cui Victoria's Secret e Abercrombie & Fitch, che assunse Epstein come gestore patrimoniale quando la sua fortuna stava aumentando vertiginosamente.

    Negli anni successivi, il rapporto tra i due divenne insolitamente stretto. Lungi dal limitarsi a fornire consulenza sugli investimenti, Epstein ottenne la procura, conferendogli il controllo assoluto sulla ricchezza di Wexner e portandolo persino a scrivere l'accordo prematrimoniale del suo cliente prima del suo matrimonio.

    Il Wall Street Journal ha scoperto che Epstein ha guadagnato circa 200 milioni di dollari dal suo lavoro per Wexner in un periodo di circa 20 anni. Negli anni '90 e 2000, secondo quanto riferito, avrebbe guadagnato altri milioni inserendosi in vari importanti affari per alcune delle persone più ricche del mondo e le più grandi istituzioni finanziarie.

    Tutto ha iniziato a disintegrarsi intorno al 2007, quando ha raggiunto un accordo con i pubblici ministeri federali e si è dichiarato colpevole di adescamento e procacciamento di una minore per la prostituzione, scontando infine 13 mesi in un programma di rilascio dal lavoro.



    Wexner interruppe il rapporto con Epstein, così come la banca JP Morgan con la quale era stato pesantemente coinvolto per diversi anni. Tuttavia, 12 anni dopo, se la passava ancora abbastanza bene da consentire ai suoi avvocati di dichiarare beni per più di mezzo miliardo di dollari, comprese quattro case e due isole. Il mese successivo a quella dichiarazione, Epstein era morto.

 

 

 

06.01.24
  1. Piccoli azionisti contro multinazionali Record di campagne dei fondi attivisti
    Chiara Saraceno
    Un anno fa l'organizzazione non profit Oxfam titolò il suo rapporto annuale sulle disuguaglianze economiche nel mondo "La sopravvivenza dei ricchi". Esso infatti segnalava come, in un periodo caratterizzato da un susseguirsi e accavallarsi di crisi e incertezze forse senza precedenti, che provocavano un netto peggioramento nelle condizioni di vita di milioni di persone nel mondo, i più ricchi avevano aumentato la loro ricchezza e i profitti delle corporazioni avevano raggiunto livelli da record, con conseguente esplosione delle disuguaglianze a livello mondiale, tra Paesi e all'interno di ciascun Paese. In particolare, l'1% più ricco della popolazione mondiale si era appropriato di quasi due terzi di tutta la nuova ricchezza, per quasi il doppio del valore andato invece al 99% del resto della popolazione. In compenso, solo il 4% delle imposte deriva dalla tassazione della ricchezza e la metà dei miliardari ha la propria residenza in Paesi in cui l'eredità non è tassata.
    In attesa del nuovo rapporto Oxfam, dati dell'Osservatorio JobPricing commentati ieri su questo giornale da Marianna Filandri suggeriscono che il lungo trend nell'aumento delle disuguaglianze documentato da Oxfam negli ultimi anni, sta proseguendo. Come hanno argomentato ormai da diversi anni molti studiosi – da Atkinson a Picketty, da Mazzuccato a Franzini, Granaglia, Raitano, per fare solo alcuni nomi – i meccanismi che sottostanno a questo fenomeno non sono solo e neppure prevalentemente quelli alla base delle disuguaglianze cento anni fa, ovvero l'origine sociale e il capitale ereditato.
    Il reddito da lavoro è oggi centrale nella produzione della ricchezza. È un dato positivo, nella misura in cui lega la ricchezza all'impegno e alle capacità individuali. Ma, mentre la possibilità di sviluppare le proprie capacità e farle riconoscere continua, specie in Italia, ad essere in larga misura dipendente dall'origine sociale e da ciò che questa permette di acquisire in termini di istruzione, capitale umano e sociale, trasformazioni nel sistema economico e modalità di accesso e remunerazione delle posizioni apicali hanno trasformato queste ultime, in molti casi, in vere posizioni di rendita. Si è privilegiato in modo sproporzionato il profitto e la rendita rispetto al lavoro.
    Segmenti strategici del tessuto produttivo si sono concentrati in poche mani: i nuovi settori tecnologici sono stati protetti dalle prolungate tutele previste nelle norme sui brevetti. Molti governi hanno accettato la pressione delle grandi compagnie ad abbassare le tasse, arrivando a competere tra loro in operazioni di fiscal dumping. Molte aziende sono state acquisite da società finanziarie, poco interessate alla produzione in quanto tale, bensì ai vantaggi finanziari che possono derivare da scorporamenti e dismissioni. I settori della vecchia economia in concorrenza con le produzioni dei Paesi di nuova industrializzazione sono stati favoriti dalle politiche dell'offerta, ottenendo la flessibilità al ribasso nelle retribuzioni e negli oneri per il finanziamento della protezione sociale della forza lavoro meno qualificata.
    In questo contesto, come ricordava ieri Filandri, si è sviluppato per i top manager un sistema retributivo basato sui profitti riservati ai (grandi) azionisti, non sui risultati in termini di qualità e competitività del prodotto. Un sistema che protegge persino dall'insuccesso, con buonuscite molto generose, e che difende i propri privilegi controllando strettamente chi può entrare nella cerchia dei fortunati e muoversi con disinvoltura da una posizione all'altra, sia nel privato sia nel pubblico e tra l'uno e l'altro. Meccanismi in cui il merito, quando c'è, conta solo in piccola parte e certo non abbastanza per giustificare sia l'enorme sproporzione tra i redditi dei grandi dirigenti e quelli dei lavoratori medi, sia la generosa protezione in caso di allontanamento, protezione anch'essa lontana anni luce di quella concessa a chi non fa parte di questa élite, tanto più se povero, la cui meritevolezza è invece puntigliosamente verificata. Anche per questo le posizioni apicali nelle grandi imprese private o partecipate, nelle banche e nelle fondazioni sono diventate oggetto di contesa e scambio politici.
    A fronte di queste disuguaglianze inaccettabili opporsi all'introduzione di un salario minimo decente legale appare quanto meno arrogante. Ma occorre avere il coraggio di provare a contrastare i meccanismi che producono le disuguaglianze denunciate da Oxfam e dall'Osservatorio JobPricing. Le proposte non mancano, dall'introduzione di un'imposta del 5% su tutte le grandi ricchezze a livello mondiale, a una ragionevole tassazione dell'eredità, al contenimento dei compensi diretti e indiretti dei grandi manager, alla rottura di posizioni monopolistiche. Molte di queste proposte hanno senso e possibile efficacia solo se basate su un consenso e un'azione a livello internazionale. Esse sono state al centro di molte iniziative della campagna per le ultime elezioni europee da parte delle forze progressiste, che avevano proprio nel contrasto alle disuguaglianze uno dei punti principali della propria agenda. Quale sia l'agenda di queste forze per le prossime elezioni e il futuro dell'Unione ancora non è dato sapere. —

 

 

 

05.01.24
  1. GLI EPULONI SERVITI DALLA DIGOS CHE NOI PAGHIAMO:    Un manager guadagna più di un impiegato e di un operaio. Nessuno si scandalizza di questo. Percepiamo infatti sia giusto che chi ha studiato più a lungo, assume maggiori responsabilità e magari lavora anche più ore sia retribuito maggiormente. La questione spinosa è però quanto possa essere retribuito in più. Due volte? Cinque volte? Dieci volte? In realtà le cifre in questione sono molto più alte. Gli amministratori delegati e i super dirigenti arrivano infatti a oltre trecento volte il salario del lavoratore medio. È questa la metafora del cosiddetto Fat cat, gatto grasso, immagine parodizzata dell'avidità capitalistica di cui si discute in questi giorni. Da un lato, ci sono infatti i magri salari dei dipendenti pagati poche decine di euro all'ora - a meno di non essere magrissimi se si trovano nella condizione di basso salario quando non arrivano ai 9 euro all'ora. Dall'altro lato ci sono presidenti, amministratori, top manager particolarmente pasciuti con compensi sotto forma di stipendi, bonus, opzioni sulle azioni che raggiungono retribuzioni stratosferiche.
    Addirittura, da qualche anno c'è la consuetudine di denunciare la data del Fat cat day come giorno nell'anno nel quale i grandi manager arrivano a percepire il corrispettivo di quando guadagnano in media i lavoratori alle loro dipendenze. Si tratta di un semplice calcolo proposto da diversi centri studi in Europa sul rapporto tra le retribuzioni più elevate e quelle medie. Per intenderci se lo stipendio annuo di un dirigente è il doppio di quello degli impiegati, allora dal 1 gennaio al 30 giugno il primo avrebbe guadagnato quanto i secondi in dodici mesi. In Italia - secondo i calcoli dell'Osservatorio JobPricing – questo traguardo si è raggiunto dopo solo sei giorni da inizio anno.
    Questo rende immediatamente comprensibile a tutti la grande distanza nelle retribuzioni tra chi amministra e chi esegue con conseguenze rilevanti sulla distribuzione delle risorse economiche della società.
    La disparità di compensi contribuisce infatti marcatamente alla riproduzione delle disuguaglianze: i ricchi sono sempre più ricchi e distanti dai poveri che hanno sempre meno. Un dato emblematico è il livello di disuguaglianza globale che è tornato ai livelli di circa un secolo fa. Anche nel nostro paese, secondo i dati Banca di Italia, la disuguaglianza nei redditi dei lavoratori misurata dall'indice di Gini è aumentata contribuendo all'immagine del gatto grasso. Tuttavia, non è sempre stato così e sebbene i dirigenti abbiano sempre avuto retribuzioni più elevate in passato queste erano più contenute. Fino agli anni Ottanta dello scorso secolo in Italia la retribuzione tra gli stipendi dei dirigenti e degli operai non superava il rapporto di venti a uno. Negli Stati Uniti, paese più diseguale del nostro, questo rapporto saliva a poco oltre trenta a uno. Successivamente in tutti i paesi occidentali dagli anni Novanta in poi gli aumenti delle retribuzioni dei dirigenti hanno superato di gran lunga gli aumenti degli altri lavoratori.
    La crisi economica e finanziaria globale del 2008 ha poi ulteriormente aggravato la situazione. Si è infatti inaugurato un lungo periodo di austerità e difficoltà economiche per la maggior parte della popolazione che non ha interessato gli stipendi di molti amministratori e dirigenti, i cui compensi hanno continuato ad aumentare a un ritmo senza precedenti. In sostanza i sacrifici richiesti alla parte più consistente dei lavoratori non sono stati estesi ai componenti dei consigli di amministrazione delle aziende e ai grandi manager.
    Ma non solo. Sempre più lo stipendio di chi è ai vertici è slegato dalla capacità di aumentare o migliorare la produzione di un bene o servizio. Conta piuttosto – anche se rimane una sproporzione rispetto al successo - la capacità di far crescere ad ogni costo il valore in borsa dell'impresa, perseguendo esclusivamente l'obiettivo del profitto economico della società.
    Anche di questo però sempre meno ci scandalizziamo. Si è presa coscienza del fatto che, in molti casi, l'entità dei compensi e la concomitante disuguaglianza - con il malessere ad essa associata - sono moralmente e politicamente indifendibili. E se anche la parità salariale all'interno delle aziende è irraggiungibile sia perché impraticabile sia perché inefficiente, almeno una limitazione a stipendi elevatissimi e bonus enormi è auspicabile. E se proprio non si vuole limitare i redditi più alti che almeno si intervenga su quelli più bassi. L'introduzione di un salario minimo legale in Italia certamente sarebbe un primo passo.
  2. YAKY FLOP : Cala ancora la produzione a Mirafiori Anche la 500 bev non ha i volumi sperati
    Nel 2023 la produzione di Stellantis è aumentata per il secondo anno consecutivo, grazie al positivo andamento degli stabilimenti di Pomigliano (+30%) e di Atessa (+12%), ma per raggiungere l'obiettivo di un milione di veicoli all'anno (auto+commerciali) manca un terzo degli attuali volumi. Per questo «è necessario rilanciare le produzioni di Cassino (-11,3%) e Mirafiori (-9,3%) con nuovi modelli». Lo dice il Report della Fim Cisl, presentato dal segretario nazionale Ferdinando Uliano e dal segretario generale della Fim torinese Rocco Cutrì. Nel 2023 sono state prodotte, tra auto e veicoli commerciali, 751,384 unità.
    Mirafiori è uno degli stabilimenti in maggiore sofferenza. Nel 2023 sono state prodotte 85.940 auto, con una flessione del 9,3% sul 2022. Le Maserati sono un quinto di quelle del 2017. La Fim, quindi, chiede che «non si temporeggi sul lancio produttivo della nuova Quattroporte berlina e che, oltre alla 500 elettrica e ai modelli Maserati, venga assegnato un altro modello sulla piattaforma full-electric con potenzialità di volumi importanti e non di nicchia».
    Il peso maggiore dei volumi a Mirafiori continua a essere determinato dalla produzione della 500 bev che si ferma a 77.260 unità, allo stesso livello del 2022 (77.500). Dato non positivo, visto che l'andamento nel primo semestre 2023 aveva fatto sperare si arrivasse oltre le 90.000 unità. Hanno inciso le giornate di cassa integrazione che dal mese di ottobre hanno coinvolto anche i 1200 operai della 500e.
    Dall'inizio anno sono state circa 20 le giornate di fermo produttivo a cui si sono aggiunte 11 giornate di chiusura collettiva. Ma l'azienda rassicura sottolineando che l'andamento è stato influenzato dai ritardi in Italia sugli incentivi all'acquisto delle auto sostenibili e alla mancanza delle infrastrutture di ricarica. I nuovi incentivi annunciati dal ministro Urso, quindi, dovrebbero dare una spinta alla vendita e alla produzione di 500e. Dimezzati, invece, i volumi dei cinque modelli Maserati (8.680, -49%). Verso la fine del primo trimestre del 2023 sono partite le produzioni delle Maserati Gran Turismo (Gt) e Gran Cabrio (Gc). A inizio 2024 verranno inoltre prodotte le nuove versioni Folgore full-electric di GranTurismo e poi di Gran Cabrio. Nonostante questo, conclude Uliano, «non si satura la produzione della linea».
  3. PETRONZI TRASLOCA  A MESSINA ?

QUIZ-FLASH! - COME MAI, CON L'ARRIVO DEL 2024, FORSE LA CITTÀ DI MILANO AVRÀ UN NUOVO QUESTORE AL POSTO DI GIUSEPPE PETRONZI? (AIUTINO/1: LE POLEMICHE SULLA SICUREZZA DELLA METROPOLI LOMBARDA NON C'ENTRANO NIENTE - AIUTINO/2: I QUESTORI NON HANNO UNA SCADENZA PRECISA..

 

 

 

05.01.24
  1. VERDINI PIGLIA TUTTO:  Non c'è solo l'Italia nel mirino della "cricca" degli appalti Verdini, ma anche l'estero. All'attenzione del Nucleo Patrimonio economico e Finanza delle Fiamme gialle, a cui la procura di Roma coordinata da Francesco Lo Voi ha affidato le indagini, ci sono alcuni subappalti con Fs in altri Paesi Ue dove il gruppo Ferrovie dello Stato (che controlla anche l'Anas, altro territorio d'azione della cricca) è presente. Un'opportunità considerevole per fare soldi vincendo gli appalti grazie ai "favori" di funzionari compiacenti.
    L'inchiesta – che vede indagati, tra gli altri, l'ex senatore Denis Verdini, il figlio Tommaso e il suo socio Fabio Pileri – va avanti portando alla luce nuovi dettagli su quel sistema illecito di corruzione che vede coinvolta la Inver, società di lobbying gestita proprio da Verdini jr e Pileri.
    Fs e Anas erano, secondo la pubblica accusa, il terreno in cui intervenire per ottenere gli appoggi da dare ai clienti della Inver. Nell'informativa della Guardia di Finanza si legge che Tommaso Verdini, intercettato, definisce il suo ruolo per un incontro tra un dirigente di Ferrovie dello Stato come Massimo Bruno e il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Matteo Salvini (fidanzato con la sorella di Tommaso, ndr): «Senza aver un caz. .. stiamo ottenendo dei posti. E i posti che stiamo ottenendo sono tutti posti che otteniamo per i rapporti che abbiamo con i dirigenti, con gli amministratori...».Stava millantando? A onor di cronaca, non risulta alcun coinvolgimento del leader della Lega, che anzi, stanco di essere tirato in ballo, annuncia querele.
    Le indagini, intanto, proseguono per far luce su lotti in dieci regioni con offerte pilotate assicurate da Inver, a cominciare dal risanamento di diverse gallerie per un importo complessivo di 180 milioni di euro. E a una sola società, il Consorzio Stabile Aurora dell'imprenditore Angelo Ciccotto, sarebbero state garantite gare per quasi 108 milioni di euro.
    Gli appalti andavano dal Friuli alla Sardegna e hanno visto coinvolto anche l'ex parlamentare Vito Bonsignore, oggi, imprenditore (anch'egli indagato come l'ex ad di Anas Massimo Simonini) che con la sua Sarc si era aggiudicato la Ragusa-Reggio Calabria. Secondo gli inquirenti Fabio Pileri si dava un gran da fare per riuscire a concludere affari e per questo avrebbe voluto guadagnare di più ma temeva il giudizio di Denis Verdini. Intercettato, mentre parla con Tommaso, «manifesta il suo interesse all'aspetto economico ma dice: «Io a Denis non so' capace a dirgli de no!». Intanto si attivava per muovere i giusti "ganci politici". Tanto che dichiarava: «Io so come si muove il fante, perché io con la politica ci parlo, Roma è piccola anche se è grossa».
  2. Iran, l'Isis rivendica la strage Blinken frena l'escalation "Più aiuti verso la Striscia"
    Nello Del Gatto
    GERUSALEMME
    L'Isis, con un post su Telegram, ha rivendicato il duplice attentato che mercoledì a Kerman in Iran ha causato 84 morti. Nell'immediatezza dei fatti, contro Stati Uniti e Israele aveva puntato il dito il capo della magistratura iraniana, Gholamhossein Ejei, per poi, attraverso l'account X, accusare ieri lo Stato Islamico.
    Secondo le informazioni dell'agenzia iraniana Irna, l'attentato, compiuto nei pressi della tomba del generale iraniano Qassem Soleimani, ucciso nel 2020 in un attacco americano, è stato realizzato, almeno nella prima esplosione, da un attentatore suicida. Fonti di intelligence riferiscono che le modalità dell'attentato ricalcano quelle dell'attacco che il 26 agosto del 2021 fu portato dall'Isis-K all'aeroporto Karzai di Kabul, mentre si ritiravano le truppe americane e della Nato, facendo 180 vittime.
    È stato invece sepolto all'esterno del campo profughi di Shatila, Saleh Al-Arouri, il numero due di Hamas ucciso in un attacco presumibilmente israeliano martedì nel sobborgo di Dahiyeh a Beirut.
    Ad uccidere l'ex cofondatore delle brigate al-Qassam, non è stato un drone, ma sei missili "intelligenti" che hanno perforato dall'alto il palazzo nel quale si trovava l'uomo e sono esplosi al piano dove si trovavano gli uffici di Hamas. Uffici che non erano mai più stati usati dopo il 7 ottobre, anche perché Al Arouri aveva viaggiato tra Turchia e Qatar, e giusto martedì si era recato lì per partecipare ad alcuni incontri. Un migliaio ai funerali suoi e dei suoi sodali uccisi, dove sono sventolate le bandiere di Hamas e del Jihad islamico. Dal Libano sono stati esplosi diversi colpi contro i kibbutz di Manara, Misgav Am e Metula, dove è stata colpita una casa; di risposta l'esercito ha centrato diverse postazioni di Hezbollah. Il gruppo libanese ha detto di aver ucciso soldati israeliani, ma non c'è conferma dell'esercito, che invece parla di nove miliziani uccisi.
    A Gaza i combattimenti sono sempre molto intensi, soprattutto ad al-Meghazi, al-Bureji e a Khan Yunis. Qui l'esercito dice di aver ucciso molti combattenti di Hamas e danneggiato in modo significativo il loro comando. Il capo della Brigata israeliana Kiryatiha ha dichiarato che in questa area di operazioni «non esistono infrastrutture innocue», visto che l'esercito trova miliziani in quasi tutte le case, negli ospedali e nelle scuole. In Cisgiordania è durato oltre 40 ore il raid dell'esercito nel campo profughi di Nur Sham, nei pressi di Tulkarem, dove in una scuola dell'Unrwa, sono stati trovati gli esplosivi. Oltre 30 i fermati che portano a più di 2600 gli arresti nei raid nei Territori dall'inizio della guerra.
    L'esercito americano ha ucciso a Baghdad il leader di Harakat al Nujaba, la dodicesima brigata, parte dell'Iraqi Popular Mobilization Forces, accusato di attacchi contro le forze statunitensi nel paese. Abou Taqwa Al-Saidi è stato colpito da un drone che ha lanciato quattro razzi contro il veicolo sul quale viaggiava con un altro.
    Intanto, Abdel-Malik Al Houthi, leader dell'omonimo gruppo yemenita, ha detto che l'attacco americano di domenica scorsa, nel quale sono morti dieci miliziani, è «un atto criminale» che non resterà senza risposte. Dall'inizio della guerra a Gaza, dallo Yemen il gruppo ha lanciato oltre 25 attacchi contro navi che attraversano il Mar Rosso, l'ultimo ieri attraverso lo stretto di Bab al-Manda. Navi da guerra americane e una coalizione di altri Paesi cercano di proteggere il traffico marittimo nella zona, che ha subito un brusco calo a causa degli attacchi degli Houthi.
    Ed è partito ieri il segretario di Stato americano, Antony Blinken, per la sua nuova visita in Medio Oriente dall'attacco di Hamas del 7 ottobre. Avrà incontri in Israele, Qatar e Turchia tra gli altri Paesi.
    Israele, intanto, ha nominato l'avvocato inglese Malcom Shaw come suo rappresentante dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aia che giovedì e venerdì prossimi ascolterà la denuncia per genocidio presentata contro il Paese ebraico dal Sudafrica. —
  3. TRUMP IL SUPER CORROTTO : Iran, l'Isis rivendica la strage Blinken frena l'escalation "Più aiuti verso la Striscia"
    L'Isis, con un post su Telegram, ha rivendicato il duplice attentato che mercoledì a Kerman in Iran ha causato 84 morti. Nell'immediatezza dei fatti, contro Stati Uniti e Israele aveva puntato il dito il capo della magistratura iraniana, Gholamhossein Ejei, per poi, attraverso l'account X, accusare ieri lo Stato Islamico.
    Secondo le informazioni dell'agenzia iraniana Irna, l'attentato, compiuto nei pressi della tomba del generale iraniano Qassem Soleimani, ucciso nel 2020 in un attacco americano, è stato realizzato, almeno nella prima esplosione, da un attentatore suicida. Fonti di intelligence riferiscono che le modalità dell'attentato ricalcano quelle dell'attacco che il 26 agosto del 2021 fu portato dall'Isis-K all'aeroporto Karzai di Kabul, mentre si ritiravano le truppe americane e della Nato, facendo 180 vittime.
    È stato invece sepolto all'esterno del campo profughi di Shatila, Saleh Al-Arouri, il numero due di Hamas ucciso in un attacco presumibilmente israeliano martedì nel sobborgo di Dahiyeh a Beirut.
    Ad uccidere l'ex cofondatore delle brigate al-Qassam, non è stato un drone, ma sei missili "intelligenti" che hanno perforato dall'alto il palazzo nel quale si trovava l'uomo e sono esplosi al piano dove si trovavano gli uffici di Hamas. Uffici che non erano mai più stati usati dopo il 7 ottobre, anche perché Al Arouri aveva viaggiato tra Turchia e Qatar, e giusto martedì si era recato lì per partecipare ad alcuni incontri. Un migliaio ai funerali suoi e dei suoi sodali uccisi, dove sono sventolate le bandiere di Hamas e del Jihad islamico. Dal Libano sono stati esplosi diversi colpi contro i kibbutz di Manara, Misgav Am e Metula, dove è stata colpita una casa; di risposta l'esercito ha centrato diverse postazioni di Hezbollah. Il gruppo libanese ha detto di aver ucciso soldati israeliani, ma non c'è conferma dell'esercito, che invece parla di nove miliziani uccisi.
    A Gaza i combattimenti sono sempre molto intensi, soprattutto ad al-Meghazi, al-Bureji e a Khan Yunis. Qui l'esercito dice di aver ucciso molti combattenti di Hamas e danneggiato in modo significativo il loro comando. Il capo della Brigata israeliana Kiryatiha ha dichiarato che in questa area di operazioni «non esistono infrastrutture innocue», visto che l'esercito trova miliziani in quasi tutte le case, negli ospedali e nelle scuole. In Cisgiordania è durato oltre 40 ore il raid dell'esercito nel campo profughi di Nur Sham, nei pressi di Tulkarem, dove in una scuola dell'Unrwa, sono stati trovati gli esplosivi. Oltre 30 i fermati che portano a più di 2600 gli arresti nei raid nei Territori dall'inizio della guerra.
    L'esercito americano ha ucciso a Baghdad il leader di Harakat al Nujaba, la dodicesima brigata, parte dell'Iraqi Popular Mobilization Forces, accusato di attacchi contro le forze statunitensi nel paese. Abou Taqwa Al-Saidi è stato colpito da un drone che ha lanciato quattro razzi contro il veicolo sul quale viaggiava con un altro.
    Intanto, Abdel-Malik Al Houthi, leader dell'omonimo gruppo yemenita, ha detto che l'attacco americano di domenica scorsa, nel quale sono morti dieci miliziani, è «un atto criminale» che non resterà senza risposte. Dall'inizio della guerra a Gaza, dallo Yemen il gruppo ha lanciato oltre 25 attacchi contro navi che attraversano il Mar Rosso, l'ultimo ieri attraverso lo stretto di Bab al-Manda. Navi da guerra americane e una coalizione di altri Paesi cercano di proteggere il traffico marittimo nella zona, che ha subito un brusco calo a causa degli attacchi degli Houthi.
    Ed è partito ieri il segretario di Stato americano, Antony Blinken, per la sua nuova visita in Medio Oriente dall'attacco di Hamas del 7 ottobre. Avrà incontri in Israele, Qatar e Turchia tra gli altri Paesi.
    Israele, intanto, ha nominato l'avvocato inglese Malcom Shaw come suo rappresentante dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aia che giovedì e venerdì prossimi ascolterà la denuncia per genocidio presentata contro il Paese ebraico dal Sudafrica. —
  4. UNA STORIA DI BADANTE DELL'EST :Iran, l'Isis rivendica la strage Blinken frena l'escalation "Più aiuti verso la Striscia"
    Nello Del Gatto
    GERUSALEMME
    L'Isis, con un post su Telegram, ha rivendicato il duplice attentato che mercoledì a Kerman in Iran ha causato 84 morti. Nell'immediatezza dei fatti, contro Stati Uniti e Israele aveva puntato il dito il capo della magistratura iraniana, Gholamhossein Ejei, per poi, attraverso l'account X, accusare ieri lo Stato Islamico.
    Secondo le informazioni dell'agenzia iraniana Irna, l'attentato, compiuto nei pressi della tomba del generale iraniano Qassem Soleimani, ucciso nel 2020 in un attacco americano, è stato realizzato, almeno nella prima esplosione, da un attentatore suicida. Fonti di intelligence riferiscono che le modalità dell'attentato ricalcano quelle dell'attacco che il 26 agosto del 2021 fu portato dall'Isis-K all'aeroporto Karzai di Kabul, mentre si ritiravano le truppe americane e della Nato, facendo 180 vittime.
    È stato invece sepolto all'esterno del campo profughi di Shatila, Saleh Al-Arouri, il numero due di Hamas ucciso in un attacco presumibilmente israeliano martedì nel sobborgo di Dahiyeh a Beirut.
    Ad uccidere l'ex cofondatore delle brigate al-Qassam, non è stato un drone, ma sei missili "intelligenti" che hanno perforato dall'alto il palazzo nel quale si trovava l'uomo e sono esplosi al piano dove si trovavano gli uffici di Hamas. Uffici che non erano mai più stati usati dopo il 7 ottobre, anche perché Al Arouri aveva viaggiato tra Turchia e Qatar, e giusto martedì si era recato lì per partecipare ad alcuni incontri. Un migliaio ai funerali suoi e dei suoi sodali uccisi, dove sono sventolate le bandiere di Hamas e del Jihad islamico. Dal Libano sono stati esplosi diversi colpi contro i kibbutz di Manara, Misgav Am e Metula, dove è stata colpita una casa; di risposta l'esercito ha centrato diverse postazioni di Hezbollah. Il gruppo libanese ha detto di aver ucciso soldati israeliani, ma non c'è conferma dell'esercito, che invece parla di nove miliziani uccisi.
    A Gaza i combattimenti sono sempre molto intensi, soprattutto ad al-Meghazi, al-Bureji e a Khan Yunis. Qui l'esercito dice di aver ucciso molti combattenti di Hamas e danneggiato in modo significativo il loro comando. Il capo della Brigata israeliana Kiryatiha ha dichiarato che in questa area di operazioni «non esistono infrastrutture innocue», visto che l'esercito trova miliziani in quasi tutte le case, negli ospedali e nelle scuole. In Cisgiordania è durato oltre 40 ore il raid dell'esercito nel campo profughi di Nur Sham, nei pressi di Tulkarem, dove in una scuola dell'Unrwa, sono stati trovati gli esplosivi. Oltre 30 i fermati che portano a più di 2600 gli arresti nei raid nei Territori dall'inizio della guerra.
    L'esercito americano ha ucciso a Baghdad il leader di Harakat al Nujaba, la dodicesima brigata, parte dell'Iraqi Popular Mobilization Forces, accusato di attacchi contro le forze statunitensi nel paese. Abou Taqwa Al-Saidi è stato colpito da un drone che ha lanciato quattro razzi contro il veicolo sul quale viaggiava con un altro.
    Intanto, Abdel-Malik Al Houthi, leader dell'omonimo gruppo yemenita, ha detto che l'attacco americano di domenica scorsa, nel quale sono morti dieci miliziani, è «un atto criminale» che non resterà senza risposte. Dall'inizio della guerra a Gaza, dallo Yemen il gruppo ha lanciato oltre 25 attacchi contro navi che attraversano il Mar Rosso, l'ultimo ieri attraverso lo stretto di Bab al-Manda. Navi da guerra americane e una coalizione di altri Paesi cercano di proteggere il traffico marittimo nella zona, che ha subito un brusco calo a causa degli attacchi degli Houthi.
    Ed è partito ieri il segretario di Stato americano, Antony Blinken, per la sua nuova visita in Medio Oriente dall'attacco di Hamas del 7 ottobre. Avrà incontri in Israele, Qatar e Turchia tra gli altri Paesi.
    Israele, intanto, ha nominato l'avvocato inglese Malcom Shaw come suo rappresentante dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aia che giovedì e venerdì prossimi ascolterà la denuncia per genocidio presentata contro il Paese ebraico dal Sudafrica.
  5. UNA STORIA DI BADANTE DELL'EST : Sette anni in Romania. Quasi sempre chiusa a casa della madre della sua badante, in un Paese straniero del quale non conosceva la lingua, senza un cellulare per chiamare in Italia. Un incubo per una pensionata di circa 80 anni di Castagnole Lanze, terminato ieri, 4 gennaio, quando la polizia giudiziaria della Procura di Asti ha arrestato la badante. È una donna di 47 anni di origine romena: è accusata di circonvenzione di incapace e autoriciclaggio.
    La badante, con vari stratagemmi, era riuscita a sottrarre dai conti correnti della vittima 317 mila euro, dei quali 149 mila reinvestiti per l'acquisto di una tabaccheria nel Cuneese, affidata a parenti e negli ultimi mesi messa in vendita dall'autrice del raggiro che aveva iniziato a percepire il fiato sul collo degli investigatori.
    La prima svolta nell'estate 2023, circa sei mesi fa, quando l'anziana dopo sette anni è stata riportata dalla badante a Castagnole. Un po' perché doveva curarsi, un po' anche perché la madre era stufa di tenersi la "prigioniera", ormai spremuta all'inverosimile.
    La pensionata è tornata a vivere nella sua casa sulle colline tra il Tanaro e le Langhe. Facendo due amare scoperte. La prima è che l'abitazione era stata completamente ristrutturata, con i ricordi di una vita scomparsi. La seconda, più grave, è che in una porzione si erano trasferiti stabilmente alcuni familiari della badante. Ovviamente senza pagare un regolare affitto.
    Oltre a quanto accaduto in Romania, dunque, bisogna parlare anche di furto di abitazione. L'anziana, però, malgrado i sette anni in Romania ricordava ancora la strada per raggiungere la caserma dei Carabinieri. E quindi, nonostante gli acciacchi e il controllo della badante, in una giornata di caldo e sole si è presentata al nuovo maresciallo. Che non la conosceva, ma ha ascoltato la sua storia: aveva assunto l'inserviente nel 2014, per essere aiutata nelle faccende di casa e per un aiuto al marito, gravemente malato.
    L'uomo però nel 2015 era morto, e la badante aveva approfittato dei primi cedimenti fisici e mentali della vedova per non andarsene dall'abitazione. Anzi: grazie ad un notaio non particolarmente diligente, anche se al momento non indagato, l'aveva convinta a firmarle una procura generale a suo nome e una delega in banca ad operare.
    I carabinieri di Castagnole hanno messo tutto nero su bianco, segnalando la vicenda in procura. I magistrati dapprima hanno avvertito gli assistenti sociali del consorzio Cisa, che hanno fatto visita alla vittima e avviato le pratiche per l'affidamento ad un amministratore di sostegno.
    L'anziana non ha figli o parenti prossimi ed era quindi ormai quasi sola a Castagnole. Poi sono iniziati gli accertamenti contabili, delegati alla polizia e alla Guardia di finanza. È emerso che la badante, per non farsi scappare nulla aveva preparato per tempo anche la fase del trapasso: si era fatta sottoscrivere una polizza vita, a suo favore, per 120 mila euro e un testamento olografo nel quale era nominata erede universale.
    Tutto sequestrato. Secondo uno psichiatra, che ha compiuto un esame su delega della procura, la pensionata già nel 2015 era "suggestionabile" e vulnerabile a causa di una dipendenza affettiva e timori di abbandono. Ora è caccia ai soldi, anche se una buona parte è stata probabilmente già spesa e non verrà ritrovata. La badante è agli arresti domiciliari. Il ritorno dell'anziana nelle sue terre e la decisione di andare alla caserma dei Carabinieri è stata determinante per chiudere la vicenda.
  6. In bilico a 50 anni"Io, prof precario e pieno di debiti mia moglie ha venduto anche l'auto"
    Antonio Fiscarelli

    Così su «La Stampa»
    FILIPPO FIORINI
    Nel «festosissimo centro fiorentino», come l'ha chiamato lui, il 24 dicembre, tra la paccottiglia per turisti e gli stessi turisti stranieri che lo fermavano per chiedergli un selfie e sfotterlo, oppure i manifestanti per la pace in Palestina che lo invitavano a sfilare con loro, Antonio Fiscarelli si è travestito da Babbo Natale. Il giorno dopo aveva un treno per Foggia, casa sua. «Abbiamo preso il biglietto il 25 perché costava meno». Parla di sé, di sua moglie e di suo figlio, che hanno traslocato a Firenze perché «lì c'erano più posti nei concorsi pubblici». Il suo mestiere ce l'aveva scritto addosso il giorno della Vigilia: «Da docente precario a docente subprecario». Il secondo è un termine che si è inventato personalmente, per definire un grado di declassamento professionale ancor peggiore di quello che viveva l'anno scorso, il precariato, appunto. Questa situazione la descrive come «penosa», visti i tre mesi di stipendi arretrati che gli deve lo Stato, il fatto che sia fuori di 1.350 euro con la banca e che abbia dovuto, martedì, vendere la macchina della moglie in attesa di un bonifico che il ministero ha promesso per giovedì della prossima. Ha 50 anni. Dice di venire da un passato di militanza per gli ultimi e paradossalmente di trovarsi ora a dover militare per sé stesso. Da ottobre a oggi, quale supplente precario al liceo Porta Romana di Sesto, ha percepito solo 700 euro di tredicesima.
    Antonio, perché si è travestito da Babbo Natale?
    «Per una finalità del tutto simbolica. La barba bianca poi ce l'ho già di mio, quindi è stato facile. Però sentivo di dovermi sbloccare, non ne potevo più. È da ottobre che non ricevo lo stipendio».
    Lei è un supplente?
    «Sì, insegno filosofia nel più grande liceo artistico della Toscana, il Porta Romana di Sesto Fiorentino. Ho sei classi e 150 ragazzi. La mia è una materia che suscita empatia e gli studenti mi conoscono. Si preoccupano e mi chiedono: prof, ma ha ricevuto lo stipendio? E io continuo a ripetere di no. Ho ricevuto solo la tredicesima: 700 euro».
    Quanto guadagna di solito?
    «Attualmente ho un part-time, quindi sono 1.200-1.300 euro al mese. In passato sono arrivato a prenderne fino a 2.800. Capisce che è difficile organizzarsi anche a medio termine, quando non si sa su quanto denaro poter contare? Parliamo di contratti che durano tre mesi. È il quarto anno che vado avanti così e non resta che sperare nel rinnovo. Ma è tutto il sistema del precariato nell'insegnamento che è sbagliato. L'algoritmo che assegna le posizioni, per esempio, dà i numeri. Le faccio un esempio: io risulto supplente per una cattedra assegnata a me stesso, fino all'agosto scorso. Insomma, come se fossi stato supplente di me stesso».
    Lei è di Foggia, com'è finito a insegnare a Firenze?
    «Io e mia moglie abbiamo un figlio piccolo. A Foggia non riuscivamo a guadagnare abbastanza per campare. Siamo venuti qui proprio perché c'erano più posti disponibili nella graduatoria degli insegnanti. Ma ora siamo davanti alla prospettiva di dover tornare a casa».
    Come avete fatto a tirare avanti in questo periodo?
    «Il viaggio a Foggia per le feste natalizie l'abbiamo preso il 25 perché era il treno più economico in assoluto. Martedì abbiamo venduto la macchina di mia moglie. A Firenze paghiamo 830 euro d'affitto e 350 per l'asilo del bambino. Abbiamo 1.350 euro di debiti. Una situazione penosa».
    Che cosa spera di ottenere con la sua protesta?
    «Spero che il governo, il ministo dell'Istruzione e del merito, si facciano avanti in qualche modo per dire che cosa intendono fare con noi docenti precari. Vorrei che dicessero che per l'anno prossimo la questione degli stipendi arretrati e dell'algoritmo sarà risolta. Chiedo apertamente l'abolizione di questo algoritmo o almeno un perfezionamento che arrivi in qualche modo a seguire i criteri della democrazia. Io ho 50 anni. Ho un passato di militanza in Puglia per i diritti dei migranti, i braccianti agricoli, la tutela dei bambini. Ora mi trovo a militare per me stesso».
  7. La rete Epstein
    simona siri
    new york
    Ottocento pagine, una lista di nomi citati, anche se spesso solo di passaggio, che potrebbe essere quella del Met Ball - Bill Clinton, il principe Andrea, Donald Trump, Michael Jackson, David Copperfield, il governatore del New Mexico Bill Richardson, il miliardario gestore Glenn Dubin, lo scout di modelle Jean-Luc Brunel, l'informatico Marvin Minsky. Molte conferme, ma nessuna rivelazione bomba. Sono queste le conclusioni che si possono trarre dalla visione dei documenti giudiziari resi pubblici mercoledì e che riguardano Jeffrey Epstein, il finanziere amico delle star morto suicida in prigione nel 2019, dove si trovava in attesa del processo per traffico sessuale. I documenti fanno parte della causa intentata nel 2015 da una delle vittime, Virginia Giuffre, contro Ghislaine Maxwell, ex fidanzata e braccio destro di Epstein, quella che aveva il ruolo di procurare per lui minorenni e che è attualmente in carcere a New York, condannata nel 2021 a 20 anni per traffico di minori.
    Giuffre è una delle dozzine di donne che hanno fatto causa a Epstein: reclutata a 17 anni a Mar-a-Lago come massaggiatrice, ha affermato di essere stata costretta a fare sesso con uomini nell'orbita sociale del finanziere, in particolare con il principe Andrea (che nel 2022 ha patteggiato evitando di andare a processo). Sebbene gran parte delle informazioni erano già note, è la prima volta che questi documenti - depositati presso un tribunale - vengono resi noti attraverso il sistema legale, permettendo di leggere direttamente le testimonianze sotto giuramento di Maxwell e Giuffre. Insieme a loro c'è anche la deposizione di Johanna Sjoberg, un'altra giovane finita nel giro, che ha raccontato di essere stata toccata sul seno dal principe Andrea e di aver incontrato una volta Michel Jackson e David Copperfield, ma di non averlo mai massaggiato, e di non aver mai incontrato Leonardo DiCaprio (con cui Epstein si vantava di parlare spesso al telefono), Cate Blanchett, Bruce Willis o Cameron Diaz.
    Le persone nominate nei documenti includono molte delle accusatrici di Epstein, membri del suo staff che hanno raccontato le loro storie ai giornali scandalistici, testimoni al processo contro Maxwell, persone menzionate di sfuggita ma non accusate di nulla di osceno e persone che hanno indagato su Epstein, tra cui pubblici ministeri, un giornalista e un detective. Clinton e Trump sono entrambi presenti nel fascicolo, in parte perché Giuffre è stata interrogata dagli avvocati di Maxwell circa le inesattezze di alcuni articoli di giornale. Una storia, ad esempio, raccontava che Giuffre aveva viaggiato in elicottero sia con Clinton che con Trump, con cui avrebbe flirtato. Nella testimonianza di Giuffre nessuna di queste cose è realmente accaduta, così come viene smentita la presenza di Clinton sull'isola caraibica privata di Epstein, sede di molti degli abusi. A ben vedere, infatti, i documenti sono più interessanti per quello che negano che per quello che confermano. Chi si aspettava una qualche rivelazione bomba su i due ex presidenti è rimasto deluso: Clinton è oggetto di una discussione sulla credibilità di una testimone, mentre il nome di Trump appare in un documento in cui Epstein viene citato dicendo che avrebbe invitato l'allora magnate a unirsi a lui in uno dei suoi casinò. In un altro documento, una testimone afferma che non le è mai stato chiesto di avere rapporti sessuali con Trump. Nella trascrizione di una deposizione del 2016 una vittima riporta queste parole di Epstein: «ha detto che a Clinton piacciono giovani, riferendosi alle ragazze». In una mail di Epstein a Maxwell del 2015, si fa riferimento alla infondatezza del pettegolezzo circa un'orgia con minori cui avrebbe partecipato il fisico Stephen Hawking, fotografato sull'isola nel 2006 in occasione di una conferenza scientifica finanziata da Epstein sulla vicina isola di St Thomas .
    Chi manca del tutto è Jimmy Kimmel. Il giorno prima il giocatore di football dei New York Jets Aaron Rodgers aveva detto che il nome del presentatore sarebbe stato tra quelli rivelati. Kimmel, amico personale del cuoco di Epstein, ha risposto di non aver mai «incontrato, volato, visitato o avuto alcun contatto con Epstein, né troverai il mio nome in nessuna "lista" diversa dalle sciocchezze chiaramente fasulle che i pazzi dal cervello tenero come te non sembrano distinguere dalla realtà». I due, ora, se la vedranno in tribunale. —

 

 

 

 

04.01.24
  1. 04 gennaio 2024 ore 16:40
    La Cassazione e il Tribunale di Milano riaprono la disputa sull'eredità Agnelli dopo le inchieste di Report
    Due sentenze riaprono la disputa sull’eredità di Gianni Agnelli.
    Il gip di Milano ha disposto la riapertura delle indagini sulla sparizione di 13 opere d’arte (tra cui capolavori assoluti di artisti come Picasso e
    Monet) dalle case dell’Avvocato dopo la morte di Marella Caracciolo.
    Questo patrimonio artistico, come raccontato da Report, doveva essere segnalato dal ministero della Cultura e portarlo senza autorizzazione
    fuori dall’Italia è un reato punibile con il carcere.
    La Corte di Cassazione poi ha disposto che il Tribunale civile di Torino motivi meglio il suo stop al processo sulla contesa tra Margherita
    Agnelli e i tre figli John, Lapo e Ginevra Elkann: i giudici torinesi avevano deciso di attendere l’esito di tre procedimenti analoghi in
    Svizzera, la Cassazione ha chiesto di motivare maggiormente.
    Nella causa davanti i giudici torinesi è in ballo un patrimonio miliardario e il controllo della galassia societaria Agnelli, da Stellantis a
    Ferrari, la Juventus, fino ai quotidiani La Repubblica e La Stampa.
    Si riapre quindi l’inchiesta della procura di Milano sulle opere sparite della collezione di Gianni Agnelli.
    Lo ha disposto lo scorso dicembre la giudice Lidia Castellucci, che ha chiesto al pm Eugenio Fusco di proseguire le indagini sulla scomparsa
    di molte opere contese tra Margherita Agnelli e i figli John, Lapo e Ginevra Elkann, dopo la morte dell’Avvocato e della moglie Marella
    Caracciolo.
    Si tratta di opere di inestimabile valore di Picasso, Bacon, Monet, De Chirico, Balthus, Gérome e Balla: molte di queste - come raccontato
    negli scorsi mesi da Report - dovevano essere tutelate dal ministero della Cultura con un vincolo, tracciandone la posizione e l’eventuale
    uscita dal territorio nazionale.
    Per questo motivo, la giudice di Milano ha dato sei mesi ai magistrati di verificare le movimentazioni dei quadri «consultando tutte le banche
    dati tenute presso i competenti uffici, compresi quella del ministero della Cultura e la piattaforma Sistemi Uffici Esportazione».
    Proprio quello che aveva provato a fare Report la scorsa estate con un accesso agli atti, senza successo al momento: i tre fratelli Elkann
    hanno fatto ricorso al Tar del Lazio, dopo che il ministero guidato da Gennaro Sangiuliano aveva dato il via libera.
    Il tribunale amministrativo ha dato però ragione agli eredi degli Agnelli, dando maggiore risalto alle «ragioni di riservatezza e sicurezza degli
    Elkann» piuttosto che a «l’interesse pubblico».
    Esportare opere d’arte sotto tutela o che dovrebbero esserlo senza autorizzazione del ministero è un reato punibile con una pena da 1 a 4 anni,
    una multa di 80mila euro, e la confisca dell’opera stessa: anche per questo è importante conoscere la collocazione esatta delle opere e se sono
    ancora in Italia o meno, non solo per sapere del destino di un bene tutelato dalla Costituzione, anche se di proprietà di un privato, chiunque
    esso sia.
    Il gip ha poi chiesto al pm di domandare a due testimoni mai sentite, le governanti di fiducia di Marella Caracciolo, se ricordino le opere
    d’arte presenti nelle case al momento dei traslochi.
    Dalle testimonianze raccolte nell’inchiesta “Compra l’arte e mettila da parte” di Manuele Bonaccorsi e Federico Marconi, “La melanconia di
    una strada” di Giorgio De Chirico sarebbe stata portata in Svizzera nei giorni dei traslochi.
    Ora spetterà alla procura di Milano fare ulteriore chiarezza sulla vicenda.
    La Corte di Cassazione, sempre a inizio dicembre, ha disposto che il Tribunale di Torino motivi meglio le sue decisioni sulla contesa
    ereditaria che vede coinvolti Margherita e i figli Elkann.
    Al centro della disputa, come raccontato da Report nell’inchiesta “La signora degli Agnelli”, c’è il controllo delle quote della Dicembre:
    società che a cascata controlla tutto l’impero creato da Gianni Agnelli e ora guidato da John Elkann.
    Sulla vicenda pesa la definizione della residenza abituale della signora Caracciolo: sarebbe stata in Svizzera secondo i documenti, ma la
    ricostruzione e le testimonianza raccolte gettavano forti ombre su questo.
    Stabilire che l’eredità Agnelli-Caracciolo debba essere in Italia, invece che in Svizzera, permetterebbe al nostro paese di intascare centinaia
    di milioni di euro di imposte di successione non pagate.

 

 

 

 

03.01.24

IL NUOVO CODICE DELLA STRADA BY SALVINI INTERVERRA' ?   Carmagnola, La Loggia e Carignano incassano oltre un milione all'anno ciascuno solo in multe Altrettanti finiscono nelle casse di Città metropolitana, ma i sindaci non sono tutti soddisfatti
Autovelox, una miniera d'oro per i comuni della provinciale
massimiliano rambaldi
La «via dell'oro», intesa come incasso da autovelox, coincide con la provinciale 20 che da Moncalieri arriva fino a Carmagnola. Ogni anno, tra i dispositivi di controllo di La Loggia, Carignano e Carmagnola, Città Metropolitana incassa tra il milione e mezzo e i due milioni di euro: ossia la metà dell'importo totale. L'altro 50% resta in cassa dei Comuni. Certo c'è chi non paga e infatti in questi mesi sono partite diverse cartelle esattoriali per recuperare il dovuto. Insomma, i soldi prima o dopo arrivano e che finiscono tutti, almeno secondo normativa, in progetti relativi alla sicurezza stradale. Ma c'è qualche sindaco che non è molto soddisfatto di come quei soldi ritornino sul proprio territorio.
Giorgio Albertino è il primo cittadino di Carignano. Il suo velox, sistemato sulla provinciale proprio di fronte alla diramazione per Villastellone, cuba un milioncino di euro all'anno. Altissima la morosità: basti pensare che prima di Natale sono partite 4mila cartelle per recuperare qualcosa come un milione e 700 mila euro di multe non pagate da codice della strada, datate 2020. Il 95% sono di quell'autovelox. Nel 2020 i verbali erano di gran lunga di più di quelli di oggi su tutta la provinciale. Per fare un esempio, si è passati dai 33 mila casi registrati a Carmagnola nel 2020 ai 20 mila del 2022 e 7 mila nel primo semestre 2023. Quindi di soldi ne sono arrivati parecchi, in generale.
Albertino da anni chiede la messa in sicurezza della provinciale 661 all'altezza di borgata Campagnino e della 122 che collega il suo Comune a Villastellone: «Abbiamo proposto il progetto di due rotatorie, anche con fondi nostri. Tutti i tentativi sono andati a vuoto, peccato: ci piacerebbe che si prendesse consapevolezza dei nostri problemi di sicurezza. Per la rotonda sulla 122 ci siamo sentiti rispondere che la carreggiata era troppo piccola: ricordo che lì, nel tempo, non sono mancati gli incidenti mortali». La strada in questione è più simile ad una pista di decollo di aerei: oltre due chilometri e mezzo di rettilineo secco e senza qualcosa che faccia rallentare. Bisogna arrivare al ponte sul Po da una parte e al cavalcavia in prossimità della provinciale 393 dall'altra, per moderare la velocità.
Anche a La Loggia il sindaco Domenico Romano aveva chiesto che il tratto della provinciale 20 dopo la circonvallazione, nella porzione verso Carignano, venisse messo in sicurezza dopo i gravi incidenti capitati. Anche lì non si è fatto nulla. Il calo dei verbali lascia comunque intendere che gli automobilisti sono più attenti. —

 

 

02.01.24
  1. L'ASSALTO ALLA DILIGENZA NON CAMBIA :   Una mancia per tutti e tre, Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Ma polverizzata, una “mancetta”: perché quest’anno le risorse portate in dote dalla manovra sono state pochissime. I territori, la linfa del consenso politico per i parlamentari, sono invece tanti. E così i senatori della maggioranza (i deputati non hanno toccato palla) non si sono scoraggiati. Al contrario hanno provato ad accontentare il maggior numero possibile di richieste.

    Che il lucchetto alla Finanziaria, voluto in origine dalla premier Giorgia Meloni e dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, alla fine sia stato un po’ allentato era già emerso negli scorsi giorni, quando sono comparse le prime “mancette” finanziate con i 60 milioni del “tesoretto” destinato proprio alle modifiche parlamentari, veicolate dagli emendamenti dei relatori (alle opposizioni sono andati 40 milioni, tutti impiegati in misure per la lotta alla violenza contro le donne).

    Ma ora che la manovra è legge, dopo il via libera definitivo di Montecitorio, il quadro è completo: ha la forma di uno spin-off, di una legge mancia in versione mini che è ben dettagliata negli ordini del giorno accolti.

    […] In tutto, per la mancia tripartita, ci sono circa 20 milioni. Un terzo, quindi, delle risorse che i partiti che sostengono il governo avevano a disposizione. Sono 72, in tutto, le voci della mancia: 40 in capo a Forza Italia, 28 al Carroccio, 4 a Fratelli d’Italia. Non per questo il partito della presidente del Consiglio ha avuto meno soldi da spendere rispetto agli alleati, ma la tripartizione prende in considerazione solo le micromisure.
    Fuori da questo perimetro, FdI ha speso altri 30 milioni per interventi destinati all’agricoltura e alla cultura, facendo soprattutto felice uno dei ministri di partito: il titolare delle Politiche agricole Francesco Lollobrigida. Mentre la Lega ha concentrato circa 15 milioni sulla proroga di due mesi, fino a fine febbraio, dell’Iva al 10% per le compravendite di pellet; gli “azzurri” invece hanno incassato risorse di parte corrente e in conto capitale, per micro investimenti, spalmate su più anni.
    Il totale, sommando tutte le misure, fa circa 60 milioni. Ma dove finiranno i circa 20 milioni fatti confluire nelle 72 mancette? Il menù più stravagante è quello di FI. Soprattutto nella parte riservata alla spesa “fresca”, quella di parte corrente.
    A Osopio Sopra, cinquemila anime in provincia di Bergamo, gli spazi per i dibattiti pubblici sono evidentemente troppo piccoli: per questo l’anno prossimo arriveranno 200 mila euro per una struttura polifunzionale dove si svolgeranno le riunioni del Consiglio comunale e assemblee con i cittadini.
    E a Fondi, in provincia di Latina, si va sulla fiducia per generiche “attività di interesse culturali” che potranno contare su 800 mila euro, in due tranche: la prima nel 2025, la seconda l’anno successivo. Grande attenzione per la cittadina laziale perché potrà spendere anche 400 mila euro per “la riqualificazione e la realizzazione di aree verdi attrezzate ad uso pubblico”. […]
    Lunga, la lista delle mancette della maggioranza. Ci sono 400 mila euro per restaurare il Tempio Ossario di Bassano del Grappa, in provincia di Vicenza, ma anche 200 mila euro per rifare gli spogliatoi e i bagni pubblici del campo sportivo “Sante Tonello” di Barbeano a Spilimbergo, in Friuli- Venezia Giulia. E 250 mila euro per “interventi di omologazione e manutenzione straordinaria” per due campi da baseball a Piacenza. Il lucchetto alla manovra si è allentato ancora un po’.
  2. IL BUON SENSO NON E' UMANO : Negli elenchi delle vittime di capodanno non c'è Tornado, il cavallo irlandese che è morto spaventato dai botti. Non c'è neanche la cagnolina rimasta soffocata fra le maglie di una recinzione mentre scappava da quella bolgia di scintille e spari che scoppiavano sulla sua testa. L'ha uccisa una festa. Ma gli animali non fanno testo. Non c'è posto per loro dentro ai numeri del Viminale che raccontano le cronache della guerra di San Silvestro, una baldoria di fuochi e petardi che spaccano il cielo della notte: 274 feriti, 64 minorenni, anche un bambino di sei anni. Dodici sono dovuti all'uso di armi da fuoco e 262 ai mortaretti. Quelli gravi sono 25 (nel 2023 erno 10). Una donna morta, madre di due figli, presa alla testa da un colpo vagante. Il 55 per cento in più dell'anno scorso, quando negli ospedali finirono in 180. Son aumentati pure gli incendi provocato dai fuochi d'artificio: 703 contro 646. Ci sono proclami e divieti ogni volta, ma nessuno ferma questa follia. Anche a Buttigliera Alta, alle porte di Torino, ai piedi della Val di Susa, dove è morto Tornado, è successa la stessa cosa. Carolina Verardo racconta che «da mezzanotte qui in paese sembrava di essere in guerra. Nonostante l'ordinanza comunale che vietava l'uso dei fuochi d'artificio, queste esplosioni, questi rumori che spaccavano le orecchie, sono continuati per almeno due ore. E dopo uno di questi botti, Tornado si è imbizzarrito. Ha fatto un balzo, poi un altro, è caduto male e si è rotto una gamba». Quando è arrivato il veterinario, ha fatto come fanno nei film, gli ha guardato il dolore negli occhi, gli ha accarezzato il collo e poi gli ha fatto una puntura per sedarlo. Ma non c'era più niente da fare, ha detto rialzandosi sopra di lui. La frattura era scomposta e non era curabile, bisognava sopprimerlo.
    Tornado l'ha ucciso una festa. Ma lui è morto per non uccidere uno dei due pony che gli erano accanto nella scuderia. Dentro al recinto c'erano il cavallo irlandese, due pony e una maialina, gli animali della fattoria nel bed & breakfast di Carolina Verardo, che durante le vacanze portano a spasso i clienti sulle pendici e nei boschi attorno. Nella notte di capodanno, dopo un po' che continuavano i botti, Tornado ha cominciato ad agitarsi. Girava il muso, roteava gli occhi e le narici gli fumavano come ciminiere. Ma quando ha scrollato la testa e ha fatto uno scarto all'improvviso, come se volesse saltare in alto o scalciare con gli zoccoli posteriori, ha spostato il corpo cadendo male per terra, in un movimento illogico. Invece non voleva colpire il pony che era accanto a lui. Gli animali fanno cose che facciamo anche noi, ma che a volte ci dimentichiamo. Tornado era un cavallo elegante, di pelo chiaro, che quando portava in giro qualcuno avanzava sulle falde alle prime pendici della montagna, rizzando le orecchie al volo improvviso di piccoli uccelli invernali e tenendo alto il muso tra sbuffi di fiato. Doveva essere un signore, a modo suo. Comunque, è morto così, proprio come un signore.
    La vertà è che non tutti si divertono a Capodanno. E Tornado non è l'unica vittima di questo tipo. Secondo l'Associazione italiana di difesa degli aninmali e dell'ambiente sono 400 i cani e i gatti morti durante i festeggiamenti nel corso del 2023 e centinaia quelli scappati di cui non si sa più nulla: «Si tratta di un dato peggiore rispetto a quello dello scorso anno. La maggior parte di loro muore di crepacuorea». Per Elisabetta Erba, etologa del Wwf, i numeri sono anche assai più gravi: «Solo a capodanno in Italia muoiono 5mila animali a causa dei botti». Non succede, comunque, solo in Italia. Anche in Galles è morto un cavallo, che si chiamava Solo. Fiona Hohmann ha raccontato che è stato preso dal panico quando ha sentito i botti e s'è messo a correre come un pazzo lì intorno, tra i pioppi raggruppati sull'ansa del fiume, con i rami ossuti che si stagliano sullo sfondo e il vento freddo che scende dal Nord, fino a quando il cuore si è fermato. Anche i botti erano finiti. Il suo vecchio cuore non lo poteva sapere. E pure in Belgio una giumenta è morta di paura per i fuochi di artificio, a Hoeselt, una provincia fiamminga del Limburgo. Elke Vandersanden ha detto che odiava i botti, «perché per loro è come se vivessero l'esperienza di trovarsi sotto un bombardamento in tempo di guerra. Lo sapevamo che li pativa». E allora l'hanno messa in una stalla e con un altro cavallo, il suo compagno, che gli stava accanto nel disperato tentativo di proteggerla. Il suo cuore non ha retto lo stesso. La foto che la ritrae accasciata per terra, con lo stallone che si china su di lei come se volesse darle l'ultimo bacio, è diventata virale e ha fatto il giro del mondo. Se pensiamo di essere tanto diversi da loro, che gli animali non abbiano i nostri sentimenti, forse, guardandola, dovremmo ricrederci. E faremmo bene a ricrederci su un mucchio di cose. Anche sulle feste a suon di botti. Magari servirebbe conoscere qualche storia dei feriti, il ragazzo a Foggia di 17 anni che ha perso una mano, come quello di 15 a Grosseto, il bambino di 6 ustionato. Siamo sicuri che non abbiano ragione i cavalli? Che questa non è più una festa?

 

 

01.01.24
  1. UN ESEMPIO CHE L'ITALIA NON SEGUE PER PERMETTERE DI RUBARE NELL RICOSTRUZIONE DA TERREMOTI:   Una scossa forte, lunga, quasi interminabile. Poi un messaggio in caratteri cubitali giallo fosforescente sulle televisioni accese sui programmi di Capodanno: «Tsunami! Evacuare!». Subito il ricordo del disastro di Fukushima dell'11 marzo 2011. E poi il pensiero alle tante centrali nucleari ancora attive, sei con 22 reattori non lontane dall'epicentro del terremoto. Il Giappone è entrato così nel 2024, tremando per il sisma di magnitudo 7.6 che ha scosso tutta Honshu, la principale isola dell'arcipelago su cui si trova anche Tokyo. La capitale dista circa 500 chilometri dall'epicentro, la penisola di Noto sulla costa occidentale, ma anche lì gli edifici hanno tremato.
    Ma ieri, a notte fonda, la sensazione era quella dello scampato pericolo. Tanto che viene da chiedersi come si sia riusciti a reggere l'urto di un terremoto che ha causato la prima massima allerta tsunami proprio da quel maledetto 11 marzo 2011. Il rischio atteso era quello di onde alte fino a cinque metri, tanto da portare all'allerta anche Russia, Corea del Nord e Corea del Sud. Per la penisola di Noto era il terremoto più forte mai registrato dal 1885, e l'allarme è scattato subito. «Le vostre vite sono importanti, mettetevi al riparo», recitavano i messaggi trasmessi sulle tv. Il servizio ferroviario di buona parte della costa occidentale veniva interrotto, chiusi diversi rami autostradali. Oltre 32 mila abitazioni restavano senza corrente. A circa 97 mila è stata ordinata l'evacuazione. Migliaia hanno trascorso la notte in rifugi, compresa una base militare dell'aeronautica. In tarda serata l'allerta è stata abbassata di grado una prima volta, poi una seconda con il rischio tsunami definito «ampiamente scongiurato». Le onde più alte sono arrivate a soli 1,2 metri.
    Ai residenti evacuati viene comunque chiesto di restare al riparo, anche perché l'agenzia meteorologica prevede forti scosse di assestamento nei prossimi giorni. Già ieri, poco prima della mezzanotte, ce n'è stata una di magnitudo 4.2.
    Non tutti troveranno la propria casa in piedi. A Wajima è esploso un vasto incendio, decine di edifici crollano tra le fiamme. La polizia accerta almeno sei morti, ma ci sarebbero altre persone ancora intrappolate tra le macerie. Diversi i feriti, trasportati in ospedale dopo essere caduti o essere stati colpiti da oggetti vaganti. Il bilancio è per forza di cose ancora provvisorio, anche perché ieri le operazioni di soccorso sono state ostacolate dal buio. Circa mille soldati sono stati subito mandati nella prefettura di Ishikawa, altri 8500 sono pronti a essere mobilitati. Sui social sono centinaia i video che mostrano edifici crollati o persone cercare di mettersi al riparo, rannicchiate nei supermercati o nelle stazioni ferroviarie.
    Il premier Fumio Kishida, memore delle conseguenze politiche del disastro del 2011, è apparso più volte in tv per chiedere ai giapponesi di mettersi al riparo e restare cauti. La preoccupazione principale è quella legata alle centrali nucleari, anche perché il terremoto giunge in un momento politicamente delicato. Nonostante la forte opposizione agli impianti seguita al disastro che nel 2011 causò quasi 20 mila morti, il governo Kishida ha riaffermato l'impegno sull'energia nucleare. Proprio la scorsa settimana è stato revocato il blocco alla centrale Kashiwazaki-Kariwa, la centrale più grande del mondo, non operativa negli ultimi 12 anni.
    L'Autorità giapponese per la regolamentazione nucleare ha dichiarato che non sono state segnalate irregolarità nelle centrali dislocate lungo il mar del Giappone, compresi i cinque reattori attivi degli impianti di Ohi e Takahama della Kansai Electric Power. L'impianto Shika di Hokuriku, il più vicino all'epicentro, aveva già fermato i suoi due reattori prima del sisma e non ha risentito del terremoto.
    Quando comincia la seconda notte del 2024, il Giappone inizia a sperare che sia stato "solo" un grande spavento.
  2.  Arbore ha distrutto tutto"
    I settant'anni della televisione sono, per Nino Frassica, un salto nel passato. Un bel salto tra umori e sensazioni che non esistono più, una sorta di suggestione alla Nuovo Cinema Paradiso, schermo acceso, tante chiacchiere e risate. Anche qui lo scenario è siciliano, paese piccolo, tutti ne parlano.
    Frassica qual è il suo primo ricordo della tv?
    «In paese mio zio era l'unico a possedere una televisione, dunque la sera si andava tutti da lui, circa una trentina, quanti ne potevano entrare. Mio zio però era tirchio e considerava il Carosello come tempo perso, energia elettrica sprecata. Così si era fatto un calcolo, spegneva dopo il tg e riaccendeva per la prima serata, era diventato precisissimo».
    E voi?
    «Noi aspettavamo, io mi divertivo moltissimo soprattutto ai commenti, perché non esisteva guardare un programma in silenzio. Si parlava in dialetto, si interagiva con i protagonisti al di là dello schermo, spesso partivano insulti. Come si stesse al teatro dei pupi o al cinema».
    Il suo primo ricordo da interno tv?
    «"Quelli della notte". Prima la gavetta nelle tv private, ma lì sentii di avere finalmente fatto il salto, la prima trasmissione della Rai e ancora non sapevo che contemporaneamente stavamo rivoluzionando il modo di concepire la televisione. Nasceva con noi seduti sui divani, sera dopo sera, la modernità».
    Come vi sentivate?
    «Emozionati, mai preoccupati. Eravamo un gruppo, tutti amici, questo ci aiutava moltissimo. Mettevamo su uno spettacolo molto diverso dal classico varietà. Renzo Arbore sapeva fare squadra, notte dopo notte dava corpo alla festa. Improvvisamente il presentatore paludato e le vallette erano roba vecchia».
    Un successo epocale...
    «Arbore poi mi premiò con "Indietro Tutta" che questa volta non mi vedeva in un contesto corale ma da protagonista, il bravo presentatore. Abbiamo subito capito, anche questa volta, che funzionava ma non era più un fenomeno a sé, Renzo aveva colpito ancora una volta».
    Le manca qualcosa di allora?
    «I tempi giusti, quelli comodi che rimpiango. Allora ebbi questa fortuna. Per i comici di oggi è complicato, se cedi per un attimo sai che in agguato c'è il telecomando. Io mi sono adeguato, da Fabio Fazio ci metto dentro settanta cose per non perdere mai il ritmo».
    Non succede solo per i comici?
    «Per noi è più dura. Prendiamo i talk. Cento ospiti a puntata parlano pochi secondi e si cambia. È un nuovo linguaggio, veloce. I primi a dare questo slancio furono quelli di Italia1, la tv dei giovani. Arbore ci dava la possibilità di esprimerci e da musicista aveva l'orecchio per capire quando sterzare. Chissà se oggi un Walter Chiari avrebbe ancora la possibilità di far durare una barzelletta 20 minuti».
    E quale televisione ricorda con maggiore nostalgia?
    «Mi piacevano molto i gialli, Maigret di Gino Cervi, Nero Wolf di Tino Buazzelli, il Tenente Sheridan di Ubaldo Lay. Ma se le rivedi adesso, sembrano telenovela brasiliane, lentissimi e con i mezzi tecnici di allora. Adesso tutto è migliorato».
    I difetti dei giorni nostri?
    «Prendiamo i varietà, sono troppo lunghi. In quattro ore dilati, ti accontenti pur di arrivare a coprire tutto il tempo a disposizione. Bravissimo Fiorello che da uomo intelligente ha capito e fa della brevità un altro valore della sua trasmissione. Purtroppo adesso tutto è legato ai soldi e allo share. Se allunghi hai risparmiato sulla seconda serata e se arrivi oltre la concorrenza, guadagni in ascolti. Oramai tutte le tv fanno questo giochetto perché tutte vogliono diventare generaliste».
    Mercoledì è prevista una serata evento condotta da Carlo Conti, un omaggio al mitico «Rischia Tutto». C'è anche lei giusto?
    «Sì, ci sono tre coppie, io con Chiambretti, Loretta Goggi con Luca Argentero e Venier-Matano. Senza spoilerare le posso dire che vinco io».
    Tra i personaggi della tv, chi le piace di più lasciando fuori Arbore perché sarebbe una risposta scontata?
    «Fazio perché studia molto oltre ad avere un talento naturale. Da spettatore Mario Riva, Baudo. Ma quando arrivò Arbore si capì che tutto era cambiato. Tortora, Corrado, Bongiorno erano bravissimi ma non erano originali. Villaggio che insultava il pubblico lo era, i surreali Cochi e Renato lo erano. E soppiantarono il quartetto d'oro dei presentatori. La prevedibilità dei bravissimi non mi diverte. Falqui era un grandissimo, i suoi show erano perfetti ma non conosceva il fascino del disordine»

 

 

 

ESCLUSIONE COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE , COME AZIONISTA ATLANTIA, NEL PROCESSO A CARICO DI CASTELLUCCI PER IL CROLLO DEL PONTE MORANDI

COST PONTE M

 

 

 

 

Diritti degli azionisti

La Direttiva 2007/36/EC stabilisce diritti minimi per gli azionisti delle societa' quotate in Unione Europea. Tale Direttiva stabilisce all'Articolo 9 il diritto degli azionisti a porre domande connesse ai punti all'ordine del giorno dell'assemblea e a ricevere risposte dalle societa' ai quesiti posti.

 

Considerando le difficolta' che spesso si incontrano nel proporre domande e nel ricevere risposte in tempo utile, in particolare per quanto riguarda gli azionisti individuali impossibilitati a partecipare alla assemblea, e considerando che talvolta vi e' poca chiarezza sulle modalita' da seguire per porre domande alle societa',

 

Ritiene la Commissione:

che il diritto degli azionisti a formulare domande e ricevere risposte sia adeguatamente garantito all'interno dell'Unione Europea?

che la possibilita' di porre domande e ottenere risposte solo nel caso l'azionista sia fisicamente presente nell'assemblea sia compatibile con la Direttiva 2007/36/EC?

 

In che modo la Commissione ritiene che le societa' quotate debbano definire e comunicare le modalita' per porre domande da parte degli azionisti, in modo da assicurare che tale diritto sia rispettato appieno? Sergio Cofferati

 

 

IL MIO LIBRO "L'USO DELLA TABELLA MB nei CASI DI PIANI INDUSTRIALI: FIAT, TELECOMITALIA ED ALTRI..." che doveva essere pubblicato da LIBRAMI-NOVARA nel 2004,  e' ora disponibile liberamente  CLICCA QUI 

 

 

In data 3103.14 nel corso dell'assemblea Fiat il presidente J.Elkann mi fa fatto allontanare dalla stessa dalla DIGOS impedendomi il voto eccone la prova:   

DOC DIGOS

 

Sentenze  

1) IL 21.12.12  alle ore 09.00 nel TRIBUNALE TORINO aula 80 C'E'  STATA LA SENTENZA DI ASSOLUZIONE  PER LA QUERELA DELLA  FIAT,  PER QUANTO DETTO nell'ASSEMBLEA FIAT 2008 .UN TENTATIVO DI IMBAVAGLIARMI, AL FINE DI VEDERE COME  DIFENDO I MIEI DIRITTI E DI TUTTI GLI AZIONISTI DI MINORANZA NELLE ASSEMBLEE .

 Mb

SCAPARONE     SENT Mb

il 24.11.14 alle ore 1200 si tenuto al TRIBUNALE DI TORINO aula 50 ingresso 19 l'udienza finale del mio processo d'appello in seguito alla querela di Fiat per aver detto il 27.03.2008 all'assemblea FIAT che ritengo "Marchionne un'illusionista temerario e spavaldo" e che "la sicurezza Fiat e' responsabile della morte di Edoardo Agnelli per omessa vigilanza". In 1° grado ero stato assolto anche in 2° e nuovamente sia FIAT che PG hanno impugnato per ricorso in Cassazione che mi ha negato la libertà di opinione con una sentenza del 14.09.15.

SOTTO POTETE TROVARE LA DOCUMENTAZIONE

SENT 2013   FIAT 2013  PM 2013 SENT 2015  FIAT 2015  PG 2015  SCA 14.11.14 SCA 24.11.14  SENT CASS

2) il 21 FEBBRAIO 2013  GS-GABETTI sono stati condannati per agiotaggio informativo.

SENTENZA DELLA CASSAZIONE SULL'ERRORE DEL TRIBUNALE DI TORINO NELL'ASSOLVERE GABETTI E GRANDE STEVENS

SENT CASS  SENT AP TO

 

Ifil-Exor: no risarcimento a parti civili, Consob punta a Cassazione

Borsa Italiana-21/feb/2013

Come parti civili si erano costituite la Consob e due piccoli azionisti, tra cui Marco Bava, noto per il suo attivismo in molte assemblee. "Non so ...

 

SU INTERNET IL  LIBRO DI GIGI MONCALVO  SULL'OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI

PRES LIBRO   COP LIBRO DICEMBRE

Edoardo, un Agnelli da dimenticare

 

Marco Bernardini non ha le prove del suicidio io ho molte prove dell'omicidio che sono state illustrate in 5 libri di cui l'ultimo e' l'ultimo di Puppo :

EDOARDO AGNELLI, UN GIALLO TROPPO COMPLICATO - DIRITTO DI CRONACA

Ma Lapo ricorda il suo cane :

http://www.today.it/rassegna/morto-cane-lapo-elkann-comodino.html

 

 

La vostra voce in Europa - Consultazioni aperte - IT

 

 

www.italiachecambia.org

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http://paoloferrarocdd.blogspot.it/

 

Sarà operativa dal 9 gennaio la nuova piattaforma per la risoluzione alternativa delle controversie online messa in campo dalla Commissione europea. Gli organismi di risoluzione alternativa delle controversie (Adr) notificati dagli Stati membri potranno accreditarsi immediatamente, mentre consumatori e professionisti potranno accedere alla piattaforma a partire dal 15 febbraio 2016, all'indirizzo

http://ec.europa.eu/consumers/odr/

 

 

http://www.freevillage.it/ sito avv.Mario Piccolino ucciso il 29.05.15

 

VIDEO Mb

https://youtu.be/ACwrglgdOeA

https://youtu.be/gQoC1u6yWOM

https://youtu.be/pJ3Y_oSqMV8

https://youtu.be/cSQo3ljpM-Y

 

 

 

 http://www.barattobb.it/

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Videoinforma :  www marcobava.it

 

SE VUOI VEDERE COME VA IL MOND0 VAI SU : https://youtu.be/3sqdyEpklFU

 

 

Sistema di Gestione e Controllo PRNN

https://www.mase.gov.it/pagina/pnrr/sistema-di-gestione-e-controllo

 

 

 

 

Le telecomunicazioni sono un asset strategico per la crescita e lo sviluppo sostenibile del Paese. La disponibilità di una infrastruttura di telecomunicazioni performante è determinante ai fini della competitività. È dunque essenziale essere informati su quello che sta accadendo nel settore anche per capire in che direzione sta andando il Paese.

Ecco una lista delle fonti più affidabili.

Mimit: il ministero per le Imprese e Made in Italy è diviso in sezioni. La sezione “Comunicazioni” è organizzata in due sotto-sezioni: una dedicata alla banda ultralarga dove è possibile accedere al catasto delle infrastrutture e al portale bandaultralarga.italia.it dove è possibile monitorare lo stato dei lavori. L’altra sezione è dedicata a Internet con tutte le info relative all’Internet governance, la sicurezza informatica, le autorizzazioni ai provider e la normativa sull’accessibilità. Nella sezione Media disponibili gli ultimi annunci e azioni del ministero per accelerare sulla diffusione della connettività in Italia.

Infratel: la società di Invitalia è impegnata in interventi di infrastrutturazione del Paese, per il superamento del digital divide e l’abilitazione alla diffusione di servizi di connettività avanzati. Si può accedere alla Data Room, lo spazio online progettato per condividere i dati che sono alla base degli interventi di infrastrutturazione digitale su tutto il territorio nazionale. Inoltre è presente il link al portale del piano nazionale banda ultralarga per monitorare lo stato dei lavori e aanche quello del progetto “Wifi Italia”.

Corecom: i Comitati regionali per le comunicazioni sono gli organi funzionali di Agcom sul territorio. Sui portali regionali attività, stato dell’arte sulla diffusione delle reti e ricerche.

FONTI ISTITUZIONALI EUROPEE E INTERNAZIONALI
Dg Connect: è la direzione della Commissione europea per le Reti di comunicazione dove è possibile trovare tutto il programma di lavoro della Commissione, i piani strategici e di gestione e infine le relazioni annuali delle attività con i risultati e risorse utilizzate dalla direzione anno per anno.

Etsi: lo European Telecommunications Standards Institute è un organismo internazionale, indipendente e senza fini di lucro, responsabile della definizione e dell’emissione di standard nel campo delle Tlc in Europa. Tutti gli standard sono disponibili online.

Itu: l’International Communication Union è l’agenzia Onu per le telecomunicazioni. Il portale istituzionale elenca e approfondisce le azioni strategiche che l’ente sta mettendo in campo per ridurre il digital divide in tutto il mondo e una serie di interviste ad esperti e membri dell’Agenzia stessa sulle strategie da adottare per un mondo più connesso.

LE ASSOCIAZIONI ITALIANE
Asstel: l’associazione che raccoglie le grandi telco italiane a disposizione notizie sulle attività, le legislazioni di riferimento del settore e lo stato dell’arte sul mondo del lavoro e sulle relazioni industriali.

Aiip: l’associazione italiana internet provider raccoglie le telco medie e piccole. Sul portale è possibile accedere ai contenuti sulle attività dell’organizzazione e degli associati e sul ruolo delle Pmi del settore per uno sviluppo sostenibile del settore.

Assoprovider: l’associazione rappresenta gli internet service provider. Online sul portale una serie di contenuti su attività, legislazione e strategie.

Quadrato della Radio: raccoglie manager, esperti e ricercatori che “studiano” l’evoluzione delle Tlc in Italia e nel mondo. Sul sito disponibili tutte le attività e le ricerche.

LE ASSOCIAZIONI INTERNAZIONALI
Etno: l’European Telecommunications Network Operators’ Association raccoglie le telco europee. Il sito fornisce aggiornamenti sulle ultime notizie e comunicati stampa relativi alle attività di Etno e all’industria delle telecomunicazioni in generale nonché una serie di documenti, rapporti e pubblicazioni su argomenti chiave per l’industria delle telecomunicazioni.

Ecta: la European Competitive Telecommunications Association raccoglie gli operatori alternativi, compresi gli Mnvo. Su sito le informazioni sull’associazione, comprese le posizioni e le advocacy rispetto ai temi che riguardano gli operatori concorrenti in Europa. Disponibili anche report, analisi e informazioni sulle tendenze del settore.

Ftth Council Europe: è un’organizzazione senza scopo di lucro che rappresenta gli operatori di rete a banda larga in fibra ottica in Europa. Sul portale sono disponibili informazioni sui vantaggi della tecnologia Ftth, report e analisi sugli impatti economici e sociali della fibra su economia e società e risorse tecniche e informative per aiutare le telco nella pianificazione e nella realizzazione di reti Ftth.

Gsma: la Global System for Mobile Communications Association, è un’organizzazione internazionale che rappresenta gli operatori di Tlc mobili di tutto il mondo. Disponibili notizie e aggiornamenti sulle ultime tendenze, innovazioni e sviluppi nel settore delle telecomunicazioni mobili e anche analisi e studi di mercato. Online anche risorse e best practice per gli operatori di telefonia mobile, come linee guida operative, documenti tecnici, standard e regolamenti.

TESTATE E PORTALI ONLINE
CorCom: testata del Gruppo Digital360, è il più importante quotidiano online italiano che si occupa di tematiche inerenti le Tlc. Sono disponibili news, approfondimenti e interviste ai protagonisti del settore che raccontano come sta evolvendo il mondo delle Tlc e l’impatto su economia e società. Ogni giorno è inviata una newsletter con le notizie più rilevanti.

Techflix360: è il nuovo centro di risorse del Gruppo Digital360. Un vero e proprio “knowledge hub” sull’innovazione digitale e le telecomunicazioni che consente di approfondire gli argomenti di interesse attraverso white paper, webcast, eBook, infografiche, webinar.    

Telecompaper: fornisce notizie, analisi, rapporti di settore e servizi di consulenza per le industrie delle telecomunicazioni, dei media e della tecnologia. Telecompaper monitora costantemente l’evoluzione del settore, raccogliendo informazioni da diverse fonti e fornendo aggiornamenti sulle tendenze, gli sviluppi e le innovazioni nel campo delle telecomunicazioni.

Total Telecom: il sito offre notizie, approfondimenti e interviste a protagonisti del settore delle Tlc europeo e internazionale. Disponibili anche podcast e webinar.

Mobile World Live: è una piattaforma online che fornisce notizie, analisi e informazioni sul settore delle telecomunicazioni e della tecnologia mobile. È gestita dalla Gsma e offre una copertura dettagliata degli eventi e delle novità dell’industria, tra cui le ultime tendenze, gli sviluppi tecnologici, le partnership commerciali e le iniziative di innovazione nel campo delle comunicazioni mobili.

Fierce Telecom: il sito online fornisce aggiornamenti sulle ultime tendenze, sviluppi e innovazioni nell’industria delle telecomunicazioni. Fierce Telecom copre una vasta gamma di argomenti, tra cui reti di comunicazione, servizi di connettività, infrastrutture, tecnologie emergenti, regolamentazione e molto altro.

 

 

 

CAMERA DEI DEPUTATI – TESTO UNIFICATO – Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull’operato del Governo e sulle misure da esso adottate per prevenire e affrontare l’emergenza epidemiologica del COVID- 19

 

 

TO.11.06.23

H2 Mb

l’H2 e’ una riserva di energia non e’ un vettore energetico visto che il suo rapporto energetico e’ di 2 a 1? Per cui la produzione corretta di H2 da stoccaggio e’ a km0 .
Vettore energetico significa trasportare l’energia come il gas la trasporta dai giacimenti nei gas dotti.
H2 e’ una riserva di energia che viene prodotta e conservata in un luogo definito in funzione dell’uso che se ne puo’ fare in una centrale elettrica in termini di tempo oppure per l’auto in termini di spazio per viaggiare . L’H2 e’ un trasporto mediato dell’elettricita’.
Alla base dell’H2 ci sono l’elettricità’ da fonte rinnovabile e l’acqua. Si produce l’H2 perché dove c’e’ bisogno di energia non si può portare con un filo elettrico. Per cui l’H2 e’ una riserva di energia che viene prodotta e posizionata dove e quando serve. Per cui a H2 e non ha senso produrre H2 con elettricità rinnovabile per poi tornare a produrre elettricità. A questo punto ha molto più senso produrre elettricità, prendere un filo elettrico e portare l’elettricità’ dove e quando serve. Ci sono dei casi in cui l’elettricità’ non può essere portata con un filo, come per l’autotrazione e quindi si usa l’H2 come riserva di elettricità da usare in movimento senza un filo o una batteria. Quindi con l’elettricità’ e l’acqua si produce l’H2 , che poi si libera rilasciando elettricità con uno spostamento d’acqua dal luogo di produzione dell’H2 a quello di utilizzo. In una centrale elettrica dove l’H2 viene prodotto per costituire una riserva, quando l’H2 si riutilizza anche l’acqua viene recuperata . Sia per l’autotrazione sia per le centrali elettriche la produzione ottimale e’ a KM0 . Cioe’ il distributore e la produzione di energia elettrica. Ecco perche’ non ha senso H2MED.

PROGETTO ITH2 per;
1) un progetto nazionale integrato energia-clima PNIEC
2) PRODUZIONE DELLA TOYOTA PRIUS H2 A TORINO

Premessa: La produzione dell’H2 e’ quella di una infrastruttura che produca energia rinnovabile con fotovoltaico che non consumi territorio e con boe marine per produrre H2 a KM0 con idrogenatori.

OBIETTIVO : H2 KM0 e’ l’obiettivo finale in quanto il rapporto energico fra la produzione ed il risultato e’ di 2 a 1. Significa che per produrre 1 di H2 con idrogenatore occorre utilizzare 2 energia elettrica. Per cui non hanno senso gli idrogenodotti per trasportare H2, in quanto ha una convenienza produrre H2 dove viene utilizzato. Ecco perche’ ha piu’ senso trasportare l’elettricità con elettrodotti, da fonte rinnovabile per produrre H2 dove quando serve.

A COSA PUO’ SERVIRE L’H2 ?: 2 possono essere gli utilizzi dell’H2
1) Autotrazione
2) Produzione di energia elettrica quando le energie rinnovabili non sono disponibili.

PROGETTI DI SVILUPPO: Sviluppando rapidamente una rete dell’H2 per autotrazione attraverso la GDO ed AUTOGRILL si possono realizzare pensiline fotovoltaiche per produrre energia elettrica per l’H2.
Con una base distributiva dell’H2 si creano le premesse ed un modello europeo per la domanda di H2 e delle auto ad H2 per cui si può arrivare a produrre negli stabilimenti Pininfarina la futura top dell’H2 : TOYOTA PRIUS H2.

Marco BAVA
 

https://www.youtube.com/watch?v=dDCfk3u9vU0 (VIDE MINISTRO PICHETTO)

https://www.youtube.com/watch?v=Cr1FmAgE-WY (video integrale DR QUADRINO)

 

 

BENITO MUSSOLINI : PERDENTE

L’8 settembre 1943 a Modena
La sera dell’8 settembre 1943 il generale Matteo Negro presidia il Palazzo ducale di Modena. I militari presenti sono troppo pochi per tentare una difesa. Diversi sono impegnati nel campo estivo alle Piane di Mocogno, agli ordini del colonnello Giovanni Duca. Negro, tutt’altro che ostile ai nazisti, decide di consegnarsi alle forze occupanti. In città cerca di resistere soltanto un reparto del 6° reggimento di artiglieria, che punta alcuni pezzi contro i nazisti. Poco dopo, tuttavia, il comando ordina di desistere e la Wehrmacht trova via libera.

Il mattino del 9 settembre i modenesi si risvegliano sotto l’occupazione nazista. La situazione è molto confusa, ma il cronista Adamo Pedrazzi non teme che si scatenino particolari violenze. La città sembra ordinata e piuttosto pronta ad abituarsi alla nuova situazione. Le cose sono però molto diverse là dove la fame si fa sentire.

In vari luoghi della provincia i civili prendono d’assalto ammassi e salumifici per evitare che le scorte finiscano nelle mani dei militari. I più disperati cercano di accaparrarsi quel cibo che è sempre più raro. Da qualche parte la foga è tale da generare veri e propri pericoli. A Castelnuovo Rangone i nazisti intervengono con le armi mentre tante persone cercano di portare via qualcosa dal salumificio Villani.

Passano alcuni giorni e la situazione diventa più chiara. I nazisti non sembrano voler infierire con la violenza, ma i fascisti della Repubblica sociale italiana si mostrano subito determinati ad affermare la propria autorità. Pretendono che le famiglie restituiscono il cibo prelevato dagli ammassi e gli oggetti abbandonati dai militari in fuga. Non vogliono che nessuno sgarri. Pur di evitare il tradimento del patto con la Germania nazista, sono disposti a scatenare una guerra civile.

 

STRAGI DI STATO PER SPECULAZIONE INTERNAZIONALE  DA VACCINI

«Qual è l’incidenza assoluta di ictus ischemico e attacco ischemico transitorio dopo una vaccinazione bivalente COVID-19?».

A questa domanda hanno cercato di rispondere in uno studio pubblicato su MedRxiv i ricercatori del Kaiser Permanente Katie Sharff, Thomas K Tandy, Paul F Lewis ed Eric S Johnson che hanno rilevato ben 100mila casi di ictus ischemico tra pazienti americani over 65 del Nord-Ovest vaccinati con i sieri genici mRNA Pfizer o Moderna.

L’ischemia cerebrale è una condizione in cui il cervello non riceve abbastanza sangue da soddisfare i suoi bisogni metabolici. La conseguente carenza di ossigeno può portare alla morte del tessuto cerebrale, e di conseguenza all’ictus ischemico. E’ pertanto una patologia che mette in correlazione due note reazioni avverse dei sieri genici Covid mRNA o mDNA: le patologie cardiovascolari e quelle neurocerebrali, vergognosamente occultate dalla Pfizer nei suoi trial clinici.

«Abbiamo condotto uno studio di coorte retrospettivo su pazienti Kaiser Permanente Northwest (KPNW) di età pari o superiore a 18 anni che sono stati vaccinati con la formulazione Pfizer o Moderna del vaccino bivalente COVID19 tra il 1 settembre 2022 e il 1 marzo 2023. I pazienti sono stati inclusi nello studio studiare se fossero iscritti al KP al momento della vaccinazione e durante il periodo di follow-up di 21 giorni. Abbiamo replicato la metodologia di analisi del ciclo rapido Vaccine Safety Datalink (VSD) e cercato possibili casi di ictus ischemico o TIA nei 21 giorni successivi alla vaccinazione utilizzando i codici diagnostici ICD10CM sia nella posizione primaria che in qualsiasi posizione».

E’ quanto si legge nell’Abstract della ricerca intitolata “Rischio di ictus ischemico dopo la vaccinazione di richiamo bivalente COVID-19 in un sistema sanitario integrato (Risk of Ischemic Stroke after COVID-19 Bivalent Booster Vaccination in an Integrated Health System)”.

Lo studio dei ricercatori americani di Kaiser Permanente – link a fondo pagina

«Abbiamo aspettato 90 giorni dalla fine del follow-up (21 marzo 2023) per l’accumulo completo dei dati non KP prima di analizzare i dati per tenere conto del ritardo nell’elaborazione delle richieste di risarcimento assicurativo al di fuori dell’ospedale – proseguono i ricercatori di Kaiser Permanente – Due medici hanno giudicato possibili casi rivedendo le note cliniche nella cartella clinica elettronica. Le analisi sono state stratificate per età pari o superiore a 65 anni per consentire confronti con i VSD che hanno riferito alla riunione dell’Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) l’incidenza di ictus ischemico o TIA (incidenza riportata da VSD; 24,6 casi di ictus ischemico o TIA per 100.000 pazienti vaccinato)».

I risultati dello studio sono stati sconcertanti ed hanno confermato anche la ricerca tedesca che per prima aveva segnalato la pericolosità dei booster bivalenti che erano stati testati solo sui topi ma, nonostante ciò, furono raccomandati dal Dipartimento della Salute USA e dal Ministero della Salute italiano anche per i bambini.

«L’incidenza di ictus ischemico o TIA è stata di 34,3 per 100.000 (IC al 95%, da 17,7 a 59,9) nei pazienti di età pari o superiore a 65 anni che hanno ricevuto il vaccino bivalente Pfizer, sulla base di un codice diagnostico nella posizione primaria del pronto soccorso o dell’ospedale scarico. L’incidenza è aumentata a 45,7 per 100.000 (IC 95% da 26,1 a 74,2) quando abbiamo ampliato la ricerca a una diagnosi in qualsiasi posizione e non ci siamo pronunciati per la conferma. Tuttavia, la maggior parte di queste diagnosi aggiuntive di ictus apparente o TIA erano diagnosi di falsi positivi basate sul giudizio dei medici. La stima dell’incidenza basata sulla posizione primaria concordava strettamente con la stima dell’incidenza basata su qualsiasi posizione e giudizio medico: 37,1 su 100.000 (IC 95% da 19,8 a 63,5). Il 79% dei casi di ictus ischemico sono stati ricoverati in ospedali non di proprietà del sistema di consegna integrato».

«Abbiamo identificato un aumento del 50% nell’incidenza di ictus ischemico per 100.000 pazienti di età pari o superiore a 65 anni vaccinati con il vaccino bivalente Pfizer, rispetto ai dati presentati dal VSD. Il 79% dei casi di ictus ischemico sono stati ricoverati in ospedali che non sono di proprietà del sistema di consegna integrato e un ritardo nell’elaborazione delle richieste di risarcimento assicurative esterne all’ospedale è stato probabilmente responsabile della discrepanza nell’accertamento dei casi di ictus ischemico. Il giudizio medico di tutti i casi in questo studio ha consentito stime accurate dell’incidenza assoluta dell’ictus per 100.000 destinatari del vaccino ed è utile nel calcolo del beneficio netto per le raccomandazioni politiche e il processo decisionale condiviso».

«Poiché i vaccini COVID-19 caricano il corpo con il codice genetico per la proteina trombogenica e letale Wuhan Spike, coloro che prendono un vaccino sono vulnerabili a una catastrofe se vengono infettati da SARS-CoV-2 dopo aver recentemente preso uno dei vaccini» il famoso cardiologo americano Peter McCullough ha commentato così lo studio del professor Fadi Nahab dei Dipartimenti di Neurologia e Pediatria della Emory University a cui avevamo dedicato ampio risalto.

«Nahab e colleghi di Emory hanno analizzato un database statale di destinatari del vaccino COVID-19. Circa 5 milioni di georgiani adulti hanno ricevuto almeno un vaccino COVID-19 tra dicembre 2020 e marzo 2022: il 54% ha ricevuto BNT162b2, il 41% ha ricevuto mRNA-1273 e il 5% ha ricevuto Ad26.COV2.S. Quelli con concomitante infezione da COVID-19 entro 21 giorni dalla vaccinazione avevano un aumentato rischio di ictus ischemico (OR = 8,00, 95% CI: 4,18, 15,31) ed emorragico (OR = 5,23, 95% CI: 1,11, 24,64)» scrive McCullough nel suo Substack citando l’abstract dello studio.

«Questa analisi mostra uno dei tanti grandi pericoli presenti nello sviluppo e nel lancio rapidi di un vaccino senza una sicurezza e un monitoraggio dei dati sufficienti. L’ictus è un risultato devastante e sembra che un gran numero di casi debilitanti avrebbe potuto essere evitato se i vaccini COVID-19 fossero stati ritirati dal mercato nel gennaio 2021 per eccesso di mortalità. I pazienti in questo studio sarebbero stati risparmiati da ictus e disabilità» aggiunge il cardiologo americano rilevando l’importanza dello studio.

Verissimo! Ma quanti ictus avrebbero potuto essere evitati se lo studio fosse stato revisionato e pubblicato mesi fa sia sulla prestigiosa rivista che poi su PUBMED, la libreria scientifica dell’Istituto Nazionale della Salute americano (NIH) che l’ha ripreso?

 

Il 13 novembre, mi sono unito alla deputata statunitense Marjorie Taylor Greene e a sette suoi colleghi repubblicani della Camera, in un'audizione intitolata Injuries Caused by COVID-19 Vaccines, che ha esplorato i potenziali collegamenti tra la vaccinazione COVID-19 e gli eventi avversi tra cui miocardite, pericardite e coaguli di sangue. , danni neurologici, arresto cardiaco, aborti spontanei, problemi di fertilità e altro ancora. Il gruppo ha ascoltato le testimonianze sugli eventi avversi dei vaccini da parte degli esperti medici Dr. Robert Malone e Dr. Kimberly Biss e ha anche ascoltato l'avvocato Thomas Renz che rappresentava gli informatori del Dipartimento della Difesa (DOD) che hanno rivelato aumenti di diagnosi mediche tra i membri del servizio registrati in un DOD Banca dati. Scopri di più in questo comunicato stampa .

Altre notizie sul COVID-19

ASCOLTA - La verità con Lisa Boothe Podcast: Rivendicato con il senatore Ron Johnson

LEGGI - New York Post: Il senatore Johnson richiede un colloquio con il consigliere di Fauci, i dati chiave del COVID "profondamente preoccupati" sono stati distrutti

VEDI - Post su X: "E-mail confidenziale del consulente di Fauci che descrive in dettaglio gli sforzi per eludere la mia supervisione sulle origini del COVID-19 . Maggiori dettagli nel comunicato stampa.

GUARDA - Solo la Notizia: "Nessuno vuole ammettere di aver sbagliato". - Il senatore Johnson sugli ultimi numeri del vaccino COVID

 

Il British Medical Journal ha accusato la Food and Drug Administration, l’ente americano regolatore dei farmaci, di aver occultato il risultato di un grande studio di farmacovigilanza attiva, quindi non basato solo su segnalazioni individuali e gratuite a database (EudraVigilance gestita da EMA nell’Unione Europea e VAERS da CDC negli Stati Uniti), si è invece concentrato anche sul follow-up di alcuni vaccinati.

La ricerca statistica denominata “Sorveglianza della sicurezza del vaccino COVID-19 tra le persone anziane di età pari o superiore a 65 anni” è stata finalmente rilasciata dalla FDA e pubblicata il 1° dicembre 2022 dalla rivista specializzata Journal of Vaccine and Elsevier di Science Direct.

Il primo firmatario è Hui-Lee Wong, Direttrice associata per l’innovazione e lo sviluppo dell’Ufficio di biostatistica ed epidemiologia, Centro per la valutazione biologica della Food and Drug Administration statunitense, Silver Spring, MD, USA. Lo studio si concentra sui dati relativi a 30.712.101 persone anziane.

 

 

DOPO I VACCINI 15 INCIDENTI DI BUS PER MALORI DEI CONDUCENTI

Piazzola sul Brenta (PD), Marzo 2022, “Malore dopo l’incidente a Piazzola sul Brenta, grave un autista di bus. Il conducente 44enne ha tamponato un autocarro. Dopo la telefonata a BusItalia si è accasciato sul volante perdendo i sensi”;
Cesena, Dicembre 2022, “Cesena, malore mentre guida l’autobus: 9 auto danneggiate”;
Trento, Aprile 2023, “Paura a Trento, l’autista ha un malore e il bus esce di strada: il mezzo resta in bilico sul muretto del giardino di una casa”;
La Spezia, Maggio 2022, “Malore improvviso per l’autista dello scuolabus, mezzo fa un volo di venti metri”, Catania, Ottobre 2022, “Catania: autista si sente male, bus si schianta”;
Limone Piemonte, Marzo 2023, “maestra interviene per malore autista”;
Sandrà di Castelnuovo del Garda (VR), “Verona, l’autista ha un malore: il bus degli studenti esce di strada e finisce in un vigneto” (conducente di soli 26 anni);
Alessandria, Aprile 2022, “Autista di pullman muore alla guida per un malore”;
Settingiano (CZ), Luglio 2023, “Accosta ai primi sintomi: autista salva passeggeri bus prima di morire di infarto”;
Venezia, Ottobre 2022, “Malore improvviso prima di prelevare una scolaresca: Oscar Bonazza muore a 63 anni;
Roma, Dicembre 2022, “Roma, bus con 41 bimbi a bordo finisce fuori strada per malore autista”;
Cittadella (PD), Gennaio 2023, “Autista di scuolabus muore alla guida per un malore e centra un pullman a Cittadella. Il conducente aveva appena lasciato gli alunni a scuola”;
Genova, Luglio 2023, “Autobus sbanda e colpisce le auto in sosta per un malore dell’autista. L’autista è stato accompagnato al Pronto soccorso un condizioni di media gravità”;
Cagliari, Maggio 2023, “Malore improvviso, l’autista perde il controllo del bus, esce di strada e abbatte due semafori: strage sfiorata”;
Piacenza, Aprile 2023, “Autobus di linea contro un albero dopo il malore dell’autista”… Il più curioso, guardacaso, è poi questo;
L’Aquila, Luglio 2023, “Troppo caldo a bordo del bus, autista dell’Azienda mobilità aquilana (Ama) viene colpito da un malore”.

 

27.11.23

Su 326 autopsie di vaccinati morti «un totale di 240 decessi (73,9%) sono stati giudicati in modo indipendente come direttamente dovuti o a cui ha contribuito in modo significativo la vaccinazione COVID-19».

A scriverlo nero su bianco è una ricerca pubblicata in pre-print (ovvero ancora in attesa di revisione paritaria che potrebbe arrivare tra un mese o tra due anni) dal sito Zenodo che non può essere ritenuta una piattaforma poco affidabile in quanto è gestito dal CERN per OpenAIRE.

Zenodo è un archivio open access per le pubblicazioni e i dati da parte dei ricercatori. Il suo nome deriva da Zenodotos di Ephesos, il primo Direttore della grande biblioteca di Alessandria che ha messo le basi per la costruzione della biblioteconomia.

L’Organizzazione europea per la ricerca nucleare, comunemente conosciuta con la sigla CERN, è il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle, posto al confine tra la Francia e la Svizzera, alla periferia ovest della città di Ginevra, nel comune di Meyrin. La convenzione che lo istituiva fu firmata il 29 settembre 1954 da 12 stati membri mentre oggi ne fanno parte 23 più alcuni osservatori, compresi stati extraeuropei.

OpenAIRE è un partenariato senza scopo di lucro di 50 organizzazioni, fondato nel 2018 come entità giuridica greca, OpenAIRE A.M.K.E, per garantire un’infrastruttura di comunicazione accademica aperta e permanente a sostegno della ricerca europea.

Lo studio è stato presentato dal laureato in science (BS) Nicolas Hulscher presso il Dipartimento di Epidemiologia dell’Università del Michigan lo scorso venerdì 17 novembre 2023 durante una “poster session”. In ambito accademico l’esposizione di un “poster”, in un congresso o una conferenza con un focus accademico o professionale, è la presentazione di informazioni di ricerca sotto forma di poster cartaceo che i partecipanti alla conferenza possono visualizzare.

Il giovane Hulsher è stato accreditato con un progetto approvato denominato “Systematic Review of Autopsy Findings in Deaths after COVID-19 Vaccination – Revisione sistematica dei risultati dell’autopsia nei decessi dopo la vaccinazione COVID-19” in cui ha potuto fregiarsi di mentor senior di fama mondiale soprattutto nell’ambito delle inchieste sui danni da sieri genici mRNA o mDNA.

McCullough, che ha dato risalto all’evento sul suo substack, è il noto cardiologo americano che per primo ha denunciato i pericoli di miocarditi letali, confermati dagli studi FDA, CDC e infine anche dall’EMA, mentre Makis è l’oncologo canadese che ha scoperto il fenomeno del turbo-cancro.

Nei mesi scorsi lo studio era stato pubblicato anche dalla nota rivista britannica The Lancet che però lo aveva ritirato dopo 24 ore perché aveva scatenato – giustamente – una bufera sui media, sui social e di conseguenza nella comunità scientifica internazionale.

presentazione ufficiale presso l’Università de Michigan e dalla pubblicazione sul sito Zenodo gestito dal CERN.

D’altronde soltanto una volontà paranoica di censura potrebbe oscurarlo essendo basato su una semplice analisi di documenti pubblicati sul più importante archivio medico del mondo: la libreria PUBMED gestita dall’NIH, ovvero l’Istituto Nazionale per la Salute del Governo USA.

«Il rapido sviluppo e l’ampia diffusione dei vaccini contro il COVID-19, combinati con un elevato numero di segnalazioni di eventi avversi, hanno portato a preoccupazioni sui possibili meccanismi di danno, tra cui la distribuzione sistemica delle nanoparticelle lipidiche (LNP) e dell’mRNA, il danno tissutale associato alle proteine ​​spike, la trombogenicità, disfunzione del sistema immunitario e cancerogenicità. Lo scopo di questa revisione sistematica è indagare i possibili collegamenti causali tra la somministrazione del vaccino COVID-19 e la morte utilizzando autopsie e analisi post mortem».

Si legge nell’Abstract della ricerca che fa riferimento a problematiche già certificate separatamente da altre decine di studi  come quello del biochimico italiano Gabriele Segalla sulle nanoforme e sugli eccipienti tossici del siero genico Comirnaty di Pfizer-Biontech autorizzato dall’European Medicines Agency nonostante non potesse “non sapere della tossicità delle inoculazioni”.

«Abbiamo cercato tutti i rapporti autoptici e necroscopici pubblicati relativi alla vaccinazione COVID-19 fino al 18 maggio 2023 – riferiscono Hulsher et al. – Inizialmente abbiamo identificato 678 studi e, dopo lo screening dei nostri criteri di inclusione, abbiamo incluso 44 documenti che contenevano 325 casi di autopsia e un caso di necroscopia. Tre medici hanno esaminato in modo indipendente tutti i decessi e hanno determinato se la vaccinazione contro il COVID-19 fosse la causa diretta o avesse contribuito in modo significativo alla morte».

«Il sistema di organi più implicato nella morte associata al vaccino COVID-19 è stato il sistema cardiovascolare (53%), seguito dal sistema ematologico (17%), dal sistema respiratorio (8%) e da sistemi multipli di organi (7%). In 21 casi sono stati colpiti tre o più apparati. Il tempo medio dalla vaccinazione alla morte è stato di 14,3 giorni. La maggior parte dei decessi si è verificata entro una settimana dall’ultima somministrazione del vaccino. Un totale di 240 decessi (73,9%) sono stati giudicati in modo indipendente come direttamente dovuti o a cui ha contribuito in modo significativo la vaccinazione COVID-19» si legge nello studio consultabile su Zenodo (link a fondo pagina).

Ecco quindi le considerazioni finali dei ricercatori scientifici e medici:

«La coerenza osservata tra i casi in questa revisione con eventi avversi noti del vaccino COVID-19, i loro meccanismi e il relativo eccesso di morte, insieme alla conferma dell’autopsia e alla decisione della morte guidata dal medico, suggerisce che esiste un’alta probabilità di un nesso causale tra COVID-19 vaccini e morte nella maggior parte dei casi. Sono necessarie ulteriori indagini urgenti allo scopo di chiarire i nostri risultati».

«Il sistema di organi più implicato nella morte associata al vaccino COVID-19 è stato il sistema cardiovascolare (53%), seguito dal sistema ematologico (17%), dal sistema respiratorio (8%) e da sistemi multipli di organi (7%). In 21 casi sono stati colpiti tre o più apparati. Il tempo medio dalla vaccinazione alla morte è stato di 14,3 giorni. La maggior parte dei decessi si è verificata entro una settimana dall’ultima somministrazione del vaccino. Un totale di 240 decessi (73,9%) sono stati giudicati in modo indipendente come direttamente dovuti o a cui ha contribuito in modo significativo la vaccinazione COVID-19» si legge nello studio consultabile su Zenodo (link a fondo pagina).

Ecco quindi le considerazioni finali dei ricercatori scientifici e medici:

«La coerenza osservata tra i casi in questa revisione con eventi avversi noti del vaccino COVID-19, i loro meccanismi e il relativo eccesso di morte, insieme alla conferma dell’autopsia e alla decisione della morte guidata dal medico, suggerisce che esiste un’alta probabilità di un nesso causale tra COVID-19 vaccini e morte nella maggior parte dei casi. Sono necessarie ulteriori indagini urgenti allo scopo di chiarire i nostri risultati».

 

La ricerca pubblicata sul sito Zenodo gestito dal CERN – link al fondo dell’articolo tra le fonti

 

 

Brevetto Moderna ammette i problemi di tumori nel DNA da laboratorio

Bre

 

Leggiamo infatti nel brevetto dell’agosto 2019 sui vaccini mRNA contro il virus parainfluenzale umano 3 (HPIV-3) quanto segue:

“L’iniezione diretta di DNA geneticamente modificato (ad esempio DNA plasmidico nudo) in un ospite vivente fa sì che un piccolo numero delle sue cellule producano direttamente un antigene, determinando una risposta immunologica protettiva. Da questa tecnica, tuttavia, derivano potenziali problemi, inclusa la possibilità di mutagenesi inserzionale, che potrebbe portare all’attivazione di oncogeni o all’inibizione di geni oncosoppressori”.

La soppressione del gene che contrasta lo sviluppo dei tumori è proprio quel meccanismo che molti oncologi ritengono sia responsabile delle forme anomale di turbo-cancro rilevate tra le persone vaccinate coi sieri genici mRNA Covid

 

21.10.23

Giovedì Health Canada ha confermato la presenza di contaminazione del DNA nei vaccini Pfizer COVID-19 e ha anche confermato che Pfizer non ha rivelato la contaminazione all’autorità sanitaria pubblica. La contaminazione del DNA include il promotore e potenziatore Simian Virus 40 (SV40) che Pfizer non aveva precedentemente rivelato e che secondo alcuni esperti rappresenta un rischio di cancro a causa della potenziale integrazione con il genoma umano.

Health Canada, l’autorità sanitaria pubblica del paese, ha dichiarato a The Epoch Times che mentre Pfizer ha fornito le sequenze complete di DNA del plasmide nel suo vaccino al momento della presentazione iniziale, il produttore del vaccino “non ha identificato specificamente la sequenza SV40”.

“Health Canada si aspetta che gli sponsor identifichino qualsiasi sequenza di DNA biologicamente funzionale all’interno di un plasmide (come un potenziatore SV40) al momento della presentazione”, ha affermato.

L’ammissione di Health Canada è arrivata dopo che due scienziati, Kevin McKernan e Phillip J. Buckhaults, Ph.D., hanno scoperto la presenza di DNA plasmidico batterico nei vaccini mRNA COVID-19 a livelli potenzialmente 18-70 volte superiori ai limiti stabiliti dagli Stati Uniti. Food and Drug Administration (FDA) e Agenzia europea per i medicinali. L’immunologo virale Dr. Byram Bridle dell’Università di Guelph in Canada, commentando l’ammissione di Health Canada ha scritto sul suo Substack: “Questa è un’ammissione di proporzioni epiche”.

Bridle ha anche scritto:

“Bisogna chiedersi perché la Pfizer non abbia voluto rivelare la presenza di una sequenza di DNA biologicamente funzionale a un ente regolatore sanitario. Alla Pfizer è stato richiesto di rivelare alle agenzie di regolamentazione sanitaria tutte le sequenze bioattive nel DNA plasmidico batterico utilizzato per produrre le loro iniezioni.Bridle ha osservato che sono trascorsi “818 giorni in totale” da quando l’Università di Guelph gli ha vietato di accedere al suo ufficio e al suo laboratorio per aver tentato di condurre ricerche simili, mentre altri ricercatori “sono stati al centro di attacchi da parte di molti cosiddetti ‘esperti di disinformazione’, ” anche se nessuno “è stato in grado di confutare le proprie scoperte”. L’immunologa, biologa e biochimica Jessica Rose, Ph.D., ha dichiarato a The Defender: “DNA residuo è stato trovato nei prodotti Pfizer e Moderna – e soprattutto Pfizer -, in fiale più vecchie e più nuove, incluso il monovalente per adulti XBB.1.5 [ vaccino].”

Rose ha affermato che ciò indica che tale contaminazione “è un problema continuo”.

In osservazioni separate fatte mercoledì al programma “Good Morning CHD” di CHD.TV, Rose ha detto che McKernan “ha anche esaminato il vaccino Janssen [Johnson & Johnson] e ha scoperto DNA residuo a livelli molto alti”.  “Il DNA plasmidico viene utilizzato nella produzione di vaccini mRNA e dovrebbe essere rimosso a un livello inferiore a una soglia stabilita dalle agenzie di regolamentazione sanitaria prima che il prodotto finale venga rilasciato per la distribuzione”, ha riferito The Epoch Times.

La scoperta di McKernan ha reso “possibile per Health Canada confermare la presenza del potenziatore sulla base della sequenza di DNA plasmidico presentata da Pfizer rispetto alla sequenza del potenziatore SV40 pubblicata”, ha affermato Health Canada.

L’SV40 è spesso utilizzato nella terapia genica per la sua capacità unica di trasportare geni alle cellule bersaglio.

Nel processo di produzione del vaccino, l’SV40 “viene utilizzato come potenziatore per guidare la trascrizione genetica”, ha scritto The Epoch Times. McKernan il mese scorso “ha avvertito che la presenza di plasmidi di DNA nei vaccini significa che potrebbero potenzialmente integrarsi nel genoma umano”.

Descrivendo la ricerca di McKernan come “ineccepibile”, Kirsch ha scritto sul suo Substack: “Il DNA dura per sempre e, se si integra nel tuo genoma, produrrai il suo prodotto per sempre”.

“Ciò può far sì che la cellula appena programmata si riproduca e produca mRNA con le risultanti proteine ​​spike per un tempo sconosciuto, potenzialmente per sempre e persino per la generazione successiva”.

 

23.09.23

L'Asl To5 l'aveva sospesa nel periodo Covid perché non vaccinata bloccando la retribuzione, ora dovrà restituire stipendi e interessi
Il tribunale dà ragione alla dipendente No Vax
massimiliano rambaldi
L'Asl To 5 l'aveva sospesa dal suo lavoro d'ufficio nel periodo Covid, perché si era rifiutata di vaccinarsi interrompendole anche il pagamento dello stipendio. Una volta rientrata, alla fine delle restrizioni previste, la donna aveva fatto causa all'azienda sanitaria nonostante in quel periodo ci fossero delle direttive ben chiare sull'obbligo vaccinale. Dieci giorni fa la decisione, per certi versi inaspettata, del tribunale del lavoro di Torino: con la sentenza 1552 i giudici hanno infatti accolto il ricorso della dipendente, accertando e dichiarando «l'illegittimità della sospensione dal servizio – si legge nel documento pubblicato dall'azienda sanitaria di Chieri – condannando quindi l'Asl To 5 a corrispondere alla dipendente il trattamento retributivo richiesto, oltre agli interessi, rivalutazione e compensazione delle spese di lite». In sostanza, secondo quel giudice, l'Asl non poteva sospendere la donna dal posto di lavoro e men che meno negarle lo stipendio. E ora, nell'immediato, dovrà pagarle tutto, interessi compresi nonché le spese legali. Questo perché, nonostante l'azienda sanitaria abbia già deciso di ricorrere in appello contro tale sentenza: «in ragione della provvisoria esecutività della stessa – spiegano dalla direzione nella medesima documentazione - pur non essendo passata in giudicato, l'Asl è tenuta all'ottemperanza». Gli importi dovuti e i giorni di sospensione della dipendente non sono stati resi noti.
La dipendente in questione lavora in ambito amministrativo e non è a contatto con pazienti di un ospedale specifico. Ricordiamo tutti, però, che il governo si era dimostrato estremamente rigoroso contro chi non voleva ricevere il vaccino. In assenza di motivazioni valide (l'unica accettata era una certificata grave patologia pregressa) la persona no vax non poteva più esercitare la propria professione e, qualora fosse stato possibile, doveva essere destinata a mansioni alternative. In caso di impossibilità a spostamenti, sarebbe scattata l'immediata sospensione non retribuita che poteva terminare solo una volta effettuata la vaccinazione. Altrimenti il divieto di andare al lavoro sarebbe continuato fino al completamento della campagna vaccinale. In sostanza quello che è capitato nel caso in questione. La dipendente aveva però deciso di intraprendere le vie legali perché pretendeva di essere regolarmente pagata e di lavorare ugualmente, anche senza aver seguito il percorso anti Covid. Presentando a sua difesa documentazioni che il giudice del lavoro, a quanto pare, ha ritenuto valide. «La decisione e la linea interpretativa del tribunale del lavoro non può essere condivisa – spiegano dall'azienda sanitaria -, in quanto non è coerente con il dispositivo contenuto nel decreto legge 172 del 2021, anche alla luce del diverso orientamento espresso sul punto dalla Corte d'Appello di Torino, sezione lavoro». Immediata quindi la decisione di ricorrere in appello, affidando la questione ai legali di fiducia.

 

 

 

22.09.23

Testimonianza coraggiosa del dottor Phillip Buckhaults dell'Università della Carolina del Sud.

I “vaccini” Covid non sono stati adeguatamente testati e i loro danni non sono stati adeguatamente indagati. La FDA e il CDC devono ammettere i propri fallimenti normativi ed essere onesti con il pubblico.

Si prega di guardare questo video di 18 minuti.

 

 

17.09.23

La Ricerca delle Università Australiane basata su 253 Studi Internazionali
L’hanno pubblicata gli scienziati autraliani Peter I Parry dell’Unità clinica di ricerca sulla salute dei bambini, Facoltà di Medicina, Università del Queensland, South Brisbane, Australia, Astrid Lefringhausen, Robyn Cosford e Julian Gillespie, Children’s Health Defense (Capitolo Australia), Huskisson, Conny Turni, Ricerca microbiologica, QAAFI (Queensland Alliance for Agriculture and Food Innovation), Università del Queensland, St. Lucia, Christopher J. Neil, Dipartimento di Medicina, Università di Melbourne, Melbourne, e Nicholas J. Hudson, Scuola di Agricoltura e Scienze Alimentari, Università del Queensland, Brisbane.

E’ un colossale lavoro di letteratura scientifica basato su ben 253 studi nei quali vengono citati i più significativi sulla tossicità della proteina Spike e dei vaccini che la innesca nell’organismo attraverso i vettori mRNA. Vengono infatti menzionati lavori sulle malattie autoimmuni della biofisica Stephanie Seneff, scienziata del prestigioso MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Cambridge, del cardiologo americano Peter McCullough (fonte 29 nello studio linkato a fondo pagina), quelli sui rischi di tumori dell’oncologo britannico Angus Dalgleish (fonti 230-231), quelli dell’esperto di genomica Kevin McKernan sulla replicazione cellulare dei plasmidi di Dna Spike nel corpo umano (fonte 91), quelli della chimica americana Alana F. Ogatache fu tra le prime a denunciare la pericolosità dei sieri genici mRNA Moderna (fonte 52), ed ovviamente non poteva mancare lo strepitoso e rivoluzionario del biochimico italiano Gabriele Segalla sulle nanoparticelle tossiche del vaccino Comirnaty di Pfizer-Biontech (fonte 61).

“Spikeopatia”: la proteina Spike del COVID-19 è patogena, sia dall’mRNA del virus che da quello del vaccino.
di Parry et al. – pubblicata in origine su Biomedicine (link allo studio completo a fondo pagina)

La pandemia di COVID-19 ha causato molte malattie, molti decessi e profondi disagi alla società. La produzione di vaccini “sicuri ed efficaci” era un obiettivo chiave per la salute pubblica. Purtroppo, tassi elevati senza precedenti di eventi avversi hanno messo in ombra i benefici. Questa revisione narrativa in due parti presenta prove dei danni diffusi dei nuovi vaccini anti-COVID-19 mRNA e adenovettoriali ed è innovativa nel tentativo di fornire una panoramica approfondita dei danni derivanti dalla nuova tecnologia nei vaccini che si basavano sulla produzione di cellule umane di un antigene estraneo che presenta evidenza di patogenicità.

Questo primo articolo esplora i dati sottoposti a revisione paritaria in contrasto con la narrativa “sicura ed efficace” collegata a queste nuove tecnologie. La patogenicità delle proteine ​​spike, denominata “spikeopatia”, derivante dal virus SARS-CoV-2 o prodotta dai codici genetici del vaccino, simile a un “virus sintetico”, è sempre più compresa in termini di biologia molecolare e fisiopatologia.

La trasfezione farmacocinetica attraverso tessuti corporei distanti dal sito di iniezione mediante nanoparticelle lipidiche o trasportatori di vettori virali significa che la “spikeopatia” può colpire molti organi. Le proprietà infiammatorie delle nanoparticelle utilizzate per trasportare l’mRNA; N1-metilpseudouridina impiegata per prolungare la funzione dell’mRNA sintetico; l’ampia biodistribuzione dei codici mRNA e DNA e le proteine ​​spike tradotte, e l’autoimmunità attraverso la produzione umana di proteine estranee, contribuiscono agli effetti dannosi.

Questo articolo esamina gli effetti autoimmuni, cardiovascolari, neurologici, potenziali oncologici e le prove autoptiche per la spikeeopatia. Con le numerose tecnologie terapeutiche basate sui geni pianificate, una rivalutazione è necessaria e tempestiva.

Discussione

Abbiamo iniziato questo articolo citando la risposta dell’ente regolatore sanitario australiano, il TGA, alla domanda di un senatore australiano sui rischi dei vaccini genetici che inducono le cellule umane a produrre la proteina spike SARS-CoV-2. La risposta è stata che la proteina Spike non era un agente patogeno. Abbiamo presentato prove significative che la proteina spike è patogena. Ciò vale quando fa parte del virus, quando è libero ma di origine virale e quando è prodotto nei ribosomi dall’mRNA dei vaccini COVID-19 mRNA e adenovettoreDNA. I meccanismi fisiopatologici d’azione della proteina spike continuano ad essere chiariti.

Abbiamo stabilito che la proteina spike provoca danni legandosi al recettore ACE-2 e quindi sottoregolando il recettore, danneggiando le cellule endoteliali vascolari. La proteina spike ha un dominio legante simile alla tossina, che si lega a α7 nAChR nel sistema nervoso centrale e nel sistema immunitario, interferendo così con le funzioni di nAChR, come la funzione di ridurre l’infiammazione e le citochine proinfiammatorie, come IL-6. Il collegamento con le malattie neurodegenerative avviene anche attraverso la capacità della proteina “spike” di interagire con le proteine che formano l’amiloide leganti l’eparina, avviando l’aggregazione delle proteine cerebrali.

La persistenza della proteina spike causa un’infiammazione persistente (infiammazione cronica), che potenzialmente alla fine sposta il sistema immunitario verso la tolleranza immunitaria (IgG4). Un effetto particolare per le donne e la gravidanza è il legame della proteina Spike al recettore alfa degli estrogeni, che interferisce con il messaggio degli estrogeni.

La proteina Spike è citotossica all’interno delle cellule attraverso l’interazione con i geni soppressori del cancro e causando danni mitocondriali. Le proteine ​​spike espresse sulla superficie delle cellule portano alla risposta autoimmune citopatica.

La proteina spike libera si lega all’ACE-2 su altre cellule di organi e sangue. Nel sangue la proteina Spike induce le piastrine a rilasciare fattori di coagulazione, a secernere fattori infiammatori e a formare aggregati leucociti-piastrine. La proteina spike lega il fibrinogeno, inducendo la formazione di coaguli di sangue.

Esiste anche un’omologia problematica tra la proteina spike e le proteine chiave nel sistema immunitario adattativo che portano all’autoimmunità se vaccinati con l’mRNA che produce la proteina spike.

I fattori farmacocinetici contribuiscono alla fisiopatologia. Come accennato, lo studio sulla biodistribuzione di Pfizer (dove il 75% delle molecole trasportatrici di nanoparticelle lipidiche ha lasciato il deltoide per tutti gli organi entro 48 ore) per il PMDA giapponese era noto alla TGA australiana prima dell’autorizzazione provvisoria dei vaccini mRNA COVID-19 per l’Australia popolazione [5]. Poiché causano la replicazione della proteina Spike in molti organi, i vaccini basati sui geni agiscono come virus sintetici.

Il trasportatore di nanoparticelle lipidiche dell’mRNA e il PEG associato che rende il complesso mRNA-LNP più stabile e resistente alla degradazione, hanno i propri effetti tossici; le nanoparticelle lipidiche principalmente attraverso effetti proinfiammatori e il PEG mediante anafilassi in individui sensibili.

Röltgen et al. [53] hanno scoperto che l’mRNA stabilizzato con N1-metilpseudouridina nei vaccini COVID-19 produce proteine ​​spike per almeno 60 giorni. Altre ricerche citate sulla retroposizione del codice genetico [249] suggeriscono la possibilità che tale produzione di una proteina patogena estranea possa potenzialmente durare tutta la vita o addirittura transgenerazionale.

Un ampio corpo di ricerche emergenti mostra che la stessa proteina spike, in particolare la subunità S1, è patogena e causa infiammazione e altre patologie osservate nel COVID-19 acuto grave, probabilmente nel COVID-19 lungo, e nelle lesioni da vaccino mRNA e adenovettoriDNA COVID-19 . La parola “spikeopatia” è stata coniata dal ricercatore francese Henrion-Caude [98] in una conferenza e dati gli effetti patologici vari e sostanziali della proteina spike SARS-CoV-2, suggeriamo che l’uso del termine avrà un valore euristico.

La piccopatia esercita i suoi effetti, come riassunto da Cosentino e Marino [86] attraverso l’aggregazione piastrinica, la trombosi e l’infiammazione correlate al legame dell’ACE-2; interruzione delle glicoproteine ​​transmembrana CD147 che interferiscono con la funzione cardiaca dei periciti e degli eritrociti; legandosi a TLR2 e TLR4 innescando cascate infiammatorie; legandosi all’ER alfa probabilmente responsabile delle irregolarità mestruali e dell’aumento del rischio di cancro attraverso le interazioni con p53BP1 e BRCA1. Altre ricerche mostrano ulteriori effetti spikeo-patologici attraverso la produzione di citochine infiammatorie indotte da ACE-2, la fosforilazione di MEK e la downregulation di eNOS, compromettendo la funzione delle cellule endoteliali.

Effetti particolarmente nuovi della proteina spike comportano lo squilibrio del sistema colinergico nicotinico attraverso l’inibizione di α7 nAChR, portando a vie biochimiche antinfiammatorie alterate in molte cellule e sistemi di organi, nonché a un alterato tono vagale parasimpatico.

Le lesioni provocate dal vaccino mRNA e adenovettoriale del COVID-19 si sovrappongono alla grave malattia acuta da COVID-19 e al COVID lungo, ma sono più varie, data la più ampia biodistribuzione e la produzione prolungata della proteina spike.

La miopericardite è riconosciuta ma spesso è stata minimizzata come lieve e rara, tuttavia l’evidenza di una miopericardite subclinica correlata al vaccino COVID-19 relativamente comune [113,115] e l’evidenza autoptica [246,247,248] suggeriscono un ruolo nelle morti improvvise in persone relativamente giovani e in forma [116,117 ]. Le proteine ​​spike hanno anche meccanismi per aumentare la trombosi attraverso l’infiammazione correlata all’ACE-2, il disturbo del sistema dell’angiotensina [119], il legame diretto con i recettori ACE-2 sulle piastrine [1], l’interruzione dell’antitrombina [122], ritardando la fibrinolisi [123] (prestampa) e riducendo la repulsione elettrostatica degli eritrociti che porta all’emoagglutinazione [124].

Le malattie autoimmuni di nuova insorgenza dopo la vaccinazione COVID-19 potrebbero riguardare l’omologia della proteina spike e, nella malattia virale che include altre proteine SARS-CoV-2, con le proteine umane [5,138].

Il complesso mRNA-LNP attraversa la BBB e i disturbi neurologici sono altamente segnalati nei database di farmacovigilanza a seguito dei vaccini COVID-19. Numerosi meccanismi di spikepatia vengono chiariti come disturbi sottostanti che coinvolgono: permeabilità del BBB [128]; danno mitocondriale [168]; disregolazione dei periciti vascolari cerebrali [169]; Neuroinfiammazione mediata da TLR4 [170]; morte delle cellule dell’ippocampo [171]; disregolazione delle cascate del complemento e della coagulazione e dei neutrofili che causano coagulopatie [173] (prestampa); neuroinfiammazione e demielinizzazione tramite disregolazione microgliale [174,177,180]; aumento dell’espressione di α-Syn coinvolta nella malattia neurodegenerativa [175]; livelli elevati di chemochina 11 del motivo CC associati all’invecchiamento e alla successiva perdita di cellule neurali e mielina; legandosi al recettore nicotinico dell’acetilcolina α7 (nAChR), aumentando i livelli di IL-1b e TNFα nel cervello causando elevati livelli di infiammazione [172,177]; la subunità S1 è amiloidogenica [185]; disautonomia [96], mediante danno neuronale diretto o meccanismi immunomediati indiretti, ad esempio inibizione di α7 nAChR; anosmia causata sia dal vaccino che dalla malattia [44], anch’essa prodromica alla malattia di Parkinson.

Inoltre, gli autoanticorpi nel dominio C-terminale globulare possono causare la malattia di Creutzfeldt Jakob (CJD) [218], miR-146a è alterato in associazione con COVID-19 [222] e associato sia a infezioni virali che a malattie da prioni nel cervello, e È stato dimostrato che S1 induce senescenza nelle cellule trasfettate.

La quantità di possibili meccanismi di danno mediato dai picchi nel cervello è pari nella vita reale alla prevalenza di effetti avversi neurologici e neurodegenerativi e richiede urgentemente ulteriori ricerche.

Il cancro, anche se non è stato dimostrato con certezza che sia causato dai vaccini, sembra seguire da vicino la vaccinazione e abbiamo esaminato le possibili cause sotto forma di interazioni delle proteine ​​spike con fattori di trascrizione e geni soppressori del cancro.

Il vaccino doveva proteggere le persone di età superiore ai 60 anni con il maggior rischio di mortalità da COVID-19 [10], tuttavia un’analisi del rischio condotta da Dopp e Seneff (2022) [250] ha mostrato che la probabilità di morire a causa dell’iniezione è solo 0,13 % inferiore al rischio di morte per infezione nelle persone di età superiore a 80 anni.

Inoltre, l’invecchiamento naturale è accompagnato da cambiamenti nel sistema immunitario che compromettono la capacità di rispondere efficacemente ai nuovi antigeni. Similmente alle risposte ai virus stratificate per età, ciò significa che i vaccini diventano meno efficaci nell’indurre l’immunità negli anziani, con conseguente ridotta capacità di combattere nuove infezioni [251].

La vaccinazione con mRNA COVID-19 a due dosi ha conferito una risposta immunitaria adattativa limitata tra i topi anziani, rendendoli suscettibili all’infezione da SARS-CoV-2 [252]. Secondo uno studio di Vo et al., (2022) [253], il rischio di malattie gravi tra i veterani statunitensi dopo la vaccinazione è rimasto associato all’età. Questo rischio di infezioni intercorrenti era anche maggiore se erano presenti condizioni di immunocompromissione.

Infine, abbiamo esaminato le migliori serie di casi di autopsia attualmente disponibili, eseguite in Germania, che stabiliscono le connessioni tra spikeopatia e fallimenti multipli di organi, neuropatie e morte.

Conclusioni
In questa revisione narrativa, abbiamo stabilito il ruolo della proteina spike SARS-CoV-2, in particolare della subunità S1, come patogena. Ora è anche evidente che le proteine ​​spike ampiamente biodistribuite, prodotte dai codici genetici dell’mRNA e del DNA adenovettoriale, inducono un’ampia varietà di malattie. I meccanismi fisiopatologici e biochimici sottostanti sono in fase di chiarimento.

I trasportatori di nanoparticelle lipidiche per i vaccini mRNA e Novavax hanno anche proprietà proinfiammatorie patologiche. L’intera premessa dei vaccini basati sui geni che producono antigeni estranei nei tessuti umani è irta di rischi per disturbi autoimmuni e infiammatori, soprattutto quando la distribuzione non è altamente localizzata.

Le implicazioni cliniche che seguono sono che i medici in tutti i campi della medicina devono essere consapevoli delle varie possibili presentazioni della malattia correlata al vaccino COVID-19, sia acuta che cronica, e del peggioramento delle condizioni preesistenti.

Sosteniamo inoltre la sospensione dei vaccini COVID-19 basati sui geni e delle matrici portatrici di nanoparticelle lipidiche e di altri vaccini basati sulla tecnologia mRNA o DNA vettoriale virale. Una strada più sicura è quella di utilizzare vaccini con proteine ricombinanti ben testate, tecnologie virali attenuate o inattivate, di cui ora ce ne sono molti per la vaccinazione contro la SARS-CoV-2.

di Parry et al. – pubblicata in origine su Biomedicine

BIOMEDICINE – ‘Spikeopathy’: COVID-19 Spike Protein Is Pathogenic, from Both Virus and Vaccine mRN
A

 

 

14.09.23

Fondata nel 1945, Kaiser Permanente è riconosciuta come uno dei principali fornitori di assistenza sanitaria e piani sanitari senza scopo di lucro d’America. Attualmente opera in 8 stati (California del Nord, California del Sud, Colorado, Georgia, Hawaii, Virginia, Oregon, Washington) e nel Distretto di Columbia.

«La cura dei membri e dei pazienti si concentra sulla loro salute totale. I medici, gli specialisti e i team di operatori sanitari di Permanente Medical Group guidano tutte le cure. I nostri team medici possono avvalersi di tecnologie e strumenti leader del settore per la promozione della salute, la prevenzione delle malattie, l’erogazione delle cure e la gestione delle malattie croniche» spiega l’organizzazione medica.

«Abbiamo condotto uno studio di coorte retrospettivo su pazienti Kaiser Permanente Northwest (KPNW) di età pari o superiore a 18 anni che sono stati vaccinati con la formulazione Pfizer o Moderna del vaccino bivalente COVID19 tra il 1 settembre 2022 e il 1 marzo 2023. I pazienti sono stati inclusi nello studio studiare se fossero iscritti al KP al momento della vaccinazione e durante il periodo di follow-up di 21 giorni. Abbiamo replicato la metodologia di analisi del ciclo rapido Vaccine Safety Datalink (VSD) e cercato possibili casi di ictus ischemico o TIA nei 21 giorni successivi alla vaccinazione utilizzando i codici diagnostici ICD10CM sia nella posizione primaria che in qualsiasi posizione».

E’ quanto si legge nell’Abstract della ricerca intitolata “Rischio di ictus ischemico dopo la vaccinazione di richiamo bivalente COVID-19 in un sistema sanitario integrato (Risk of Ischemic Stroke after COVID-19 Bivalent Booster Vaccination in an Integrated Health System)”.«Abbiamo identificato un aumento del 50% nell’incidenza di ictus ischemico per 100.000 pazienti di età pari o superiore a 65 anni vaccinati con il vaccino bivalente Pfizer, rispetto ai dati presentati dal VSD. Il 79% dei casi di ictus ischemico sono stati ricoverati in ospedali che non sono di proprietà del sistema di consegna integrato e un ritardo nell’elaborazione delle richieste di risarcimento assicurative esterne all’ospedale è stato probabilmente responsabile della discrepanza nell’accertamento dei casi di ictus ischemico. ».

 

 

18.08.23

Il procuratore generale del Texas Ken Paxton ha cercato di fare luce sulla sicurezza dei vaccini Covid e sugli esperimenti americani Gain of Function (GOF) per il potenziamento dei virus SARS in laboratorio, condotti dal virologo Anthony Fauci tra gli USA (University of North Carolina) e il Wuhan Institute of Virology, ma è stato subito colpito da un impeachment (per altre ragioni politiche) che ha bloccato la sua inchiesta.

Ora quattro famiglie americane delle vittime Covid hanno presentato una formale denuncia per quelle pericolosissime ricerche prendendo di mira il famigerato zoologo di origini britanniche Peter Daszak, presidente della società EcoHealthAlliance di New York che fu finanziata dalla Bill & Melinda Gates Foundation e soprattutto dall’Istituto Nazionale Allergie e Malattie Infettive diretto da Fauci (fino al dicembre 2022) per i progetti di costruzione di coronavirus chimerici del ceppo SARS chimerici nel centro virologico cinese.

l dottor Zhou Yusen misteriosamente morto tre mesi dopo aver brevettato un vaccino contro il Covid-19 nel febbraio 2020 che, secondo gli investigatori americani, sarebbe morto misteriosamente proprio cadendo dal tetto del WIV di Wuhan.

Nel giugno 1998 durante il vertice sino-americano in Cina il presidente Bill Clinton siglò una “Convenzione sulla armi biologiche” con il presidente cinese Jiang Zemin,

Nell’aprile 2004 la Commissione Europea presieduta dall’italiano Romano Prodi e composta anche dal commissario Mario Monti diede il primo finanziamento di quasi 2milioni di euro al Wuhan Institute of Virology grazie al quale la direttrice del Centro di Malattie Infettive Shi Zengli, soprannominata bat-woman per i suoi esperimenti sui coronavirus dei pipistrelli cinesi a ferro di cavallo, creò il primo virus chimerico ricombinante potenziando un ceppo di SARS con plasmidi infettati dal virus HIV.

 

 

16.08.23

 l’instabilità del sistema colloidale di nanomateriali lipidici (e il conseguente maggior rischio tossicologico) della prima versione di Comirnaty sia sostanzialmente dovuta alla presenza, in quella formulazione, di fattori destabilizzanti, quali, appunto, i composti inorganici elettrolitici in eccesso, costituiti principalmente dai componenti del tampone pH PBS utilizzato da Pfizer-BioNTech».

Evidenzia il dottor Segalla illustrando le differenti caratteristiche della stabilizzazione del farmaco concorrente Spikevax di Moderna.

«A questo proposito, però, quanto riportato nel brevetto della stessa BioNTech (co- titolare, insieme a Pfizer, del vaccino Comirnaty) US 10,485,884 B2 RNA Formulation for Immunoterapy [Formulazioni a RNA per immunoterapia] del 26 novembre 2019, risulta ancor più esplicito al riguardo della “elevata tossicità” attribuita a “liposomi e lipoplexes” caricati positivamente».

«Ciò si riferisce a formulazioni a base di RNA incapsulato in nanoparticelle lipidiche cationiche – del tipo cioè di quelle usate nel Comirnaty – e denominate, in questo contesto, “lipoplexes”. Nella descrizione del brevetto, si spiega, fra l’altro, come le nanoparticelle cationiche contenenti RNA si formino soprattutto grazie a determinati rapporti di massa/carica tra i lipidi cationici (+) e le componenti anioniche (-) dell’ RNA, e come tali rapporti giochino un ruolo fondamentale anche per quanto riguarda il passaggio delle nanoparticelle contenenti RNA attraverso la membrana cellulare e il conseguente trasferimento dell’RNA all’interno della cellula (trasfezione) per modificarne le caratteristiche funzionali:

Con una minore carica positiva in eccesso, l’efficacia della trasfezione scende drasticamente, andando praticamente a zero. Sfortunatamente, però, per liposomi e lipoplexes [nanoparticelle lipidiche] caricati positivamente è stata segnalata un’elevata tossicità, che può essere un problema per l’applicazione di tali preparati come prodotti farmaceutici. [corsivi aggiunti] (Figura 26)».

«Le ragioni per cui i tamponi pH del tipo PBS non vanno assolutamente bene in preparati a base di nanoparticelle cationiche inglobanti RNA sono spiegate molto chiaramente nella sezione del brevetto intitolata “Effects of Buffers/ Ions on Particle Sizes and PI of RNA Lipoplexes” [Effetti dei tamponi / composti ionici sulle dimensioni e Indice di polidispersione delle nanoparticelle lipidiche contenenti RNA] del suddetto brevetto di BioNTech US 10,485,884 B2, 44 (47-50), 45 (4-6), 45 (31- 33)».

In condizioni fisiologiche (cioè a pH 7,4; 2,2 mM Ca++), è imperativo assicurarsi che ci sia un rapporto di carica prevalentemente negativa, a causa dell’ instabilità delle nanoparticelle lipidiche neutre o caricate positivamente. [corsivi aggiunti] (Figura 27)

«In altre parole, sulla base di quanto scientificamente documentato e riportato in un brevetto della stessa BioNTech, in aggiunta a quanto già descritto riguardo alla pericolosità intrinseca delle nanoparticelle lipidiche caricate positivamente, apprendiamo che un sistema colloidale di nanoparticelle lipidiche cationiche inglobanti mRNA.

NON dovrebbe contenere nella propria formulazione un tampone ionico come il PBS, al fine di prevenire fenomeni di aggregazione, agglomerazione, flocculazione delle nanoparticelle lipidiche, con tutte le conseguenze di ordine tossicologico sopra descritte.
NON dovrebbe contenere nella propria formulazione composti ionici (come ad es. cloruro di sodio), al fine di prevenire fenomeni di aggregazione, agglomerazione, flocculazione delle nanoparticelle lipidiche, con tutte le conseguenze di ordine tossicologico sopra descritte.
NON dovrebbe essere iniettato per via intramuscolare, a causa della sua instabilità quando viene a trovarsi nelle condizioni fisiologiche del distretto extracellulare (pH 7,4; 2,2 mM Ca++).
«Tutte e tre queste rigorose raccomandazioni, riportate nel succitato brevetto di BioNTech del 2019, sono spudoratamente disattese, o ignorate, nel 2020, sia da Pfizer-BioNTech sia dagli enti certificatori, sia nel merito della formulazione (ionico/ elettrolitico) sia in quello della destinazione d’uso (inoculazione intramuscolare) del preparato Comirnaty» rimarca il biochimico italiano segnalando che tali «criticità» sono «in palese contrasto con le specifiche e pertinenti raccomandazioni asserite dalla stessa BioNTech nel suo sopramenzionato brevetto US 10,485,884 B2»

 

14.08.23

«Per i suesposti motivi, questo giudicante ritiene non legittima e non conforme ai Principi Generali dell’Ordinamento e della Costituzione la normativa in materia di obbligo vaccinale, che pertanto va disapplicata. Con riguardo alle spese di giudizio sussistono giustificati motivi per compensarle, attesa la “particolarità” della materia trattata».

L’anonimo italiano over 50 che ha fatto ricorso al Giudice di Pace di Santa Maria Capua a Vetere contro l’imposizione della vaccinazione Covid e la conseguente multa da 100 euro emanata dall’Agenzia delle Entrate per conto del Ministero della Salute dovrà pagare solo una ventina di euro. Ovvero la metà dell’ammontare delle spese giudiziarie per ricorsi inferiori a 1.100 euro.

Non è il primo e non sarà l’ultimo pronunciamento giudiziario che contesta l’obbligatorietà dei sieri genici sperimentali. Il caso più famoso è ovviamente quello della giudice Susanna Zanda del Tribunale Civile di Firenze che, avendo osato anche segnalare i decessi per presunte reazioni avverse ai vaccini alla Procura della Repubblica di Roma, è finita nel fuoco incrociato della Procura Generale della Corte di Cassazione che ha aperto un procedimento disciplinare nei suoi confronti subito dopo le esternazioni politiche del Ministro della Giustizia Carlo Nordio.

«Ebbene, al di là delle pronunce del Consiglio d’Europa che ha avuto occasione di occuparsi della tematica della vaccinazione Covid (con la Risoluzione 2361 del 2021) e di decisioni, invece, contrarie, a parere di questo giudice, appaiono decisive le circostanze, ormai conclamate, che il non vaccinato — a prescindere dalle decisioni relative all’età — non ha determinato alcun rischio maggiore per la salute pubblica rispetto ai soggetti vaccinati provvisti di green pass, perché l’idoneità dei vaccini (quale strumento di prevenzione del contagio), non solo non è pari o vicina al 100 % ma si è di fatto rivelata prossima allo zero (Trib. Napoli marzo 2023)

«Il Tribunale del Lavoro di Catania, con la decisione del 14.03.2022, ribadisce che “sebbene non si ignori che l’impianto del D.D. 44/2021 sia ispirato alla finalità “di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza” (art. 4, co. 1, D.L. 44/2021), nell’ambito di una situazione emergenziale e del tutto straordinaria, le conseguenze che esso implica nella sfera del dipendente non vaccinato — e che si sono irrigidite a seguito delle modifiche apportate all’originaria formulazione del decreto – appaiono tuttavia eccessivamente sproporzionate e sbilanciate, nell’ottica della necessaria considerazione degli altri valori costituzionali coinvolti, tra cui, tra i primi, la dignità della persona, bene protetto da co. 2, 36,41 Cost. plurime previsioni della Carta: artt. 2, 3»

«Sebbene la legge possa prevedere l’obbligatorietà di determinati trattamenti sanitari, sono rarissimi, ed ancorati a precisi presupposti, ì casi in cui l’ordinamento consente la possibilità di eseguirli contro la volontà della persona (ad es., è il caso del TSO), valendo da sempre il principio che gli accertamenti ed i trattamenti obbligatori debbano essere ‘accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato”…»

«E ciò a conferma della consapevolezza del legislatore che l’obbligo al trattamento sanitario costituisce pur sempre un’eccezione rispetto al principio, di cui è espressione l’art. 32 Cost., della libera determinazione dell’individuo in materia sanitaria».

In virtù di questi motivi ha accolto «il ricorso annullando il provvedimento opposto» dall’avvocato Alessandra De Rosa contro l’avviso di addebito di 100 euro al suo assistito.

 

08.08.23

Un manager della Pfizer in Oceania ha ammesso che agli impiegati australiani dell’azienda farmaceutica di New York sono somministrati dati lotti di vaccini differenti da quelli distribuiti al pubblico.

Lo ha dichiarato durante un’Audizione davanti al Senato Australiano che, a differenza dei politici dell’Unione Europea foraggiati dalle ONG di Bill Gates, ha già avviato un’inchiesta formale per indagare sulla natura dei sieri genici acquistati, sull’occultamento dei dati dei trials clinici e sui danni causati ai vaccinati.

L’ammissione è arrivata durante una rigorosa sessione di interrogatorio mercoledì, in cui il direttore medico nazionale di Pfizer Australia, il dott. Krishan Thiru, e il capo delle scienze normative, il dott. Brian Hewitt, hanno parlato davanti al “Comitato per la legislazione sull’istruzione e l’occupazione” del Senato australiano sui vaccini sperimentali contro il COVID-19, aggiunge Gateway Pundit

23.07.23

I vaccini Covid contengono proporzioni considerevoli di residui di DNA in grado di integrarsi permanentemente nel genoma umano, causando malattie croniche e tumori. Questo potrebbe anche spiegare l’eccesso di mortalità osservato dall’inizio delle campagne di vaccinazione.

L’ex banchiere svizzero Pascal Najadi e' l’autore di una denuncia penale per abuso di potere contro il presidente della Confederazione Alain Berset è vaccinato tre volte e altrettante volte si è costituito contro le autorità sanitarie da quando un’analisi del suo sangue gli ha rivelato che il suo organismo continua a produrre la proteina spike del vaccino più di 18 mesi dopo la sua ultima iniezione Pfizer/BioNTech.

Contattato, l’interessato ci ha fornito i risultati del laboratorio oltre ad una lettera del Prof. Sucharid Bhakdi confermando che “i risultati del test indicano chiaramente che il signor Najadi soffre di effetti irreparabili a lungo termine causati dal prodotto di mRNA iniettato fabbricato da PfizerBiontech.

L’ex banchiere aveva consultato l’Ufficio federale della sanità pubblica in Svizzera su questo argomento. Quest’ultimo non è stato in grado di dargli risposte, sostenendo che non poteva commentare un singolo caso. Pascal Najadi ne aveva dedotto che l’ufficio in realtà non controllava nulla riguardo a queste nuove tecnologie vaccinali.

La persistenza della presenza della proteina spike rilevata a Najadi e altri iniettati rimane ufficialmente inspiegabile ed è ben oltre i 14 giorni comunicati quando sono state lanciate le campagne di vaccinazione contro il Covid.

Tutti conoscono il DNA, rappresentato da una doppia elica e contenente il nostro codice genetico. L’RNA è costituito solo da un singolo filamento. La cellula lo produce secondo necessità leggendo parte del DNA che servirà poi come specifiche per la produzione di una proteina.

Una dose di “vaccino” Covid a RNA messaggero contiene miliardi di filamenti di RNA messaggero, che innescheranno la produzione di altrettante proteine ​​​​spike del virus SARS-CoV-2 nelle cellule che raggiungono. Queste proteine ​​spike attiveranno una risposta del sistema immunitario.

a proteina avanzata è stata anche presentata come sostanza innocua durante le campagne di vaccinazione quando è nota per essere tossica per l’organismo umano e causare la maggior parte delle complicanze del Covid, comprese le reazioni infiammatorie e allergiche.

Per comunicare, i batteri si scambiano importanti “messaggi” genetici con l’aiuto dei cosiddetti plasmidi. Ad esempio, se un batterio trova un nuovo meccanismo che aumenta la sua resistenza agli antibiotici, incapsula questa informazione in plasmidi, che verranno prodotti e ‘diffusi’ ad altri batteri.

Il processo di produzione dei filamenti di RNA dei vaccini Covid richiede appunto di passare attraverso la manipolazione genetica dei batteri mediante plasmidi, nei quali sarà stata precedentemente introdotta la sequenza di DNA corrispondente alla proteina spike di SARS-CoV-2.

Il plasmide viene propagato nei batteri e utilizzato come stampo per la produzione di massa di RNA messaggero che sarà in grado di innescare la produzione di proteine ​​spike nelle cellule vaccinate. Il DNA deve poi essere rimosso e l’RNA messaggero viene poi miscelato con i lipidi per produrre nanoparticelle in grado di portare l’mRNA nelle nostre cellule

Nell’ambito dell’autorizzazione all’immissione in commercio del vaccino Pfizer, l’Agenzia europea per i medicinali (Ema) si è quindi dovuta accontentare di consultare i dati forniti dal produttore. EMA ha espresso sorpresa al produttore per il fatto che il prodotto finale non fosse stato sequenziato geneticamente per garantire che contenesse solo RNA messaggero e nessun DNA o altri residui, apprende lo scienziato tedesco Florian Schilling in una presentazione

Pfizer ha risposto di aver rinunciato volontariamente al sequenziamento, ammettendo che non era certo ottimale, ma che era giustificato per ridurre i costi. Anche altri produttori hanno rinunciato a questo sequenziamento genetico come parte della loro garanzia di qualità.

Tra le tecniche alternative di valutazione del prodotto utilizzate da Pfizer c’è l’elettroforesi, che conta gli elementi presenti in una soluzione in base alla loro dimensione.

Nei documenti forniti da Pfizer alla WEA, l’RNA messaggero della proteina spike del vaccino è rappresentato da un alto picco centrale. L’anomalia sono le “pendenze” su entrambi i lati del picco, che rappresentano misteriosi “oggetti” genetici che non corrispondono alle dimensioni dell’RNA messaggero e non dovrebbero essere presenti in una soluzione purificata.

Anche l’EMA aveva voluto saperne di più e aveva richiesto i dati grezzi a Pfizer. Il produttore aveva accettato di fornirli ma ad oggi non sono ancora stati consegnati.

Un gruppo di ricercatori, preoccupato in particolare per le conseguenze delle iniezioni di Covid sui giovani, ha deciso all’inizio del 2023 di prendere in mano la situazione e mettere in sequenza lotti di “vaccini” di Pfizer e Moderna. Il loro intero approccio è spiegato in dettaglio in un primo articolo e nel suo supplemento scritto da Kevin McKernan, biologo molecolare, specialista in manipolazione genetica e sequenziamento, che ha partecipato all’analisi.

Le loro scoperte sono di natura inquietante:

Quantità di DNA anormalmente elevata – La presenza di plasmidi contenenti DNA proteico spike è stata confermata in proporzioni notevoli per i “vaccini” di Pfizer e Moderna: tra il 20 e il 35%, ben oltre i limiti di contaminazione fissati dall’EMA (0,033%) . Una singola dose contiene quindi diversi miliardi di questi plasmidi che servivano per produrre l’RNA messaggero e che poi avrebbero dovuto essere eliminati. Queste informazioni sono già prova della non conformità di questi prodotti alle normative vigenti.


Accelerazione della resistenza agli antibiotici – Fatto preoccupante, il DNA di questi plasmidi contiene geni che li rendono resistenti a due antibiotici: neomicina e kanamicina. L’introduzione di miliardi di geni di resistenza agli antibiotici in plasmidi altamente replicabili, consentendo la selezione di batteri resistenti a questi trattamenti nel microbioma, dovrebbe sollevare preoccupazioni sull’accelerazione della resistenza agli antibiotici su scala globale. Alcuni esperti stimavano già prima della crisi del Covid che entro il 2050 non avremmo più avuto antibiotici efficaci.
Elevato fattore di errore di copia – Gli scienziati affermano che la presenza di un nucleotide chiamato pseudouridina è molto preoccupante poiché è noto che ha un tasso di errore di copia di uno su 4000 nucleotidi, ovvero tra 5 e 8,5 milioni di possibili errori di copia per dose di vaccino. E nessuno può dire a cosa corrispondano questi errori poiché sono imprevedibili.


Integrazione permanente e transgenerazionale: i plasmidi vaccinali possono raggiungere un batterio o una cellula umana. Quest’ultimo caso è considerato problematico perché è possibile che il filamento di DNA contenuto nel plasmide sia permanentemente integrato nel codice genetico della cellula umana, permettendole in qualsiasi momento di produrre autonomamente la proteina spike del vaccino, per tutta la vita. Con ogni probabilità, questo è ciò che sta accadendo ai clienti di Pascal Najadi e Me Ulbrich in Germania. L’insegnante. Bhakdi ha ricordato a questo proposito che ogni divisione cellulare è un’opportunità per questo DNA importato di modificare il genoma dell’ospite. Se questa integrazione avviene in una cellula staminale, ovulo o spermatozoo, la modificazione genetica verrà trasmessa alle generazioni successive.

Questo è grave perché oggi la scienza non offre uno strumento per rimuovere un gene. Più incomprensibilmente, il DNA del plasmide utilizzato da Pfizer contiene una sequenza (SV 40) che gli permette di essere trasferito nel nucleo anche quando la cellula non si sta dividendo e quindi di influenzare le cellule. La sua presenza è comunque inutile per la produzione di RNA messaggero nei batteri. Questa sequenza è assente dai plasmidi utilizzati da Moderna.

l vaccino Covid di Johnson & Johnson presenta un rischio di integrazione ancora maggiore perché si basa su un virus a DNA e utilizza un promotore molto più potente dell’SV 40, chiamato CMV. Ciò comporta un rischio molto più elevato di oncogenesi e continua produzione di proteine ​​spike rispetto agli RNA messaggeri, afferma Marc Wathelet, biologo molecolare e specialista di coronavirus che abbiamo consultato (vedi intervista alla fine dell’articolo).

Poiché il DNA della proteina spike del plasmide prende di mira le cellule dei mammiferi, ci sono pochissime possibilità che si integri permanentemente nel genoma di un batterio intestinale. Non riuscendo a diventare fabbriche proteiche avanzate, questi batteri – che non sono cellule umane – potrebbero invece moltiplicare i plasmidi del vaccino e contribuire così ad aumentare il rischio di contaminazione con cellule umane, chiamato “bactofezione” o “trasfezione”.

Marc Wathelet conferma che se “il rischio di contaminazione dei batteri nel microbioma rimane basso, sono i rischi di infiammazione e soprattutto di tumori legati alla contaminazione delle cellule del corpo delle persone vaccinate da parte del DNA che sono più preoccupanti”.

L’esperto sottolinea che è “impossibile quantificare questo rischio”. Trova “un aumento di alcuni tumori, ma non è chiaro se sia dovuto a DNA, mRNA, un indebolimento del sistema immunitario, lipidi nelle nanoparticelle o una combinazione di questi fattori

 

21.07.23

Come risulta, la proteina spike e l’mRNA non sono gli unici rischi di queste iniezioni. Il team di McKernan ha anche scoperto i promotori del virus della simmia 40 (SV40) che, da decenni, sono sospettati di provocare il cancro negli esseri umani, compresi mesoteliomi, linfomi e tumori del cervello e delle ossa.3 I risultati4,5,6,7 sono stati pubblicati su OSF Preprints all’inizio di aprile 2023. Come spiegato nell’abstract:8

“Sono stati utilizzati diversi metodi per valutare la composizione degli acidi nucleici di quattro fiale scadute dei vaccini mRNA bivalenti Moderna e Pfizer. Sono stati valutati due flaconi di ciascun fornitore… Molteplici test supportano una contaminazione da DNA che supera i requisiti dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) di 330ng/mg e della FDA [Food and Drug Administration] di 10ng/dose…

Come riportato in una recensione del libro di Lancet “The Virus and the Vaccine: The True Story of a Cancer-Causing Monkey Virus, Contaminated Polio Vaccine and the Millions of Americans Exposed”:13

“Nel 1960, gli scienziati e i produttori di vaccini sapevano che i reni delle scimmie erano fogne di virus scimmieschi. Tale contaminazione spesso rovinava le colture, comprese quelle di una ricercatrice del NIH di nome Bernice Eddy, che lavorava sulla sicurezza dei vaccini… La sua scoperta… minacciava uno dei più importanti programmi di salute pubblica degli Stati Uniti…”.

Eddy cercò di informare i colleghi, ma fu imbavagliata e privata dei suoi compiti di regolamentazione dei vaccini e del suo laboratorio… [Due] ricercatori della Merck, Ben Sweet e Maurice Hilleman, identificarono presto il virus del rhesus, poi chiamato SV40, l’agente cancerogeno che era sfuggito a Eddy.

“Nel 1963, le autorità statunitensi decisero di passare alle scimmie verdi africane, che non sono ospiti naturali dell’SV40, per produrre il vaccino antipolio. A metà degli anni ’70, dopo studi epidemiologici limitati, le autorità conclusero che, sebbene l’SV40 causasse il cancro nei criceti, non sembrava farlo nelle persone.

“Arriviamo agli anni ’90: Michele Carbone, allora all’NIH [National Institutes of Health], stava lavorando sul modo in cui l’SV40 induce i tumori negli animali. Uno di questi era il mesotelioma, un raro tumore della pleura che nelle persone si pensa sia causato principalmente dall’amianto. L’ortodossia riteneva che l’SV40 non causasse tumori nell’uomo.

“Incoraggiato da un articolo del 1992 del NEJM [New England Journal of Medicine] che aveva trovato ‘impronte’ di DNA di SV40 nei tumori cerebrali infantili, Carbone ha analizzato biopsie di tumori umani di mesotelioma presso il National Cancer Institute: Il 60% conteneva DNA di SV40. Nella maggior parte di esse, il virus della scimmia era attivo e produceva proteine.

“Carbone pubblicò i suoi risultati su Oncogene nel maggio 1994, ma l’NIH rifiutò di renderli pubblici… Carbone… si trasferì alla Loyola University. Lì ha scoperto come l’SV40 disabilita i geni soppressori del tumore nel mesotelioma umano e ha pubblicato i suoi risultati su Nature Medicine nel luglio 1997. Anche studi in Italia, Germania e Stati Uniti hanno mostrato associazioni tra SV40 e tumori umani”.

“Incoraggiato da un articolo del 1992 del NEJM [New England Journal of Medicine] che aveva trovato ‘impronte’ di DNA di SV40 nei tumori cerebrali infantili, Carbone ha analizzato biopsie di tumori umani di mesotelioma presso il National Cancer Institute: Il 60% conteneva DNA di SV40. Nella maggior parte di esse, il virus della scimmia era attivo e produceva proteine.

“Carbone pubblicò i suoi risultati su Oncogene nel maggio 1994, ma l’NIH rifiutò di renderli pubblici… Carbone… si trasferì alla Loyola University. Lì ha scoperto come l’SV40 disabilita i geni soppressori del tumore nel mesotelioma umano e ha pubblicato i suoi risultati su Nature Medicine nel luglio 1997. Anche studi in Italia, Germania e Stati Uniti hanno mostrato associazioni tra SV40 e tumori umani”.

 Torniamo alle scoperte di McKernan, che oltre al video in evidenza sono discusse anche nel podcast di Daniel Horowitz qui sopra. In breve, il suo team ha scoperto livelli elevati di plasmidi di DNA a doppio filamento, compresi i promotori SV40 (sequenza di DNA essenziale per l’espressione genica) che sono noti per innescare lo sviluppo del cancro quando incontrano un oncogene (un gene che ha il potenziale di causare il cancro).

Il livello di contaminazione varia a seconda della piattaforma utilizzata per la misurazione, ma indipendentemente dal metodo utilizzato, il livello di contaminazione del DNA è significativamente superiore ai limiti normativi sia in Europa che negli Stati Uniti, afferma McKernan. Il livello più alto di contaminazione del DNA riscontrato è stato del 30%, un dato piuttosto sorprendente.

Come spiegato da McKernan, quando si utilizza un tipico test PCR, si viene considerati positivi se il test rileva il virus SARS-CoV-2 utilizzando una soglia di ciclo (CT) di circa 40. In confronto, la contaminazione del DNA viene rilevata con TC inferiori a 20. Ciò significa che la contaminazione è di un milione di milioni di unità.

Ciò significa che la contaminazione è un milione di volte superiore alla quantità di virus che si dovrebbe avere per risultare positivi al test COVID-19. “Quindi, c’è un’enorme differenza per quanto riguarda la quantità di materiale presente”, afferma McKernan.

Nel suo articolo su Substack14 , McKernan sottolinea anche che chi sostiene che il DNA a doppio filamento e l’RNA virale siano una falsa equivalenza, perché l’RNA virale è in grado di replicarsi, si sbaglia.

“La maggior parte dell’sgRNA che state rilevando in un tampone nasale nel vostro naso NON È ADEGUATO ALLA REPLICAZIONE, come dimostrato da Jaafar et al.15 È solo un frammento di RNA che dovrebbe avere una longevità inferiore nelle vostre cellule rispetto ai frammenti contaminanti di dsDNA”, scrive.

Se si sequenzia il DNA, si scopre che corrisponde a quello che sembra essere un vettore di espressione usato per produrre l’RNA… Ogni volta che vediamo una contaminazione del DNA, come quella dei plasmidi, finire in un prodotto iniettabile, la prima cosa a cui si pensa è se sia presente l’endotossina dell’E. coli (Escherichia coli, ndr), perché crea anafilassi per chi viene iniettato.
 

Mentre i deceduti non vaccinati sono stati soltanto 304 e quelli vaccinati con ciclo incompleto (senza seconda dose) 25. Il periodo preso in considerazione dalla tabella ISS è quello che va dal 29 aprile al 29 maggio 2022.

 

La tabella del Bollettino Covid-19 pubblicato il 24 giugno scorso dall’Istituto Superiore della Sanità di Roma – link a fondo pagina

 

«Numerosi studi riportano l’insorgenza di reazioni autoimmuni a seguito della vaccinazione contro il COVID-19 (Gadi et al., 2021; Watad et al., 2021; Bril et al., 2021; Portoghese et al., 2021; Ghielmetti et al., 2021; Vuille – Lessard et al., 2021; Chamling et al., 2021; Clayton-Chubb et al., 2021; Minocha et al., 2021; Elrashdy et al., 2021; Garrido et al., 2021; Chen et al., 2022; Fatima et al., 2022; Mahroum et al., 2022; Finsterer, 2022; Garg & Paliwal, 2022; Kaulen et al., 2022; Kwon & Kim, 2022; Ruggeri, Giovanellla & Campennì, 2022). I dati istopatologici forniscono una prova indiscutibile che dimostra che i vaccini genetici presentano una distribuzione fuori bersaglio, provocando la sintesi della proteina spike e innescando così reazioni infiammatorie autoimmuni, anche in tessuti terminali differenziati».

Furono proprio gli esami patologici del medico tedesco Morz a rilevare l’anomala persistenza nel corpo umano della proteina Spike di cui un altro studio americano asseverato dalla virologa Jessica Rose spiegò la proliferazione attraverso i plasmidi di RNA.

«In generale, i potenziali rischi dei vaccini genetici che inducono le cellule umane a diventare bersagli per l’attacco autoimmune non possono essere valutati completamente, senza conoscere l’esatta distribuzione e cinetica di LNP e mRNA, nonché la produzione e la farmacocinetica della proteina spike».

Lo studio sottoscritto anche da Donzelli e Bellavite poi conclude:

«Poiché il corpo umano non è un sistema strettamente compartimentato, questo è motivo di seria preoccupazione per ogni vaccino genetico attuale o futuro che induca le cellule umane a sintetizzare antigeni non self. Infatti, per i tessuti terminalmente differenziati, la perdita di cellule determina un danno irreversibile con prognosi potenzialmente fatale. In conclusione, alla luce delle innegabili prove di distribuzione fuori bersaglio, la somministrazione di vaccini genetici contro COVID-19 dovrebbe essere interrotta fino a quando non saranno eseguiti accurati studi di farmacocinetica, farmacodinamica e genotossicità, oppure dovrebbero essere somministrati solo in circostanze quando i benefici superano di gran lunga i rischi».

L’invito a indagare sui danni da sieri genici e a fermarne l’inoculazione è giunto anche da una ricercatrice dell’Istituto Superiore della Sanità e dalla sentenza del Tribunale di Firenze che ha inviato gli atti alla Procura della Repubblica di Roma per un’accurata inchiesta.

 

di Peter McCullough – pubblicato in origine sul suo Substack

Mi viene spesso chiesto: perché tante persone che hanno assunto il vaccino COVID-19 stanno apparentemente bene, mentre altre subiscono danni al cuore, ictus, coaguli di sangue e finiscono per essere invalide o morte? Da molti mesi si sospetta che ci possano essere variazioni nei lotti o nelle partite di vaccino che potrebbero spiegare in parte queste osservazioni. In altre parole, non tutti ricevono la stessa dose di mRNA.

In base all’autorizzazione all’uso in emergenza, le aziende produttrici di vaccini e i loro subappaltatori non effettuano alcuna ispezione delle fiale finali riempite e finite. Si tratta di una situazione senza precedenti per un prodotto di largo uso di qualsiasi tipo.

È possibile che le nanoparticelle lipidiche si aggreghino in sospensione e quindi alcuni lotti potrebbero contenere più mRNA di altri. Allo stesso modo, poiché le dimensioni dei lotti sono variate nel tempo, è possibile che i contaminanti del processo di produzione si concentrino in alcuni lotti più piccoli rispetto a quelli più grandi.

Infine, il trasporto, la conservazione e l’uso del prodotto possono essere fattori che denaturano l’mRNA, tra cui il riscaldamento, l’aria iniettata nelle fiale e gli aghi multipli immersi nella sospensione.

Il problema della contaminazione è emerso quando il Giappone ha restituito milioni di dosi e sono stati riscontrati detriti visibili sul fondo delle fiale. Inoltre, poiché i contactor di biodifesa utilizzano sfere metalliche, è possibile che i lotti iniziali più piccoli avessero detriti magnetici che spiegavano il “magnetismo” nel braccio in cui veniva somministrata l’iniezione, come riportato all’inizio della campagna vaccinale.

Un rapporto di Schmeling e collaboratori sul vaccino Pfizer BNT162b2 mRNA COVID-19 ha rilevato che il 71% degli eventi avversi gravi proveniva dal 4,2% delle dosi (lotti ad alto rischio), mentre <1% di questi eventi proveniva dal 32,1% delle dosi (lotti a basso rischio). La variazione spiegata per i lotti ad alto e moderato rischio è stata rispettivamente del 78 e dell’89%. Pertanto, più dosi sono state somministrate da quelle fiale, maggiore è stato il numero di effetti collaterali segnalati. Ciò significa che la maggior parte del rischio risiede nell’iniezione e non nella persona che l’ha ricevuta.

Si tratta di risultati di importanza cruciale. Essi implicano che la debacle del vaccino COVID-19 è effettivamente un problema di prodotto e non è dovuta alla suscettibilità del paziente nella maggior parte delle circostanze. Inoltre, la mancanza di ispezioni ha portato a un disastro di sicurezza. Alcuni sfortunati pazienti ricevono una quantità eccessiva di mRNA, di contaminanti o di entrambi e sono quindi esposti a iniezioni dannose e, in alcuni casi, letali.

 

IN ITALIA

Il trait d’union tra questa nuova ricerca sponsorizzata dalla Commissione Europea e Rappuoli è proprio la Fondazione Toscana Life Sciences (TLS) che ha creato un park science accentratore di aziende operanti in campo sanitario medico, diagnostico e farmaceutico.

TOSCANA LIFE SCIENCES NEL BIOTECNOPOLO DI SIENA
TLS è anche deputata a diventare uno dei pilastri del progetto del Biotecnopolo di Siena, in fase di realizzazione nell’ex caserma in Viale Cavour, che riceverà una cospicua dotazione finanziaria dal Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNNR) così suddivisa: 9 milioni di euro per il 2022, 12 milioni per il 2023 e 16 milioni per il 2024. Ma la fetta più grossa spetta proprio all’hub antipandemico (Centro Nazionale Antipandemico – CNAP), che riceverà 340 milioni di euro da qui al 2026.

Una somma ingente in considerazione che le finalità sono praticamente analoghe a quelle del Fondazione Centro Nazionale di Ricerca “Sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a RNA” che vede come capofila l’Università di Padova e come partner altri atenei italiani ma, soprattutto, le Big Pharma dei vaccini Pfizer, Biontech e AstraZeneca.

Dal canto suo la Fondazione Toscana Life Sciences (TLS) fin dall’agosto 2022 aveva subito accolto «con estremo favore la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (GU) della Repubblica Italiana dello Statuto della Fondazione Biotecnopolo, che avrà sede legale e operativa a Siena. Un passo molto atteso che include la partecipazione della Fondazione Toscana Life Sciences in qualità di “nuovo fondatore” attraverso la stipula di un atto convenzionale entro sessanta giorni dall’adozione dello Statuto stesso. Sono soci fondatori il Ministero dell’Università e della Ricerca, il Ministero della Salute, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero dello Sviluppo Economico, cui si aggiungerà la Fondazione TLS come “nuovo fondatore”

Esaote (che ha sede a Genova ma una filiale a Firenze) e TLS, nella primavera 2021, si trovarono insieme a un vertice convocato dalla Regione Toscana per costruire un eco-sistema per un vaccino anti Covid-19 made in Tuscany. All’incontro presero parte, oltre agli assessori Simone Bezzini (Sanità) e Leonardo Marras (Attività produttive), i rappresentanti del Gruppo farmaceutico Menarini, di Kedrion, Eli Lilly, Molteni Farmaceutici, Diesse Diagnostica, Aboca, Abiogen, e di Gsk Vaccines.

Ora il Biotecnopolo di Siena e Toscana Life Sciences si assumeranno l’onere di portare avanti questo obiettivo puntando sulla figura di Rappuoli.

La Fondazione Toscana Life Sciences è il soggetto operativo che coordina e gestisce le attività del Distretto Toscano Scienze della Vita, il cluster regionale che aggrega tutti i soggetti pubblici e privati che operano nei settori delle biotecnologie, del farmaceutico, dei dispositivi medici, della nutraceutica, della cosmeceutica e dell’Ict applicato alle life sciences.

E’ nata nel 2011 per iniziativa della Regione Toscana allora governata dal presidente Alberto Monaci, bancario e ex deputato della Democrazia Cristiana e poi del Partito Democratico, ed oggi rappresenta un ecosistema dell’innovazione che raggruppa oltre 32 Centri Ricerca e 14 Enti di Ricerca, incluse le Università toscane (Firenze, Pisa, Siena); le Scuole Superiori (Scuole di Alta Formazione Sant’Anna e Normale di Pisa e Istituto di Alti Studi Imt di Lucca); gli Istituti del CNR. Sono affiliate al Distretto oltre 200 aziende del settore pharma, medical devices, biotech, ICT for health, nutraceutica, servizi correlati, per oltre 6 miliardi di fatturato.

Tra queste spicca il nome della bio-farmaceutica Kedrion della famiglia Marcucci dell’ex senatore del PD Andrea Marcucci (non riconfermato alle elezioni del 2022) che attirò l’attenzione dei media per l’interessamento a gestire a livello industriale (con una società Israeliana del Gruppo della Big Pharma americana Moderna finanziata da Gates) le cure del Covid-19 col plasma del medico Giuseppe De Donno, primario di Pneumologia dell’ospedale Poma di Mantova, morto suicida in circostanze misteriose dopo che la sperimentazione fu sottratta dal governo al suo centro di ricerca e assegnata a quello di Pisa.

 

 

NO AL NUCLEARE , SULL'H2-FOTOVOLTAICO  NON SI SPECULA
  1. IL RAZIONAMENTO ENERGETICO NON RISOLTO CON LE RINNOVABILI PUO' ESSERE USATO  PER  GIUSTIFICARE IL NUCLEARE CHE UCCIDE VEDI RUSSIA E GIAPPONE.
  2. CON LA SCUSA DEL NUCLEARE SI PUO' FAR PAGARE 10 QUELLO CHE VALE 1
  3. MENTRE LA FRANCIA INVESTE PER SANARE LO SFASCIO DEL NUCLEARE L'ITALIA CI VUOLE ENTRARE ?
  4. GLI INCIDENTI NUCLEARI IN RUSSIA E GIAPPONE NON CI HANNO INSEGNATTO NULLA ? NE VOGLIAMO UNO ANCHE IN ITALIA ?

 

LA CHIMERA MANGIA-SOLDI DELLA FUSIONE NUCLEARE    FUSIONE NUCLEARE    QUANTE RINNOVABILI SI POSSONO FARE ? IL CNR SPENDE PIU' PER IL FINTO NUCLEARE CHE PER LA BANCA DEL SEME AGRICOLO.

IL FUTURO H2 CHE NON SI VUOLE VEDERE

E' ASSURDO CONTINUARE A PENSARE DI GESTIRE A COSTI BASSI ECONOMICAMENTE VANTAGGIOSI LA FUSIONE NUCLEARE QUANDO ESISTONO ENERGIE RINNOVABILI MOLTO più CONTROLLABILI ED EFFICIENTI A COSTI più BASSI, COME DIMOSTRA IL : https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_22_3131

 

   INFETT VIRUS  DIO UOMINI      IL DOPPIO SACRILEGIO DELLA BESTEMMIA     BESTEMMIA

   RICETTA LIEVITO MADRE LIEVITO MADRE

RICAMBIO POLITICO BLOCCATO BLOCCO   ROMA  MELONI    INTERNI

 

L'Ucraina in fiamme - Documentario di Igor Lopatonok Oliver Stone 2016 (sottotitoli italiano)

https://www.youtube.com/watch?v=2AKpsBF-bvo

"Abbiamo creato un archivio online per documentare i crimini di guerra della Russia". Lo scrive su Twitter il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba. "Le prove raccolte delle atrocità commesse dall'esercito russo in Ucraina garantiranno che questi criminali di guerra non sfuggano alla giustizia", aggiunge, con il link al sito in inglese

https://war.ukraine.ua/russia-war-crimes/

 

 

 

Cosa c’entra il climate change con l’incidente al ghiacciaio della Marmolada?

 

Temperature di 10°C a 3.300 metri di altezza da giorni, anomalie termiche pronunciate da maggio. Sono questi i fattori alla base del crollo del seracco che ha travolto due cordate di alpinisti domenica 3 luglio sotto Punta Penia

 

Ghiacciaio della Marmolada: il climate change fa almeno 6 morti
crediti: Local Team

Il ghiacciaio della Marmolada si sta ritirando di 6 metri l’anno

(Rinnovabili.it) – Almeno 10 morti, 9 feriti e un disperso. È il bilancio provvisorio dell’incidente che ha coinvolto il 3 luglio due cordate di alpinisti nella zona di Punta Rocca, proprio sotto il ghiacciaio della Marmolada. Una parte del ghiacciaio è collassata per le temperature elevate, scivolando rapidamente a valle in una enorme valanga di ghiaccio, pietre e acqua fusa.

La dinamica dell’incidente

Verso le 14 del 3 luglio ha ceduto un seracco del ghiacciaio della Marmolada, la vetta più alta delle Dolomiti, tra Punta Rocca e Punta Penia a oltre 3000 metri di quota. La scarica che si è creata è stata imponente, alta 60 metri con un fronte largo circa 200, e ha investito un tratto della via normale per la cima di Punta Penia precipitando a 300 km/h.

Il punto di distacco del seracco è ben visibile in alto a destra. Crediti: Local Team.

Ogni ghiacciaio ha dei seracchi, blocchi di ghiaccio che assomigliano a dei pinnacoli e si formano con il movimento del corpo glaciale. Scorrendo verso il basso, il ghiacciaio incontra delle variazioni nella pendenza della montagna. Queste deformano il ghiacciaio e provocano la formazione di crepacci, che a loro volta danno luogo a delle “torri” di ghiaccio, i seracchi. Queste formazioni, seppur normali, sono per loro natura instabili. Tendono a cadere a valle, ricompattandosi con il resto del corpo glaciale, ed è difficile prevedere quando esattamente un evento del genere si può verificare.

Il climate change sul ghiacciaio della Marmolada

Il distacco del seracco dal ghiacciaio della Marmolada, con ogni probabilità, è stato facilitato e reso più rovinoso dal cambiamento climatico. Negli ultimi giorni, anche sulle cime di quel settore delle Dolomiti il termometro è salito regolarmente a 10°C. Ma è da maggio che si registrano anomalie termiche molto pronunciate.

Anomalie che investono tutto l’arco alpino. Sulla cima del monte Sonnblick, in Austria, 100 km più a nord-est, uno degli osservatori con le serie storiche più lunghe e affidabili della regione alpina ieri segnalava il quasi completo scioglimento del manto nevoso. Un dato che illustra molto bene quanto l’estate del 2022 sia eccezionale: lì la neve non si era mai sciolta prima del 13 agosto (capitò nel 1963 e nel caldissimo 2003).

Che legame c’è tra il crollo del seracco e le temperature elevate? Secondo la società meteorologica alpino-adriatica, “il ghiacciaio si è destabilizzato alla base a causa della grande disponibilità di acqua di fusione dopo settimane di temperature estremamente elevate e superiori alla media”. Il caldo ha accelerato lo scioglimento del ghiacciaio: “la lubrificazione dell’acqua alla base (o negli interstrati) e l’aumento della pressione nei crepacci pieni d’acqua sono probabilmente le cause principali di questo evento catastrofico”.

Normalmente, il ghiaccio sciolto – acqua di fusione – penetra fra gli strati di ghiaccio o direttamente sul fondo del ghiacciaio, incuneandosi tra massa glaciale e rocce sottostanti, per sgorgare poi al fondo della lingua glaciale. Questo processo “lubrifica” il ghiacciaio, accelerandone lo scivolamento, ma può anche creare delle “sacche” piene d’acqua che non trova uno sfogo e preme sul resto del ghiacciaio.

Come tutti gli altri ghiacciai alpini, anche il ghiacciaio della Marmolada è in veloce ritirata a causa del riscaldamento globale. L’ultima campagna di rilevazioni, condotta dal Comitato Glaciologico Italiano e da Arpa Veneto lo scorso agosto, ha segnalato un ritiro di 6 metri in appena 1 anno, mentre la perdita complessiva di volume raggiunge il 90% in 100 anni.

Il cambiamento climatico corre più veloce sulle Alpi che nel resto del pianeta, facendo delle terre alte uno dei settori più vulnerabili. Un aumento della temperatura globale di 1,5 gradi si traduce in un innalzamento, sulle montagne italiane, di 1,8 gradi (con un margine d’errore di ±0,72°C). Superare i 2 gradi a livello globale significa invece Alpi 2,51°C più calde (±0,73°C). Ma durante i mesi estivi, l’aumento di temperatura è ancora più pronunciato e può arrivare, rispettivamente, a 2,09°C ±1,24°C e a 2,81°C ±1,23°C.

 

 

https://www.rinnovabili.it/ambiente/impatti-ambientali-delle-guerre/

 

 

 

 

 

LA STRAGE DI USTICA

«Il 22 maggio 1988 il sommergibile Nautile esplora il Mar Tirreno alla ricerca del Dc9 Itavia. Alle 11,58 le telecamere inquadrano una forma particolare. Uno dei due operatori dell’Ifremer scandisce in francese la parola “misil”. Alle 13,53 s’intravede un’altra classica forma di missile. Le ricerche della società di Tolone vengono sospese tre giorni dopo. L’ingegner Jean Roux, dirigente della sezione recuperi dell’Ifremer, subisce uno stop inspiegabile dall’ingegner Massimo Blasi, capo della commissione dei periti del Tribunale di Roma» si legge ancora nell’articolo.

«I due missili non vengono raccolti neppure durante la seconda operazione di recupero affidata a una società inglese. Forse, perché la Stella di Davide è intoccabile? – si domanda Lannes – Trascorrono tre anni prima che i periti di parte abbiano la possibilità di visionare i nastri dell’operazione Ifremer. Secondo un primo tentativo di identificazione di tratta di un “Matra R 530 di fabbricazione francese” e di uno “Shafrir israeliano”. I dati tecnici parlano chiaro. Quel Matra è “lungo 3,28 metri, ha un diametro di 26 centimetri con ingombro alare di 110, pesa 110 chilogrammi: è munito di una testata a frammentazione e può colpire il bersaglio a 3 km di distanza con la guida a raggi infrarossi e a 15 km con la guida radar semiattiva”. L’altro missile è “lungo 2,5 metri, 16 centimetri di diametro e 52 di apertura alare, pesa 93 kg e ha una gittata di 5 km”. Entrambi i missili erano in dotazione ai caccia di Israele, in particolare: Mirage III, Kfir, F4, A4, F15, F16. Uno di quei missili è stato lanciato contro il Dc9».

Lannes ha aggiunto particolari agghiaccianti. «Qualche anno fa – accompagnato alla Procura della Repubblica di Roma da due poliziotti della scorta della Polizia di Stato – ho riferito, o meglio verbalizzato ai magistrati Amelio e Monteleone quanto avevo scoperto indagando per dieci anni sulla strage di Ustica. Ed ho indicato loro alcuni testimoni (ex militari) mai interrogati dall’autorità giudiziaria. Uno di essi (un ex ufficiale della Marina Militare) ha dichiarato che il 27 giugno 1980 era in corso un’imponente esercitazione aeronavale della NATO nel Mar Tirreno. E che l’unità su cui era imbarcato, la Vittorio Veneto non ha prestato alcun soccorso, pur essendo vicina al luogo di impatto del velivolo civile, ma ricevette l’ordine di far rientro a La Spezia. Due di questi ex militari, già appartenenti all’Aeronautica Militare sono stati minacciati, ed uno di essi ha subito addirittura un trattamento sanitario obbligatorio messo in atto dall’Arma Azzurra».

 

 

IL VERO OBBIETTIVO DELLA MAFIA ESSERE LEGITTIMATA A TRATTARE ALLA PARI CON LO STATO.

QUESTO LA HA FATTO LO GIURISPRUDENZA DELLA TRATTATIVA STATO MAFIA  CHE HA LEGITTIMATO DI FATTO LA MAFIA A TRATTARE ALLA PARI CON LO STATO.

LA RESPONSABILITA' DEI SERVIZI SEGRETI NELLA MORTE DI FALCONE E BORSELLINO , E PALESE.

I SERVIZI SEGRETI DIPENDONO DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO


Dichiarazione di Giuliano AMATO

«Stragi del '92 con matrice oscura. Giusto l'intervento di Pisanu» - INTERVISTA

(02 luglio 2010) - fonte: Corriere della Sera - Giovanni Bianconi - inserita il 02 luglio 2010 da 31

«Certo che il nostro è uno strano Paese», esordisce Giuliano Amato, presidente del Consiglio nel 1992 insanguinato dalle stragi di mafia, e dunque testimone diretto di quella drammatica stagione rievocata nella relazione del presidente della commissione parlamentare antimafia Giuseppe Pisanu.

Perché, presidente?

«Perché quando un personaggio di primissimo rango come Giulio Andreotti esce indenne da un lungo processo si dice che questo capita se si confonde la responsabilità penale con quella politica, mentre quando un presidente dell`Antimafia come Pisanu si sforza di cercare responsabilità politiche laddove non ne sono state individuate di penali gli si risponde che bisogna lasciar lavorare i giudici. Ma allora che bisogna fare?».

Secondo lei?

«Secondo me il lavoro di Pisanu è legittimo e prezioso, perché può aiutare la politica a cercare delle chiavi di lettura che non possono sempre venire dalla magistratura. E a trovare finalmente il giusto modo di affrontare la questione mafiosa. Provando a capire che cosa è accaduto in passato si può affrontare meglio anche il presente».

Il passato, in questo caso, sono le stragi del 1992 e 1993. Lei divenne capo del governo dopo la morte di Giovanni Falcone e prima di quella di Borsellino. Ha avuto la sensazione di «qualcosa di simile a una trattativa», come dice Pisanu?

«Sinceramente no. L`ho detto anche ai procuratori di Caltanissetta quando mi hanno interrogato.
Io in quelle settimane ero molto impegnato ad affrontare l`emergenza economico-finanziaria, dovevamo fare una manovra da 30.000 miliardi di lire per il`92 e impostare quella del `93. La strage di via D`Amelio ci colse nel pieno dei vertici economici internazionali.
Ricordo però che dopo quel drammatico avvenimento ebbi quasi un ordine da Martelli, quello di far approvare subito il decreto-legge sul carcere duro per i mafiosi varato dopo l`eccidio di Capaci. Andai di sera dal presidente del Senato Spadolini, ed ottenni una calendarizzazione ad horas del provvedimento».

Dei contatti tra alcuni ufficiali del Ros dei carabinieri e l`ex sindaco mafioso di Palermo Ciancimino lei sapeva qualcosa, all`epoca?

«No, però voglio dire una cosa. Che ci sia stato un certo lavorio di qualche apparato a livello inferiore è possibile, ma pensare che dei contatti poco chiari potessero avere una sponda in Nicola Mancino che era stato appena nominato ministro dell`Interno è un ipotesi che considero offensiva, in primo luogo per lo stesso Mancino. Sulle ragioni della sua nomina è Arnaldo Forlani che può fare chiarezza».

Perché?

«Perché la Dc di cui allora era segretario decise, o fu spinta a decidere, che bisognava tagliare Gava dal governo. Ma a Gava bisognava comunque trovare una via d`uscita onorevole, individuata nella presidenza del gruppo al Senato che era di Mancino».

L`ex presidente del Consiglio Ciampi ha ripetuto che dopo le stragi del '93 lui, da Palazzo Chigi, ebbe timore di un colpo di Stato. Lei pensò qualcosa di simile, nello stesso posto, dopo le bombe del '92?

«No, ma del resto non ebbi timori di quel genere nemmeno dopo le stragi degli anni Settanta. All`indomani di via D`Amelio non ebbi allarmi particolari dal ministro dell`Interno, né dal capo della polizia Parisi o da quelli dei servizi segreti. Parisi lo trovai ai funerali di Borsellino, dove io e il presidente Scalfaro subimmo quasi un`aggressione e avemmo difficoltà ad entrare in chiesa.
Ma attribuimmo l`episodio alla rabbia contro lo Stato che non era riuscito ad evitare quella morte. Il problema che ancora oggi resta insoluto è la vera matrice di quelle stragi».

Che intende dire?

«Che per la mafia furono un pessimo affare. Non solo quella di via D`Amelio, dopo la quale Martelli applicò immediatamente il regime di carcere duro a centinaia di boss, ma anche quella di Capaci. Certo, Falcone era un nemico, ma in quel momento un`impresa economico-criminale come Cosa Nostra avrebbe avuto tutto l`interesse a stare lontana dai riflettori, anziché accenderli con quella manifestazione di violenza. Quali interessi vitali dell`organizzazione mafiosa stava mettendo in pericolo, Falcone?
La spiegazione che volevano eliminare un magistrato integerrimo, come lui o come Borsellino, è troppo semplice. In ogni caso potevano ucciderlo con modalità meno eclatanti, come hanno fatto in altre occasioni. Invece vollero colpire lui e insieme lo Stato, imponendo una devastante dimostrazione di potere».

Chi può esserci allora, oltre a Cosa nostra, dietro gli attentati che per la mafia furono controproducenti?

«Purtroppo non lo sappiamo, ma è questa la domanda-chiave a cui dovremmo trovare la risposta. Perché vede, per le stragi degli anni Settanta si sono trovate molte spiegazioni; compresa quella che sosteneva il prefetto Parisi, il quale immaginava un ruolo dei servizi segreti israeliani per punire la politica estera italiana sul versante palestinese. E per le stragi del 1993 io trovo abbastanza convincente la tesi di una ritorsione per il carcere duro affibbiato a tanti boss e soprattutto al loro capo, Riina, arrestato all`inizio dell`anno. Per quelle del`92, invece, non riesco a immaginare motivazioni mafiose sufficienti a superare le ripercussioni negative. E questo conferma l`ipotesi di qualche condizionamento esterno rispetto ai vertici di Cosa nostra.
Perciò ha ragione Pisanu a interrogarsi e chiedere di fare luce».

Anche laddove i magistrati non riescono ad arrivare?

«Ma certo. Noi siamo arrivati al limite del giuridicamente accettabile con il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, che io condivido ma che faccio fatica a spiegare all`estero.
Al di là di quel reato, però, non ci sono solo i boy scout; possono esistere rapporti pericolosi, magari meno diretti o meno importanti, ma pur sempre rapporti. E di questi dovrebbe occuparsi la politica, prima dei magistrati».

Infatti Andreotti e Cossiga, agli ordini  di Henry Kissinger,  se ne interessarono con Delle Chiaie che rappresentava un estremismo di destra che teneva rapporti con la mafia di Rejna , secondo Lo Cicero.

 

 

 

CARO PIERO ANGELA UOMO DI STATO

CARO

 

 

ESPERIENZA STORICA DELL'ARROGANZA DELLA FIAT

https://www.rainews.it/tgr/piemonte/video/2022/07/watchfolder-tgr-piemonte-web-de-ponte-auto-elettrica-vl-tg1tgp2mxf-5f9b9ee5-2a7f-4d92-81c5-52a913e172bc.html

 

 

Il potere segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e Wikileaks

 

 FATTI NO BLA BLA BLA  DELLA STAMPA PER CONDIZIONARE LA VITA DELLE PERSONE CHE NON PENSANO PRIMA DI AGIRE

LE NON RISPOSTE DI DRAGHI E CINGOLANI DOCUMENTATE DA REPORT

DRAGHI NO RISP

QUALE E' LA VERITA' SUI MANDANTI DELLA MORTE DI FALCONE E BORSELLINO ?

Era il 23 maggio del 1992 quando Giovanni Falcone guidava la Fiat Croma della sua scorta che lo accompagnava dall’aeroporto di Punta Raisi a Palermo.

Assieme a lui c’erano la moglie Francesca Morvillo, e l’autista Giuseppe Costanza che quel giorno sedeva dietro.

Nel corteo delle auto che accompagnano il magistrato palermitano c’erano anche altre due auto, la Fiat Croma marrone sulla quale viaggiavano gli agenti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, e la Fiat Croma azzurra sulla quale erano presenti gli agenti Paolo Capuzza, Gaspare Cervello e Angelo Corbo.

Alle 17:57 circa, secondo la ricostruzione della versione ufficiale, viene azionato da Giovanni Brusca il telecomando della bomba posta sotto il viadotto autostradale nel quale passava il giudice Falcone.

La prima auto, quella degli agenti Montinaro, Schifani e Dicillo viene sbalzata in un campo di ulivi che si trovava vicino alla carreggiata. Muoiono tutti sul colpo.

L’auto di Falcone e di sua moglie Francesca viene investita da una pioggia di detriti e l’impatto tremendo scaglia entrambi contro il parabrezza della macchina.

In quel momento sono ancora vivi, ma le ferite riportate sono molto gravi ed entrambi moriranno nelle ore successive all’ospedale.

L’autista Giuseppe Costanza sopravvive miracolosamente alla strage ed è ancora oggi vivo.

Mai in Italia la mafia era riuscita ad eseguire una operazione così clamorosa e così ben congegnata tale da far pensare ad un coinvolgimento di apparati terroristici e militari che andavano ben oltre le capacità di Cosa Nostra.

Capaci è una strage unica probabilmente anche a livello internazionale. Fu fatta saltare un’autostrada con 200 kg di esplosivo da cava. Appare impossibile pensare che furono soltanto uomini come Giovanni Brusca o piuttosto Totò Riina soprannominato Totò U Curtu potessero realizzare qualcosa del genere.

Impossibile anche che nessuno si sia accorto di come nei giorni precedenti sia stata portata una quantità considerevole di esplosivo sotto l’autostrada senza che nessuno notasse nulla.

È alquanto probabile che gli attentatori abbiano utilizzato dei mezzi pesanti per trasportare il tritolo e il T4 utilizzati per preparare l’ordigno.

Il via vai di mezzi deve essere stato frequente ed è difficile pensare che questo passaggio non sia stato notato da nessuno nelle aree circostanti.

Così come è impossibile che gli attentatori sapessero l’ora esatta in cui Falcone sarebbe sbarcato a Palermo senza avere una qualche fonte dall’interno che li informasse dei movimenti e degli spostamenti del magistrato.

Capaci per tutte le sue caratteristiche quindi è un evento che appare del tutto inattuabile senza il coinvolgimento di elementi infedeli presenti nelle istituzioni che diedero agli attentatori le informazioni necessarie per eseguire la strage.

Senza i primi, è impossibile sapere chi sono i veri mandanti occulti dell’eccidio che è costato la vita a 5 persone e che sconvolse l’Italia.

E per poter comprendere quali siano questi mandanti occulti è necessario guardare a cosa stava lavorando Falcone nelle sue ultime settimane di vita.

Senza posare lo sguardo su questo intervallo temporale, non possiamo comprendere nulla di quello che accadde in quei tragici giorni.

La stampa nostrana sono trent’anni che ci offre una ricostruzione edulcorata e distorta della strage di Capaci.

Ci vengono mostrate a ripetizione le immagini di Giovanni Brusca. Ci è stato detto tutto sulla teoria strampalata che vedrebbe Silvio Berlusconi tra i mandanti occulti dell’attentato, teoria che pare aver trovato una certa fortuna tra gli allievi liberali montanelliani, quali Peter Gomez e Marco Travaglio.

Non ci viene detto nulla però su ciò che stava facendo davvero Giovanni Falcone prima di morire.

L’indagine di Falcone sui fondi neri del PCI

All’epoca dei fatti, Falcone era direttore generale degli affari penali, incarico che aveva ricevuto dall’allora ministro della Giustizia, Claudio Martelli.

Nei mesi prima di Capaci, Falcone riceve una vera e propria richiesta di aiuto da parte di Francesco Cossiga, presidente della Repubblica.

Cossiga chiede a Falcone di fare luce sulla marea di fondi neri che erano piovuti da Mosca dal dopoguerra in poi nelle casse dell’ex partito comunista italiano.

Si parla di somme da capogiro pari a 989 miliardi di lire che sono transitati dalle casse del PCUS, il partito comunista dell’Unione Sovietica, a quelle del PCI.

La politica del PCUS era quella di finanziare e coordinare le attività dei partiti comunisti fratelli per diffondere ed espandere ovunque l’influenza del pensiero marxista e leninista e dell’URSS che si dichiarava custode di quella ideologia.

Questa storia è raccontata dettagliatamente in un avvincente libro intitolato "Il viaggio di Falcone a Mosca" firmato da Francesco Bigazzi e da Valentin Stepankov, il procuratore russo che stava collaborando con Falcone prima di essere ucciso.

Il sistema di finanziamento del PCUS era piuttosto complesso e spesso si rischia di perdersi in un fitto dedalo di passaggi e sottopassaggi nei quali è spesso difficile comprendere dove siano finiti effettivamente i fondi.

I finanziamenti erano erogati dal partito comunista sovietico agli altri suoi satelliti nel mondo e di questo c’è traccia nelle carte esaminate da Stepankov.

Ricevevano fondi il partito comunista francese e persino il partito comunista americano rappresentato da Gus Hall che a Mosca assicurava tutto il suo impegno contro l’imperialismo americano portato avanti da Ronald Reagan.

Il partito comunista italiano era però quello che riceveva la quantità di fondi più ingenti perché questo era il partito comunista più forte d’Occidente ed era necessario nell’ottica di Mosca assicurargli un costante sostegno per tenera aperta la possibilità di spostare l’Italia dall’orbita del patto Atlantico a quella del patto di Varsavia.

Una eventualità che se fosse mai avvenuta avrebbe provocato non solo la probabile fine della stessa NATO ma anche un probabile conflitto tra Washington e Mosca che si contendevano un Paese fondamentale, allora come oggi, per gli equilibri dell’Europa e del mondo.

Ed è in questa ottica che va vista la strategia della tensione ispirata e attuata da ambienti atlantici per impedire che Roma si avvicinasse troppo a Mosca.

Nell’ottica di questa strategia era necessario colpire la popolazione civile attraverso gruppi terroristici, ad esempio le Brigate Rosse, infiltrati da ambienti dell’intelligence americana per eseguire azioni clamorose, su tutte il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.

Il sangue versato dall’Italia nel dopoguerra per volontà del cosiddetto stato profondo di Washington è stato versato per impedire all’Italia di intraprendere un cammino politico che avrebbe potuto allontanarla troppo dalla sfera di dominio Euro-Atlantica non tanto per approdare in quella sovietica, ma piuttosto, secondo la visione di Moro, nel campo dei Paesi non allineati né con un blocco né con l’altro.

Nel 1992 questo mondo era già crollato e non esisteva più la cosiddetta minaccia sovietica. A Mosca regnava il caos. Una epoca era finita e l’URSS era crollata non per via della sua struttura elefantiaca, come pretende di far credere una certa vulgata atlantista, ma semplicemente perché si era deciso di demolirla dall’interno.

La perestrojka, termine russo che sta per ristrutturazione, di cui l’ex segretario del PCUS, Gorbachev, fu un convinto sostenitore fu ciò che preparò il terreno alla caduta del blocco sovietico.

Gorbachev era ed è un personaggio molto vicino agli ambienti del globalismo che contano e fu uno dei primi sovietici ad essere elogiato e sostenuto dal gruppo Bilderberg che nel 1987 guarda con vivo interesse e ammirazione alla sua apertura al mondo Occidentale.

Al Bilderberg c’è il gotha della società mondiale in ogni sua derivazione politica, economica, finanziaria e ovviamente mediatica senza la quale sarebbe stato impossibile perseguire i piani di questa struttura paragovernativa internazionale.

Uno dei membri di spicco di questo club, David Rockefeller, ringraziò calorosamente alcuni anni dopo gli esponenti della stampa mondiale, soprattutto quella anglosassone, per aver taciuto le attività di questa società segreta che senza il silenzio dei media non sarebbe mai riuscita a portare avanti indisturbata i suoi piani.

Nella visione di questi ambienti, l’URSS, di cui, sia chiaro, non si ha nostalgia, era comunque diventata ingombrante e doveva essere rimossa.

Il segretario del partito comunista, Gorbachev, attraverso le sue “riforme” ebbe un ruolo del tutto fondamentale nell’ambito del raggiungimento di questo obbiettivo.

I signori del Bilderberg avevano deciso che gli anni 90 avrebbero dovuto essere gli anni della globalizzazione e della concentrazione di un potere mai visto nelle mani della NATO che per poter avvenire doveva passare dall’eliminazione del blocco opposto, quello dell’Unione Sovietica.

Il crollo dell’URSS ebbe un impatto devastante sulla società post-sovietica russa. Moltissimi dirigenti, 1746, si tolsero la vita. Un numero di morti per suicidio che non trova probabilmente emuli nella storia politica recente di nessun Paese.

Alcuni suicidi furono piuttosto anomali e si pensò che alcuni influenti notabili di Mosca in realtà siano stati suicidati per non far trapelare le verità scomode che sapevano riguardano ai finanziamenti del partito.

A Mosca era iniziato il grande saccheggio e le svendite di tutto quello che era il patrimonio pubblico dello Stato.

L’URSS era uscita dall’era della proprietà collettivizzata per entrare in quella del neoliberismo più feroce e selvaggio così come avvenne per gli altri Paesi dell’Europa Orientale che furono messi all’asta e comprati da corporation angloamericane.

Il procuratore russo Stepankov voleva far luce sulla enorme quantità di soldi che era uscita dalle casse del partito. Voleva capire dove fosse finito tutto questo denaro e come esso fosse stato speso.

Per fare questo, chiese assistenza all’Italia e il presidente Cossiga girò questa richiesta di aiuto all’allora direttore generale degli affari penali, Giovanni Falcone.

Falcone accettò con entusiasmo e ricevette a Roma nel suo ufficio il procuratore Stepankov per avviare quella collaborazione, inedita dal secondo dopoguerra in poi, tra l’Italia e la neonata federazione russa.

Al loro primo incontro, Falcone e Stepankov si piacciono subito. Entrambi si riconoscono una integrità e una determinazione indispensabili per degli inquirenti determinati a comprendere cosa fosse accaduto con quella enorme quantità di denaro che aveva lasciato Mosca per finire in Italia.

I fondi venivano stanziati in dollari e poi convertiti in lire ma per poter completare questo passaggio era necessaria l’assistenza di un’altra parte, che Falcone riteneva essere la mafia che in questo caso avrebbe agito in stretto contatto con l’ex PCI.

I legami tra PCI e mafia non sono stati nemmeno sfiorati dai media mainstream italiani. La sinistra progressista si è attribuita una sorta di primato morale nella lotta alla mafia quando questa storia e questa indagine rivelano invece una sua profonda contiguità con il fenomeno mafioso.

L’indagine di Falcone rischiava di mandare a monte il piano di Mani Pulite

Giovanni Falcone era determinato a fare luce su questi legami, ma non fece in tempo. Una volta iniziata la sua collaborazione con Stepankov la sua vita fu stroncata brutalmente nella strage di Capaci.

Era in programma un viaggio del magistrato nei primi giorni di giugno a Mosca per continuare la collaborazione con Stepankov.

Il giudice si stava avvicinando ad una verità scabrosa che avrebbe potuto travolgere l’allora PDS che aveva abbandonato la falce e martello del partito comunista due anni prima nella svolta della Bolognina inaugurata da Achille Occhetto.

Il PCI si stava tramutando in una versione del partito democratico liberal progressista molto simile a quella del partito democratico americano.

Il processo di conversione era già iniziato anni prima quando a Washington iniziò a recarsi sempre più spesso Giorgio Napolitano che divenne un interlocutore privilegiato degli ambienti che contano negli Stati Uniti, soprattutto quelli sionisti e atlantisti.

A Washington avevano già deciso probabilmente in quegli anni che doveva essere il nuovo partito post-comunista a trascinare l’Italia nel girone infernale della globalizzazione.

Il 1992 fu molto di più che l’anno della caccia alle streghe giudiziaria. Il 1992 fu una operazione internazionale decisa nei circoli del potere anglo-sionista che aveva deciso di liberarsi di una classe politica che, seppur con tutti i suoi limiti, aveva saputo in diverse occasioni contenere l’atlantismo esasperato e aveva saputo esercitare la sua sovranità come accaduto a Sigonella nel 1984 e come accaduto anche con l’omicidio di Aldo Moro, che pagò con la vita la decisione di voler rendere indipendente l’Italia dall’influenza di questi centri di potere transnazionali.

Il copione era quindi già scritto. Il pool di Mani Pulite agì come un cecchino. Tutti i partiti vennero travolti dalle inchieste giudiziarie e tutti finirono sotto la gogna mediatica della pioggia di avvisi di garanzia che in quel clima da linciaggio popolare equivalevano ad una condanna anticipata.

Il PSI di Craxi fu distrutto così come la DC di Andreotti. Tutti vennero colpiti ma le inchieste lasciarono, “casualmente”, intatto il PDS.

Eppure era abbastanza nota la corruzione delle cosiddette cooperative rosse, così come era nota la corruttela che c’era nel partito comunista italiano che riceveva fondi da una potenza straniera, allora nemica, e poi li riciclava attraverso la probabile assistenza di organizzazioni mafiose.

Questa era l’ipotesi investigativa alla quale stava lavorando Giovanni Falcone e questa era la stessa ipotesi che subito dopo raccolse Paolo Borsellino, suo fraterno amico e magistrato ucciso soltanto 55 giorni dopo a via d’Amelio.

Mai la mafia era giunta a tanto, e non era giunta a tanto perché non era nelle sue possibilità. C’è un unico filo rosso che lega queste due stragi e questo filo rosso porta fuori dai confini nazionali.

Porta direttamente in quei centri di potere che avevano deciso che tutta la ricchezza dell’industria pubblica italiana fosse smantellata per essere portata in dote alla finanza anglosionista.

Questi stessi centri di potere globali avevano deciso anche che dovesse essere il nuovo PDS a proseguire lo smantellamento dell’economia italiana attraverso la sua adesione alla moneta unica.

E fu effettivamente così, salvo la parentesi berlusconiana del 94. Il PDS portò l’Italia sul patibolo dell’euro e di Maastricht e privò della sovranità monetaria il Paese agganciandola alla palla al piede della moneta unica, arma della finanza internazionale.

E fu il turbare di questi equilibri che portò alla prematura morte dei magistrati Falcone e Borsellino. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino avevano messo le mani sui fili dell’alta tensione. Quelli di un potere così forte che fa impallidire la mafia.

I due brillanti giudici sapevano che il fenomeno mafioso non poteva essere compreso se non si guardava al piano superiore, che era quello costituito dalla massoneria e dal potere finanziario.

Cosa Nostra e le altre organizzazioni sono solamente della manovalanza di un potere senza volto molto più potente.

È questa la verità che non viene raccontata agli italiani che ogni anno quando si celebrano queste stragi vengono sommersi da un fiume di retorica o da una scadente cinematografia di regime che mai sfiora la verità su quanto accaduto in quegli anni e mai sfiora il vero potere che eseguì il colpo di Stato del 1992 e che insanguinò l’Italia nello stesso anno.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono due figure che vanno ricordate non solo per il loro eroismo, ma per la loro ferma volontà e determinazione nel fare il loro mestiere, anche se questo voleva dire pagare con la propria vita.

Lo fecero fino in fondo sapendo di sfidare un potere enormemente più forte di loro. Sapevano che in gioco c’erano equilibri internazionali e destini decisi da uomini seduti nei consigli di amministrazione di banche e corporation che erano i veri registi della mafia.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vanno ricordati perché sono due eroi italiani che si sono opposti a ciò che il Nuovo Ordine Mondiale aveva deciso per l’Italia e pur di farlo non hanno esitato a sacrificare la loro vita.

Oggi, trent’anni dopo, sembra che stiano per chiudersi i conti con quanto accaduto nel 1992 e l’Italia sembra più vicina all’avvio di una nuova fase della sua storia, una nella quale potrebbe esserci la seria possibilità di avere una sovranità e una indipendenza come non la si è avuta dal 1945 in poi.

 

 

 

Autovelox mobili: la multa non è valida se non sono segnalati
multe autovelox

La Cassazione ha confermato che anche gli autovelox posti sulle pattuglie delle varie forze dell’ordine devono essere adeguatamente segnalati.
Autovelox mobili: la multa non è valida se non sono segnalati

AUTOVELOX MOBILI - Subire una multa per eccesso di velocità non è certamente piacevole, soprattutto perché questo comporta la necessità di dover mettere mano al portafoglio per una spesa imprevista. Ci sono però delle situazioni in cui la sanzione può essere ritenuta non valida e quindi annullata, come indicata da una recente sentenza emessa dalla Corte di Cassazione. Che ha così chiarito i dubbi su cosa può accadere nel caso in cui l’autovelox presente in un tratto di strada non sia opportunamente segnalato: l’obbligo è valido anche per gli autovelox mobili montati sulle auto della polizia.

UNA LUNGA TRAFILA LEGALE - La vicenda trae origine da un’automobilista di Feltre (Belluno) aveva subito sei anni fa una multa per eccesso di velocità dopo essere stato sorpreso a 85 km/h in un tratto di strada in cui il limite era invece di 70 m/h. Una pattuglia della polizia presente sul posto dotata di autovelox Scout Speed aveva provveduto a sanzionarlo. L’uomo era però convinto di avere subito un’ingiustizia e aveva così deciso di fare ricorso. Alla fine, nonostante la trafila sia stata particolarmente lunga, è stato proprio il conducente a vincere fino ad arrivare alla sentenza della Cassazione emessa pochi giorni fa.

LA SENTENZA - Nella quale si legge: "In attuazione del generale obbligo di preventiva e ben visibile segnalazione, contempla la possibilità di installare sulle autovetture dotate del dispositivo Scout Speed messaggi luminosi contenenti l'iscrizione “controllo velocità” o “rilevamento della velocità”, visibili sia frontalmente che da tergo. Molteplici possibilità di impiego e segnalazione sono correlate alle caratteristiche della postazione, fissa o mobile, sicché non può dedursi alcuna interferenza negativa che possa giustificare, avuto riguardo alle caratteristiche tecniche della strumentazione impiegata nella postazione di controllo mobile, l'esonero dall'obbligo della preventiva segnalazione".

 

  

COSTITUENDA ASSOCIAZIONE:

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per non fare diventare l'ITALIA un'hotspot europeo dell'immigrazione in quanto bisogna resistere come italiani nel nostro paese dando agli immigrati un messaggio forte e chiaro : ogni paese puo' svilupparsi basta impegnarsi per farlo con le risorse disponibili e l'intelligenza , che significa adattamento nel superare le difficolta'.

Inventarsi un lavoro invece che fare l'elemosina.

Quanti miracoli ha fatto Maometto rispetto a Gesu' ?

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obiettivi:

1) esame d'italiano e storia italiana per gli immigrati

2) lavori socialmente utili

3) pulizia e cucina autonoma

3 gennaio 1917, Suor Lucia nel Terzo segreto di Fatima: Il sangue dei martiri cristiani non smetterà mai di sgorgare per irrigare la terra e far germogliare il seme del Vangelo.  Scrive suor Lucia: “Dopo le due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva grandi fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo intero; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l’Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza! E vedemmo in una luce immensa che è Dio: “Qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti” un Vescovo vestito di Bianco “abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre”. Vari altri vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c’era una grande croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni. Sotto i due bracci della croce c’erano due Angeli ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio”. interpretazione del Terzo segreto di Fatima era già stata offerta dalla stessa Suor Lucia in una lettera a Papa Wojtyla del 12 maggio 1982. In essa dice:  «La terza parte del segreto si riferisce alle parole di Nostra Signora: “Se no [si ascolteranno le mie richieste la Russia] spargerà i suoi errori per il mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte” (13-VII-1917). La terza parte del segreto è una rivelazione simbolica, che si riferisce a questa parte del Messaggio, condizionato dal fatto se accettiamo o no ciò che il Messaggio stesso ci chiede: “Se accetteranno le mie richieste, la Russia si convertirà e avranno pace; se no, spargerà i suoi errori per il mondo, etc.”. Dal momento che non abbiamo tenuto conto di questo appello del Messaggio, verifichiamo che esso si è compiuto, la Russia ha invaso il mondo con i suoi errori. E se non constatiamo ancora la consumazione completa del finale di questa profezia, vediamo che vi siamo incamminati a poco a poco a larghi passi. Se non rinunciamo al cammino di peccato, di odio, di vendetta, di ingiustizia violando i diritti della persona umana, di immoralità e di violenza, etc. E non diciamo che è Dio che così ci castiga; al contrario sono gli uomini che da se stessi si preparano il castigo. Dio premurosamente ci avverte e chiama al buon cammino, rispettando la libertà che ci ha dato; perciò gli uomini sono responsabili».

Le storie degli immigrati occupanti che cercano di farsi mantenere insieme alle loro famiglie , non lavoro come gli immigrati italiani all'estero:

1)  Mi trovavo all'opedale per prenotare una visita delicata , mentre stato parlando con l'infermiera, una donna mi disse di sbrigarmi : era di colore.

2) Mi trovavo in C,vittorio ang V.CARLO ALBERTO a Torino, stavo dando dei soldi ad un bianco che suonava una fisarmonica accanto ai suoi pacchi, arriva un nero in bici e me li chiede

3) Ero su un bus turistico e' salito un nero ha spostato la roba che occupava i primi posti e si e' messo lui

4) Ero in un team di startup che doveva fare proposte a TIM usando strumenti della stessa la minoranza mussulmana ha imposto di prima vedere gli strumenti e poi fare le proposte: molto innovativo !

5) FINO A QUANDO I MUSSULMANI NON ACCETTANO LA PARITA' UOMO DONNA , ANCHE SE LO SCRIVE IL CORANO E' SBAGLIATO. E' INACCETTABILE QUESTO PRINCIPIO CHE CI PORTA INDIETRO.

6) perche' lITALIA deve accogliere tutti ? anche gli alberghi possono rifiutare clienti .

7) Immigrazione ed economia sono interconnesse in quanto spostano pil fuori dal paese.

8) Gli extracomunitari ti entrano in casa senza chiedere permesso. Non solo desiderano la roba d altri ma la prendono.
Forse il primo insegnamento sarebbe il rispetto della liberta' altrui.

 

09.01.19

Tutti i nulllafacenti immigrati Boeri dice che ne abbiamo bisogno : per cosa ? per mantenerli ?

04.02.17l

L'ISIS secondo me sta facendo delle prove di attentato con l'obiettivo del Vaticano con un attacco simultaneo da terra con la tecnica dei camion e dal cielo con aerei come a NY l'11.09.11.

Riforma sostenuta da una maggioranza trasversale: «Non razzismo, ma realismo» Case Atc agli immigrati La Regione Piemonte cambia le regole Gli attuali criteri per le assegnazioni penalizzano gli italiani .

Screening pagato dalla Regione e affidato alle Molinette Nel Centro di Settimo esami contro la Tbc “Controlli da marzo” Tra i profughi in arrivo aumentano i casi di scabbia In sei mesi sono state curate un migliaio di persone.

Il Piemonte è la quarta regione italiana per numero di richiedenti asilo. E gli arrivi sono destinati ad aumentare. L’assessora Cerutti: “Un sistema che da emergenza si sta trasformando in strutturale”. Coinvolgere maggiormente i Comuni.In Piemonte ci sono 14.080 migranti e il flusso non accenna ad arrestarsi: nel primo mese del 2017 sono già sbarcati in Italia 9.425 richiedenti asilo, in confronto ai 6030 dello scorso anno e ai 3.813 del 2015. Insomma, serve un piano. A illustrarlo è l’assessora all’Immigrazione della Regione Monica Cerutti, che spiega come la rete di accoglienza in questi anni sia radicalmente cambiata, trasformando il sistema «da emergenziale a strutturale».

La Regione punta su formazione e compensazioni mentre aumentano i riconoscimenti In Piemonte 14 mila migranti Solo 1200 nella rete dei Comuni A Una minoranza inserita in progetti di accoglienza gestiti dagli enti locali umentano i riconoscimenti delle commissioni prefettizie, meno rigide rispetto al passato prossimo: la tendenza si è invertita, le domande accolte sono il 60% rispetto al 40% dei rigetti. Non aumenta, invece, la disponibilità a progetti di accoglienza e di integrazione da parte dei Comuni. Stando ai dati aggiornati forniti dalla Regione, si rileva che rispetto ai 14 mila migranti oggi presenti in Piemonte quelli inseriti nel sistema Sprar - gestito direttamente dai Comuni - non superano i 1.200. Il resto lo troviamo nelle strutture temporanee sotto controllo dalle Prefetture. Per rendere l’idea, nella nostra regione i Comuni sono 1.2016. La trincea dei Comuni Un bilancio che impensierisce la Regione, alle prese con resistenze più o meno velate da parte degli enti locali: il termometro di un malumore, o semplicemente di indifferenza, che impone un lavoro capillare di convincimento. «Di accompagnamento, di compensazione e prima ancora di informazione contro la disinformazione e certe strumentalizzazioni politiche», - ha precisato l’assessora Monica Cerutti riepilogando le azioni previste nel piano per regionale per l’immigrazione. A stretto giro di posta è arrivata la risposta della Lega Nord nella persona del consigliere regionale Alessandro Benvenuto: «Non esistono paure da disinnescare ma necessità da soddisfare sia in termini di sicurezza e controllo del territorio, sia dal punto di vista degli investimenti. Il Piemonte ha di per sé ben poche risorse, che andrebbero utilizzate per creare lavoro e risolvere i problemi che attanagliano i piemontesi, prima di essere adoperate per far fare un salto di qualità all’accoglienza». Progetti di accoglienza Tre i progetti in campo: «Vesta» (ha come obiettivo il miglioramento dei servizi pubblici che si relazionano con i cittadini di Paesi terzi), “Petrarca” (si occupa di realizzare un piano regionale per la formazione civico linguistica), “Piemonte contro le discriminazioni” (percorsi di formazione e di inclusione volti a prevenire le discriminazioni). Inoltre la Regione ha attivato con il Viminale un progetto per favorire lo sviluppo delle economie locali sostenendo politiche pubbliche rivolte ai giovani ivoriani e senegalesi. Più riconoscimenti Come si premetteva, aumentano i riconoscimenti: 297 le domande accolte dalla Commissione di Torino nel periodo ottobre-dicembre 2016 (status di rifugiato, protezione sussidiaria e umanitaria); 210 i rigetti. In tutto i convocati erano mille: gli altri o attendono o non si sono presentati. I tempi della valutazione, invece, restano lunghi: un paio di anni, considerando anche i ricorsi. Sul fronte dell’assistenza sanitaria e della prevenzione, si pensa di replicare nel Centro di Castel D’Annone, in provincia di Asti, lo screening contro la tubercolosi che dal marzo sarà attivato al Centro Fenoglio di Settimo con il concorso di Regione, Croce Rossa e Centro di Radiologia Mobile delle Molinette.

INTANTO :«Non sono ipotizzabili anticipazioni di risorse» per l’asilo che Spina 3 attende dal 2009. La lunga attesa aveva fatto protestare molti residenti e c’era chi già stava perdendo le speranze. Ma in Circoscrizione 4, in risposta a un’interpellanza del consigliere della Lega Carlo Morando, il Comune ha messo nero su bianco che i fondi dei privati per permettere la costruzione dell’asilo non ci sono. Quella di via Verolengo resta una promessa non rispettata. Con la crisi immobiliare, la società Cinque Cerchi ha rinunciato a costruire una parte dei palazzi e gli oneri di urbanizzazione versati, spiegò mesi fa l’ex assessore Lorusso, erano andati per la costruzione del tunnel di corso Mortara. Ad ottobre c’è stata una nuova riunione. L’esito è stata la fumata nera da parte dei privati. «Sarà necessario che la progettazione e la realizzazione dell’opera vengano curate direttamente dalla Città di Torino», scrive il Comune nella sua risposta. Senza specificare come e dove verranno reperiti i fondi necessari, né quando si partirà.

 

Tunisia. Frattini: "Proporremo immigrazione circolare" - Il portale dell ...

www.stranieriinitalia.it/.../tunisia-frattini-qproporremo-immigrazione-circolareq.html

20 gen 2011 - L'immigrazione "circolare" è quella in cui i migranti, dopo un certo periodo di lavoro all'estero, tornano nei loro Paesi d'origine. Un sistema più ...

Tutto è iniziato quando è stato chiuso il bar. I 60 stranieri che erano a bordo del traghetto Tirrenia diretto a Napoli volevano continuare a bere. L’obiettivo era sbronzarsi e far scoppiare il caos sulla nave. Lo hanno fatto ugualmente, trasformando il viaggio in un incubo anche per gli altri 200 passeggeri. In mezzo al mare, nel cuore della notte, è successo di tutto: litigi, urla, botte, un tentativo di assalto al bancone chiuso, molestie ai danni di alcuni viaggiatori e persino un’incursione tra le cuccette. La situazione è tornata alla calma soltanto all’alba, poco prima dell’ormeggio, quando i protagonisti di questa interminabile notte brava hanno visto che sulle banchine del porto di Napoli erano già schierate le pattuglie della polizia. Nella nave Janas partita da Cagliari lunedì sera dalla Sardegna era stato imbarcato un gruppo di nordafricani che nei giorni scorsi aveva ricevuto il decreto di espulsione. Una trentina di persone, alle quali si sono aggiunti anche altri immigrati nordafricani. E così a bordo è scoppiato il caos. Il personale di bordo ha provato a riportare la calma ma la situazione è subito degenerata. Per ore la nave è stata in balia dei sessanta scatenati. All’arrivo a Napoli, il traghetto è stato bloccato dagli agenti della Questura di Napoli che per tutta la giornata sono rimasti a bordo per identificare gli stranieri che hanno scatenato il caos in mezzo al mare e per ricostruire bene l’episodio. «Il viaggio del gruppo è stato effettuato secondo le procedure previste dalla legge, implementate dalle autorità di sicurezza di Cagliari – si limita a spiegare la Tirrenia - La compagnia, come sempre in questi casi, ha destinato ai passeggeri stranieri un’area della nave, a garanzia della sicurezza dei passeggeri, non essendo il gruppo accompagnato  dalle forze di polizia. Contrariamente a quanto avvenuto in passato, il gruppo ha creato problemi a bordo per tensioni al suo interno che poi si sono ripercosse sui passeggeri». A bordo del traghetto gli agenti della questura di Napoli hanno lavorato per quasi 12 ore e hanno acquisito anche le telecamere della videosorveglianza della nave. Nel frattempo sono scoppiate le polemiche. «I protagonisti di questo caos non sono da scambiare con i profughi richiedenti asilo - commenta il segretario del Sap di Cagliari, Luca Agati - La verità è che con gli sbarchi dal Nord Africa, a cui stiamo assistendo anche in questi giorni, arrivano poco di buono, giovani convinti di poter fare cio’ che vogliono una volta ottenuto il foglio di espulsione, che di fatto è un lasciapassare che garantisce loro la libertà di delinquere in Italia. Cosa deve accadere per far comprendere che va trovata una soluzione definitiva alla questione delle espulsioni?»  In ostaggio per ore Per ore la nave è stata in balia dei sessanta scatenati, che hanno trasformato il viaggio in un incubo per gli altri 200 passeggeri  21.02.17

Istituto comprensivo Regio Parco La crisi spegne la musica in classe Le famiglie non pagano la retta da 10 euro al mese: a rischio il progetto lanciato da Abbado, mentre la Regione Piemonte finanzia un progetto per insegnare ai bambini italiani la lingua degli immigrati non viceversa.

 Qui Foggia Gli sfollati di una palazzina crollata nel 1999 vivono in container di appena 24 mq Qui Messina Nei rioni Fondo Fucile e Camaro San Paolo le baracche aumentano di anno in anno Donne e bambini Nei rioni nati dopo il sisma le case sono coperte da tetti precari, spesso di Eternit Qui Lamezia Terme Oltre 400 calabresi di etnia rom vivono ai margini di una discarica a cielo aperto  Qui Brescia Nelle casette di San Polino le decine di famiglie abitano prefabbricati fatiscenti Da Brescia a Foggia, da Lamezia a Messina. Oltre 50 mila italiani vivono in abitazioni di fortuna. Tra amianto, topi e rassegnazione Caterina ha 64 anni e tenacia da vendere. Con gli occhi liquidi guarda il tetto di amianto sopra la sua testa: «Sono stata operata due volte di tumore, è colpa di questo maledetto Eternit». Indossa una vestaglia a righe bianche e blu. «Vivo qui da vent’anni. D’estate si soffoca, d’inverno si gela, piove in casa e l’umidità bagna i vestiti nei cassetti. Il dottore mi ha detto di andare via. Ma dove?». In fondo alla strada abita Concetta, che tra topi e lamiere trova la forza di sorridere: «A ogni campagna elettorale i politici ci promettono case popolari, ma una volta eletti si dimenticano di noi. Sono certa che morirò senza aver realizzato il mio sogno: un balcone dove stendere la biancheria». Antonio invece no, lui non ride. Digrigna i denti rimasti: «Gli altri li ho persi per colpa della rabbia. In due anni qui sono diventato brutto, mi vergogno». Slum, favela, bidonville: Paese che vai, emarginazione che trovi. Un essere umano su sei, nel mondo, vive in una baraccopoli. In Italia sono almeno 53 mila le persone che, secondo l’Istat, abitano nei cosiddetti «alloggi di altro tipo», diversi dalle case. Cantine, roulotte, automobili e soprattutto baracche. Le storie di questi cittadini invisibili (e italianissimi) sono raccontate nel documentario «Baraccopolis» di Sergio Ramazzotti e Andrea Monzani, prodotto da Parallelozero, in onda domenica sera alle 21,15 su Sky Atlantic Hd per il ciclo «Il racconto del reale». Le baraccopoli sono non luoghi popolati da un’umanità sconfitta e spesso rassegnata. Donne, uomini, bambini, anziani. Vittime della crisi economica o di circostanze avverse. Vivono in stamberghe all’interno di moderni ghetti al confine con quella parte di città degna di questo nome. Di là dal muro la civiltà. Da questo lato fango, calcinacci, muffa, immondizia, fogne a cielo aperto. A Messina le abitazioni di fortuna risalgono ad oltre un secolo fa, quando il terremoto del 1908 rase al suolo la città. Qui l’emergenza è diventata quotidianità. Fondo Fucile, Giostra, Camaro San Paolo. Eccoli i rioni del girone infernale dei diseredati. Legambiente ha censito più di 3 mila baracche e altrettante famiglie. I topi, invece, sono ben di più. A Lamezia Terme oltre 400 calabresi di etnia rom vivono ai margini di una discarica. Tra loro c’è Cosimo, che vorrebbe andare via: «Non per me, ma per mio figlio, ha subìto un trapianto di fegato». A Foggia gli sfollati di una palazzina crollata nel 1999 vivono nei container di 24 mq. Andrea abita invece nelle casette di San Polino a Brescia, dove un prefabbricato fatiscente è diventato la sua dimora forzata: «Facevo l’autotrasportatore. Dopo due ictus ho perso patente e lavoro. I miei figli non sanno che abito qui. Non mi è rimasto nulla, nemmeno la dignità». Sognando un balcone «Il mio sogno? È un balcone dove stendere la biancheria», dice la signora Caterina nIl documentario «Baraccopolis» di Sergio Ramazzotti e Andrea Monzani, prodotto da Parallelozero, andrà in onda domani sera alle 21.15 su Sky Atlantic Hd per il ciclo «Il racconto del reale». Su Sky Atlantic Il documentario 3 domande a Sergio Ramazzotti registra e fotografo “Così ho immortalato la vita dentro quelle catapecchie” Chi sono gli abitanti delle baraccopoli? «Sono cittadini italiani, spesso finiti lì per caso. Magari dopo aver perso il lavoro o aver divorziato». Quali sono i tratti comuni? «Chi finisce in una baracca attraversa fasi simili a quelle dei malati di cancro. Prima lo stupore, poi la rabbia, il tentativo di scendere a patti con la realtà, la depressione, infine la rassegnazione». Cosa ci insegnano queste persone? «È destabilizzante raccontare donne e uomini caduti in disgrazia con tanta rapidità. Sono individui come noi. La verità è che può succedere a chiunque». Baraccopolid’Italia

01.03.17

GLI ITALIANI AIUTANO più FACILMENTE GLI EXTRACOMUNITARI RISPETTO AGLI ITALIANI.

 

 

 

SE VUOI SCRIVERTI UN BREVETTO CONSULTA dm.13.01.10 n33

13/01/2010 - Decreto ministeriale del 13 gennaio 2010, n. 33 - Uibm

 

 

 

CORRISPONDENZA sulla Xylella fastidiosa con la UE luglio 2018

XYLELLA\18-07-31-ARES 4037967.pdf

XYLELLA\18-07-31-ARES 4037967-cover.pdf

 

 

 

Mutui, la prova della truffa Via a rimborsi per 16 miliardi

Dopo tre anni ecco la sentenza Ue sull'Euribor truccato da banche estere. Ma si può far causa pure alle italiane

Giuseppe Marino - Sab, 19/11/2016 - 15:52

La Commissione europea, tre anni dopo aver condannato quattro tra le più grandi banche europee per aver truccato il tasso di interesse che incide sui mutui di milioni di cittadini europei, ha finalmente tolto il segreto al testo della sentenza. E quel documento di trenta pagine potrebbe valere, solo per gli italiani che hanno un mutuo sulle spalle, ben 16 miliardi di euro di rimborsi da chiedere alle banche.

La storia parte con la scoperta di un'intesa restrittiva della concorrenza, ovvero un cartello, tra le principali banche europee. Lo scopo, secondo l'Antitrust europeo, era di manipolare a proprio vantaggio il corso dell'Euribor, il tasso di interesse che funge da riferimento per un mercato di prodotti finanziari che vale 400mila miliardi di euro. Tra questi ci sono i mutui di 2,5 milioni di italiani, per un controvalore complessivo stimabile in oltre 200 miliardi. L'Euribor viene calcolato giorno per giorno con un sondaggio telefonico tra 44 grandi banche europee, che comunicano che tasso di interesse applicano in quel momento per i prestiti tra banche. Il risultato del sondaggio viene comunicato all'agenzia Thomson Reuters che poi comunica il valore dell'Euribor agli operatori e al pubblico. L'Antitrust ha scoperto che alcune grandi banche, tra il 2005 e il 2008, si erano messe d'accordo per falsare i valori comunicati e manipolare il valore del tasso secondo la propria convenienza. «Alcune volte, -recita la sentenza che il Giornale ha potuto visionare- certi trader (omissis...) comunicavano e/o ricevevano preferenze per un settaggio a valore costante, basso o alto di certi valori Euribor. Queste preferenze andavano a dipendere dalle proprie posizioni commerciali ed esposizioni»

Il risultato ovviamente si è riflettuto sui mutui degli ignari cittadini di tutta Europa, che però finora avevano le unghie spuntate. Un avvocato di Sassari, Andrea Sorgentone, legato all'associazione Sos Utenti, ha subissato la Commissione di ricorsi per farsi consegnare il testo della sentenza dell'Antitrust che condanna Deutsche Bank, Société Genéralé, Rbs e Barclay's a pagare in totale una multa di oltre un miliardo di euro.

La Ue ha sempre rifiutato adducendo problemi di riservatezza delle banche, ma alla fine l'avvocato ha ottenuto una copia della sentenza, seppur in parte «censurata». E ora il conto potrebbe salire. E non solo per quelle direttamente coinvolte, perché il tasso alterato veniva applicato ai mutui variabili da tutte le banche, anche le italiane, che ora potrebbero dover pagare il conto dei trucchi di tedesche, francesi e inglesi. Sorgentone si dice convinto di poter ottenere i risarcimenti: «Secondo le stime più attendibili -dice- i mutuatari italiani hanno pagato interessi per 30 miliardi, di cui 16 indebitamente. La sentenza europea è vincolante per i giudici italiani. Ora devono solo quantificare gli interessi che vanno restituiti in ogni rapporto mutuo, leasing, apertura di credito a tasso variabile che ha avuto corso dal 1 settembre 2005 al 31 marzo 2009».

27.01.17

 

 

Come creare un meeting su Zoom? In un periodo in cui è richiesto dalla società il distanziamento sociale, la nota app per le videoconferenze diventa uno strumento importante per molte aziende e privati. Se partecipare a un meeting è un processo estremamente semplice, che non richiede neppure la registrazione al servizio, discorso diverso vale per gli utenti che desiderano creare un meeting su Zoom.

Ecco dunque una semplice guida per semplificare la vita a coloro che hanno intenzione di approcciare alla piattaforma senza confondersi le idee.

Come si crea un meeting su Zoom

Dopo aver scaricato e installato Zoom, e aver effettuato la registrazione, si dovrà dunque effettuare l’accesso premendo Sign In (è possibile loggare direttamente con il proprio account Google o Facebook, comunque). A questo punto, bisogna procedere in questo modo:

  • Fare tap su New Meeting (pulsante arancione)
  • Scegliere se avviare il meeting con la fotocamera accesa o spenta, tramite il toggle Video On
  • Premere Start a Meeting

A questo punto è stata creata la videoconferenza, ma affinché venga avviata è necessario invitare i partecipanti. Per proseguire sarà necessario quindi:

  • Fare tap su Participants (nella parte in basso dello schermo)
  • Premere su Invite
  • Scegliere il mezzo attraverso cui inviare il link di partecipazione ai mittenti (tramite e-mail o messaggio, per esempio)

Una volta invitati gli utenti, chi ha creato il meeting avrà la possibilità di fare tap su ognuno di essi per utilizzare diverse funzioni: per esempio si potranno silenziare, piuttosto che chiedergli di attivare la fotocamera, eccetera.

Zoom, anche su dispositivi mobile

Zoom (immagine: Zoom).

Facendo tap sul pulsante Chats (in basso a sinistra dello schermo), inoltre, si potranno inviare messaggi di testo a tutti i partecipanti o solo a uno di essi. Una volta terminata la videoconferenza, la si potrà chiudere facendo tap sulla scritta rossa End in alto a destra: si potrà in ultimo scegliere se lasciare il meeting (Leave Meeting), permettendo agli altri di continuare a interagire, o se scollegare tutti (End Meeting).

 

 

Windows File Recovery recupera i file cancellati per sbaglio

È la prima app di questo tipo realizzata direttamente da Microsoft.

A tutti - beh, a quanti non hanno un backup efficiente - sarà capitato di cancellare per errore un file, non solo mettendolo nel Cestino, ma facendolo sparire apparentemente per sempre.

Recuperare i file cancellati ha tante più possibilità di riuscire quanto meno la zona occupata da quei file è stata sovrascritta, ed è un lavoro per software specializzati.

Fino a oggi, l'unica possibilità per i sistemi Windows era scegliere programmi di terze parti. Ora Microsoft ha rilasciato una piccola utility che si occupa proprio del recupero dei file.

Si chiama Windows File Recovery ed è disponibile gratuitamente sul Microsoft Store.

Si tratta di un programma privo di interfaccia grafica: per adoperarlo bisogna quindi superare la diffidenza per la linea di comando che alberga in molti utenti di Windows.

L'utility ha tre modalità base di funzionamento. Default, suggerita per i drive Ntfs, si rivolge alla Master File Table (MFT) per individuare i segmenti dei file. Segment fa a meno della MFT e si basa invece sul rilevamento dei segmenti (che contengono informazioni come il nome, la data, il tipo di file e via di seguito). Signature, infine, si basa sul tipo di file: non avendo a disposizione altre informazioni, cerca tutti i file di quel tipo (Microsoft consiglia questo sistema per le unità esterne come chiavette Usb e schede SD).

Windows File Recovery è in grado di tentare il recupero da diversi filesystem - quali Ntfs, exFat e ReFS - e per apprendere il suo utilizzo Microsoft ha messo a disposizione una pagina d'aiuto (in inglese) sul sito ufficiale.

Qui sotto, alcune schermate di Windows File Recovery.

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Leggi l'articolo originale su ZEUS News - https://www.zeusnews.it/n.php?c=28141

 

Bloatbox ripulisce Windows 10 dalle app indesiderate

Bastano pochi clic per eliminare tutto il bloatware preinstallato.

Leggi l'articolo originale su ZEUS News - https://www.zeusnews.it/n.php?c=28201

Non si può dire che Windows 10 sia un sistema operativo essenziale: ogni nuova installazione porta con sé, insieme al sistema vero e proprio, tutta una serie di applicazioni che per la maggior parte degli utenti si rivelano inutili, se non fastidiose, senza contare le aggiunte dei singoli produttori di Pc.

Rimuoverle a mano una a una è un compito tedioso, ma esiste una piccola applicazione che facilita l'intera operazione: Bloatbox.

Nata come estensione per Spydish, app utile per gestire le informazioni condivise con Microsoft da Windows 10 e più in generale le impostazioni del sistema che coinvolgono la privacy, è poi diventata un software a sé.

Il motivo è un po' la medesima ragione di vita di Bloatbox: non rendere Spydish troppo "grasso" (bloated), ossia ricco di funzioni che, per quanto utili, vadano a incidere sulla possibilità di avere un'applicazione compatta, efficiente e facile da usare.

Bloatbox si scarica da GitHub sotto forma di archivio .zip da estrarre sul Pc. Una volta compiuta questa operazione non resta altro da fare che cliccare due volte sul file Bloatbox.exe per avviare l'app.

La finestra principale mostra sulla sinistra una colonna in cui è presente la lista di tutte le app installate in Windows, tra cui anche quelle che normalmente non si possono disinstallare - come il Meteo, Microsoft News e via di seguito - e quelle installate dal produttore del computer.

Ciò che occorre fare è selezionare quelle app che si intende rimuovere e, quando si è soddisfatti, premere il pulsante , che le aggiungerà alla colonna di destra, dove si trovano tutte le app condannate alla cancellazione.

A questo punto si può premere il pulsante Uninstall, posto nella parte inferiore della colonna centrale, e il processo di disinstallazione inizierà.

L'ultima versione al momento in cui scriviamo mostra anche, nella colonna di destra di un pratico link per effettuare una "pulizia generale" di una nuova installazione di Windows 10, identificato dalla dicitura Start fresh if your Windows 10 is loaded with bloat....

Cliccandolo, verranno aggiunte all'elenco di eliminazione tutte le app preinstallate e considerate bloatware. Chiaramente l'elenco può essere personalizzato a piacere rimuovendo da esso le app che si intende tenere tramite il pulsante Remove selected.

 

 

 

 

Il sito che installa tutte le app essenziali per Windows 10

Bastano pochi clic per ottenere un Pc perfettamente attrezzato, senza dover scaricare ogni singolo software.

Reinstallare il sistema operativo è solo il primo passo, dopo un incidente al Pc che abbia causato la necessità di ripartire da capo, tra quelli necessari per arrivare a riavere un computer perfettamente configurato e utilizzabile.

A quel punto inizia infatti il processo di configurazione e di installazione di tutte quelle grandi e piccole applicazioni che svolgono i vari compiti ai quali il computer è dedicato. Si tratta di un'operazione che può essere lunga e tediosa e che sarebbe bello poter automatizzare.

Una delle alternative migliori da tempo esistente è Ninite, sito che permette di selezionare le app preferite e si occupa di scaricarle e installarle in autonomia.


Da quando però Microsoft ha lanciato un proprio gestore di pacchetti (Winget) sono spuntate delle alternative che a esso si appoggiano e, dato che funziona da linea di comando, dette alternative si occupano di fornire un'interfaccia grafica.

Una delle più interessanti è Winstall, che semplifica l'installazione delle app dai repository messi a disposizione da Microsoft.

Winstall è una Progressive Web Application (Pwa), ossia un sito da visitare con il proprio browser e che permette di scegliere le app da installare sul computer; in questo senso, dal punto di vista dell'uso è molto simile al già citato Ninite.

Diverso è però il funzionamento: se Ninite scarica i singoli installer dei vari programmi, Winstall si appoggia a Winget, che quindi deve essere preventivamente installato sul Pc.

Inoltre offre una propria funzionalità specifica, che il suo sviluppatore ha battezzato Featured Pack.

Si tratta di gruppi di applicazioni unite da un tema o una funzionalità comune (browser, strumenti di sviluppo, software per i giochi) che si possono selezionare tutte insieme; Winstall si occupa quindi di generare il codice da copiare nel Prompt dei Comandi per avviare l'installazione.

In alternativa si può scaricare un file .bat da eseguire, che si occupa di invocare Winget per portare a termine il compito.

I Featured Pack sono infine personalizzabili: gli utenti sono invitati a creare il proprio e a condividerlo.

Leggi l'articolo originale su ZEUS News - https://www.zeusnews.it/n.php?c=28369

 

 

Cos’è e a cosa serve la pasta madre

La pasta madre è un lievito naturale che permette di preparare un ottimo pane, ma anche pizze e focacce. Conosciuta anche come pasta acida, la pasta madre è un impasto che può essere realizzato in diversi modi. Ad esempio, la pasta madre si può ottenere prelevando un impasto del pane da conservare grazie ai “rinfreschi”, oppure preparando un semplice impasto di acqua e farina da lasciare a contatto con l’aria, così che si arricchisca dei lieviti responsabili dei processi fermentativi che consentono la lievitazione di pane e altri prodotti da forno.

Gli impasti preparati con la pasta madre hanno generalmente bisogno di lievitare per diverse ore, ma il risultato ripaga dell’attesa: pane, pizze e focacce risulteranno infatti più gonfi, più digeribili, conservabili più a lungo e con un sapore decisamente migliore.

La pasta madre, inoltre, accresce il valore nutrizionale del pane e di altri prodotti da forno. Negli impasti preparati con la pasta madre diverse importanti sostanze rimangono intatte e, grazie alla composizione chimica della pasta madre, il nostro organismo riesce ad assimilare meglio i sali minerali presenti nelle farine.

I lieviti della pasta madre, poi, favoriscono la crescita di batteri buoni nell’intestino, favorendo un buon equilibrio del microbiota e migliorando così la digestione. È importante anche notare che il pane preparato con lievito naturale possiede un indice glicemico inferiore rispetto al pane realizzato con altri lieviti. Questo significa che quando i carboidrati presenti nel pane vengono assimilati sotto forma di glucosio, questo si riversa più lentamente nel flusso sanguigno, evitando picchi glicemici.

Oltre a conferire al pane proprietà organolettiche e nutrizionali migliori, la pasta madre presenta altri vantaggi. Grazie ai rinfreschi, si può infatti avere a disposizione questo straordinario lievito naturale a lungo; in più, la pasta madre può essere preparata con vari tipi di farine, anche senza glutine.

La dieta senza glutine è l’unica terapia per le persone celiache e per chi presenta sensibilità verso le proteine del frumento e in altri cereali come orzo e farro. Inoltre, ridurre il consumo di glutine può migliorare alcuni disturbi intestinali ed è consigliato anche a chi vuole seguire un regime alimentare antinfiammatorio.

 

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