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Dal Vangelo secondo Luca Lc 21,5-19 “In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato
di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei
quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non
sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e
quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose:
«Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome
dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro!
Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché
prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro
regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze;
vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi
perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni,
trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete
allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non
preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché
tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e
dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa
del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza
salverete la vostra vita».”
TO.03.02.23
Ill.mo Signor Presidente della Corte Costituzionale Augusto Barbera
Ill.mo Capo dello Stato Sergio Mattarella
Ill.mo Presidente del Senato
Ill.mo Presidente della Camera
Ill.ma Presidente del Consiglio
In questi giorni e’ in approvazione l’atto della Camera: n.1515 ,
Senato n.674. - "Interventi a sostegno della competitività dei capitali
e delega al Governo per la riforma organica delle disposizioni in
materia di mercati dei capitali recate dal testo unico di cui al decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e delle disposizioni in materia di
società di capitali contenute nel codice civile applicabili anche agli
emittenti" (approvato dal Senato) (1515) .
L’articolo 11 (Svolgimento delle assemblee delle società per azioni
quotate) modificato al Senato, consente, ove sia contemplato nello
statuto, che le assemblee delle società quotate si svolgano
esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla società. In
tale ipotesi, non è consentita la presentazione di proposte di
deliberazione in assemblea e il diritto di porre domande è esercitato
unicamente prima dell’assemblea. Per effetto delle modifiche apportate
al Senato, la predetta facoltà statutaria si applica anche alle società
ammesse alla negoziazione su un sistema multilaterale di negoziazione;
inoltre, sempre per effetto delle predette modifiche, sono prorogate al
31 dicembre 2024 le misure previste per lo svolgimento delle assemblee
societarie disposte con riferimento all’emergenza Covid-19 dal
decreto-legge n. 18 del 2020, in particolare per quanto attiene l’uso di
mezzi telematici. L’articolo 11 introduce un nuovo articolo
135-undecies.1 nel TUF – Testo Unico Finanziario (D. Lgs. n. 58 del
1998) il quale consente, ove sia contemplato nello statuto, che le
assemblee delle società quotate si svolgano esclusivamente tramite il
rappresentante pagato e designato dalla società. Le disposizioni in
commento rendono permanente, nelle sue linee essenziali, e a
condizione che lo statuto preveda tale possibilità, quanto previsto
dall’articolo 106, commi 4 e 5 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18,
che ha introdotto specifiche disposizioni sullo svolgimento delle
assemblee societarie ordinarie e straordinarie, allo scopo di
contemperare il diritto degli azionisti alla partecipazione e al voto in
assemblea con le misure di sicurezza imposte in relazione all’epidemia
da COVID-19. Il Governo, nella Relazione illustrativa, fa presente che
la possibilità di continuare a svolgere l’assemblea esclusivamente
tramite il rappresentante designato tiene conto dell’evoluzione, da
tempo in corso, del modello decisionale dei soci, che si articola,
sostanzialmente, in tre momenti: la presentazione da parte del consiglio
di amministrazione delle proposte di delibera dell’assemblea; la messa a
disposizione del pubblico delle relazioni e della documentazione
pertinente; l’espressione del voto del socio sulle proposte del
consiglio di amministrazione. In questo contesto, viene fatta una
affermazione falsa e priva di ogni fondamento giuridico: che
l’assemblea ha perso la sua funzione informativa, di dibattito e di
confronto essenziale al fine della definizione della decisione di voto
da esprimere. Per cui non e’ vero che la partecipazione
all’assemblea si riduca, in particolar modo, per gli investitori
istituzionali e i gestori di attività, nell’esercizio del diritto di
voto in una direzione definita ben prima dell’evento assembleare,
all’esito delle procedure adottate in attuazione della funzione di
stewardship e tenendo conto delle occasioni di incontro diretto,
chiuse ai risparmiatori, con il management della società in
applicazione delle politiche di engagement.
Per cui in questo contesto, si verrebbe ad applicare una norma di
esclusione dal diritto di partecipazione alle assemblee degli azionisti
da parte di chi viene tutelato, anche attraverso il diritto alla
partecipazione alle assemblee dall’art.47 della Costituzione oltre che
dall’art.3 della stessa per una oggettiva differenza di diritti fra
cittadini azionisti privati investitori che non possso piu’ partecipare
alle assemblee e ed azionisti istituzionali che invece godono di
incontri diretti privati e riservati
con il management della società in applicazione delle politiche di
engagement.
Il che crea una palese ed illegittima asimmetria informativa legalizzata
in Italia rispetto al contesto internazionale in cui questo divieto di
partecipazione non sussiste. Anzi gli orientamenti europei vanno da anni
nella direzione opposta che la 6 commissione presieduta dal
sen.Gravaglia volutamente dimostra di voler ignorare.
Viene da chiedersi perche’ la maggioranza ed il Pd abbiano approvato
questo restringimento dei diritti costituzionali ?
Tutto cio’ mentre Elon Musk ha subito una delle più grandi perdite
legali nella storia degli Stati Uniti questa settimana, quando
l'amministratore delegato di Tesla è stato privato del suo pacchetto
retributivo di 56 miliardi di dollari in una causa intentata da Richard
Tornetta che ha fatto causa a Musk nel 2018, quando il residente della
Pennsylvania possedeva solo nove azioni di Tesla. Il caso è arrivato al
processo alla fine del 2022 e martedì un giudice si è schierato con
Tornetta, annullando l'enorme accordo retributivo perché ingiusto nei
suoi confronti e nei confronti di tutti i suoi colleghi azionisti di
Tesla.
La giurisprudenza societaria del Delaware è piena di casi che portano i
nomi di singoli investitori con partecipazioni minuscole che hanno
finito per plasmare il diritto societario americano.
Molti studi legali che rappresentano gli azionisti hanno una scuderia di
investitori con cui possono lavorare per intentare cause, afferma Eric
Talley, che insegna diritto societario alla Columbia Law School.
Potrebbe trattarsi di fondi pensione con un'ampia gamma di
partecipazioni azionarie, ma spesso si tratta anche di individui come
Tornetta.
Il querelante firma i documenti per intentare la causa e poi
generalmente si toglie di mezzo, dice Talley. Gli investitori non pagano
lo studio legale, che accetta il caso su base contingente, come hanno
fatto gli avvocati nel caso Musk.
Tornetta beneficia della vittoria della causa nello stesso modo in cui
ne beneficiano gli altri azionisti di Tesla: risparmiando all'azienda i
miliardi di dollari che un consiglio di amministrazione asservito pagava
a Musk.
Gli esperti hanno detto che persone come Tornetta sono fondamentali per
controllare i consigli di amministrazione. I legislatori e i giudici
desiderano da tempo che siano le grandi società di investimento a
condurre queste controversie aziendali, poiché sono meglio attrezzate
per tenere d'occhio le tattiche dei loro avvocati. Ma gli esperti
hanno detto che i gestori di fondi non vogliono mettere a repentaglio i
rapporti con Wall Street.
Quindi è toccato a Tornetta affrontare Musk.
"Il suo nome è ora impresso negli annali del diritto societario", ha
detto Talley. "I miei studenti leggeranno Tornetta contro Musk per i
prossimi 10 anni". Questa e’ democrazia e trasparenza vera non quella
votata da maggioranza e Pd.
Infatti da 1 anno avevo chiesto di essere udito dal Senato che mi
ignorato nella totale indifferenza della 6 commissione . Mentre lo
sono stati sia il recordman professionale dei rappresentanti pagati
degli azionisti , l’avv.Trevisan , sia altri ispiratori e
sostenitori della modifica normativa proposta. Per cui mi e’ stata
preclusa ogni osservazione non in linea con la proposta della 6
commissione del Senato che ha esaminato ed emendato il provvedimento e
questo viola i principi di indipendenza e trasparenza delle camera e
senato: dov’e’ interesse pubblico a vietare le assemblee agli azionisti
per ragioni pandemiche nel 2024 ?
La prova più consistente che tale articolo non ha alcuna ragione palese
per essere presentato e’ che sono state di fatto rese permanenti le
misure introdotte in via temporanea per l’emergenza Covid-19 In sintesi,
il menzionato articolo 106, commi 4 e 5 - la cui efficacia è stata
prorogata nel tempo e, da ultimo, fino al 31 luglio 2023 dall’articolo
3, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228 - prevede che le
società quotate possano designare per le assemblee ordinarie o
straordinarie il rappresentante designato, previsto dall'articolo
135-undecies TUF, anche ove lo statuto preveda diversamente; inoltre, la
medesima disposizione consente alle società di prevedere nell’avviso di
convocazione che l’intervento in assemblea si svolga esclusivamente
tramite il rappresentante designato, al quale potevano essere conferite
deleghe o sub-deleghe ai sensi dell’articolo 135-novies del TUF.
L'articolo 135-undecies del TUF dispone che, salvo diversa previsione
statutaria, le società con azioni quotate in mercati regolamentati
designano per ciascuna assemblea un soggetto al quale i soci possono
conferire, entro la fine del secondo giorno di mercato aperto precedente
la data fissata per l'assemblea, anche in convocazione successiva alla
prima, una delega con istruzioni di voto su tutte o alcune delle
proposte all'ordine del giorno. La delega ha effetto per le sole
proposte in relazione alle quali siano conferite istruzioni di voto, è
sempre revocabile (così come le istruzioni di voto) ed è conferita,
senza spese per il socio, mediante la sottoscrizione di un modulo il cui
contenuto è disciplinato dalla Consob con regolamento. Il conferimento
della delega non comporta spese per il socio. Le azioni per le quali è
stata conferita la delega, anche parziale, sono computate ai fini della
regolare costituzione dell'assemblea mentre con specifico riferimento
alle proposte per le quali non siano state conferite istruzioni di voto,
le azioni non sono computate ai fini del calcolo della maggioranza e
della quota di capitale richiesta per l'approvazione delle delibere. Il
soggetto designato e pagato come rappresentante è tenuto a
comunicare eventuali interessi che, per conto proprio o di terzi, abbia
rispetto alle proposte di delibera all’ordine del giorno. Mantiene
altresì la riservatezza sul contenuto delle istruzioni di voto ricevute
fino all'inizio dello scrutinio, salva la possibilità di comunicare tali
informazioni ai propri dipendenti e ausiliari, i quali sono soggetti al
medesimo dovere di riservatezza. In forza della delega contenuta nei
commi 2 e 5 dell'articolo 135-undecies del TUF la Consob ha disciplinato
con regolamento alcuni elementi attuativi della disciplina appena
descritta. In particolare, l'articolo 134 del regolamento Consob n.
11971/1999 ("regolamento emittenti") stabilisce le informazioni minime
da indicare nel modulo e consente al rappresentante che non si trovi in
alcuna delle condizioni di conflitto di interessi previste nell'articolo
135-decies del TUF, ove espressamente autorizzato dal delegante, di
esprimere un voto difforme da quello indicato nelle istruzioni nel caso
si verifichino circostanze di rilievo, ignote all'atto del rilascio
della delega e che non possono essere comunicate al delegante, tali da
ARTICOLO 11 42 far ragionevolmente ritenere che questi, se le avesse
conosciute, avrebbe dato la sua approvazione, ovvero in caso di
modifiche o integrazioni delle proposte di deliberazione sottoposte
all'assemblea. Più in dettaglio, per effetto del comma 4 dell'articolo
106, le società con azioni quotate in mercati regolamentati possono
designare per le assemblee ordinarie o straordinarie il rappresentante
al quale i soci possono conferire deleghe con istruzioni di voto su
tutte o alcune delle proposte all'ordine del giorno, anche ove lo
statuto disponga diversamente. Le medesime società possono altresì
prevedere, nell’avviso di convocazione, che l’intervento in assemblea si
svolga esclusivamente tramite il rappresentante designato, al quale
possono essere conferite anche deleghe o sub-deleghe ai sensi
dell’articolo 135-novies del TUF, che detta le regole generali (e meno
stringenti) applicabili alla rappresentanza in assemblea, in deroga
all’articolo 135-undecies, comma 4, del TUF che, invece, in ragione
della specifica condizione del rappresentante designato dalla società,
esclude la possibilità di potergli conferire deleghe se non nel rispetto
della più rigorosa disciplina prevista dall'articolo 135-undecies
stesso. Per effetto del comma 5, le disposizioni di cui al comma 4 sono
applicabili anche alle società ammesse alla negoziazione su un sistema
multilaterale di negoziazione e alle società con azioni diffuse fra il
pubblico in misura rilevante. Le disposizioni in materia di assemblea
introdotte dalle norme in esame non sono state approvate dal M5S il cui
presidente , avv.Conte, aveva introdotto tali norme esclusivamente per
il periodo Covid. Per cui l’articolo 11 in esame, come anticipato,
introduce un nuovo articolo 135- undecies.1 nel Testo Unico Finanziario,
ai sensi del quale (comma 1) lo statuto di una società quotata può
prevedere che l’intervento in assemblea e l’esercizio del diritto di
voto avvengano esclusivamente tramite il rappresentante designato dalla
società, ai sensi del già illustrato supra articolo 135-undecies. A tale
rappresentante possono essere conferite anche deleghe o sub-deleghe ai
sensi dell'articolo 135-novies, in deroga all'articolo 135-undecies,
comma 4. La relativa vigilanza è esercitata, secondo le competenze,
dalla Consob (articolo 62, comma 3 TUF e regolamenti attuativi) o
dall’Autorità europea dei mercati finanziari – ESMA.
L’ESMA non e’ stata mai sentita dal sen.Gravaglia su questo articolo
mentre la Consob ha espresso parere contrario che sempre lo stesso ha
ignorato.
Ma i soprusi non finiscono qui : il comma 3 del nuovo articolo
135-undecies.1 chiarisce che, nel caso previsto dalle norme in esame. il
diritto di porre domande (di cui all’articolo 127-ter del TUF) è
esercitato unicamente prima dell’assemblea. La società fornisce almeno
tre giorni prima dell’assemblea le risposte alle domande pervenute. In
sintesi, ai sensi dell’articolo 127-ter, coloro ai quali spetta il
diritto di voto possono porre domande sulle materie all'ordine del
giorno anche prima dell'assemblea. Alle domande pervenute prima
dell'assemblea è data risposta al più tardi durante la stessa. La
società può fornire una risposta unitaria alle domande aventi lo stesso
contenuto. L’avviso di convocazione indica il termine entro il quale le
domande poste prima dell'assemblea devono pervenire alla società. Non è
dovuta una risposta, neppure in assemblea, alle domande poste prima
della stessa, quando le informazioni richieste s
iano già disponibili in formato "domanda e risposta" nella sezione del
sito Internet della società ovvero quando la risposta sia stata
pubblicatma 7, del TUF relativo allo svolgimento delle assemblee di
società ed enti. Per effetto delle norme introdotte, al di là delle
disposizioni contenute nell’articolo in esame che vengono rese
permanenti (v. supra), sono prorogate al 31 dicembre 2024 tutte le altre
misure in materia di svolgimento delle assemblee societarie – dunque non
solo quelle relative alle società quotate – previste nel corso
dell’emergenza Covid-19. Questo che e’ un capolavoro di capziosità di
un emendamento della sen.Cristina Tajani PD , ricercatrice e docente
universitaria, di indifferenziazione parlamentare negli obiettivi
: dal momento che le misure previste dall’art.11 in oggetto prevedono
per essere applicabili il loro recepimento statutario, lo stesso viene
ottenuto nel 2024 per ragioni di Covid, con il rappresentante pagato ,
che ovviamente non porrà alcuna opposizione neppure verbale.
Illustri Presidenti se questa non e’ una negazione degli art.47 e 3
della Costituzione, contro la democrazia e trasparenza societaria
, cos’e ?
Al termine di questa mia riflessione vorrei capire se in questo nostro
paese esiste ancora uno spazio di rispettosa discussione democratica o
di tutela giuridica nei confronti di una decisione arbitraria di una
classe dirigente qui’ palesemente opaca.
Confido in una vs risposta costruttiva di rispetto della libertà
progressista di un paese evoluto ma stabile e garante nei diritti delle
minoranze . Anche perché quello che ho anticipato con Edoardo Agnelli
sul futuro della Fiat dal 1998 in poi si e’ tristemente avverato, e solo
oggi, forse, e’ diventato di coscienza comune , anche se a me e’
costato pesanti ritorsioni personali da parte degli organi di polizia e
giustizia torinese e della Facolta’ di Economia Commercio di Torino . Ed
ad Edoardo Agnelli la morte. Non e’ impedendomi di partecipare alle
assemblee che Fiat & C ritorneranno in Italia, perché nel frattempo non
esistono più a causa anche di chi a Torino e Roma gli ha concesso di
fare tutto quello che di insensato hanno fatto dal 1998 in poi anche
contro se stessi oltre che i suoi lavoratori ed azionisti, calpestando
brutalmente chi osava denunciarlo pubblicamente nel tentativo,
silenziato, di fermare la distruzione di un orgoglio e una risorsa
nazionale. Giugiaro racconta che quando la Volkswagen gli chiese di fare
la Golf gli presento’ la Fiat 128 come esempio inarrivabile. Oggi
Tavares si presenta in Italia come il nuovo Napoleone , legittimato da
Yaky e scortato dalla DIGOS per difenderlo da Marco BAVA che vorrebbe
solo documentargli che l’industria automobilistica italiana ha una
storia che gli errori di 3 persone non debbono poter cancellare. Anche
se la storia finora ha premiato chi ha consentito il restringimento dei
diritti in questo paese la frana del futuro travolgerà tutti.
Basta chiederlo a Montezemolo che tutto questo lo sa e lo ha vissuto
direttamente.
Con ossequio.
Marco BAVA
IL 10.12.23
PROGRAMMA TELEVISIVO SU L'OMICIDIO DI EDOARDO AGNELLI SU
PIAZZA LIBERTA', il programma di informazione condotto da
Armando Manocchia, su BYOBLU CANALE 262 DT CANALE
IL GRANDE AMICO DI EDOARDO CON CUI FECE VIAGGI ERA LUCA GAETANI
EA NON FECE MAI NESSUNA CESSIONE DEI SUOI DIRITTI EREDITARI
NE' EBBE ALCUN DISSIDIO CON GIOVANNI ALBERTO AGNELLI, DA CUI
SOGGIORNAVA ANDANDO E TORNANDO DA GARAVICCHIO.
INFATTI QUANDO CI FU L'EPISODIO DEL KENIA FU GIOVANNI ALBERTO
AGNELLI AD ANDARLO A TROVARE.
I LEGAMI CON LA SORELLA MARGHERITA NON EERANO STRETTI COME QUELLI
CON I CUGINI LUPO RATTAZZI ED EDUARDO TEODORANI FABBRI. INFATTI NON
ESISTONO LETTERE FRA EDOARDO E MARGHERITA .
DEL CAMBIO DELLA SUCCESSIONE DA GIOVANNI ALBERTO A JAKY EA LO HA
SAPUTO DALLA MADRE CHE NE HA CONVITO GIANNI PER NON PERDERE I
PRIVILEGI DELLA PRESIDENZA FIAT,
L'INTERVISTA AL MANIFESTO FU PROPOSTA DA UN GIORNALISTA DI
REPUBBLICA PERCHE' LUI L'AVREBBE VOLUTA FARE MA NON GLIELO
PERMETTEVANO.
NON CI SONO PROVE CHE EA FOSSE DEPRESSO,
LA PATENTE DI EA LA TENEVA LA SCORTA E NON ERA SUL CRUSCOTTO MA NEL
CASSETTO DELLA CROMA EX DELL'AVVOCATO CON MOTORE VOLVO E CAMBIO
AUTOMATICO, NON BLINDATA.
LE INDAGINI SULL'OMICIDIO DI EA SONO TUTT'ORA APERTE PRESSO LA
PROCURA DI CUNEO.
GRIVA
QUANDO ENTRA IN SCENA ?
L’IMPERO DI FAMIGLIA: ECCO PERCHÉ ADESSO RISCHIA DI CROLLARE TUTTO
Estratto dell’articolo di Ettore Boffano per “il Fatto quotidiano”
È l’attacco al cuore di un mito: quello degli Agnelli. E a pagarne le
conseguenze più dure potrebbe essere lui, l’erede che non porta più quel
cognome, John Elkann.
A rischio di veder messo in ballo il ruolo che suo nonno gli aveva
assegnato: la guida dei tesori di famiglia. Tutto passa per la Svizzera,
dove Marella Caracciolo, vedova dell’avvocato, ha sempre dichiarato di
avere la residenza sin dagli anni 70.
E con la cui legge successoria ha poi regolato i conti con la figlia:
per escludere Margherita dalla propria eredità e, soprattutto,
permettere al nipote di diventare il nuovo capo della dinastia.
[…] quella residenza […] ora piomba nell’inchiesta per frode fiscale
della Procura di Torino. E i pm hanno poteri di accertamento rapidi e
quasi immediati […]. Vediamo, punto per punto, che cosa c’è e che cosa
indica quel documento e come potrebbe segnare i clamorosi sviluppi delle
indagini.
1) La residenza svizzera. È decisiva: per stabilire se sono validi sia
l’accordo e il patto firmati da Marella con la figlia a Ginevra nel
2004, sulla successione dell’avvocato e sulla sua, sia il testamento e
le due aggiunte con i quali ha indicato come eredi i nipoti John, Lapo e
Ginevra.
E infine per accertare la possibile evasione fiscale sul suo patrimonio.
Trevisan spiega che la vedova dell’avvocato, dal 2003 sino alla morte
nel 2019, non ha mai vissuto in Svizzera i 180 giorni all’anno necessari
per poter mantenere quel diritto. “Ha trascorso ogni anno, in media,
oltre 189 giorni in Italia, 94 in Marocco e solo circa 68 in Svizzera”.
Se tutto saltasse, Margherita tornerebbe in campo nel controllo
dell’impero Agnelli.
2) Gli “espedienti” sulla residenza. Il legale indica anche le presunte
mosse per mascherare la permanenza di Marella in Italia. […] “Occorreva
non far risultare intestate a Marella Caracciolo le utenze degli
immobili in Italia e i relativi rapporti di lavoro... Un appunto del
commercialista Gianluca Ferrero suggeriva che non fossero a lei
riconducibili né dipendenti né animali, facendo risultare che i
domestici fossero alle dipendenze di Elkann […]”.
3) Il personale delle ville. La ricostruzione di Trevisan […]
sembrerebbe confermare i “consigli” di Ferrero. I magistrati […] stanno
[…] ascoltando le testimonianze di chi gestiva le residenze di famiglia.
Il legale di Margherita ha contato oltre 30 dipendenti […]. I contratti
erano intestati formalmente a Elkann, ma loro erano sempre al servizio
della nonna.
4) I testamenti, veri o falsi. Nell’esposto, Trevisan affida alla
Procura […] il compito di esaminare l’autenticità del testamento di
Marella Caracciolo e delle due “aggiunte”, redatti dal notaio svizzero
Urs von Grunigen. […] il legale aveva già sostenuto che, secondo due
diverse perizie grafiche, almeno nella seconda “aggiunta” la firma della
signora “appare apocrifa, con elevata probabilità”. Giovedì pomeriggio,
la Guardia di Finanza si è presentata alla Fondazione Agnelli, proprio
per acquisire vecchi documenti firmati da Marella e confrontare le
firme.
5) Le fiduciarie di famiglia. Le Fiamme Gialle hanno anche prelevato
migliaia e migliaia di pagine e documenti legati a quattro diverse
fiduciarie, tutte citate nell’esposto di Trevisan. Due di esse, la Simon
Fiduciaria e la Gabriel Fiduciaria facevano riferimento, un tempo,
all’avvocato Franzo Grande Stevens e oggi sono state assorbite nella
Nomen Fiduciaria della famiglia Giubergia e nella banca privata Pictet
di Ginevra.
Che cosa può nascondersi in quegli “scrigni” votati alla riservatezza?
Due cose, entrambe importanti. La prima […] riguarda il fatto se in esse
sia potuto transitare denaro proveniente da 16 società offshore delle
Isole Vergini britanniche, tutte intestate o a Marella Agnelli o a
“membri della famiglia”, come la “Budeena Consulting Inc.” che, da sola,
aveva in cassa 900 milioni dollari.
La seconda riguarda la possibilità che gli inquirenti possano trovare le
tracce degli scambi azionari, tra la nonna e i nipoti, della “Dicembre”,
la società semplice creata dall’avvocato nel 1984 per custodire il
tesoro di famiglia e che oggi consente a John Elkann di gestire, a
cascata, i 25,5 miliardi di patrimonio della holding Exor.
2. INCHIESTA ELKANN: LA GDF A CACCIA DI SOCIETÀ OFFSHORE
Estratto dell’articolo di Marco Grasso per “il Fatto quotidiano”
IL TESTAMENTO DI MARELLA CARACCIOLO CON LE INTEGRAZIONI E LE FIRME
IL TESTAMENTO DI MARELLA CARACCIOLO CON LE INTEGRAZIONI E LE FIRME
Margherita Agnelli […] dà la caccia ai capitali offshore di famiglia,
che le sarebbero stati occultati nell’accordo sull’eredità. La Procura
di Torino cerca i redditi, potenzialmente enormi, che sarebbero stati
occultati al Fisco, attraverso fiduciarie collegate a paradisi fiscali.
Questi due interessi potrebbero convergere se cadesse il baluardo che
finora ha protetto la successione della dinastia più potente d’Italia:
la presunta residenza elvetica di Marella Caracciolo, moglie di Gianni e
madre di Margherita. Se saltasse questo cardine, le autorità italiane
potrebbero contestare reati tributari e sanzioni fiscali agli Elkann, e
questa storia, come una valanga, potrebbe travolgere anche i contenziosi
civili sull ’eredità, aperti in Svizzera e in Italia.
Sono tre gli indagati nell’in chiesta condotta dal procuratore aggiunto
Marco Gianoglio e dai pm Mario Bendoni e Giulia Marchetti: Gianluca
Ferrero, commercialista della famiglia Agnelli e presidente della
Juventus; Robert von Groueningen, amministratore dell’eredità di Marella
Agnelli (morta nel 2019); John Elkann, nipote di Marella, presidente di
Stellantis ed editore del gruppo Gedi.
L’ipotesi è di concorso in frode fiscale e in particolare di
dichiarazione infedele al Fisco per gli anni 2018-2019. In base
all’intesa sulla successione di Gianni Agnelli nel 2004 […] Margherita
accetta l’estromissione dalle società di famiglia in cambio di 1,2
miliardi; ottiene l’usufrutto su vari beni immobiliari e si impegna a
versare alla madre Marella un vitalizio mensile da 500 mila euro. Di
questi soldi non c’è traccia nei 730, da cui mancano in altre parole 8
milioni di euro (3,8 milioni di tasse).
Il perché gli investigatori si concentrino su quel biennio è presto
detto: per chi indaga Marella Caracciolo, malata di Parkinson, era
curata in Italia. La Procura ritiene che passasse gran parte del tempo a
Villa Frescot, a Torino, oltre 183 giorni l’anno, la soglia dopo la
quale il Fisco ritiene probabile che una residenza estera sia fasulla.
Per questo ieri il Nucleo di polizia economico finanziaria di Torino […]
ha sentito sei testimoni vicini alla famiglia: personale che di fatto
lavorava al servizio di Marella, ma che era stato assunto dopo la morte
del nonno da John Elkann o da società a lui riconducibili, un artificio
che avrebbe rafforzato la tesi della residenza estera della nonna.
Questo è l’anello che mette nei guai l’erede della casata. Per i pm il
commercialista Ferrero avrebbe disposto le dichiarazioni dei redditi
infedeli, mentre l’esecutore testamentario svizzero le avrebbe
controfirmate.
Ci sono inoltre le indagini commissionate da Margherita Agnelli
all’investigatore privato Andrea Galli, confluite in un esposto in mano
alla Procura. Lo 007 ha ricostruito le spese nella farmacia di Lauenen,
villaggio nel cantone di Berna in cui sulla carta viveva Marella
Caracciolo: dalle fatture fra il 2015 e il 2018 emergerebbe che le spese
mediche coprivano il solo mese di agosto. […]
GLI INQUIRENTI cercano di ricostruire il flusso di redditi, la
riconducibilità dei patrimoni e documenti originali in grado di
verificare la validità delle firme sui testamenti. Se dovesse essere
rimessa in discussione la residenza di Marella, si aprirebbe un nuovo
scenario: il Fisco potrebbe battere cassa e contestare mancati introiti
milionari per Irpef, Iva, successione e Ivafe (tassa sui beni esteri).
Gli Elkann sono pronti a difendersi dalle accuse, e hanno sempre
contestato la ricostruzione di Margherita.
DOPO
25 ANNI MARGHERITA HA PENSATO AI FRATELLI DI YAKY, LAPO E GINEVRA , COME
GLI AVEVA DETTO EDOARDO:
Margherita Agnelli vuole costringere per via giudiziaria i suoi tre
figli Elkann a restituire i beni delle eredità di Gianni Agnelli (morto
nel 2003) e Marella Caracciolo (2019).
Un’ordinanza della Cassazione pubblicata a gennaio mette in fila,
sintetizzando i «Fatti in causa», le pretese della madre di John Elkann
nella sua offensiva legale. Il punto d’arrivo è molto in alto nel
sistema di potere dei figli: l’assetto della Dicembre, la cassaforte
(60% John e 20% ciascuno Lapo e Ginevra Elkann) azionista di riferimento
dell’impero Exor, Stellantis, Ferrari, Juventus, Cnh ecc. (35 miliardi).
[…] La Corte suprema nella sua ordinanza si occupa di una questione
tecnica laterale, annullando parzialmente […] la decisione del tribunale
di Torino di sospendere i lavori in attesa dei giudici svizzeri. […] la
Cassazione […] sintetizza in modo neutrale le richieste di Margherita e
cioè, innanzitutto, «che sia dichiarata l’invalidità o l’inefficacia del
testamento della madre».
E dunque «che sia aperta la successione legittima, sia accertata in capo
all’attrice (Margherita ndr) la sua qualità di unica erede legittima
della madre, sia accertata la quota della quale la madre poteva disporre
e […] sia accertata la lesione della quota di riserva a essa spettante».
A questo punto ci deve essere «la conseguente reintegra della quota
mediante riduzione delle donazioni, anche dirette e dissimulate, e
condanna dei convenuti (gli Elkann, ndr) alle restituzioni».
Il tema delle donazioni è fondamentale perché potrebbero essere i
«mattoni» con cui si è costruita la governance a trazione John nella
Dicembre. Margherita «in ogni caso ha chiesto la dichiarazione della sua
qualità di erede del padre (...) e la condanna dei convenuti a
restituire i beni dell’eredità del padre».
La manovra legale è dunque tesa ad azzerare tutto, proiettando
Margherita nel ruolo di unica erede legittima della madre. E
nell’eventuale riconteggio dell’eredità materna entrerebbero le
donazioni anche «indirette e dissimulate».
JOHN ELKANN CON LA MADRE MARGHERITA AGNELLI AL SUO MATRIMONIO CON
LAVINIA BORROMEO
JOHN ELKANN CON LA MADRE MARGHERITA AGNELLI AL SUO MATRIMONIO CON
LAVINIA BORROMEO
Nella costruzione dell’attuale assetto della Dicembre con John al
comando sono state decisive alcune transazioni con la nonna Marella dopo
la morte (2003) di Gianni Agnelli. Secondo i figli de Pahlen, […] per il
calcolo della quota legittima, nel perimetro ereditario della nonna
Marella dovrebbe entrare anche il «75% della Dicembre, per il caso in
cui si accertasse la simulazione degli atti di compravendita, il cui
valore è stimato in euro 3 miliardi». Sostengono anzi che la nonna abbia
«effettuato donazioni delle partecipazioni della Dicembre al nipote John
per (...) circa 3 miliardi».
John Elkann e la madre Margherita entrano nella cassaforte come soci nel
1996, con Gianni Agnelli al comando. Nel ’99 l’Avvocato modifica lo
statuto e detta il futuro: «se manco o sono impedito — è il senso —
tutti i poteri vanno a John» che, alla morte del nonno, sale al 58%.
L’anno dopo (2004) Margherita vende per 105 milioni il 33% alla madre ed
esce dalla Dicembre sulla base del patto successorio. Subito dopo la
nonna cede tutto ai nipoti, tenendo l’usufrutto: John si consolida al
60%, una leadership che nel suo entourage giudicano «inattaccabile», a
Lapo e Ginevra il resto. È l’assetto attuale di cui però s’è avuta
notizia ufficiale nel 2021, dopo 17 anni di carte, transazioni e patti
tenuti nascosti. Un bug temporale a dir poco anomalo per una delle più
influenti società in Europa, inspiegabilmente tollerato per anni dalla
Camera di Commercio di Torino. Anche su questo fa leva la strategia di
Margherita per «scalare» il sancta sanctorum degli Elkann.
«La
costruzione di una residenza estera fittizia» in Svizzera di Marella
Caracciolo «ha avuto una duplice e concorrente finalità: da un lato,
sotto il profilo fiscale, evitare l’assoggettamento a tassazione in
Italia di ingenti cespiti patrimoniali e redditi derivanti da tali
disponibilità; dall’altro, sotto il profilo ereditario, sottrarre la
successione» della vedova dell’Avvocato «all’ordinamento italiano»: lo
scrivono i magistrati di Torino nel decreto di sequestro che ha portato
al blitz di ieri (7 marzo) della guardia di finanza, nell’ambito
dell’inchiesta sull’eredità Agnelli e sulle presunte «dichiarazioni
fraudolente» dei redditi di Marella Caracciolo. Per questo, è scattata
anche una nuova ipotesi di reato: «truffa aggravata ai danni dello Stato
e di ente pubblico (Agenzia delle entrate)».
Eredità Agnelli, i 734 milioni di euro lasciati da Marella e l'appunto
sulla residenza svizzera: «Una vita di spostamenti»
CRONACA
Eredità Agnelli, i pm e gli appunti della segretaria di Marella Agnelli:
«Sono la prova che non viveva in Svizzera»
Tra i beni in questione - secondo il Procuratore aggiunto Marco
Gianoglio e i pubblici ministeri Mario Bendoni e Giulia Marchetti - ci
sarebbero 734.190.717 euro, «derivanti dall’eredità di Marella
Caracciolo».
Per la truffa aggravata sono indagati i tre fratelli Elkann, John,
Ginevra e Lapo, lo storico commercialista della famiglia Gianluca
Ferrero e Urs Robert von Gruenigen, il notaio svizzero che curò la
successione testamentaria.
Gli investigatori - emerge dal decreto - hanno messo le mani anche su un
documento di quattro pagine «riepilogante in forma schematica i giorni
di effettiva presenza in Italia di Marella Caracciolo»: morale, nel 2015
la moglie di Gianni Agnelli dimorò «in Svizzera meno di due mesi»,
contro i 298 giorni passati in Italia. Nel 2018 il conto è di 227 giorni
in Italia e 138 all’estero. Significativa anche la denominazione
dell’ultima pagina del documento: «Una vita di spostamenti».
LA FRAGILITA' UMANA DIMOSTRA LA
FORZA E L'ESISTENZA DI DIO: le stesse variazioni climatiche e
meteriologiche imprevedibili dimostrano l'esistenza di DIO.
Che lo Spirito Santo porti
buon senso e serenita' a tutti gli uomini di buona volonta' !
CRISTO RESUSCITA PER TUTTI GLI
UOMINI DI VOLONTA' NON PER QUELLI DELLO SPRECO PER NUOVI STADI O
SPONSORIZZAZIONI DI 35 MILIONI DI EURO PAGATI DALLE PAUSE NEGATE
AGLI OPERAI ! La storia del ricco epulone non ha insegnato nulla
perché chi e morto non può tornare per avvisare i parenti !
Mb 05.04.12; 29.03.13;
ATTENZIONE IL MIO EX SITO
www.marcobava.tk e' infetto se volete un buon antivirus
gratuito:
Marco Bava ABELE: pennarello di DIO,
abele, perseverante autodidatta con coraggio e fantasia , decisionista
responsabile.
Sono quello che voi pensate io sia
(20.11.13) per questo mi ostacolate.(08.11.16)
La giustizia non esiste se mi mettessero
sotto sulle strisce pedonali, mi condannerebbero a pagare i danni
all'auto.
(12.02.16)
TO.05.03.09
IL DISEGNO DI DIO A VOLTE SI RIVELA
SOLO IN ALCUNI PUNTI. STA' ALLA FEDE CONGIUNGERLI
PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI
SIA SANTIFICATO IL TUO NOME VENGA IL TUO REGNO, SIA FATTA LA TUA VOLONTÀ
COME IN CIELO COSI IN TERRA , DAMMI OGGI IL PANE E LA ACQUA
QUOTIDIANI E LA POSSIBILITA' DI NON COMMETTERE ERRORI NEL CERCARE DI
REALIZZARE NEL MIGLIOR MONDO POSSIBILE IL TUO VOLERE, LA PACE NEL MONDO,
IL BENESSERE SOCIALE E LA COMUNIONE DI TUTTI I POPOLI. TU SEI GRANDE ED
IO NON SONO CHE L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E FIGLI.
TU SEI GRANDE ED IO NON SONO CHE
L'ULTIMO DEI TUOI SERVI E DEI TUOI FIGLI .
SIGNORE IO NON CONOSCO I TUOI OBIETTIVI PER ME , FIDUCIOSO MI AFFIDO A
TE.
Difendo il BENE contro il MALE che nell'uomo rappresenta la variabile
"d" demonio per cui una decisione razionale puo' diventare irrazionale
per questa ragione (12.02.16)
Non prendo la vita di
punta faccio la volonta' di DIO ! (09.12.18)
La vita e' fatta da
cose che si devono fare, non si possono non fare, anche se non si
vorrebbero fare.(20.01.16)
Il mondo sta
diventando una camera a gas a causa dei popoli che la riempiono per
irresponsabilità politica (16.02.16)
I cervelli possono
viaggiare su un unico livello o contemporaneamente su plurilivelli e'
soggettivo. (19.02.17)
L'auto del futuro non
sara' molto diversa da quella del presente . Ci sono auto che
permarranno nel futuro con l'ennesima versione come : la PORSCHE 911, la
PANDA, la GOLF perche' soddisfano esigenze del mercato che permangono .
Per cui le auto cambieranno sotto la carrozzeria con motori ad idrogeno
, e materiali innovativi. Sara' un auto migliore in termini di
sicurezza, inquinamento , confort ma la forma non cambierà molto.
INFATTI la Modulo di Pininfarina la Scarabeo o la Sibilo di Bertone
possono essere confrontate con i prototipi del prossimo
salone.(18.06.17)
La siccità e le
alluvioni dimostrano l'esistenza di Dio nei confronti di uomini che
invece che utilizzare risorse per cercare inutilmente nuovi
pianeti dove Dio non ha certo replicato l'esperienza negativa dell'uomo,
dovrebbero curare l'unico pianeta che hanno a disposizione ed in cui
rischiano di estinguersi . (31.10.!7)
L'Italia e' una
Repubblica fondata sul calcio di cui la Juve e' il maggiore esponente
con tutta la sua violenta prevaricazione (05.11.17)
La prepotenza della
FIAT non ha limiti . (05.11.17)
I mussulmani ci
comanderanno senza darci spiegazioni ne' liberta'.(09.11.17)
In Italia mancano i
controlli sostanziali . (09.11.17)
Gli alimenti per
animali sono senza controllo, probabilmente dannosi, vengono
utilizzati dai proprietari per comodita', come se l'animale fosse un
oggetto a cui dedicare il tempo che si vuole, quando si vuole senza
alcun rispetto ai loro veri bisogni alimentari. (20.11.17)
Ho conosciuto l'avv.Guido
Rossi e credo che la stampa degli editori suoi clienti lo abbia
mitizzato ingiustificatamente . (20.11.17)
L'elicottero di Jaky
e' targato I-TAIF. (20.11.17)
La Coop ha le
agevolazioni di una cooperativa senza esserlo di fatto in quanto quando
come socio ho partecipato alle assemblee per criticare il basso tasso
d'interesse dato ai soci sono stato o picchiato o imbavagliato.
(20.11.17)
Sono 40 anni che :
1 ) vedo bilanci
diversi da quelli che vedo insegnati a scuola, fusioni e scissioni
diverse da quelle che vengono richieste in un esame e mi vengono a dire
che l'esame di stato da dottore commercilaista e' una cosa seria ?
2) faccio esposti e
solo quello sul falso in bilancio della Fiat presentato da Borghezio al
Parlamento e' andato avanti ?
(21.11.17)
La Fornero ha firmato
una riforma preparata da altri (MONTI-Europa sono i mandanti) (21.11.17)
Si puo' cambiare il
modo di produrre non le fasi di produzione. (21.11,17)
La FIAT-FERRARI-EXOR
si sono spostate in Olanda perche' i suoi amministratori abbiano i loro
compensi direttamente all'estero . In particolare Marchionne ha la
residenza fiscale in Sw (21.11.17)
La prova che e' il
femore che si rompe prima della caduta e' che con altre cadute non si
sono rotte ossa, (21.11.17)
Carlo DE BENEDETTI un
grande finanziere che ha fallito come industriale in quanto nel 1993
aveva il SURFACE con il nome QUADERNO , con Passera non l'ha saputo
produrre , ne' vendere ne' capire , ma siluro' i suoi creatori
CARENA-FIGINI. (21.11.17)
Quando si dira' basta
anche alle bufale finanziarie ? (21.11.17)
Per i consiglieri
indipendenti l'indipendenza e' un premio per tutti gli altri e' un costo
(11.12.17)
La maturita' del
mercato finanziario e' inversamente proporzionale alla sottoscrizione
dei bitcoin (18/12/17)
Chi risponde
civilmente e penalmente se un'auto o un robot impazziscono ? (18/12/17)
Non e' la FIAT
filogovernativa, ma sono i governi che sono filofiat consententogli di
non pagare la exit-tax .(08.02.18) inoltre la FIAT secondo me ha fatto
più danni all'ITALIA che benefici distruggendo la concorrenza della
LANCIA , della Ferrari, che non ha mai capito , e della BUGATTI
(13.02.18).
Infatti quando si
comincia con il raddoppio del capitale senza capitale si finisce nella
scissione
Tesi si laurea
sull'assoluzione del sen.Giovanni Agnelli nel 1912 dal reato di
agiotaggio : come Giovanni Agnelli da segretario della Fiat ne e'
diventato il padrone :
Prima di educare i
figli occorre educare i genitori (13.03.18)
Che senso ha credere
in un profeta come Maometto che e'un profeta quando e' esistito
Gesu' che e' il figlio di DIO come provato per ragioni storiche da
almeno 4 testi che sono gli evangelisti ? Infatti i mussulmani
declassano Gesu' da figlio di DIO a profeta perché riconoscono
implicitamente l'assurdità' di credere in un profeta rispetto al figlio
di DIO. E tutti gli usi mussulmani rappresentano una palese
involuzione sociale basata sulla prevaricazione per esempio sulle donne
(19.03/18)
Il valore aggiunto per
i consulenti finanziari e' solo per loro (23.03.18)
I medici lavorerebbero
gratis ? quante operazioni non sono state fatte a chi non aveva i soldi
per pagarle ? (26.03.18 )
lo sfregio delle auto
di stato ibride con il motore acceso, deve finire con il loro passaggio
alla polizia con i loro autisti (19.03.18)
Se non si tassa il
lavoro dei robot e' per la mancata autonomia in termini di liberta' di
scelta e movimento e responsabilita' penale personale . Per cui le auto
a guida autonoma diventano auto-killer. (26.04.18)
Quanto poco conti
l'istruzione per l'Italia e' dimostrato dalla scelta DEI MINISTRI
GELMINI FEDELI sono esempi drammatici anche se valorizzati dalla
FONDAZIONE AGNELLI. (26.04.18) (27.08.18).
Credo che la lotta
alla corruzione rappresenti sempre di piu' un fattore di coesione
internazionale perche' anche i poteri forti si sono stufati di pagare
tangenti (27/04/2018)
Non riusciamo neppure
piu' a produrre la frutta ad alto valore aggiunto come i
mirtilli....(27/04/2018)
Abbiamo un capitalismo
sempre piu' egoista fatto da managers che pensano solo ad arraffare
soldi pensando che il successo sia solo merito loro invece che di Dio e
degli operai (27.04.18)
Le imprese dell'acqua
e delle telecomunicazioni scaricano le loro inefficienze sull'utente
(29.05.18)
Nel 2004 Umberto
Agnelli, come presidente della FIAT, chiese a Boschetti come
amministratore delegato della FIAT AUTO di affidarmi lo sviluppo della
nuova Stilo a cui chiesi di affiancare lo sviluppo anche del marchio
ABARTH , 500 , A112, 127 . Chiesi a Montezemolo , come presidente
Ferrari se mi lasciava utilizzare il prototipo di Giugiaro della Kubang
che avrebbe dovuto essere costruito con ALFA ROMEO per realizzare
la nuova Stilo . Mi disse di si perche' non aveva i soldi per
svilupparlo. Ma Morchio, amministratore delegato della FIAT, disse che
non era accettabile che uno della Telecom si occupasse di auto in Fiat
perche' non ce ne era bisogno. Peccato che la FIAT aveva fatto il 128
che si incendiava perche' gli ingegneri FIAT non avevano previsto una
fascetta che stringesse il tubo della benzina all'ugello del
carburatore. Infatti pochi mesi dopo MORCHIO venne licenziato da
Gabetti ed al suo posto arrivo' Marchionne a cui rifeci la proposta. Mi
disse di aspettare una risposta entro 1 mese. Sono passati 14 anni ma
nessuna risposta mi e' mai stata data da Marchionne, nel frattempo la
Fiat-Lancia sono morte definitivamente il 01.06.18, e la Nissan Qashai
venne presentata nel 2006 e rilancia la Nissan. Infatti dal 2004 ad oggi
RENAULT-NISSAN sono diventati i primi produttori al mondo. FIAT-FCA NO !
Grazie a Marchionnne nonostante abbia copiato il suo piano industriale
dal mio libro . Le auto Fiat dell'era CANTARELLA bruciavano le teste per
raffredamento insufficente. Quella dell'era Marchionne hanno bruciato la
Fiat. Il risultato del lavoro di MARCHIONNE e' la trasformazione del
prodotto auto in prodotto finanziario, per cui le auto sono diventate
tutte uguali e standardizzate. Ho trovato e trovo , NEI MIEI CONFRONTI,
molta PREPOTENZA cattiveria ed incompetenza in FIAT. (19.12.18)
La differenza fra
ROMITI MARCHIONNE e' che se uno la pensava diversamente da loro Romiti
lo ascoltava, Marchionne lo cacciava anche se gli avesse detto che
aumentando la pressione dei pneumatici si sarebbero ridotti i consumi.
FATTI NON PAROLE E
FUMO BORSISTICO ! ALFA ROMEO 166 un successo nonostante i pochi mezzi
utilizzati ma una richiesta mia precisa e condivisa da FIAT : GUIDA
DIRETTA. Che Marchionne non ha apprezzato come un attila che ha
distrutto la storia automoblistica italiana su mandato di GIANLUIGI
GABETTI (04.06.18).
Piero ANGELA : un
disinformatore scientifico moderno in buona fede su auto
elettrica. auto killer ed inceneritore (29.07.18)
Puoi anche prendere il
potere ma se non lo sai gestire lo perdi come se non lo avessi mai avuto
(01.08.18)
Ho provato la BMW i8
ed ho capito che la Ferrari e le sue concorrenti sono obsolete !
(20.08.18)
LA Philip Morris ha
molti clienti e soci morti tra cui Marchionne che il 9 maggio scorso,
aveva comprato un pacchetto di azioni per una spesa di 180mila dollari.
Briciole, per uno dei manager più ricchi dell’industria automotive (ha
un patrimonio stimato tra i 6-700 milioni di franchi svizzeri, cifra che
lo fa rientrare tra i 300 elvetici più benestanti).E’ stato, però, anche
l’ultimo “filing” depositato dal manager alla Sec, sul cui sito da
sabato pomeriggio è impossible accedere al profilo del manager
italo-canadese e a tutte le sue operazioni finanziarie rilevanti. Ed era
anche un socio: 67mila azioni detenute per un investimento di 5,67
milioni di dollari (alla chiusura di Wall Street di venerdì 20 luglio
2018 ). E PROSSIMAMENTE un'uomo Philip Morris uccidera' anche la
FERRARI . (20.08.18) (25.08.18)
Prodi e' il peccato
originale dell'economia italiana dal 1987 (regalo' l'ALFA ROMEO alla
FIAT) ad oggi (25.08.18)
L'indipendenza della
Magistratura e' un concetto teorico contraddetto dalle correnti anche
politiche espresse nelle lottizzazioni delle associazioni magistrati che
potrebbe influenzarne i comportamenti. (27.08.18)
Ho sempre vissuto solo
con oppositori irresponsabili privi di osservazioni costruttive ed
oggettive. (28.08.18)
Buono e cattivo fuori
dalla scuola hanno un significato diverso e molto piu' grave perche' un
uomo cattivo o buono possono fare il bene o il male con consaprvolezza
che i bambini non hanno (20.10.18)
Ma la TAV serve ai
cittadini che la dovrebbero usare o a chi la costruisce con i nostri
soldi ? PERCHE' ?
Un ruolo presidenziale
divergente da quello di governo potrebbe porre le premesse per una
Repubblica Presidenziale (11.11.2018)
La storia occorre
vederla nella sua interezza la marcia dei 40.000 della Fiat come e'
finita ? Con 40.000 licenziamenti e la Fiat in Olanda ! (19.11.18)
I SITAV dopo la marcia
a Torino faranno quella su ROMA con costi doppi rispetto a quella
francese sullo stesso percorso ? (09.12.18)
La storia politica di
Fassino e' fatta dall'invito al voto positivo per la raduzione dei
diritti dei lavoratori di Mirafiori. Si e' visto il risultato della
lungimiranza di Fassino , (18.12.18)
Perche' sono
investimenti usare risorse per spostare le pietre e rimetterle a posto
per giustificare i salari e non lo sono il reddito di cittadinanza e
quota 100 per le pensioni ? perche' gli 80 euro a chi lavora di Renzi
vanno bene ed i 780 euro di Di Maio a chi non lavora ed e' in pensione
non vanno bene ? (27.12.18)
Le auto si dividono in
auto mozzarella che scadono ed auto vino che invecchiando aumentano di
valore (28.12.18)
Fumare non e' un
diritto ma un atto contro la propria salute ed i doveri verso la propria
famiglia che dovrebbe avere come conseguenza la revoca dell'assistenza
sanitaria nazionale ad personam (29.12.18)
Questo mondo e troppo
cattivo per interessare altri esseri viventi (10.01.19)
Le ONG non hanno altro
da fare che il taxi del mare in associazione per deliquere degli
scafisti ? (11.02.19)
La giunta FASSINO era
inutile, quella APPENDINO e' dannosa (12.07.19)
Quello che l'Appendino
chiama freno a mano tirato e' la DEMOCRAZIA .(18.07.19)
La spesa pubblica
finanzia le tangenti e quella sullo spazio le spese militari
(19.07.19)
AMAZON e FACEBOOK di
fatto svolgono un controllo dei siti e forse delle persone per il
Governo Americano ?
(09.08.19)
LA GRANDE MORIA DI
STARTUP e causato dal mancato abbinamento con realta' solide (10.08.!9)
Il computer nella
progettazione automobilistica ha tolto la personalizzazione ed
innovazione. (17.08.19)
L' uomo deve gestire i
computer non viceversa, per aumentare le sue potenzialita' non
annullarle (18.08.19)
LA FIAT a Torino ha
fatto il babypaking a Mirafiori UNO DEI POSTI PIU' INQUINATI DI TORINO !
Non so se Jaky lo sappia , ma il suo isolamento non gli permette certo
di saperlo ! (13.09.19)
Non potro' mai essere
un buon politico perche' cerco di essere un passo avanti mentre il
politico deve stare un passo indietro rispetto al presente. (04.10.19)
L'arretratezza
produttiva dell'industria automobilistica e' dimostrata dal fatto che da
anni non hanno mai risolto la reversibilità dei comandi di guida a dx.sx,
che costa molto (09.10.19)
IL CSM tutela i
Magistrati dalla legge o dai cittadini visti i casi di Edoardo AGNELLI
e Davide Rossi ? (10.10.19).
Le notizie false
servono per fare sorgere il dubbio su quelle vere discreditandole
(12.10.19)
L'illusione startup
brucia liquidita' per progetti che hanno poco mercato. sottraendoli
all'occupazione ed illude gli investitori di trovare delle scorciatoie
al alto valore aggiunto (15.10.19)
Gli esseri umani
soffrono spesso e volentieri della sindrome del camionista: ti senti
piu' importante perche' sei in alto , ma prima o poi dovrai scendere e
cedere il posto ad altri perche' nessun posto rimane libero (18.10.19)
Non e' logico che
l'industria automobilistica invece di investire nelle propulsione ad
emissione 0 lo faccia sulle auto a guida autonoma che brucia posti di
lavoro. (22.10.19)
L'intelligenza
artificiale non esiste perche' non e' creativa ma applicativa quindi
rischia di essere uno strumento in mano ai dittatori, attraverso la
massificazione pilotata delle idee, che da la sensazione di poter
pensare ad una macchina al nostro posto per il bene nostro e per farci
diventare deficienti come molti percorsi dei navigatori (24.11.19)
Quando ci fanno
domande per sapere la nostra opinione di consumatori ma sono interessati
solo ai commenti positivi , fanno poco per migliorare (25.11.19)
La prova che la
qualità della vita sta peggiorando e' che una volta la cessione del 5^
si faceva per evitare i pignoramenti , oggi lo si fa per vivere
(27.11.19)
Per combattere
l'evasione fiscale basta aumentare l'assistenza nella pre-compilazione e
nel pagamento (29.11.19)
La famiglia e' come
una barca che quando sbaglia rotta porta a sbattere tutti quanti
(25.12.19)
Le tasse
sull'inquinamento verranno scaricate sui consumatori , ma a chi governa
e sa non importa (25.12.19)
Il calcio e l'oppio
dei popoli (25.12.19)
La religione nasce
come richiesta di aiuto da parte dei popoli , viene trasformata in un
tentativo di strumento di controllo dei popoli (03.01.20)
L'auto a guida
autonoma e' un diversivo per vendere auto vecchie ed inquinanoroti , ed
il mercato l'ha capito (03.01.20)ttadini
Il vero potere della
burocrazia e' quello di creare dei problemi ai cittadini anche se il
cittadino paga i dipendente pubblico per risolvere dei problemi non per
crearli. Se per denunciare questi problemi vai fuori dal coro deve
essere annientato. Per cui burocrazia=tangente (03.01.20)
Gli immigrati tengono
fortemente alla loro etnina a cui non rinunciano , piu' saranno forti le
etnie piu' queste divideranno l'Italia sovrastando gli italiani
imponendoci il modello africano . La mafia nigeriana e' solo un esempio.
(05.01.20)
La sinistra e la lotta
alla fame nel mondo sono chimere prima di tutto per chi ci deve credere
come ragione di vita (07.01.20)
Credo di avere la
risposta alla domanda cosa avrebbe fatto Eva se Adamo avesse detto di no
a mangiare la mela ? Si sarebbe arrabbiata. Anche oggi se non fai
quello che vogliono le donne si mettono contro cercando di danneggiarti.
(07.01.20)
Le sardine rappresenta
l'evoluzione del buonismo Democristiano e la sintesi fra Prodi e
Renzi, fuori fa ogni logica e senza una proposta concreta
(08.01.20)
Un cavallo di razza
corre spontaneamente e nessuno puo' fermarlo. (09.01.20)
PD e M5S 2 stampelle
non fanno neppure una gamba sana (22.01.20)
non riconoscere i propri errori significa
sbagliare per sempre (12.04.20)
la vera ricchezza dei ricchi sono i figli
dei poveri, una lotteria che pagano tutta la loro vita i figli ai
genitori che credono di non avere nulla da perdere ! (03.11.21)
GLI YESMEN SERVONO PER
CONSENTIRE IL MANTENIMENTO E LO SVILUPPO E L'OCCULTAMENTO DEGLI
INTERESSI OCCULTI DEL CAPITALISMO DISTRUTTIVO. (22.04.22)
DALL'INTOLLERANZA NASCE LA
GUERRA (30.06.22)
L'ITALIA E' TERRA DI
CONQUISTA PER LE BANDE INTERNE DEI PARTITI. (09.10.22)
La dimostrazione che non
esista più il nazismo e' dimostrato dalla reazione europea contro Puntin
che non ci fu subito contro Hitler (12.10.22)
Cara Meloni nulla giustifica
una alleanza con la Mafia di Berlusconi (26.10.22)
I politici che non
rappresentano nessuno a cosa servono ? (27.10.22)
Di chi sono Ambrosetti e
Mckinsey ? Chi e' stato formato da loro ed ora e' al potere in ITALIA ?
Lo spunto e' la vicenda Macron . Quanti Macron ci sono in Italia ? E chi
li controlla ? Mckinsey e' una P2 mondiale ?
Mb
Piero Angela ha valutato che
lo sbarco sulla LUNA ancora oggi non e' gestibile in sicurezza ?
(30.12.22)
Le leggi razziali = al Green
Pass (30.03.23)
Dopo 60 anni il danno del
Vaiont dimostra il pericolo delle scelte scientifiche come il nucleare,
giustificato solo dalle tangenti (10.10.23)
LA
mia CONTROINFORMAZIONE ECONOMICA e' CONTRO I GIOCHI DI POTERE,
perche' DIO ESISTE, ANCHE SOLO per assurdo.
IL MONDO HA
BISOGNO DI DIO MA NON LO SA, E' TALMENTE CATTIVO CHE IL BENE NON PUO'
CHE ESISTERE FUORI DA QUESTO MONDO E DA QUESTA VITA !
PER QUESTO IL
MIO MESTIERE E' CAMBIARE IL MONDO !
LA VIOLENZA
DELLA DISOCCUPAZIONE CREA LA VIOLENZA DELLA RECESSIONE, con LICIO GELLI
che potrebbe stare dietro a Berlusconi.
IL GOVERNO
DEGLI ANZIANI, com'e' LICIO GELLI, IMPEDISCE IL CAMBIAMENTO
perche' vetusto obsoleto e compromesso !
E' UN GIOCO AL
MASSACRO dell'arroganza !
SE NON CI
FOSSERO I SOLDATI NON CI SAREBBE LA GUERRA !
Sopravvaluta sempre il tuo avversario , per poterlo
vincere .Mb 15.05.13
Torino 08.04.13
Il mio paese l'Italia non crede nella mia teoria
economica del valore che definisce
1) ogni prodotto come composto da energia e lavoro:
Il costo dell'energia può tendere a 0 attraverso il
fotovoltaico sui tetti. Per dare avvio la volano economico del
fotovoltaico basta detassare per almeno 20 anni l'investimento, la
produzione ed il consumo di energia fotovoltaica sui tetti.
2) liberalizzazione dei taxi
collettivi al costo di 1 euro per corsa in modo tale da dare un lavoro a
tutti quelli che hanno un 'auto da mantenere e non lo possono piu fare
per mancanza di un lavoro; ed inoltre dare un servizio a tutti i
cittadini.
3) tre sono gli obiettivi principali
della politica : istruzione, sanita', cultura.
4) per la sanità occorre un centro
acquisti nazionale ed abolizione giorni pre-ricovero.
LA VITA E' : PREGHIERA, LAVORO
E RISPARMIO.(02.02.10)
Se non hai via di uscita,
fermati..e dormici su.
E' PIU' DIFFICILE
SAPER PERDERE CHE VINCERE ....
Ciascun uomo vale in funzione
delle proprie idee... e degli stimoli che trova dentro di se...
Vorrei ricordare gli uomini
piu' per quello che hanno fatto che per quello che avrebbero potuto
fare !
LA VERA UMILTA' NON SI DICHIARA
MA SI DIMOSTRA, AD ESEMPIO CONTINUANDO A STUDIARE....ANCHE SE
PURTROPPO L'UNIVERSITÀ' E' FINE A SE STESSA.
PIU' I MEZZI SONO POVERI X
RAGGIUNGERE L'OBIETTIVO, PIU' E' CAPACE CHI LO RAGGIUNGE.
L'UNICO LIMITE AL PEGGIO E' LA
MORTE.
MEGLIO NON ILLUDERE CHE
DELUDERE.
L'ITALIA , PER COLPA DI
BERLUSCONI STA DIVENTANDO IL PAESE DEI BALOCCHI.
IL PIL CRESCE SE SI RIFA' 3
VOLTE LO STESSO TAPPETINO D'ASFALTO, MA DI FATTO SIAMO TUTTI PIU'
POVERI ALMENO 2 VOLTE.
LA COSTITUZIONE DEI DIRITTI
DELL'UOMO E QUELLA ITALIANA GARANTISCONO GIA' LA LIBERTA',
QUANDO TI DICONO L'OVVIETÀ' CHE SEI LIBERO DI SCEGLIERE
E' PERCHE' TI VOGLIONO IMPORRE LE LORO IDEE. (RIFLESSIONE DEL
10.05.09 ALLA LETTERA DEL CARDINALE POLETTO FATTA LEGGERE NELLE
CHIESE)
la vita eterna non puo' che
esistere in quanto quella terrena non e' che un continuo superamento
di prove finalizzate alla morte per la vita eterna.
SOLO ALLA FINE SI SA DOVE PORTA
VERAMENTE UNA STRADA.
QUANDO NON SI HANNO ARGOMENTI
CONCRETI SI PASSA AI LUOGHI COMUNI.
L'UOMO LA NOTTE CERCA DIO PER
AVERE LA SERENITA' NOTTURNA (22.11.09)
IL PRESENTE E' FIGLIO DEL
PASSATO E GENERA IL FUTURO.(24.12.09)
L'ESERCIZIO DEL POTERE E' PER
DEFINIZIONE ANDARE CONTRO NATURA (07.01.10)
L’AUTO ELETTRICA FA SOLO PERDERE TEMPO E DENARO PER
ARRIVARE ALL’AUTO AD IDROGENO (12.02.10)
BERLUSCONI FA LE PENTOLE MA NON I COPERCHI (17.03.10)
GESU' COME FU' TRADITO DA GIUDA , OGGI LO E' DAI
TUTTI I PEDOFILI (12.04.10)
IL DISASTRO
DELLA PIATTAFORMA PETROLIFERA USA COSA AVREBBE PROVOCATO SE FOSSE
STATA UNA CENTRALE ATOMICA ? (10.05.10)
Quante
testate nucleari da smantellare dovranno essere saranno utilizzate
per l'uranio delle future centrali nucleari italiane ?
I POTERI FORTI DELLE LAUREE HONORIS CAUSA SONO FORTI
PER CHI LI RICONOSCE COME TALI. SE NON LI SI RICONOSCE COME FORTI
SAREBBERO INESISTENTI.(15.05.10)
L'ostensione della Sacra Sindone non puo' essere ne'
temporanea in quanto la presenza di Gesu' non lo e' , ne' riservata
per i ricchi in quanto "e' piu' facile che in cammello passi per la
cruna di un ago ..."
sapere x capire (15.10.11)
la patrimoniale e' una 3^
tassazione (redditi, iva, patrimoniale) (16.10.11)
SE LE FORZE DELL'ORDINE
INTERVENISSERO DI PIU'PER CAUSE APPARENTEMENTE BANALI CI SAREBBE
MENO CONTENZIOSO: CHIAMATO IL 117 PER UN PROBLEMA BANALE MI HA
RISPOSTO : GLI FACCIA CAUSA ! (02.04.17)
GRAN PARTE DEI PROFESSORI
UNIVERSITARI SONO TRA LE MENTI PIU' FRAGILI ED ARROGANTI , NON
ACCETTANO IL CONFRONTO E SI SENTONO SPIAZZATI DIVENTANO ISTERICI (
DOPO INCONTRO CON MARIO DEAGLIO E PIETRO TERNA) (28.02.17)
Spesso chi compera auto FIAT lo
fa solo per gratificarsi con un'auto nuova, e basta (04.11.16)
Gli immigrati per protesta nei
centri di assistenza li bruciano e noi dobbiamo ricostruirglieli
affinché li redistruggono? (18.10.20)
Abbiamo più rispetto per le cose che per le
persone .29.08.21
Le ragioni per cui Caino ha ucciso
Abele permangono nei conflitti umani come le guerre(24.11.2022)
Quelli che vogliono l'intelligenza
artificiale sanno che e' quella delle risposte autmatiche
telefoniche? (24.11.22)
L'ASSURDITÀ' DI QUESTO MONDO , E' LA
PROVA CHE LA NOSTRA VITA E' TEMPORANEA , OLTRE ALLA TESTIMONIANZA DI
GESU'. 15.06.09
DIO CON I PESI CI DA
ANCHE LA FORZA PER SOPPORTALI, ANCHE SE QUALCUNO VORREBBE FARMI FARE LA
FINE DI GIOVANNI IL BATTISTA (24.06.09)
IL BAVAGLIO della Fiat nei miei
confronti:
IN DATA ODIERNA HO
RICEVUTO: Nell'interesse di Fiat spa e delle Societa' del
gruppo, vengo informato che l'avv.Anfora sta monitorando con
attenzione questo sito. Secondo lo stesso sono contenuti in esso
cotenuti offensivi e diffamatori verso Fiat ed i suoi
amministratori. Fatte salve iniziative
autonome anche
davanti all'Autorita' giudiziaria, vengo diffidato dal
proseguire in tale attivita' illegale"
Ho aderito alla richiesta dell'avv.Anfora,
veicolata dal mio hosting, ricordando ad entrambi le mie
tutele costituzionali ex art.21 della Costituzione, per
tutelare le quali mi riservo iniziative
esclusive
dinnanzi alla Autorita' giudiziaria COMPETENTE.
Marco BAVA 10.06.09
TEMI SUL
TAVOLO IN QUESTO MOMENTO:
IL TRIBUNALE DI TORINO E LA CONSOB NON MI GARANTISCONO LA
TUTELA DEL'ART.47 DELLA COSTITUZIONE
Oggi si e' tenuta l'assemblea degli azionisti Seat tante bugie
dagli amministratori, i revisori ed il collegio sindacale, tanto per la
Consob ed il Tribunale di Torino i miei diritti come azionista di
minoranza non sono da salvaguardare e la digos mi puo' impedire il voto
come e quando vuole, basta leggere la sentenza
PERCHE' TORINO
HA PAURA DI CONOSCERE LA VERITA' SULLA MORTE DI EDOARDO AGNELLI ?
Il prof.Mario DE AGLIO alcuni anni fa scrisse un articolo
citando il "suicidio" di EDOARDO AGNELLI. Gli feci presente che
dai documenti ufficiali in mio possesso il suicidio sarebbe stato
incredibile offrendogli di esaminare tali documenti. Quando le feci lui
disconobbe in un modo nervoso ed ingiustificato : era l'intero fascicolo
delle indagini.
A Torino molti hanno avuto la stessa reazione senza
aver visto ciò che ha visto Mario DE AGLIO ma gli altri non parlano del
"suicidio" di Edoardo AGNELLI ma semplicemente della suo morte.
Mb
02.04.17
grazie a
Dio , non certo a Jaky, continua la ricerca della verità sull'omicidio
di Edoardo Agnelli , iniziata con i libri di Puppo e Bernardini, il
servizio de LA 7, e gli articoli di Visto, ora il Corriere e Rai 2 ,
infine OGGI , continuano un percorso che con l'aiuto di Dio
portera' prima di quanti molti pensino alla verita'. Mb -01.10.10
ANTONIO
PARISI -I MISTERI DEGLI AGNELLI - EDIT-ALIBERTI-
CRONACA
| giovedì 10 novembre 2011,
18:00
Continua la saga della famiglia ne "I misteri di Casa Agnelli".
Il
giornalista Antonio Parisi, esce con l'ultimo pamphlet sulla
famiglia più importante d'Italia, proponendo una serie di
curiosità ed informazioni inedite
Per
dieci anni è stato lasciato credere che su Edoardo Agnelli,
precipitato da un cavalcavia di ottanta metri, a Fossano,
sull'Autostrada Torino - Savona, fosse stata svolta una regolare
autopsia.
Anonime
“fonti investigative” tentarono in più occasioni di
screditare il giornalista Antonio Parisi che raccontava
un’altra versione. Eppure non era vero, perché nessuna autopsia
fu mai fatta.
Ora
Parisi, nostro collaboratore, tenta di ricostruire ciò che
accadde quel giorno in un’inchiesta tagliente e inquietante,
pubblicando nel libro “I Misteri di Casa Agnelli”, per la
prima volta documenti ufficiali, verbali e rapporti, ma anche
raccogliendo testimonianze preziose e che Panorama di questa
settimana presenta.
Perché
la verità è che sulla morte, ma anche sulla vita, dell’uomo
destinato a ereditare il più grande capitale industriale
italiano, si intrecciano ancora tanti misteri. Non gli unici
però che riguardano la famiglia Agnelli.
Passando dalla fondazione della Fiat, all’acquisizione
del quotidiano “La Stampa”, dalla scomparsa precoce dei
rampolli al suicidio in una clinica psichiatrica di Giorgio
Agnelli (fratello minore dell’Avvocato), dallo scandalo
di Lapo Elkann, fino alla lite giudiziaria tra gli eredi,
Antonio Parisi sviscera i retroscena di una dinastia che,
nel bene o nel male, ha dominato la scena del Novecento italiano
assai più di politici e governanti.
Il
volume edito per "I Tipi", di Aliberti Editore, presenta
sia nel testo che nelle vastissime note, una miniera di gustose
e di introvabili notizie sulla dinastia industriale più
importante d’Italia.
Mondo AGNELLI :
Cari amici,
Grazie mille per
vostro aiuto con la stesura di mio libro. Sono contenta che questa
storia di Fiat e Chrysler ha visto luce. Il libro e’ uscito la settimana
scorsa, in inglese. Intanto e’ disponibile a Milano nella librerie
Hoepli e EGEA; sto lavorando con la distribuzione per farlo andare in
piu’ librerie possibile. E sto ancora cercando la casa editrice in
Italia. Intanto vi invio dei link, spero per la gioia in particolare dei
torinesi (dov’e’ stato girato il video in You Tube. )
Un libro che riporta palesi falsita'
sulla morte di Edoardo Agnelli come quella su una foto inesistente con
Edoardo su un ponte fatta da non si sa chi recapitata da ignoto ad
ignoti. Se fosse esistita sarebbe stata nel fascicolo dell'inchiesta.
Intanto anche grazie a queste falsita' il prezzo del libro passa da 15 a
19 euro! www.marcobava.it
17.12.23
Il Sole 24 Ore:
La Giovanni Agnelli Bv ha deciso
di rivedere anche il sistema di governance. Le nuove disposizioni, […]
identificano tre interlocutori chiave tra gli azionisti: il Gruppo
Giovanni Agnelli, il Gruppo Agnelli e il Gruppo Nasi. Si tratta di tre
blocchi che raggruppano a loro volta gli undici rami famigliari storici.
Il primo quello della Giovanni Agnelli coincide con la Dicembre e dunque
pesa per il 40%. Segue il gruppo Agnelli con il 30% e il gruppo Nasi a
cui fa capo il 20%. I componenti del cda della GA BV sono espressione
proprio di questi tre “macro” gruppi famigliari della dinastia torinese.
Ognuno di loro esprime due rappresentanti nel board della Giovanni
Agnelli Bv e uno nel board di Exor. Oggi il Gruppo Giovanni Agnelli ha
indicato nel board della società olandese Andrea Agnelli e Alexander
Von Fürstenberg. E questo nonostante Andrea Agnelli, che nel
frattempo vive stabilmente ad Amsterdam, di fatto faccia parte di un
altro blocco, quello del Gruppo Agnelli.
Per quest’ultimo i due membri del board sono Benedetto della Chiesa e
Filippo Scognamiglio. Infine, per il gruppo Nasi Luca Ferrero
Ventimiglia e Niccolò Camerana. I consiglieri del Cda della Bv sono
nominati ogni 3 anni e decadono automaticamente al compimento di 75
anni. Ogni gruppo inoltre esprime un proprio rappresentante nel Cda
di Exor che oggi sono Ginevra Elkann (Gruppo Giovanni Agnelli), Tiberto
Ruy Brandolini D’Adda (Gruppo Agnelli) e Alessandro Nasi (Gruppo Nasi).
Accanto al cda dell Bv resta in vita il Consiglio di famiglia, organo
non deliberativo ma consultivo e formato da 32 membri.
Questa la nuova struttura
societaria della Giovanni Agnelli Bv
per quote di possesso.
Dicembre (John Elkann , Lapo e Ginevra): 39,7%
Ramo Maria Sole Agnelli: 11,2%
Ramo Agnelli (Andrea Agnelli e Anna Agnelli): 8,9%
Ramo Giovanni Nasi: 8,7%
Ramo Laura Nasi-Camerana: 6%
Ramo Cristiana Agnelli: 5,05%
Ramo Susanna Agnelli: 4,7%
Ramo Clara Nasi-Ferrero di Ventimiglia: 3,4%
Ramo Emanuele Nasi: 2,5%
Ramo Clara Agnelli: 0,28%
Azioni proprie: 8,2%
Dovranno andare avanti le
indagini della Procura di Milano con al centro il tesoro di Giovanni
Agnelli, 13 opere d'arte che arredavano Villa
Frescot e Villar Perosa a Torino e una residenza di famiglia a Roma,
sparite anni fa e ora reclamate dalla figlia Margherita unica erede dopo
la morte della madre e moglie dell'Avvocato, Marella Caracciolo di
Castagneto, la quale aveva l'usufrutto dei beni.
Mentre riprenderà a Torino la battaglià giudiziaria sull' eredità
lasciata dall'Avvocato, il gip milanese Lidia Castellucci, accogliendo
in parte
i suggerimenti messi nero su bianco da Margherita nell'opposizione alla
richiesta di archiviazione dell'inchiesta, ha indicato al pm Cristian
Barilli e al procuratore aggiunto Eugenio Fusco di raccogliere le
testimonianze di Paola Montalto e Tiziana Russi, entrambe persone di
fiducia di Marella Caracciolo, le quali si sono occupate degli inventari
dei beni ereditati, e di consultare tutte le banche dati «competenti»
comprese quelle del Ministero della Cultura e la piattaforma S.U.E.
(Sistema Uffici Esportazione).
Secondo il giudice, che invece ha archiviato la posizione di un
gallerista svizzero e di un suo collaboratore indagati per ricettazione
in base
alla deposizione di un investigatore privato a cui non sono stati
trovati riscontri (secondo lo 007 avrebbero custodito in un caveau a
Chiasso il
patrimonio artistico), gli ulteriori accertamenti potrebbero essere
utili per identificare chi avrebbe fatto sparire la collezione composta
da
quadri di Monet, Picasso, Balla, De Chirico, Balthus, Gérome, Sargent,
Indiana e Mathieu.
Collezione di cui Margherita ha denunciato a più riprese la scomparsa,
gettando ombre anche sui tre figli del primo matrimonio: John, Lapo e
Ginevra Elkann, e in particolare sul primogenito.
I quali «della sorte o delle ubicazioni di tali opere», hanno saputo
«riferire alcunché».
E poiché ora lo scopo è recuperarle dopo che, per via dei vari
traslochi, si sono volatilizzate, «appare utile procedere
all'escussione» delle due
donne che «si sono occupate degli inventari degli immobili» e che,
quindi, «potrebbero essere a conoscenza di informazioni rilevanti» in
merito agli spostamenti dei quadri e alla «eventuale presenza di
inventari cartacei da esse redatti».
E poi per «verificare le movimentazioni di tali opere, appare opportuno»
compiere accertamenti sulle banche dati comprese quelle del
ministero.
Infine, per effetto di un provvedimento della Cassazione, torna ad
essere discusso in Tribunale a Torino il procedimento penale, promosso
da
Margherita nei confronti dei figli John, Lapo e Ginevra Elkann per una
questione legata all'; eredità di suo padre.
Il processo era stato sospeso in attesa dell'esito di due cause in
Svizzera, ma ieri la Suprema Corte ha respinto il ricorso degli Elkann,
come
hanno fatto sapere fonti legali vicine alla loro madre, e ha stabilito
essere «pienamente sussistente la giurisdizione italiana», annullando
l'ordinanza torinese.
«Nella verifica che tali giudici saranno chiamati ad effettuare -
sottolineano gli avvocati - si dovrà tener conto anche della residenza
abituale
di Marella Caracciolo», che a loro dire era in Italia, «e della
opponibilità dell'accordo transattivo del 2004 nella successione
Agnelli, con
possibili rilevanti ripercussioni sugli assetti proprietari della
Dicembre», la società che fa capo agli eredi.
Fiat Nuova 500 Cabrio
Briosa e chic en plein air
Piacevole da guidare, la Fiat Nuova 500 Cabrio è una citycar elettrica
dallo stile elegante e ricercato. Comoda solo davanti, ha una discreta
autonomia e molti aiuti alla guida. Ma dietro si vede poco o nulla.
Quando lo dicevo io a Marchionne lui mi sfotteva dicendo che ci avrebbe
fatto un buco. Ecco come ha distrutto l'industria automobilistica
italiana grazie al potentissimo Fassino, grazie ai suoi elettori da 40
anni.
SE VUOI COMPERARE IL
LIBRO SUL SUICIDIO SOSPETTO DI EDOARDO AGNELLI A 10 euro manda email
all'editore (info@edizionikoine.it)
indicando che hai letto questo prezzo su questo sito , indicando il tuo
nome cognome indirizzo codice fiscale , il libro ti verrà inviato per
contrassegno che pagherai alla consegna.
NON
DIMENTICARE CHE:
Le informazioni
contenute in questo sito provengono
da fonti che MARCO BAVA ritiene affidabili. Ciononostante ogni lettore
deve
considerarsi responsabile per i rischi dei propri investimenti
e per l'uso che fa di queste di queste informazioni
QUESTO SITO non deve in nessun
caso essere letto
come fonte di specifici ed individualizzati consigli sulle
borse o sui mercati finanziari. Le nozioni e le opinioni qui
contenute in sono fornite come un servizio di
pura informazione.
Ognuno di voi puo' essere in grado di valutare quale
livello di
rischio sia personalmente piu' appropriato.
Senna e il mancato ingaggio in Ferrari Fusaro: ecco perché Fiorio
sbaglia
Egregio Direttore,
scrivo in riferimento all'intervista a Cesare Fiorio pubblicata
sulle vostre pagine. Desidero rettificare alcune affermazioni dello
stesso Fiorio, rettifica che riterrei necessaria a tutela della mia
persona e mio nome ma soprattutto della veridicità degli
avvenimenti. Come ho dichiarato più volte, per quanto riguarda il
mancato ingaggio di Senna - all'epoca in cui il sottoscritto era
Presidente e Amministratore Delegato della Ferrari - i fatti
raccontano come Alain Prost, ricevuto da Gianni Agnelli, si fece
garantire da quest'ultimo il rinnovo del suo contratto in Ferrari,
evidentemente incompatibile con un ingresso di Senna. La decisione
venne resa subito di dominio pubblico e non fu più possibile
ritornare sulla decisione. Faccio presente oltretutto che l'Avvocato
era il proprietario della Ferrari, e in tutti i casi confermava il
contratto non a un pilota qualsiasi.
PECCATO CHE QUANDO GA VOLEVA MARADONA E BONIPERTI DISSE NO
L'AVVOCATO LASCIO LIBERO DI DECIDERE BONIPERTI ANCHE SE GLIELO
RINFACCIO' PER SEMPRE.
18.03.24
La missione al Cairo per il memorandum: sul tavolo un pacchetto da
7,4 miliardi di euro
"Soldi per bloccare i migranti in Egitto" Meloni e Von der Leyen
oggi da Al Sisi Ilario Lombardo
Inviato a Il Cairo
«L'Unione europea e l'Egitto continueranno a cooperare per sostenere
gli sforzi dell'Egitto nell'ospitare i rifugiati». Neppure le
cautele del verbo diplomatico di questo passaggio, infilato verso la
fine della bozza delle dichiarazioni congiunte tra Bruxelles e Il
Cairo, riescono a nascondere il vero obiettivo della missione che
oggi riunirà in Egitto, di fronte al presidente Abdel Fattah Al Sisi,
la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen e la
premier italiana Giorgia Meloni.
Soldi uguale stabilità, uguale meno partenze di migranti:
l'equazione è la stessa nei Paesi del Nord Africa affacciati sul
Mediterraneo, tutti più o meno schiacciati da regimi autocratici.
L'Egitto è un gigante infragilito con cui l'Ue deve fare i conti al
più presto. Non c'è solo l'Italia a temere la bomba economica e
sociale su cui è seduto Al Sisi. Che sia un timore diffuso lo prova
anche la composizione della delegazione europea in visita oggi a Il
Cairo. Assieme a Von der Leyen e Meloni ci saranno Alexander De Croo,
premier belga e presidente di turno dell'Ue, il premier greco
Kyriakos Mitsotakis e il presidente cipriota Nikos Christodoulidis,
due Paesi che hanno grossi interessi convergenti con l'Egitto e in
chiave anti-turca nella zona orientale del Mediterraneo.
Ci sarà anche il cancelliere austriaco Karl Nehammer, presenza non
scontata di leader di un Paese nordeuropeo, confinante e spesso in
polemica con l'Italia. Il capitolo immigrazione è appena un
paragrafo, al termine delle dichiarazioni che oggi saranno cofirmate
da Al Sisi, e dove si parla di «sostegno finanziario» che Bruxelles
continuerà a «fornire» per sostenere i programmi legati alla
migrazione: 7,4 miliardi secondo il programma Ue. Ma in realtà il
tema fa da sfondo agli altri obiettivi e alle preoccupazioni
italiane, a partire dalla «stabilità economica».
L'Egitto è un Paese piegato dall'inflazione e con un debito
gigantesco. Fattori complicati dalla geografia. Perché è anche
incastonato tra la Libia smembrata, il Sahel dei golpe a catena e
quella Striscia di terra sanguinante che è Gaza. Sono i tre fronti
che preoccupano il governo italiano. Dal Sud, quasi tutti dal Sudan,
sono arrivati 9 milioni di sfollati. Come la Turchia, l'Egitto da
Paese di transito si è trasformato in Paese di destinazione. I
prezzi salgono, il grano scarseggia, il malessere sociale vola: una
realtà pronta deflagrare se a questo disagio si somma il rischio che
i palestinesi prigionieri a Rafah si riversino nel territorio
egiziano. Un fronte, quello che ha incendiato il Medioriente,
aggravato dagli Houthi, i ribelli yemeniti affiliati a Teheran che a
colpi di missili tengono in scacco il corridoio di Suez. Meloni non
nutre dubbi sulla strategia di stabilizzare il Nord Africa,
finanziando i regimi. Anzi, a Palazzo Chigi si mostrano i dati degli
sbarchi nei primi tre mesi dell'anno, crollati del 67% rispetto allo
stesso periodo del 2023: da 19.937 si è scesi a 6.562. Cifre che non
frenano Elly Schlein: «Trovo gravissimo - attacca la segretaria del
Pd - che Von der Leyen voli in Egitto con Meloni per promettere
risorse al regime di Al Sisi in cambio dello stop alle partenze».
Stesso patto firmato con Kais Saied, la scorsa estate a Tunisi. A
nulla è valsa la risoluzione dell'Europarlamento contro i soldi a un
autocrate che soffoca i diritti umani. Né è pesato l'appello di
Amnesty International ai leader che oggi, in brevi bilaterali,
incontreranno Al Sisi. Gli interessi di Stato vincono anche sul tabù
diplomatico dell'omicidio del ricercatore Giulio Regeni e dei
depistaggi del Cairo. —
il depistaggio
Seck e il video hot la Cassazione: "Il pm va sospeso" La procura generale di Cassazione ha chiesto al Csm la
sospensione dalle funzioni del pm di Torino Enzo Bucarelli, indagato
dalla procura meneghina per depistaggio e frode processuale. Il capo
di incolpazione disciplinare nei confronti del pm Enzo Bucarelli è
collegato alla vicenda di revenge porn che ha visto come
protagonista il giocatore del Torino Demba Seck. Per l'accusa,
Bucarelli avrebbe cercato di influenzare il procedimento penale con
una serie di irregolarità durante le fasi della perquisizione al
calciatore che sarebbe stato nei fatti avvertito di quanto stava per
accadere. Avrebbe, ancora, fatto cancellare i filmati dal cellulare
e dalla cronologia delle chat davanti a due uomini della polizia
giudiziaria. «Tengo ad affermare con forza la assoluta innocenza –
rispetto ai gravi fatti contestatigli – di un magistrato che ha
sempre onorato il suo ruolo e la sua funzione - spiega l'avvocato
Michele Galasso, legale di Bucarelli - così come in tale vicenda.
Non si può ignorare che egli, "prima" di disporre la cancellazione
della trasmissione dei video intimi a terzi da parte del calciatore,
si è premurato di cristallizzarne la prova in un verbale fidefacente»
SISTEMI CINESI: C’è un dato che nei giorni scorsi è passato
un po’ in sordina. Nel 2023, ben oltre un terzo delle indagini della
Procura europea (Eppo) sulle frodi Iva negli Stati comunitari ha
riguardato solo l’Italia. Il danno stimato è di 5,2 miliardi di euro
rispetto ai 6,3 registrati complessivamente in tutti gli altri
ventuno Paesi aderenti all’istituzione investigativa.
Ma è guardando l’andamento storico che l’alert assume una rilevanza
di politica fiscale interna: negli ultimi tre anni i procedimenti
sull’Iva sono schizzati di oltre il 157%, mentre il valore è esploso
del 300%, con una impennata fra il 2022 e il 2023. […]
Il riscontro è negli accertamenti in corso di istruzione in diversi
uffici giudiziari italiani: sta emergendo un «sistema» criminale che
ha saputo interpretare le esigenze dei piccoli e medi evasori,
spesso di «necessità», quelli che non possono permettersi le
complesse operazioni di finanza sporca alla “Panama Papers”.
Dietro queste modeste realtà societarie, prive di grosse risorse e
lontane dall’immagine del «grande evasore», si sono sviluppate delle
specie di “agenzie di servizi” che si occupano del cosiddetto
underground bank, ovvero un sistema di banca occulta. Sono gestite
da ramificate organizzazioni criminali che a prezzi moderati offrono
evoluti schemi di finanza illecita fino a qualche tempo fa
prerogativa esclusiva di realtà economicamente più strutturate in
grado di pagare abili professionisti.
In Lombardia, Emilia-Romagna e Marche è già stata svelata
l’operatività di queste centrali, che propongono «multipli
pacchetti» per aggirare le normative fiscali e antiriciclaggio, a
seconda dell’esigenza di questi piccoli imprenditori senza troppi
scrupoli.
A Milano, sotto la gestione di soggetti cinesi, si concentra il
maggior numero di operazioni «cartolari», con fatture false e soldi
sporchi che interessano partite Iva di tutta Italia. Attività
illecite dello stesso tipo sono registrate anche in altre regioni,
parte sempre in mano a cinesi, parte a italiani, alcuni dei quali in
connessione con ‘ndrangheta e camorra.
L’offerta — destinata a lavorare micro-operazioni a partire da
15-20mila euro — è allettante: con un unico colpo è possibile
costituire fondi neri, abbattere l’imponibile Iva e riciclare soldi
provento di reato. Il tutto pagando una «provvigione» che può
variare fra il 5 e 15% dell’ammontare del capitale.
Valori moderatamente bassi che non devono trarre in inganno: nelle
Marche, per esempio, in due anni sono stati movimentati circa 2
miliardi di euro, mentre in Emilia-Romagna sono state emesse e
totalmente utilizzate 1.141 fatture false. Ciò perché si tratta di
“servizi” cui beneficiano contemporaneamente svariate società in
tutta Italia, che movimentano capitali tracciati ma basati su false
fatture e capitali illeciti provento dell’evasione. Una massa di
denaro che si mischia in un grande calderone per poi dividersi e
prendere vie differenti a seconda dell’obiettivo.
Il Sole 24 Ore ha analizzato l’andamento di diverse indagini,
individuando per tutte queste “agenzie” uno schema unico low-cost,
reso possibile dalle cartiere — cioè società puramente formali, di
carta appunto, che non producono alcun bene — presenti sia in Italia
che all’estero. In alcuni casi sono create ad hoc, ma in altri
nascono pulite per poi essere sottratte con violenza a imprenditori
in difficoltà: sono queste quelle preferite, perché riescono meglio
a mimetizzarsi grazie alla precedente storia societaria, connotata
da regolarità fiscale e contributiva. Il loro unico scopo è di
emettere fatture per operazioni inesistenti.
Lo schema più diffuso sembra quasi “brevettato”. È strutturato in
modo da assicurare due tipologie di richieste, come si può osservare
dal grafico: chi vuole crearsi un tesoretto in nero, pagando meno
tasse, e chi vuole riciclare il denaro sporco.
Le cartiere italiane rilasciano alle imprese una fattura falsa. Le
imprese bonificano la cifra stabilita, simulando l’acquisto di un
bene o servizio in realtà inesistente.
Dopodiché la cartiera restituisce i soldi in contanti all’impresa,
che crea un fondo nero ed ha una base documentale per abbattere
l’imponibile fiscale (costituisce Iva credito). La cartiera, invece,
trattiene la sua commissione del 5-15% per il lavoro svolto.
Parallelamente, altre imprese hanno necessità di riciclare capitali
provenienti da attività illecite, come precedenti evasioni fiscali,
ma non di rado il “sistema” è sfruttato da trafficanti di droga. In
questo caso il denaro viene consegnato in contante alle stesse
cartiere.
Inizia così una sorta di cocktail di capitali: il bonifico
tracciato, frutto della prima attività, serve a giustificare e
coprire l’ingresso dei capitali sporchi. Da quel momento il processo
di «ripulitura» prosegue nei Paesi dell’Est, attraverso la
simulazione di un nuovo acquisto presso una nuova società cartiera
che generalmente ha sede in Bulgaria o in Ungheria (operazioni anche
in Polonia, Lituania e Irlanda), collegata attraverso qualche
prestanome alla cartiera italiana.
Da lì il denaro può rientrate subito in Italia o, come dimostrato,
può ripartire per la Cina. In entrambi i casi si segue lo stesso
meccanismo: un ulteriore acquisto finto nei confronti di un’altra
cartiera collegata allo stesso giro.
Il passaggio finale è ancora oggetto d’indagine. Ma da primi
riscontri, parte dei capitali resta in Cina e parte rientra in
Italia per poi tornare pulito nella disponibilità delle imprese.
Anche per questa operazione l’organizzazione intasca una provvigione
tra il 5 e il 15 per cento. […]
17.03.24
"Impastato figura divisiva, era schierato a sinistra" Gli studenti
dicono no all'intitolazione di una scuola
Gli studenti non vogliono che la loro scuola porti il nome di
Peppino Impastato: e con una maggioranza quasi bulgara, 977 no su
1335 votanti, il 73,2%, affermano che il militante di Democrazia
proletaria ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978 è «divisivo», in
quanto targato politicamente. L'istituto è il liceo scientifico di
Partinico, 50 chilometri da Palermo, intitolato a Santi Savarino, un
senatore del Regno e scrittore che firmò le leggi razziali: da mesi
il possibile cambiamento del nome è al centro di un dibattito che ha
coinvolto istituzioni locali, consiglio d'istituto, il Comune, la
prefettura, l'ufficio scolastico regionale. La scuola in un primo
momento aveva insistito per Impastato, i commissari prefettizi che
avevano retto il Comune (sciolto per mafia) avevano detto di sì, ma
la giunta di centrodestra subentrata alla gestione commissariale si
era poi opposta. Il no dei ragazzi adesso spiazza anche il fratello
del coraggioso giornalista di Radio Aut, Giovanni Impastato:
«Peppino – dice – è un personaggio molto amato dai giovani. Forse
gli studenti non conoscono la storia, ma non prendano scuse. Dicano
con chiarezza che preferiscono il nome di un razzista e fascista». I
ragazzi hanno però firmato una lettera in cui si dicono contrari
alla vecchia decisione e citano il sondaggio svolto fra di loro. In
realtà la scelta contraria a Impastato non è automaticamente a
favore di Savarino: due le personalità indicate in precedenza,
Rosario Livatino, il giudice ragazzino ucciso nel 1990 da Cosa
nostra, e l'ex sindaco Gigia Cannizzo, di sinistra, nota per
l'impegno antimafia e morta un paio d'anni fa. C'era pure Rita Levi
Montalcini, poi è arrivatoImpastato. Ora il plebiscito negativo:
«Non si è tenuto conto delle nostre proposte - dicono gli studenti
-. Non abbiamo nulla contro Impastato anche se avremmo preferito una
persona meno divisiva, ma non ci piace il metodo».
16.03.24
ERRORI GRAVI: Stupro di
gruppo
Sei anni in 1° grado ma la Figc lascia giocare Portanova
Manolo Portanova rischiava fino alla radiazione, ma la Corte
federale d'appello ha deciso di sospendere il giudizio «sino alla
formazione del giudicato in sede penale». Il calciatore del Genoa,
in prestito alla Reggiana, può quindi continuare a giocare in attesa
che si concluda l'iter penale che dal 6 dicembre 2022 lo vede
condannato in primo grado a sei anni di reclusione per violenza
sessuale di gruppo.
da un calciatore
Video hard rubato e diffuso, la Roma licenzia la vittima
Licenziata dall'As Roma a causa di un video hard, in cui era in
atteggiamenti intimi con il fidanzato, rubato he sarebbe stato
sottratto e diffuso da un calciatore della Primavera che aveva
chiesto in prestito il cellulare. L'impiegata, vittima, ha perso il
posto di lavoro con la motivazione dell'incompatibilità ambientale.
Nessun provvedimento per il giocatore, che ora rischia una denuncia
per revenge porn. —
15.03.24
L'Ue trova l'accordo per sostenere Kiev: un fondo da 5 miliardi Dopo settimane di trattative, i 27 governi europei hanno
trovato un'intesa per rifinanziare il fondo che servirà a fornire
armi e munizioni all'Ucraina. All'interno dello strumento europeo
per la pace (Epf), sin qui usato per rimborsare gli Stati membri che
inviano sostegno militare a Kiev, verrà istituito un fondo di
assistenza ad hoc per l'Ucraina che per il 2024 avrà una dotazione
di 5 miliardi. «Ce l'abbiamo fatta – ha esultato dagli Stati Uniti
l'Alto Rappresentante Josep Borrell – e il nostro messaggio è
chiaro: sosterremo Kiev con tutto ciò che è necessario per far sì
che prevalga».
L'idea iniziale di Borrell prevedeva di istituire un fondo
quadriennale da 20 miliardi, ma il piano era stato subito
accantonato per via delle resistenze di Viktor Orban. Eppure, anche
il progetto ridimensionato su base annuale ha incontrato parecchie
resistenze, soprattutto da parte di Germania e Francia. Berlino
aveva chiesto un sistema per tener conto degli aiuti forniti in
forma bilaterale nel calcolo della quota che ogni Paese dovrà
versare. Il governo francese ha invece insistito per inserire la
clausola "buy european", in modo da fornire materiale militare
prodotto esclusivamente dall'industria bellica europea.
Il compromesso raggiunto – grazie a una mediazione di Italia e Paesi
Bassi – va nella direzione indicata da Parigi, ma prevede una certa
flessibilità. Per l'acquisto del materiale militare verrà data
priorità alla produzione europea, ma nel caso in cui non fosse
possibile soddisfare gli ordini si potrà fare ricorso anche ad altri
mercati. L'intesa raggiunta al tavolo degli ambasciatori sarà
approvata lunedì prossimo dai ministri degli Esteri, a pochi giorni
dal Consiglio europeo del 21-22 marzo
Marcello Gandini: l'uomo che disegnò il futuro
Con la Countach, creò la prima supersportiva
dell’era moderna: ecco i suoi ricordi e le sue
idee sull’elettrificazione
Si prova sempre una certa emozione,
oltre a un'enorme quantità di rispetto,
quando si ha l'occasione d'incontrare i
grandi della storia dell'automobile. E Marcello
Gandini, che ci attende nella sua
antica casa, là dove l'hinterland
torinese si fa collina e prende un'aria
come di campagna, rientra di sicuro
nella schiera non dei grandi, ma dei
grandissimi. Dalla sua matita sono
scaturiti infatti autentici capolavori
della storia del design, come le
Lamborghini Miura e Countach e la Lancia
Stratos Zero, per citarne soltanto
alcuni, ma anche modelli a grande
tiratura industriale, dalla Mini 90/120
alla Renault Supercinque, fino alla
Citroën BX. Lo ascoltiamo, perciò, in un
silenzio interrotto soltanto dalle
poche, indispensabili domande.
Il mondo dell'auto sta vivendo una
grande rivoluzione: secondo lei, che
direzione sta prendendo? È molto difficile definire una
chiara direzione: l'evoluzione che c'è
stata in passato e che è durata ormai
più di un secolo non ci porta
chiarimenti sul senso di marcia
intrapreso. Il fenomeno, secondo me, è
legato più all'utilizzo che si fa
dell'auto che alla sua forma e alle sue
caratteristiche. Di norma è lecito,
conoscendo il passato, farsi un'idea di
come un fenomeno si è mosso e, di
conseguenza, di quale sarà il suo
futuro: oggi, invece, è più difficile,
perché sono subentrate novità, come la
guida autonoma e l'impiego dei motori
elettrici per la propulsione, che creano
una frattura chiaramente visibile. Dopo
un secolo in cui l'automobile, pur
cambiata moltissimo, è rimasta
sostanzialmente la stessa, bisognerà
vedere che cosa ci sarà in seguito a una
cesura così netta: un precipizio, una
risalita, un cambiamento profondo...
Anche perché l'automobile è legata a un
elemento piuttosto strano, nel contesto
della società: costituisce una passione,
a differenza – per dire – di un
frigorifero o di un'aspirapolvere. Pur
essendo un oggetto complesso dal punto
di vista meccanico, ha un'anima, che
viene percepita da tutti noi, chi in una
misura maggiore e chi in una minore.
Persino nei bambini più piccoli c'è un
istinto che li porta ad amare l'auto, a
giocare con le macchinine. Non si
capiscono bene le ragioni di questa
passione, ma io l’attribuisco, almeno in
parte, a un aspetto fenomenale, che non
viene quasi mai riconosciuto: il fatto
che l’auto è strettamente connessa con
l’unica invenzione dell’umanità non
esistente in natura, la ruota. La nave
esisteva già, sotto forma di tronco
galleggiante; l'aereo pure, nelle
sembianze di milioni di uccelli;
l'elettronica anche, perché il nostro
stesso corpo è costituito da elettroni.
La ruota, invece, no. Questo produce un
fascino che non esiste in nessuno degli
altri oggetti. Già il bambino che gioca
con una macchinina utilizza questa
invenzione, frutto dell'ingegno
dell'uomo, subendone l'attrazione. Da
qui, la nascita di una passione che va
ben oltre l'utilizzo di questa
formidabile scoperta ed è legata al
fatto che, oggi come nel passato, l'auto
è qualcosa che sta a metà tra il tappeto
volante e la casa.
Ci spiega il senso di questa dicotomia? Il fatto è che l'auto dà, al tempo
stesso, il dono dell'ubiquità e il senso
della protezione. Permette di essere
facilmente dappertutto in modo autonomo,
ma offre anche la sensazione di essere
protetti dal mondo esterno. E tutto
questo non potrà cambiare: la passione
rimarrà, che derivi o meno dall'idea del
tappeto volante o dall'invenzione della
ruota. Bisognerà, però, capire come le
nuove tecnologie si metteranno in
relazione con quanto ora già esiste: il
problema maggiore, per esempio, non è
realizzare una vettura a guida autonoma,
ma farla convivere con quelle
tradizionali.
Dal punto di vista formale, continuiamo
a vedere auto elettriche molto simili a
quelle con motori a combustione: non
sembra di assistere a uno sforzo
creativo particolare. Questo è verissimo: ci si
aspetterebbero cambiamenti più evidenti
e più visibili. Ho avuto occasione di
provare brevemente una Tesla e le
sensazioni sentite erano assolutamente
identiche a quelle che si avvertono su
un'automobile tradizionale: una forte
accelerazione, un rumore uguale, perché
già a 100 km/h non si avvertono
differenze, e nessuna diversità nelle
percezioni che si sentono a bordo. Tutto
sommato, significa che, per il momento,
stiamo probabilmente perdendo
un’occasione.
Forse bisognerà aspettare una vettura
pensata da Google o dalla Apple, cioè da
aziende che non hanno una storia
consolidata nella produzione di
automobili con caratteristiche
tradizionali… Lo penso anch'io, ma credo anche che
questo forte cambiamento dovrà essere
comunque sottolineato, sia all'esterno
sia all'interno dell'auto, da sensazioni
per quanto possibili differenti. Poi,
certamente, ci sono anche molte norme
che impediscono di concepire oggetti
completamente rivoluzionari. Oggi, però,
abbiamo una grande libertà, impensabile
in passato, per esempio per tutto quello
che riguarda i fari. Un tempo c'erano
limiti vincolanti anche alle dimensioni,
in particolare per le vetture pensate
anche per l'esportazione negli Stati
Uniti; ai giorni nostri, invece, da
questo punto di vista i designer hanno
molta più facoltà di portare innovazioni
profonde. Ho l'impressione, comunque,
che manchino ancora delle auto che, nel
loro insieme e senza ricorrere ai
dettagli, sappiano suscitare sensazioni
particolari. La percezione di qualcosa
di profondamente nuovo dovrebbe essere
trasmessa già a partire dalla forma e
dal tipo di vita possibile a bordo;
l'interno di un'auto è fatto di spazio,
di luce, di contatti visivi e tattili.
Ci dovranno essere dei cambiamenti che
aiutino la percezione di questa
innovazione.
Oggi si parla molto anche del fenomeno
chiamato restomod, cioè del restauro di
modelli classici, effettuato applicando
tecnologie moderne, che ne dovrebbero
migliorare le caratteristiche, estetiche
e tecniche. Che cosa pensa di questa
tendenza? Per mestiere e vocazione, sono più
portato a cercare di fare ogni volta
qualcosa di diverso. Volendo comunque
trovare un senso a questo tipo di
operazioni, direi che sono il sintomo di
un legame profondo con un passato tutto
sommato recente, percepito come
importante da coloro che, spesso, lo
hanno vissuto personalmente.
Ci sono modelli, nella storia dell'auto,
destinati a lasciare un segno perenne? Secondo me, le auto che avranno
ancora un senso e un'immagine
particolare nel futuro sono quelle che
già li avevano al momento della loro
presentazione. Ci possono anche essere
modelli diventati importanti a causa dei
numeri raggiunti e della loro
diffusione, com'è il caso della
Volkswagen Maggiolino, ancora oggi
espressione di un gusto particolare, che
ha indotto la Casa a riproporla in
chiave moderna. Ma di altre auto,
invece, si è capito già al loro lancio
che erano destinate a lasciare un segno
profondo: l'avrei detto, per esempio,
sessant'anni fa per la Citroën DS.
Subito dopo averla vista, senza dover
aspettare mezzo secolo: era la macchina
che ognuno avrebbe voluto realizzare, un
simbolo di completa libertà progettuale.
Non è tanto l’oggetto in sé che
m’interessa, pur con tutti i suoi
meriti, ma il fatto che sia stato
realizzato per soddisfare il desiderio
personale di chi l’aveva concepito. Non
c'erano alle sue spalle, come spesso
oggi accade, considerazioni di marketing
o di mercato, ma la tensione creativa di
Flaminio Bertoni, una persona che è
riuscita a imporre, con il suo forte
carattere, scelte che mettevano a
rischio persino la solidità economica
dell'azienda. Ancora oggi credo che la
DS, anche per tutte le sue innovazioni
tecnologiche, dalle sospensioni al
cambio automatico, rappresenti un'idea
di libertà d'espressione molto
importante.
UNA LISTA DI CAPOLAVORI
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Nato a Torino nel
'38, la
straordinaria
carriera del
designer Marcello
Gandini inizia nel
1965, quando viene
assunto da Nuccio
Bertone. Leggi il
nostro
approfondimento
Nella sua lunga carriera ha disegnato
auto, moto, camion, persino un
elicottero: che differenze ci sono
nell'applicare la propria arte alle
diverse modalità di trasporto? Credo che la cosa importante sia
sapere che cosa si vuole fare: capire,
cioè, qual è il problema al quale si
deve trovare una soluzione. E quanto più
il problema è chiaro, tanto più è
facile, o perlomeno probabile, riuscire
a trovare una soluzione interessante e
adeguata. Molto spesso, nella mia
esperienza, mi è capitato di collaborare
con aziende delle quali era molto
difficile capire che cosa volessero: era
importante assecondare il pensiero del
capo del marketing o del prodotto per
cercare di far accettare un prototipo o
una soluzione. Lo stilista, per
tantissimi anni e in tantissime
occasioni, ha dovuto adeguarsi a quello
che pensava che i capi avrebbero voluto
(anche se a volte non sapevano neppure
di volerlo…). Trovo che le cose più
riuscite, come appunto la DS, siano
invece nate dalla libertà assoluta; io
stesso ne ho fatte delle piccole
esperienze, con auto nate senza vincoli
e altre invece costrette in schemi e
limiti decisi da altri.
Che cosa è riuscito a creare con
maggiore libertà? Soprattutto le macchine sportive, in
cui era più facile godere di autonomia
rispetto alle vetture tradizionali, alle
berline da produrre in grandi numeri. È
vero, però, anche il contrario: la
libertà ha permesso anche la nascita di
auto molto brutte…
Se pensa a due dei suoi capolavori, la
Miura e la Countach, a quale si sente
maggiormente legato? Sono due episodi abbastanza diversi,
anche se entrambi avevano
un'impostazione di partenza particolare.
La Miura era una macchina moderna, che
agli occhi della gente di quell'epoca
risultava aggressiva, anche un po'
violenta, ma pur sempre con qualche
dolcezza, che non si ritrovava invece
nella Countach. Tant'è vero che
quest'ultima venne inizialmente non dico
rifiutata, ma almeno poco capita: ci è
voluto qualche anno, prima che fosse
apprezzata, anche dalle persone
competenti. Erano, dunque, fenomeni
differenti, uno con l'idea di collegarsi
in qualche modo al passato
modernizzandolo, l'altro con
l'imperativo di essere assolutamente
diverso, sia pure conservando un senso.
La Countach ha comunque segnato un prima
e un dopo nella storia delle automobili
supersportive… Mi rendo conto che sia un punto di
riferimento e che lo sia stato fin
dall'inizio, ma la mia esigenza in quel
momento era un'altra: la Miura era stata
presentata da pochi anni e fare un'altra
macchina così significava ucciderla, per
cui bisognava pensare qualcosa che non
avesse nulla a che fare con quel
modello. Se vogliamo, è stato proprio
questo il filo conduttore del progetto.
La sua forza erano le novità, non
soltanto una diversità fine a se stessa.
Che ricordi ha dei tanti personaggi con
cui ha lavorato nel corso della sua
carriera? Iniziamo da Nuccio Bertone? Ne conservo un ricordo molto
piacevole: lo conobbi ancora prima di
andare a lavorare da lui. Aveva visto le
mie prime opere e aveva deciso di
assumermi subito, poi la cosa restò in
sospeso per un paio di anni; dimostrò un
coraggio spaventoso nel lasciare a un
ragazzino come me totale autonomia nella
realizzazione dei progetti. Potevo fare
davvero quello che volevo e non era
scontato, perché anche allora un
prototipo costava cifre piuttosto
elevate. Alla base, c'era un coraggio
industriale enorme, che riconosco a
Bertone; l'unico problema che ebbi con
lui fu il giorno in cui lasciai la sua
azienda…
Che persona era, invece, Ferruccio
Lamborghini? Ho avuto un po' meno occasione di
conoscerlo rispetto a Bertone, però
avevo l'impressione che avesse il
desiderio di essere migliore degli altri
in tutto quello che faceva, che non è
poi una brutta cosa… Voleva che i suoi
trattori fossero i migliori e che lo
fossero pure le sue automobili. Era una
persona particolarmente interessante: ho
avuto l'opportunità d'incontrarlo anche
quando ormai si era ritirato nella sua
azienda agricola per produrre vino,
sentendo il fascino di un personaggio
differente da come di solito ci
s'immagina un industriale di successo.
Era, nel senso migliore del termine, un
"contadino" più in gamba degli altri.
Come furono i rapporti con Giampaolo
Dallara e Paolo Stanzani, gli altri
tecnici che collaborarono alla
realizzazione della Miura? Nacque subito un'amicizia con loro,
che poi è durata nel tempo. Quando ebbi
a che fare con la Lancia, mi adoperai
perché Dallara potesse collaborare per
risolvere i problemi che la Casa
incontrava con la Stratos. C'era una
buona identità di vedute, anche perché
avevamo una certa conoscenza
dell'automobile: io non ero un esperto,
ma, nei primi anni di attività, avevo
iniziato occupandomi di meccanica, non
di carrozzerie. Quando presi la strada
della forme e dello stile, le conoscenze
tecniche che avevo maturato mi sono
servite e questo mi ha aiutato ad avere
sempre un buon rapporto con gli
ingegneri. Disporre di questo tipo di
cultura permette di fare delle riunioni
utili con… se stessi, per tenere conto
di tutti gli aspetti di una
progettazione.
Nella sua carriera ha collaborato in più
occasioni con Alejandro De Tomaso: che
personaggio è stato? Con lui ebbi una collaborazione
prolungata, anche se inizialmente fui
molto cauto per la sua fama di
persona... un po' strana. Rifiutai
diverse proposte agli inizi, quando era
da poco arrivato in Italia e si era
interessato alla Ghia e alla Vignale.
Quando ormai lavoravo da solo già da
parecchio tempo, diciamo alla fine degli
anni 80, un collaboratore di De Tomaso
che conoscevo bene mi convinse a provare
a realizzare una macchina per lui e
acconsentii a lavorare alla Maserati
Quattroporte. Ci sono poi state
parecchie altre vetture, qualcuna
prodotta, altre no, ma i miei rapporti
con lui furono ottimi, nonostante avesse
fama di uomo difficile. Per convincermi
a fare un certo lavoro che, in quel
momento, non mi interessava o per il
quale non avevo abbastanza tempo, arrivò
a inviarmi un assegno prima ancora che
accettassi di collaborare…
Oggi sta ancora lavorando? E su quale
tipologia di progetti? Sì, anche se oggi le cose sono
cambiate moltissimo, quindi da diversi
anni, più che al design, ormai
appannaggio degli enormi centri stile
delle case automobilistiche, mi dedico
alla meccanica e, soprattutto, alla
costruzione delle vetture, per la quale
ho depositato dei brevetti che ho poi
venduto. Sono soluzioni relative
soprattutto alla facilità di produzione
e alla riduzione del numero delle parti
e dei tempi necessari, che portano di
conseguenza alla diminuzione delle
dimensioni di uno stabilimento,
abbassando il numero dei pezzi
indispensabili per realizzare un'auto.
Si tratta di una grossa semplificazione
produttiva, dunque.
14.03.24
Il Cremlino riesce a unire i rivali francesi Le Pen solidale con
Macron dopo gli insulti
È un sostegno inaspettato quello ricevuto da Macron, che dinnanzi
agli attacchi di Medvedev ha visto correre in suo soccorso
nientemeno che la storica rivale Marine Le Pen. A far ribollire il
sangue patriottico della leader del Rassemblement National è stato
il tweet in francese dell'ex presidente russo e braccio destro di
Putin, che ha commentato la prossima visita di Macron in Ucraina:
«Raccomando al suo bureau di prendere diverse paia di boxer! Avrà un
odore molto forte... », ha scritto Medvedev, definendo Macron un
«fifone zoologico». Frasi «inaccettabili», per Le Pen, secondo la
quale «la ricerca della pace non può che essere indebolita da questa
politica della provocazione». Anche il suo delfino Bardella,
favorito alle prossime europee, ha definito le parole di Medvedev,
«volgari e indegne». Ma sulla guerra il Rassemblement National resta
distante da Macron e ha annunciato l'astensione al voto parlamentare
sul sostegno a Kiev, anche se simbolica perché non vincolante
SCELTE POLITICHE:
Zooprofilattico bufera sul direttore "Truffa e peculato quand'era a
Terni"
irene famà
Peculato, truffa e danneggiamento. Ecco riassunti i guai giudiziari
in cui è incappato Claudio Ghittino, veterinario torinese dalla
scorsa estate direttore dell'istituto zooprofilattico di Piemonte,
Liguria e Valle d'Aosta.
La vicenda risale ad episodi tra il giugno 2013 e il novembre 2022,
quando il professionista era in servizio all'istituto
zooprofilattico di Umbria e Marche come direttore della struttura
complessa della sezione territoriale di Terni. Lì, secondo la
procura, avrebbe fatto un utilizzo spavaldo delle apparecchiature e
degli spazi.
Per i suoi studi e i suoi interessi si sarebbe «stabilito
abusivamente» nella sede dell'istituto, come se fosse casa sua. In
particolare, si legge nella richiesta di rinvio a giudizio firmata
dal pubblico ministero Raffaele Pesiri, il faro degli inquirenti di
Terni si concentra sull'utilizzo di tre locali dello stabile: la
«stanza 207 "Entomologia", dedicata allo studio degli insetti, e la
stanza 208 «Ufficio del dirigente con bagno annesso». Da qui l'uso
«abusivo di elettrodomestici e forniture di gas, luce ed acqua». E
ancora. Secondo le accuse, Ghittino si sarebbe servito delle
«apparecchiature, dei materiali e delle utenze, fuori e durante
l'orario di lavoro» per studi «privati su scarafaggi e scarabei».
Il 23 novembre 2022, tornato in istituto dopo alcune faccende, trova
la stanza 207 chiusa. Secondo le accuse, il professionista prima
avrebbe cercato le chiavi, chiedendo ai colleghi presenti e agli
addetti alle pulizie. Poi avrebbe forzato «la porta e il
chiavistello» per riuscire ad entrare e a recuperare alcuni prodotti
alimentari.
C'è poi la questione della truffa. Più complessa e delicata, ruota
tutta intorno all'utilizzo del «servizio di pronta disponibilità».
Quello che garantisce in istituto la presenza di un dirigente in
caso di emergenza. Ghittino, si legge negli atti, si sarebbe
«timbrato in servizio per 52 giorni in maniera del tutto
arbitraria». Senza aver ricevuto alcuna chiamata d'emergenza. Per
accumulare ore da recuperare in un secondo momento. Il bilancio
della procura? «Assenza non giustificata dal reparto per 65 giorni»
e un danno all'amministrazione che si aggira intorno ai 29mila euro.
Ghittino, ora a Torino dove aveva iniziato la sua carriera nella
rete degli Zooprofilattici nel 1989 come responsabile del
Laboratorio di Ittiopatologia ed esperto referente del Centro per lo
studio delle malattie dei pesci, respinge ogni accusa. «Contesteremo
ampiamente e diffusamente le varie imputazioni e chiederemo
l'assoluzione», dichiara il suo difensore, l'avvocato Siro
Centofanti del foro di Perugia. Il legale annuncia battaglia.
«All'udienza in programma il 3 aprile respingeremo le accuse con
motivazioni diversificate a seconda delle imputazioni».
13.03.24
I medici di Gaza "Spogliati e picchiati dagli israeliani"
Un video diffuso dalla Bbc mostra un gruppo di palestinesi detenuti
dai soldati dopo un raid all'ospedale Nasser costretti a spogliarsi.
Tra loro anche dei medici che hanno denunciato di essere stati
picchiati e umiliati. Immagini «scioccanti», secondo il ministro
degli Esteri britannico David Cameron, che ha chiesto conto
dell'accaduto alle autorità dello Stato ebraico. —
L'ESEMPIO DEI PARTIGIANI ITALIANI:
Il Cremlino assicura di aver
respinto gli attacchi, ma i paramilitari russi che combattono dalla
parte di Kiev raccontano una versione dei fatti del tutto diversa:
sostengono di essere penetrati in territorio russo e di aver preso
il controllo di Lozovaya Rudka e Tyotkino, due paesini non lontani
dalla frontiera. Difficile dire come stiano in effetti le cose,
quante siano le eventuali vittime. Entrambe le fazioni proclamano di
aver inflitto pesanti perdite al nemico.
Di sicuro c'è che gli attacchi sembrano essere stati programmati per
la vigilia delle presidenziali russe. Non solo questi assalti via
terra, ma anche il massiccio raid di droni con cui - stando alle
stesse autorità russe - l'esercito ucraino avrebbe colpito in
profondità in territorio russo, scatenando un incendio in una grande
raffineria di petrolio a centinaia di chilometri dal confine. Mosca
denuncia che un drone avrebbe centrato un edificio comunale di
Belgorod, nella cui regione sarebbero rimasti feriti almeno 10
civili e sarebbe morta una guardia della difesa territoriale. In
serata una terribile notizia è arrivata dalla città ucraina di
Kryvyi Rih, dove un attacco missilistico russo ha colpito due
condomini uccidendo almeno tre civili e ferendone 36, tra cui 7
bambini.
«Schede e seggi elettorali in questo caso sono una finzione. Solo
con le armi in pugno si può davvero cambiare la propria vita in
meglio», tuona il sedicente "Battaglione Siberiano". Oltre a questo
gruppo, all'assalto oltre il confine avrebbero partecipato altre due
formazioni paramilitari formate da russi schieratisi con Kiev e che
già in passato hanno rivendicato attacchi in territorio russo: la
"Legione della Libertà della Russia" e il "Corpo dei volontari
russi", quest'ultimo almeno in parte composto da estremisti di
destra. «Come tutti i nostri concittadini, sogniamo una Russia
libera dalla dittatura di Putin. (...) Toglieremo la nostra terra al
regime, centimetro per centimetro», dichiara in un video un
paramilitare della "Legione della Libertà della Russia".
Le forze ucraine affermano di non avere nulla a che fare con le
incursioni, ma diversi esperti ritengono che ciò sia impossibile.
Secondo l'analista Mark Galeotti, i paramilitari coprono diverse
fasce dello spettro politico e sono uniti dalla loro avversione nei
confronti di Putin. «Ma allo stesso tempo - aveva spiegato l'anno
scorso alla Reuters - dono controllati dall'intelligence ucraina. Si
affidano agli ucraini per armi e supporto».
Nelle zone di confine, la vigilia delle presidenziali russe non
appare certo delle più serene. A dimostrarlo c'è la chiusura delle
scuole per tre giorni annunciata dal sindaco di Kursk, capoluogo di
una delle due regioni russe dove si sarebbero infiltrati i
battaglioni filo-ucraini. Ma non ci sono solo le presunte incursioni
armate. Il ministero della Difesa russo sostiene che nella notte la
sua contraerea abbia abbattuto nove missili vicino Belgorod e 25
droni in diverse altre regioni, comprese quelle di San Pietroburgo e
Mosca, che distano parecchi chilometri dall'Ucraina invasa. Ma il
bombardamento ucraino non sarebbe passato senza conseguenze. Il
governatore della regione di Nizhny Novgorod denuncia infatti un
incendio in una grande raffineria nella zona industriale di Ktsov, a
ben 800 chilometri dalla frontiera con l'Ucraina. Secondo la Reuters,
sarebbe stata danneggiata la principale unità di distillazione del
greggio della raffineria Norsi, cosa che avrebbe portato
all'interruzione di almeno metà della produzione della struttura. Un
altro drone avrebbe invece mandato in fiamme un deposito di
carburante nella regione di Oryol, a 160 chilometri dal confine. Sul
fronte, le forze russe sostengono di aver conquistato il villaggio
ucraino di Nevelske. Mentre nella regione russa di Ivanovo, 250
chilometri da Mosca, un aereo da trasporto militare Il-76 con 15
persone a bordo si sarebbe schiantato poco dopo il decollo a causa
di un incendio a un motore.
12.03.24
prime trasmissioni su 6.200 chilometri
Via al super-cavo per l'intelligenza artificiale Da Boston a
Bordeaux con Microsoft e Cisco
Cisco e Microsoft rafforzano la collaborazione per il futuro del
networking partendo dal fondo dell'oceano, tramite le prime
trasmissioni ad altissima capacità. Grazie ad Amitié, il supercavo
sottomarino per cloud e intelligenza artificiale per supportare la
crescita esponenziale dei servizi cloud e Ia. Si tratta di una
partnership che punta a potenziare la rete globale di
telecomunicazioni.
Nello specifico, per la prima volta Cisco, insieme con la società di
Redmond, ha trasmesso con successo 800 Gbps sul cavo di
comunicazione transatlantico denominato Amitié: 6.234 chilometri di
lunghezza per collegare gli Stati Uniti alla Francia, in particolare
da Boston a Bordeaux. Il cavo è stato dotato della Space Division
Multiplexing (Sdm), una tecnologia che utilizza 16 coppie di fibre,
un numero maggiore rispetto ai tradizionali cavi sottomarini, con la
potenza del ripetitore condivisa tra le coppie di fibre per poter
sfruttare al massimo la capacità totale.
«Nell'era dell'intelligenza artificiale è fondamentale poter fare
affidamento su connessioni di rete affidabili e veloci», ha
dichiarato Bill Gartner, Svp Optical Systems and Optics, Cisco. Che
ha aggiunto: «Si tratta di un traguardo fondamentale per questo
genere di cavi».
EFFETTO CIRIO-LORUSSO: I
dati dell'Inps certificano una situazione che già era stata
paventata nelle scorse settimane: ora c'è da capire se l'incremento
durerà a lungo
Aumenta l'uso della cassa integrazione Nel torinese boom di aziende
in difficoltà
claudia luise
È in forte ripresa il ricorso alla cassa integrazione in provincia
di Torino. Già nelle scorse settimane, con l'annuncio del
prolungamento fino al 20 aprile degli ammortizzatori sociali a
Mirafiori e le nuove crisi di Te Connectivity (l'azienda ha
annunciato di voler chiudere lo stabilimento lasciando a casa oltre
200 persone) e Delgrosso (108 posti di lavoro a rischio), si
immaginava un incremento. Ma ora lo certificano pure i dati
dell'Inps. A gennaio nel torinese sono state autorizzate 1,9 milioni
di ore di cassa integrazione guadagni: 857 mila di Cig ordinaria e
1,1 milioni ore di Cig straordinaria. Rispetto a dicembre 2023 le
ore totali autorizzate sono cresciute del 142%, per effetto del
fortissimo aumento del ricorso alla Cig straordinaria (+342%) e un
aumento più contenuto del ricorso alla Cig ordinaria.(+53%). Nel
primo mese del 2024, l'82% delle richieste è arrivato da aziende
manifatturiere mentre il 12% dal comparto immobiliare.
Il problema, ancora una volta, è il rallentamento dell'automotive:
all'interno del settore manifatturiero, il 25,4% delle ore di cassa
integrazione ordinaria autorizzate sono venute dalle aziende del
comparto auto. Seguono le aziende che fabbricano prodotti in metallo
(21,3%). Mentre il ricorso alla Cig straordinaria ha interessato in
larga prevalenza (70%) le aziende del comparto mobili e quelle
dell'informatica e delle attività connesse (11,7%). Nell'arco di un
anno, rispetto all'inizio del 2023, le ore totali sono cresciute del
76% per effetto di un forte aumento del ricorso alla Cig
straordinaria (+111,5%) e dell'aumento più contenuto della Cig
ordinaria (+48%).
«Navigando all'interno del portale Inps è possibile farci un'idea di
come si evoluto il ricorso alla cassa integrazione in provincia di
Torino dal 2009 ad oggi. Il quadro che emerge dall'analisi
suggerisce che l'aumento del ricorso alla Cig registrato a gennaio
di quest'anno rispetto a dicembre e all'analogo periodo del 2023
preoccupa, ma il livello delle ore integrate rimane comunque ancora
al di sotto del ricorso registrato nel biennio 2021-2022 quando
furono integrate circa 3 milioni di ore all'anno» commenta
l'economista Mauro Zangola. L'intero periodo analizzato, quindi, può
essere suddiviso in due sub periodi: il primo che va dal 2009 al
2017 caratterizzato da un costante e sensibile ricorso alla Cig per
un numero di ore integrate compreso fra i 3 e i 6 milioni all'anno.
Il periodo che va dal 2018 al 2024 è caratterizzato invece da un
minor ricorso alla cassa integrazione (inferiore ad un milione di
ore all'anno), fatta eccezione per il rimbalzo registrato nel 2021 e
2022 motivato dalla difficile ripresa post Covid e quello di gennaio
2024. Dal momento che il ricorso alla cassa integrazione è un
importante indicatore della congiuntura e delle crisi che sta
vivendo il sistema produttivo a livello locale, sarà un elemento da
monitorare con attenzione nei prossimi mesi per capire se siamo di
fronte ad un rimbalzo - anche se consistente - o alla vigilia di una
più strutturata inversione di tendenza.
11.03.24
A QUANDO LE LICENZE LIBERE DEI TAXI ?
Verrà ascoltato nei prossimi giorni dagli investigatori della
polizia locale il tassista che, all’alba del 3 febbraio, ha lasciato
in strada Kanda, il muratore maliano che era salito sul suo taxi per
raggiungere le Molinette e sottoporsi a un trapianto di rene. Kanda,
50 anni, da 10 in Italia, ha raccontato di essersi reso conto di non
avere i contanti sufficienti per pagare la corsa quando era ormai di
fronte all’ingresso dell’ospedale. La richiesta era di 21 euro e lui
nel portafogli ne aveva solo 15, ma ha provato, senza successo, a
effettuare un prelievo in tre diversi bancomat della zona.
A quel punto, secondo la sua ricostruzione, avrebbe chiesto al
tassista di aspettare l’apertura dello sportello Intesa Sanpaolo
all’interno delle Molinette, ma l’uomo non ha voluto aspettarlo
ancora ed è ripartito con il suo zaino sul sedile. Nel bagaglio, che
è stato poi abbandonato in corso Dante e ritrovato dai vigili,
c’erano tutti di documenti d’identità di Kanda, oltre alle cartelle
cliniche necessarie per il trapianto. Dopo alcune ore di attesa e
inevitabili difficoltà burocratiche, il muratore è riuscito comunque
a sottoporsi all’intervento e adesso toccherà a Kanda decidere se
sporgere denuncia.
In ogni caso, quando uscirà dalle Molinette, dovrà recarsi negli
uffici della polizia locale che sta cercando di ricostruire l’intera
vicenda. Sotto il profilo amministrativo, qualora fossero accertate
irregolarità nella sua condotta, il tassista potrebbe rischiare una
sanzione disciplinare e la sospensione temporanea da parte della
cooperativa per la quale lavora. Discorso diverso, invece, per
quanto riguarda l’aspetto penale: saranno gli inquirenti a valutare
se il comportamento dell’uomo possa configurare un eventuale reato
di appropriazione indebita o, ipotesi ancora più remota, di
esercizio arbitrario delle proprie ragioni o di violenza privata.
VOLUTA DA YAKY: Mirafiori si è fermata.
Stellantis ha annunciato ai sindacati metalmeccanici altre tre
settimane di cassa integrazione, dal 2 al 20 aprile, che vanno a
sommarsi alle sette settimane di Cig in corso sulle linee della 500e
e della Maserati. «Vi informiamo che, in seguito alla necessità di
adeguare i flussi produttivi delle vetture Fiat 500 Bev e Maserati
Granturismo al transitorio andamento della domanda di mercato - ha
scritto l’azienda ai sindacati - si procederà con le sospensioni
temporanee dell’attività lavorativa presso le unità produttive del
Polo di Torino». Lavoreranno a ritmo ridotto fino a fine aprile
1.200 operai della linea 500 Bev e i mille operai della Maserati.
L’azienda conta su una ripresa del mercato elettrico già a maggio
grazie agli incentivi sull’elettrico. Oggi la 500 elettrica ha poco
mercato in Italia, nei primi due mesi dell’anno, secondo i dati
Unrae, sono state vendute 479 Fiat 500e, che corrispondono a due
turni circa di lavoro giornaliero.
«È sempre più evidente che a Mirafiori serve un nuovo modello - ha
detto Luigi Paone della Uilm Torino -ci aspettano mesi complicati,
chiediamo alle istituzioni di accelerare un percorso che dia
prospettive e futuro a tutto il comparto automotive torinese».
NON CI CREDO : «I nostri marchi fanno gola, anch’io negli
anni ho ricevuto diverse offerte. L’ultima nel 2018, quando mi hanno
proposto una quota pari a 10 volte il mio margine operativo. Ma non
ci ho pensato un secondo. La mia azienda fa rima con storia,
tradizione, romanticismo. Cedere l’attività non è mai stata
un’opzione». Se le eccellenze culinarie made in Torino sono entrate
nel mirino di fondi italiani e stranieri, e molti proprietari si
fanno ingolosire da offerte vertiginose, esiste ancora chi ha il
coraggio di dire “no” per andare controcorrente. Uno di questi è
Guido Gobino, 66 anni, maestro del cioccolato e un esempio della
capacità di trasformare il saper fare e il gusto dello stile
italiano in un brand noto in tutto il mondo. E, allo stesso tempo,
un imprenditore che incarna la scelta di rimanere piccoli ma
redditizi, con un fatturato vicino ai 10 milioni di euro.
Gobino, lei è proprio sicuro che non venderà mai la sua attività?
«Assolutamente sì, a meno
che non arrivi una proposta indecente. Ma non ho mai pensato
che fare soldi fosse la cosa più importante. La nostra natura è
artigianale, la mia è una bottega. Controllo ogni fase, faccio il
lavoro di un sarto e voglio portare avanti la tradizione di
famiglia. Mio padre, Beppe, iniziò a lavorare in via Cagliari nel
1964, come responsabile di produzione dell’azienda. Vent’anni più
tardi gli altri due soci andarono in pensione e lui rilevò
l’azienda. Mi ha insegnato tutto, 60 anni fa ho lanciato il nostro
marchio, e io oggi faccio lo stesso con mio figlio. Tutto questo non
ha prezzo».
Sarà lui a ereditare il testimone?
«Esatto, le aziende devono sempre pensare al futuro, a breve e lungo
termine. E ognuno deve fare i conti con la sua età. Mio figlio
Pietro oggi ha 24 anni, e quando ha finito il liceo abbiamo discusso
sul da farsi. Non volevo che si sentisse obbligato, doveva essere
una scelta serena e consapevole. E lui ha accettato. Ha iniziato
l’università per migliorare la sua formazione, dimostrandomi grande
impegno. E io non potrei essere più felice. Quando hai degli eredi
non approfondisci le trattative coi fondi, che pensano solo alla
marginalità. Siamo ben felici di rimanere in via Cagliari,
salvaguardando la ricchezza di un territorio. D’altronde Torino
significa questo: tradizione imprenditoriale ed eccellenza.
Accompagnerò mio figlio in questo passaggio, entrambi non sapremmo
cosa fare senza questo lavoro».
Cosa pensa dei colleghi che hanno preso la strada opposta?
«Ognuno fa le sue scelte. Tuttavia ciò che ho fatto per me vale una
vita. Ho una mentalità un po’ “langarola”, il contadino non darebbe
mai via le sue terre ma al massimo ne acquisterebbe altre. Non avrei
venduto a dei fondi, anche se non avessi avuto figli, un po’ per
orgoglio e un po’ per romanticismo. In quel caso avrei fatto un
patto con i dipendenti storici. Create una cooperativa,
riconoscetemi una pensione, mantenete il marchio e da oggi la
fabbrica è vostra».
Come si immagina l’azienda tra 20 anni?
«Il sogno è quello di essere riconosciuti in tutto il mondo come il
cioccolato di Torino, aumentando ulteriormente la nostra reputazione
e celebrità. Questo però restando fedeli a noi stessi, rimanendo
artigiani. Vorrei che fossimo come una Bentley: tutta la conoscono e
la apprezzano, ma non la trovi dappertutto. Anche l’esclusività è un
aspetto da non sottovalutare»
10.03.24
Il report, intitolato «L'utilizzo di Starlink da parte di Mosca»,
è finito su diversi tavoli istituzionali e - secondo nostre
fonti riservate - è stato recapitato anche a Palazzo Chigi (dove, a
una domanda de La Stampa, hanno risposto «no comment»). Ma sta
scatenando una seria irritazione anche in America, perché quel testo
- due pagine di cui siamo entrati in possesso - di fatto contiene
una serie di accuse contro un'importante azienda americana, la
SpaceX fondata e guidata da Elon Musk, per le zone d'ombra legate al
presunto utilizzo (abusivo) dei suoi satelliti da parte dei russi in
Ucraina - utilizzo che il suo proprietario ha sempre negato.
Senonché, particolare imbarazzante, il report reca a fondo pagina la
dicitura «Gruppo Tim - uso interno»: una società concorrente di
Starlink, che proietterà molti suoi interessi nello sviluppo della
fibra, e non fa certo i salti di gioia per la possibile apertura
delle frequenze del mercato italiano ai satelliti di Musk.
La Stampa ha potuto verificare, attraverso i metadati del documento,
il suo autore materiale e quindi l'autenticità del testo. Tim, che
abbiamo interpellato, nega di aver inviato in giro un paper del
genere: «A Telecom non risulta nessuna lettera indirizzata al
governo». Le nostre fonti confermano la ricezione del report da
parte della presidenza del Consiglio. La Stampa ha domandato a
Palazzo Chigi se è vero che un documento su carta Tim, in cui si
mette in guardia l'esecutivo sui legami tra la Starlink di Musk e la
Russia, è stato inoltrato agli uffici della premier. La risposta è
stata: «Palazzo Chigi non rilascia nessun commento su quanto da voi
riportato».
Cosa si dice in queste due pagine dagli effetti esplosivi, circolare
in alte sedi? Si sottolinea che «il Direttorato centrale
d'intelligence ucraino (Gru) ha pubblicato uno stralcio di
un'intercettazione delle truppe dell'83esima Brigata d'assalto della
Federazione Russa che opera nella regione di Donetsk, vicino agli
insediamenti di Klischchiivka e Andriivka. Si sente un soldato russo
spiegare a un altro che «Starlink funziona, c'è internet!».
Nel testo, attraverso una serie di link a fonti aperte, si
ricostruisce allora tutta la vicenda, i possibili luoghi dove i
russi comprano illegalmente Starlink, e soprattutto si collega -
neanche tanto velatamente - l'azienda di Musk a comportamenti
opachi: «I russi stanno usando falsi segnali Gps per nascondere la
propria posizione al terminale Starlink in modo da fargli credere
che l'utente si trovi in territorio ucraino e rendendo impossibile
la disattivazione del terminale da parte di Space X». Poi l'accusa
più dura: «Space X ha dichiarato di procedere a un'indagine e quindi
alla disattivazione di terminali laddove vengano utilizzati da
soggetti sanzionati. Fino a questo momento, non sembra siano state
messe in pratica azioni di questo tipo che potrebbero essere molto
difficili da realizzare proprio grazie all'utilizzo di falsi segnali
Gps».
Resta da capire come questo testo sia stato diffuso in mani
istituzionali, tra cui risultano alcuni governatori di regione. A
creare un ulteriore - e potenzialmente imbarazzante - cortocircuito
c'è la circostanza che in Tim riveste un ruolo importante Alma
Fazzolari, sorella di Giovanbattista, sottosegretario della
presidenza del Consiglio e l'uomo di cui più si fida Giorgia Meloni.
Il tutto in un contesto in cui i rapporti tra il padrone di Tesla,
di X, di SpaceX e la premier si erano fatti ottimi. Musk è stato
ospite ad Atreju, la festa di Fratelli d'Italia, e ha costruito un
buon feeling personale con la leader, anche sulla base di una comune
visione sulle politiche migratorie e sulla lotta contro la
denatalità. Cosa che ha aperto a tanti possibili scenari di
coinvolgimento industriale di Musk in Italia. A metà dicembre, i due
erano stati a lungo a colloquio a Castel Sant'Angelo, alla festa dei
giovani della destra italiana, parlando di intelligenza artificiale,
di figli, ma soprattutto, di Starlink, il sistema satellitare di
SpaceX. Un rapporto che stava decollando, insomma. Almeno, fino a
ieri. Perché in America la vicenda, di cui Space X è subito venuta a
conoscenza, ha suscitato l'ira dei vertici aziendali, e anche un
certo fastidio in ambienti diplomatici americani, che non
gradirebbero intrusioni contro una multinazionale americana così
legata al comparto della difesa Usa, né da parte di società
italiane, né da quella della politica.
INCREDIBILE : Davigo condannato a un anno e 3 mesi
Quando i giudici hanno letto il dispositivo della sentenza, è
impallidito perché è sempre stato e sempre sarà convinto di «aver
agito in buona fede, senz'altro scopo se non quello di ripristinare
la legalità» . Piercamillo Davigo, ex pm di Mani Pulite ed ex
consigliere del Csm, è stato condannato anche in secondo grado a un
anno e 3 mesi di reclusione, con pena sospesa e non menzione, per la
vicenda dei verbali di Piero Amara su una inesistente Loggia
Ungheria. A confermare la sentenza con cui il Tribunale lo scorso 20
giugno aveva ritenuto che fosse responsabile di aver rivelato il
segreto d'ufficio, facendo circolare quelle carte "scottanti" o il
loro contenuto tra i componenti di Palazzo dei Marescialli ai danni
anche del suo ex collega Sebastiano Ardita, è stata la Corte
d'Appello di Brescia. Il collegio, che ha accolto la richiesta del
pg Enrico Ceravone, ha anche condannato il magistrato, ora in
pensione, al pagamento di ulteriori spese processuali che si
aggiungono al versamento, di 20 mila euro, già stabilito, ad Ardita
ora parte civile. Le motivazioni saranno depositate in 90 giorni. E
mentre Davigo, subito dopo il verdetto, ha lasciato l'aula dicendo
di non avere alcuna dichiarazione da fare, l'avvocato Davide
Steccanella, che lo difende assieme a Francesco Borasi, si è
limitato a un breve commento: «Rimango convinto della sua assoluta
innocenza e andrò avanti in Cassazione» .
CATTANEO VOLUTO DA MELONI IN ENEL LA SFASCIA SU MODELLO TIM:
Enel si mobilita "Quattrocento posti di lavoro sono a rischio"
Quattrocento posti di lavoro a rischio e il timore che, a pagarne le
conseguenze, siano anche gli utenti. Oggi i 2100 addetti piemontesi
di Enel incrociano le braccia «per protestare - spiegano
Filctem-Cgil, Flaei-Cisl, Uiltec-Uil che hanno indetto lo sciopero -
contro la politica del nuovo management che rischia di dare il
"colpo di grazia" a una delle più importanti aziende del Paese». Dei
2135 addetti piemontesi di Enel, più della metà (1093 lavoratori),
opera in provincia di Torino. Altri 319 nel cuneese, 229 nel
Verbano-Cusio Ossola, 178 a Novara, 142 ad Alessandria, 69 a
Vercelli, 61 ad Asti e 44 a Biella.
«Enel ha deciso di esternalizzare gli interventi sulla rete di media
tensione affidandoli ad aziende esterne ma per noi è un'attività
fondamentale. Per questo rischiamo di perdere 400 posti di lavoro
nel gruppo», spiega Francesco Panetta della Filctem-Cgil. Il taglio
di personale previsto è di circa il 20%. E aggiunge: «Tutto questo
potrebbe avere effetti anche sugli utenti se non c'è il personale
per intervenire tempestivamente. Il perché è facile da spiegare: le
reti sono vecchie, basta la pioggia per far aumentare i danni. Nel
fine settimana scorso, con l'allarme meteo, l'azienda ha richiamato
tutti i lavoratori in servizio per intervenire sui guasti. Abbiamo
avuto circa 8100 utenti di base disalimentati e problemi su 36
dorsali di media tensione tra Torino e Cuneo. Oggi è stata
comunicata un'altra allerta meteo per il prossimo fine settimana».
I sindacati, quindi, chiedono di cambiare rotta e investire sul
personale tecnico. Tutto questo in un momento in cui sta aumentando
la domanda energia anche per la mobilità elettrica e la rete che
dovrà essere gestita nei prossimi anni è sempre più complessa.
«Oltre all'esternalizzazione - spiega ancora Panetta - l'azienda
vuole cambiare l'orario di lavoro degli operai andandolo ad ampliare
dalle 7 alle 20 su turni, ridurre lo smart working e c'è un problema
di concessioni in scadenza, anche per i bacini idroelettrici, che
potrebbe portare alla scelta di ridurre ulteriormente il personale».
I tre sindacati spiegano, infatti, che «gli investimenti per le
fonti rinnovabili passano dai 5,5 miliardi (stanziati nel 2023) a
2,9 miliardi di euro nei tre anni successivi. Non c'è traccia di
investimenti nell'idroelettrico né sulla geotermia. C'è un generico
impegno per la realizzazione di impianti fotovoltaici e sistemi di
accumulo».
Per oggi è previsto uno sciopero di otto ore che coinvolge operai,
impiegati e quadri, con un presidio davanti alla sede torinese di
via Nizza, al Lingotto. Alle 10,30 una delegazione sarà ricevuta in
prefettura. L'obiettivo è chiedere un intervento anche la Regione.
«Non scioperiamo per rivendicare aumenti salariali – concludono i
segretari regionali di Filctem-Cgil, Flaei-Cisl, Uiltec-Uil, Paolo
Parodi, Marco Luigi Rinaldi, Michele Broggio – ma perché siamo
preoccupati per la direzione che sta prendendo l'azienda»
09.03.24
genova, accuse di omicidio colposo e falso ideologico
Morta dopo il vaccino, indagati cinque medici
Camilla Canepa, la studentessa di 18 anni di Sestri Levante, morta
nel giugno 2021 dopo essere stata vaccinata con AstraZeneca a un
open day, poteva con «elevata probabilità sopravvivere». Tre anni
dopo quella tragica morte e la fine della pandemia Covid, la Procura
di Genova ha indagato cinque medici del pronto soccorso di Lavagna,
nel Tigullio, dove la giovane era arrivata la sera del 3 giugno con
i sintomi della reazione avversa al vaccino. Quattro sono accusati
di omicidio colposo mentre tutti devono rispondere di falso
ideologico. Camilla era stata stroncata dalla Vitt, la rarissima
trombosi cerebrale associata a livelli di piastrine basse e
scatenata dal vaccino a base adenovirale. A causare la morte, per i
pubblici ministeri Francesca Rombolà e Stefano Puppo e l'aggiunto
Francesco Pinto, una serie di negligenze dei medici che, per
l'accusa, non eseguirono «tutti gli accertamenti diagnostici
previsti dal protocollo terapeutico elaborato da Regione Liguria per
il trattamento della sindrome da Vitt».
08.03.24
Caso Horner: Red Bull licenzia la donna che lo denunciò
La dipendente che ha accusato il team principal Christian Horner di
«comportamenti inappropriati» sarebbe stata licenziata da Red Bull,
per volere della proprietà thailandese (Charlerm Yoovidhya detiene
il 51% delle quote). Con la parte austriaca (Mateschitz jr e l'ad
Oliver Mintzlaff) starebbe - oltre che i Verstappen - anche il
progettista Adrian Newey, possibile obiettivo - come Max - di
qualunque team di vertice. Ferrari compresa. —
07.03.24
SALVINI AL CAPOLINEA COME RENZI:
Convocato un direttivo straordinario con un solo ordine del giorno:
"Provvedimenti disciplinari "
Via alle epurazioni in Lega: rischia Da Re il veneto che definì
Salvini "un cretino"
FRANCESCO MOSCATELLI
MILANO
Alta tensione nella Lega. Lo scontro tutto interno al partito sulla
linea politica in vista delle Europee (anche alla luce del misero
3,8% rimediato in Sardegna) e le fibrillazioni per il rischio che
Luca Zaia non possa ricandidarsi in Veneto a causa del braccio di
ferro con Fratelli d'Italia sul terzo mandato, stanno per mietere la
loro prima vittima: l'eurodeputato Gianantonio Da Re, per tutti
Toni, 70 anni di cui quaranta passati con la tessera del Carroccio
in tasca. In provincia di Treviso, Da Re, i suoi baffi anni Ottanta
e le sue Lacoste sono un'istituzione: è stato sindaco di Vittorio
Veneto e consigliere regionale ma soprattutto è stato l'ultimo
segretario della Liga Veneta prima che il partito, così come nel
resto d'Italia, cambiasse nome in "Liga Veneta per Salvini premier".
Domani sera Alberto Stefani, successore proprio di Da Re alla guida
della Liga, fedelissimo del segretario federale, ha convocato un
direttivo straordinario che ha come unico punto all'ordine del
giorno un draconiano «provvedimenti disciplinari». Un'espressione
che tutti hanno subito interpretato come la resa dei conti finale
fra gli attuali vertici e lo storico dirigente. La goccia che ha
fatto traboccare il vaso sarebbero state le ultime uscite pubbliche
di Da Re, che qualche giorno fa si è spinto a dare a Salvini del
«cretino». L'eurodeputato, del resto, è da tempo critico con la
svolta sovranista impressa da Salvini e con la sua gestione del
movimento. Due anni fa aveva ricevuto una lettera che annunciava
possibili sanzioni, lo scorso anno era in prima fila alla riunione
convocata dal Comitato Nord anti-salviniano al castello di
Giovenzano (occasione per la quale si era scomodato Umberto Bossi in
persona), mentre nelle ultime settimane si è scagliato più volte
contro l'ipotesi di candidare il generale Roberto Vannacci. Non
tanto perché sperava di essere riconfermato a Strasburgo - sondaggi
alla mano la Lega concentrerà gli sforzi per supportare il veronese
Paolo Borchia - ma perché Vannacci per lui rappresenta l'ennesimo
tradimento delle origini.
Fra i corridoi di palazzo Ferro Fini, sede del consiglio regionale
affacciata sul Canal Grande, la questione ha messo in allarme tutti
i lighisti. «Ho imparato da Tina Anselmi che in democrazia il
rispetto dell'altro è fondamentale - spiega il consigliere Marzio
Favero, soprannominato "il filosofo" -. Spero non si proceda con
l'espulsione perché Toni ha dato tantissimo al partito e ha avuto un
ruolo fondamentale anche nell'ascesa di Zaia. Dopodiché Salvini, a
cui va riconosciuto il merito di averci risollevato in un momento
difficile, dal Papeete in poi ci ha portato fuori strada: la Lega è
un movimento di riforma istituzionale che per sua natura non può
stare a destra. Allearsi con Le Pen e Orban è una negazione del
nostro percorso». «Quando si passa alle offese non ci sono
giustificazioni - dice il capogruppo Alberto Villanova, considerato
il delfino di Zaia e uno dei suoi possibili successori -. Da Re
dovrebbe chiedere scusa. Dentro la Lega bisognerebbe capire che
l'avversario è fuori, non dentro, e che questo è il momento di
ricucire». Di scuse parla anche Roberto Marcato, assessore alle
Attività produttive, un altro che da tempo chiede a Salvini di
cambiare rotta: «La dialettica politica, anche se forte, non può mai
scivolare nell'offesa. Un conto sono le critiche, un'altra le
offese».
Difficile capire cosa farà o dirà Da Re, che in quanto eletto è
stato invitato al direttivo nella sede di Noventa padovana. Ieri si
è trincerato dietro un «no comment». Il suo stato d'animo, però, non
dev'essere molto diverso da quello sintetizzato in una delle sue
battute più celebri: «Di verde, ormai, mi è rimasto solo il
coccodrillo sulla Lacoste».
De Luca a giudizio per la covid card
Schillaci: il governo
italiano non aderirà al "green pass globale" voluto dall'Oms
L'Italia non aderirà al Green pass globale, il documento pensato
dall'Organizzazione mondiale della sanità per condividere i dati
sulla certificazione vaccinale a livello internazionale, nato da un
accordo tra Oms e Unione europea nel giugno scorso. L'obiettivo è
quello di sviluppare, a partire dal modello utilizzato per il Covid,
un sistema da usare in altri casi, come ad esempio, la
digitalizzazione del certificato internazionale di vaccinazione o
profilassi. È stato il ministro della Salute Orazio Schillaci, ieri
ad annunciare che il governo «non ha alcuna intenzione di aderire»
perché « in sede di conversione del decreto-legge del 26 febbraio,
verrà presentato un emendamento per riformulare il testo e
ricondurre la norma agli obiettivi Pnrr in tema di salute, a partire
dalla piena operatività del fascicolo sanitario elettronico».
Per la certificazione Covid, intanto, finisce nei guai Vincenzo De
Luca: il governatore campano dovrà rispondere davanti alla Corte dei
Conti della scelta della Regione di distribuire una card che
attestasse l'avvenuta vaccinazione contro il Covid. A De Luca e ad
altri cinque componenti dell'Unità di crisi viene contestato un
danno erariale da 3,7 milioni: udienza il 4 luglio. Secondo
l'accusa, i fondi spesi per le card – 90 centesimi ognuna,
distribuite nella prima fase del 2021, rimaste a milioni nei
depositi – sarebbero stati un peso inutile per le finanze pubbliche,
visto che le funzioni erano sovrapponibili a quelle del Green pass
nazionale.
06.03.24
ERA GIA' TUTTO PREVISTO NELLA VENDITA DELLA FIAT EREDITATA DAL NONNO
ALLA PSA DEI PEUGEOT AMICI DEL NONNO : Dopo tre anni
dall’entrata in borsa del gruppo, frutto della fusione tra Fca e Psa,
il vincolo di lock-up firmato dalla holding della famiglia Agnelli,
Exor, e dagli eredi Peugeot ha raggiunto la scadenza prevista. E i
patti riservati includono la facoltà per Psa di aumentare la propria
quota del 2,5 per cento, mentre questa possibilità non è concessa a
Exor, che detiene il 14,2 per cento delle azioni e non ha, pertanto,
la possibilità di espandere ulteriormente la sua partecipazione.
In virtù della raggiunta scadenza del patto, Peugeot potrebbe
aumentare la propria quota dal 7,1 per cento attuale al 9,6 per
cento, mentre lo Stato francese che detiene il 6,2 per cento non ha
questa opzione. Tuttavia, durante le discussioni sui patti, l’idea
di aumentare la quota dello Stato francese, il solo autorizzato a
vendere il 2,5% della casa automobilistica (cosa che non ha mai
fatto), in Stellantis era stata sollevata e successivamente
accantonata.
Che la testa di Fca fosse a Parigi è ormai un dato evidente le cui
conseguenze tutt’altro che positive ricadono sull’Italia, ma la
possibilità assegnata alla Francia di aumentare ulteriormente il suo
peso, orientando interessi e strategie della direzione indicata
dall’Eliseo, è una ulteriore doccia gelata per il nostro Paese. E
che la strategia venga delineata oltre confine, come dimostra il
calo di produzione di auto in Italia nonostante le recenti promesse
di un imminente ribilanciamento è altrettanto confermato.
Un rischio quello che si prospetta con l’aumento del peso di Peugeot
in Stellantis e, sia pure indirettamente, dello stesso Governo di
Parigi, non a caso, era già stato oggetto di attenzione del Copasir,
il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica che in
una sua relazione ne ammetteva l’esistenza. Nel documento del
Copasir, tra l’altro, si evidenziava già nel 2022 “lo spostamento
del baricentro di controllo del gruppo sul versante francese, con
ricadute già evidenti nel settore dell’indotto connesso con le linee
di produzione degli stabilimenti italiani”. Sempre il Comitato
parlamentare poneva l’attenzione sul fatto che “la quota detenuta
dall’azionista pubblico francese è cresciuta dopo l’operazione di
fusione, determinando una distribuzione della proprietà diversa da
quella precedentemente annunciata”.
Se questo accadeva due anni fa, è facile immaginare lo scenario oggi
o comunque in un futuro prossimo quando Peugeot potrà aumentare
sensibilmente il suo peso, senza che (ammesso lo volesse) Exor possa
fare altrettanto. La stessa volontà di non cedere la propria quota
del 2,5% conferma l’intenzione di Emmanuel Macron di puntare alla
leadership nell’automotive in Europa, magari conquistata anche con
l’integrazione con Renault. Comunque, già fin d’ora, con la
possibilità per Peugeot di passare dal 7,1% al 9,6%, sommata al 6,2%
del Governo di Parigi, il predominio francese, peraltro ampiamente
attestato dalle strategie di Carlos Tavares, è più di una certezza.
Destinata ancora a rafforzarsi, a scapito dell’Italia.
Le fogne a Villarbasse scaricano in un rio e finiscono a Rivalta , E
IL PRNN DOVE E' FINITO ? massimiliano rambaldi
Nelle ultime settimane è riaffiorato il guaio delle fognature di
Villarbasse, con gli sversamenti nel Rio Garosso che trasformano
quel tratto di torrente in una fogna a cielo aperto. Situazione per
cui il Comune di Rivalta, confinante, ne subisce le conseguenze
peggiori. Il problema è noto da anni: la zona è soggetta a
smottamenti, frane, residui fognari sulle rive del corso d'acqua,
lungo un itinerario della collina morenica percorso da escursionisti
a piedi, a cavallo o con mountain bike. Il guaio ha la sua origine
nel reticolo fognario che serve le zone di Villarbasse lungo via
Roasio, via Musinè e via Matteotti: condotte troppo piccole per
riuscire a servire bene quella parte di paese. Per evitare che le
abitazioni abbiano guai, esiste uno sfioratore che si attiva in caso
di emergenza e versa liquami nel rio. Il problema è che nel corso
del tempo quel dispositivo, sostanzialmente di sicurezza, entra in
funzione anche quando non ci sono violenti temporali, così come
dovrebbe essere. Risultato: corso d'acqua inquinato quasi
sistematicamente, con l'acqua sporca che arriva fino a Rivalta per
poi buttarsi nel Sangone. E i rivaltesi che abitano in quelle zone
si sono stancati di convivere con un torrente diventato discarica.
In passato c'erano stati esposti all'Arpa, alla Forestale e persino
in procura per la situazione di inquinamento. E tra i due Comuni era
anche cominciato un dialogo per capire quando questo problema
potesse essere risolto. Dopo il 2018, quando Smat aveva messo il
progetto nel cronoprogramma dei cantieri da effettuare, non si sono
più avute notizie e pochi giorni fa da Rivalta sono tornati a
sbuffare perché all'orizzonte non ci sono comunicazioni in merito:
«Sappiamo che in questi anni le amministrazioni comunali di
Villarbasse e la Smat hanno preso in carico il problema – dice
l'assessore all'ambiente, Ivana Garrone -, però ci piacerebbe sapere
se esistono tempi certi per la realizzazione della nuova fognatura:
cosa imprescindibile per risolvere un problema ambientale annoso e
non più sostenibile». La Giunta di Villarbasse ha approvato il
progetto definitivo per la sistemazione del reticolo fognario in
questione e Smat ha anche avviato la gara d'appalto: «Entro il 2024,
come da cronoprogramma – spiega il sindaco Eugenio Aghemo -, i
lavori devono essere realizzati. Verranno presto avviate anche le
pratiche di esproprio dei terreni per realizzare l'infrastruttura.
Non abbiamo timore che i tempi non vengano rispettati: la questione
è nota e vogliamo tutti risolverla definitivamente». —
05.03.24
Cinque milioni di debiti con Mps e uno con il Fisco. La Procura
chiede la liquidazione giudiziale
La ministra Santanchè ancora nei guai ora a rischio fallimento c'è
anche Biofood monica serra
milano
Dopo il commissariamento di Visibilia, la "creatura" della ministra
del Turismo, rischia il fallimento un'altra società fino al 2019
amministrata da Daniela Santanchè. Si chiama Biofood Italia srl e
ruota attorno alla galassia del piccolo colosso del bio, Ki Group
srl, in liquidazione giudiziale da gennaio, su cui da tempo indaga
la procura di Milano.
Costituita il 19 novembre del 2010, nel 2011 Biofood si carica gli
oltre 5 milioni di euro di debiti che la quotata Bioera (oggi a
rischio fallimento) ha con il Monte dei Paschi di Siena, nel
tentativo di risanarla. E lo fa tramite un aumento di capitale di
Bioera pari al debito, garantito dalle azioni appena sottoscritte.
Riesce a spuntare dalla banca senese una rateizzazione, con prima
scadenza ben otto anni più tardi, nel 2019. Passa il tempo e Biofood
- che vede alternarsi nella carica di amministratore unico la
ministra Santanchè (tra il gennaio 2015 e l'ottobre 2019) e l'ex
compagno Canio Mazzaro (tra settembre 2013 e gennaio 2015; e poi
dopo Santanchè, fino a novembre 2023) - non paga un euro. I crediti
deteriorati di Mps - che nel frattempo con gli interessi avrebbero
sfiorato quota 10 milioni - vengono acquisiti da Amco, la
controllata del ministero dell'Economia che prova a riscuoterli e
alla fine trascina Biofood davanti al Tribunale fallimentare con una
istanza di liquidazione giudiziale, cioè il fallimento.
Ma, a sorpresa, all'ultimo minuto in udienza Amco si sfila e ritira
l'istanza, da quel che si sa perché - a distanza di 13 anni -
sarebbe in corso «la negoziazione del debito». Il Tribunale invia
una segnalazione alla procuratrice aggiunta Laura Pedio che, con i
pm Maria Giuseppina Gravina e Luigi Luzi, già indaga sul colosso del
bio - di cui ha chiesto il fallimento di gruppo - e, per falso in
bilancio, su Visibilia, in un'inchiesta alle battute finali che tra
gli altri vede indagata Santanchè.
Così, mercoledì, i pm si presentano in udienza e chiedono la
liquidazione giudiziale (il vecchio fallimento) di Biofood,
soffocata dai debiti scaduti anche con il Fisco, per un milione di
euro. Con l'avvocato Fabio Cesare, la società prova a correre ai
ripari e tenta la strada del concordato in bianco. I giudici
concedono un termine per il deposito di un accordo di
ristrutturazione con i creditori (che dovrà essere omologato dal
tribunale) o di un concordato preventivo. Se entro 60 giorni non si
trova una soluzione, il fallimento è scontato. Stessa sorte potrebbe
toccare alla quotata Bioera, se i giudici dovessero rifiutare la
proroga delle misure di protezione scadute il 27 febbraio. Una nuova
grana per la ministra. —
L'INFERNO SULLA TERRA :
In fuga
dai
veleni
Khayreddine Debaya
Imed Eddine Jemli giura che non avrebbe mai voluto salire su quel
barchino, ma che non ha avuto altra scelta. «La vita nella mia città
era impossibile. L'azienda chimica ci sta uccidendo lentamente»,
dice questo tunisino di 33 anni proveniente da Gabès, nel Sud del
Paese nordafricano. L'azienda a cui fa riferimento è il Groupe
chimique tunisien (Gct), un'impresa statale che produce
fertilizzanti esportati per lo più in Europa.
«Tutto è cominciato con un semplice mal di testa, ma poi si è
trasformato in una fitta costante che dalla fronte arriva fin sotto
l'occhio destro. I dottori in Tunisia non hanno fatto una vera
diagnosi: mi hanno dato solo medicinali generici», continua Jemli.
«Intanto io non riuscivo a lavorare per i mal di testa. Così ho
deciso di venire in Italia, per sfuggire a quella situazione e
curarmi».
Arrivato a Lampedusa nell'agosto scorso, il tunisino ha fatto
richiesta di protezione internazionale. Ma la sua domanda è stata
rigettata dalla Commissione territoriale di Caserta. Per una ragione
precisa: la Tunisia è considerata uno stato terzo sicuro e le
richieste dei cittadini di quel Paese vengono respinte
automaticamente. Tuttavia, la sua situazione è particolare, perché
viene da uno dei luoghi più inquinati di tutto il Mediterraneo.
Dall'altra parte del mare, basta un colpo d'occhio per misurare
l'entità del disastro e avvalorare le parole di Jemli. L'impianto
chimico si erge come un gigante maestoso di ferro proprio sulla
riva. Sulla spiaggia deserta e inaccessibile, gli alberi di palma
ormai morti indicano che il terreno ha perso ogni forma di
fertilità. Aperta negli Anni 70 e allargatasi da allora sempre di
più, la fabbrica lavora i fosfati provenienti dalle miniere di
Gafsa, 150 chilometri più a Sud, trasformandoli in acido fosforico e
fertilizzanti per l'agricoltura.
«E nel farlo scarica i suoi residui in mare e i suoi fumi tossici in
atmosfera», tuona Khayreddine Debaya. Indicando la nube che esce
proprio in quel momento dalle ciminiere, questo ingegnere e
militante ambientalista di 34 anni descrive gli impatti sulla
popolazione: «Quella in corso ora è una fuoriuscita ordinaria. Ma il
momento peggiore è durante il cosiddetto "degasaggio", quando
l'impianto espelle una grande quantità di sostanze chimiche per
pulire le macchine e riavviare le unità. L'odore in quel momento è
così forte che bisogna stare tappati in casa».
Sono anni che Debaya si batte con la sua associazione «Stop
pollution» per ottenere la chiusura dell'impianto. Organizza marce
di protesta, partecipa ad azioni di sensibilizzazione in tutto il
Paese e carica sui social network filmati della situazione in città.
Dal cellulare mostra un video in cui, durante un'operazione di
degassaggio, gli alunni di una scuola elementare vicina alla
fabbrica sono rimasti asfissiati. «Era un sabato mattina - ricorda
l'attivista -. Molti di loro hanno cominciato a tossire e vomitare.
Li hanno dovuti portare in ospedale». Nel filmato si vedono
distintamente le ambulanze che arrivano e portano via i ragazzi.
Proprio a ridosso della fabbrica, superato un divieto d'accesso che
non pare intimorire Debaya, si estende la spiaggia di quella che è
la sola oasi litoranea del Mediterraneo. Un tubo scarica in una
specie di canale un'acqua densa e viscosa. In questo liquido tra il
marrone e il nero che sembra ribollire ci sono i residui della
produzioni, chiamati fosfogessi. «Quest'acqua di scolo è carica di
metalli pesanti - continua l'attivista -. Da oltre 45 anni se ne
sversano almeno 12mila tonnellate al giorno nella baia di Gabès,
circa 4 milioni di tonnellate all'anno». Risultato: questa spiaggia
è l'unica di tutto il Mediterraneo e forse del mondo intero che,
invece di ritirarsi, avanza verso il mare. Perché non è fatta di
sabbia, ma di questi residui della produzione che si compattano e
formano una specie di argilla solida su cui si può camminare.
Andare sulla spiaggia somiglia a una specie di discesa agli inferi:
sul terreno si vedono carcasse di tartarughe marine e centinaia di
pesci scarnificati dopo essere stati resi deformi. Debaya indica una
tartaruga con il corpo quasi intatto, a dimostrazione di un decesso
recente. Poi prende in mano una pallina gialla. «È un cristallo di
zolfo ed è insolubile. Inoltre, abbiamo il cadmio, lo zinco, il
mercurio, l'arsenico. Non ci facciamo mancare niente». La riva
sembra avvolta da un velo di silenzio e desolazione. Persino i
gabbiani si tengono a distanza.
«Una volta qui l'acqua era trasparente e si pescava tantissimo»,
dice Salah Ghouma, presidente del locale sindacato dei pescatori.
Quest'uomo sulla cinquantina rappresenta i pochi superstiti della
sua professione, distrutta dall'inquinamento e dalla mancanze di
prospettive. Ricorda quando usciva in mare con il padre e dalle reti
tirava su pesci di ogni tipo. «Questa era la zona di mare più
florida del Paese, perché grazie alle praterie di posidonia oceanica
molti pesci la usavano come area di riproduzione. I pescatori
venivano da tutta la Tunisia a catturare i gamberetti. Ora è tutto
finito: non ci sono più gamberetti, né polpi, né seppie». Ghouma,
come tutti i suoi colleghi di Gabès, va oggi a pescare molto più
lontano, verso Zarzis o Djerba, sobbarcandosi ore di mare e spese
aggiuntive per la nafta. Le sue parole trovano una conferma
ufficiale in uno studio della Commissione europea del 2018, secondo
cui «la resa della pesca a Gabès ha conosciuto una diminuzione
tendenziale del 44 per cento tra il 2000 e il 2015», a fronte di un
aumento in tutte le zone limitrofe.
Lo stesso studio indica che la fabbrica del Gct è responsabile del
95 per cento dell'inquinamento atmosferico della città, con i suoi
fumi carichi di particolato fine, ossido di zolfo, ammoniaca e acido
fluoridrico. Nel testo si legge anche che gli inquinanti rilasciati
dall'impianto possono causare «asma, cancro ai polmoni e morte
prematura». Un giro all'ospedale di Ghannouch, proprio dietro
all'impianto, pare confermare queste affermazioni. «Più della metà
dei pazienti che riceviamo in pronto soccorso presenta patologie
respiratorie», dice un medico che preferisce mantenere l'anonimato
per timore di ritorsioni. «I bambini soffrono di asma
prematuramente, il cancro ai polmoni è diffuso. Ma purtroppo non è
stato effettuato alcuno studio per stabilire eventuali legami tra la
recrudescenza di queste malattie e l'inquinamento legato ai
fosfati».
Il paradosso è che, se da una parte l'Unione europea analizza la
situazione e arriva a queste conclusioni catastrofiche, dall'altra
trae beneficio dalle produzioni di quell'impianto. Tra i principali
prodotti del Gruppo chimico tunisino c'è il DAP 18-46, un
fertilizzante a base di fosfato ampiamente utilizzato in
agricoltura, anche in Italia. Lo stesso sito web del Gct indica che
la Tunisia è il quinto produttore mondiale di questo tipo di
fertilizzanti e che il gruppo esporta i suoi prodotti in una
cinquantina di Paesi. Fra questi, spiccano l'Italia, la Francia, la
Spagna e il Portogallo.
È difficile dire al di là di ogni dubbio se i mal di testa e i
malanni persistenti di Imed Eddine Jemli siano causati
dall'inquinamento nel quale vive immerso fin dalla nascita. Ciò non
toglie che il suo caso presenta tutte le caratteristiche di una
migrazione causata da disastro ambientale, che in altre occasioni ha
fatto ottenere ai richiedenti la protezione internazionale. Tanto
più che i prodotti di quell'inquinamento vengono esportati nel
nostro Paese. «Io so solo una cosa: non voglio tornare in
quell'inferno, lì non c'è vita», dice il tunisino, sperando che la
giustizia italiana riveda la sua posizione.
POTETE RIPARARLE N VOLTE MA SE NON LE PROTEGGETE CON TETTOIE E
VETRATE SI ROMPERANNO SEMPRE, LO DICO DA 20 ANNI CON 4 SINDACI CHE
SE NE SONO FREGATI : L'annuncio di Gtt dopo il nostro reportage tra
gli impianti fuori servizio: "Quello della metro Paradiso fermo da
fine 2021 ripartirà entro la settimana"
"Sulle scale mobili lavori per 180 mila euro ma questo maltempo
causerà nuovi guasti"
giovanni turi
La scala mobile della fermata Paradiso è pronta ai collaudi finali.
Quelle delle stazioni Principi d'Acaja, Marche, Dante, Rivoli e
XVIII Dicembre sono già ripartite. È l'annuncio di Gtt dopo il
racconto de La Stampa sullo stato delle scalinate elettriche della
metropolitana. Tra blocchi e guasti agli impianti il bilancio finale
vede una scala mobile su cinque inutilizzabile. Compresa la stazione
in corso Francia del Comune di Collegno, ferma dal dicembre 2021.
Ma, fa sapere l'azienda, in fondo al tunnel si intravede la luce:
dopo un ampio intervento di sostituzione della componentistica – dai
quadri di manovra e i sensori di sicurezza alla catena di trazione e
i gradini – entro questa settimana ci sarà il collaudo e le scale
mobili potranno rimettersi in marcia.
Non va sottovalutato però il fattore maltempo. Tant'è che Gtt
sottolinea come «molti dei lavori previsti questa settimana sono
stati differiti per l'impossibilità di intervento. Il maltempo ha
creato le condizioni per il fermo di ulteriori impianti e
l'esposizione di molte scale mobili alle intemperie rende più
frequenti i malfunzionamenti e decisamente più difficili gli
interventi di manutenzione». Un esempio sono le scale mobili esterne
di Porta Nuova, ferme e fuori uso negli ultimi giorni proprio per la
pioggia incessante. Comunque, lavori di manutenzione toccheranno
anche le fermate Carducci Molinette, Lingotto e Pozzo Strada dove
alcune scale mobili hanno difetti nella catena di trazione. «I pezzi
sono stati ordinati, arriveranno a fine marzo e contiamo di poter
far ripartire tutti gli impianti a metà aprile», dicono
dall'azienda.
Un primo cambio di passo nell'arrivo degli ordini che avevano subito
un duro arresto con l'avvio del conflitto russo-ucraino. Al punto
che Gtt parla di «una situazione in miglioramento. I ricambi che
stavamo attendendo per gli interventi più complessi (come gradini,
catene, inverter) stanno gradualmente arrivando e ci consentiranno
di intervenire in modo strutturale sui guasti di più lunga data».
Per le opere straordinarie il budget stanziato dall'azienda è
aumentato di 200 mila euro, salendo a 1,5 milioni di euro fino al
2025. Il saldo degli interventi svolti da ottobre ammonta a 180 mila
euro. A tal proposito, i vertici di Gtt si tolgono un sassolino
dalla scarpa. E puntano il dito contro la scarsa attenzione delle
passate giunte riguardo il finanziamento del trasporto pubblico
locale: «Rispetto alle precedenti scelte al ribasso di altre
amministrazioni, abbiamo rivisto i criteri di aggiudicazione degli
appalti per la manutenzione delle scale mobili per massimizzare gli
investimenti e garantire standard qualitativi ottimali».
Oltre alla manutenzione di scale mobili e degli ascensori, Gtt ha in
capo anche la revisione dei veicoli della metropolitana. Se nel 2023
ne ha ispezionati sette, quest'anno è il turno per altri undici. Nel
frattempo, l'azienda garantisce l'avanzamento dei lavori del
prolungamento verso ovest da Collegno a Cascine Vica e l'adeguamento
del segnalamento di marcia verso il digitale per «una maggiore
efficienza nell'esercizio della metropolitana». Lo scorso anno la
linea 1 ha contato quasi 170 mila corse e oltre 36 milioni e mezzo
di passeggeri. Secondo le stime dell'azienda, il 99, 61% dei viaggi
sono risultati in orario. —
04.03.24
BASTA COPRIRLE E CHIUDERLE CON VETRI PER RIPARALE MA LO RUSSO LE
ELIMINA DALLA LINEA 2, TANTO LO VOTATE LO STESSO :
Le scale (im)mobili
giovanni turi
Un tappeto di foglie bagnate e cartacce copre gli scalini metallici
di via Gianfranco Re, uno degli accessi alla fermata Pozzo Strada.
Del nastro segnaletico bianco e rosso non resta che un piccolo
residuo, ancora attaccato al corrimano in gomma. È una delle
venticinque scale mobili ferme e inutilizzabili della metropolitana
di Torino, che ammontano a una su cinque lungo tutta la linea. Su un
bacino di 142 installazioni in tutta la città, i problemi che si
riscontrano non sono pochi: dai guasti alla trazione dei gradini
alle anomalie nell'alimentazione fino agli invertitori dei motori e
i cuscinetti da sostituire. Tant'è che ormai i disagi riguardano
quindici fermate sulle 23 totali. Alcune delle quali ormai convivono
con cartonati e adesivi di divieto di accesso. Una situazione
praticamente invariata rispetto a un mese fa, quando sono partiti i
lavori di manutenzione straordinaria effettuati da Grivan Group, la
ditta che da giugno ha in appalto la manutenzione. Alcuni punti però
sono peggio di altri. La fermata Paradiso nel Comune di Collegno ne
è l'esempio più lampante. Usciti dai vagoni, i viaggiatori che si
affacciano su corso Francia vedono la scala mobile bloccata: si
trova in questa situazione dal dicembre 2021 a causa di un guasto
elettrico. A metà gennaio Gtt aveva promesso che sarebbe stata
riattiva entro un mese, ma il nastro rosso con la scritta "Fuori
servizio" è eloquente. «Si trova in questo stato da anni – dice
Sabrina Colosi, titolare di Erbasalus, negozio affacciato alla scala
mobile –. Io la uso tutti i giorni, partendo da piazza Statuto.
Chissà come fanno le persone disabili e più anziane…». A metà
gennaio Gtt aveva promesso che sarebbe stata riattivata entro un
mese. Così come era prevista la riparazione del guasto alla fermata
Vinzaglio, ma nulla è cambiato. L'uscita esterna di Lingotto ha come
deadline per il ritorno alla normalità il 19 aprile. Lo conferma
anche un pannello posto alla base della scalinata elettrica, i cui
gradini sono stati smontati e posti uno sopra l'altro lì accanto,
dietro una transenna in ferro. C'è chi li osserva incuriosito,
passando a passo svelto. E chi ci lascia un mozzicone di sigaretta o
una bottiglietta adibendoli a cestino. Queste scale mobili
inutilizzabili comunque sono segnalate da Gtt.
Ma ieri alla lista se ne sono aggiunte altre. Come quella fuori via
Principi d'Acaja. «Ogni tanto l'aggiustano, ma puntualmente si ferma
di nuovo», commenta Graziella Castelli, titolare dell'edicola di
fronte alla scala. In più c'erano quelle di Porta Nuova che portano
a piazza Carlo Felice e via Nizza. Valigie pesanti in braccio, file
di carrelli porta spesa agli ascensori, un giovane in monopattino
che si carica il mezzo in spalla percorrendo 45 scalini che lo
separano dalla superficie. Sono le scene che si presentano sotto un
cielo grigio e gonfio. Tra le altre fermate c'è anche Marche con
l'uscita in direzione via Eritrea che dovrebbe riaprire il 15
aprile. Nel frattempo la gente si fa le due rampe a piedi con la
scritta pubblicitaria "Rottamala più che mai" sotto gli occhi. Non
manca poi Carducci Molinette che ha sia una scala interna sia una
esterna (lato Ospedale) ferme. Davanti a quest'ultima spunta un
paletto bianco e rosso che segnala un ascensore fuori uso. Una
situazione che ieri si è presentata anche alla fermata Porta Susa,
in direzione Fermi.
Da un mese a questa parte hanno passato la prova del ripristino
delle scale mobili solo Nizza e Dante. A Spezia nessun guasto alle
scale mobili, ma i viaggiatori immolati verso via Nizza si trovano
una perdita d'acqua dal soffitto. La soluzione è un secchio rosso
per raccogliere l'acqua e un cartello giallo con su scritto
«Attenzione pavimento bagnato».
MA Il piano aziendale 1,5 milioni di euro fino al 2025 NON LO
PREVEDE:
Nelle ultime settimane sono arrivati pezzi di ricambio attesi dalla
scorsa estate, il cui approvvigionamento si è complicato dall'inizio
dell'invasione russa in Ucraina. In questo modo Gtt è ora in grado
di riparare alcuni degli impianti guasti. Dal primo giugno, inoltre,
è subentrata una nuova ditta per le manutenzioni, la Givan Group,
che ha dato un'accelerata. Il Gruppo torinese trasporti ha poi
stanziato 200 milioni di euro di extra budget che fanno aumentare il
fondo per le opere straordinarie sulle scale mobili da qui al 2025
da 1,3 a 1,5 milioni di euro. Nei piani dell'azienda buona parte
delle riparazioni dovrebbero avvenire entro la seconda metà di
aprile. Per le fermate di Pozzo Strada e Massaua, invece, il riavvio
previsto è «non programmabile». —
03.03.24
Disastro ambientale o innominato e omissione di atti d’ufficio: sono
le fattispecie di reato su cui gli ambientalisti di Greenpeace hanno
chiesto di indagare, presentando una serie di esposti presso le
procure di Torino, Ivrea, Alessandria e Novara.
Si tratta degli uffici territorialmente competenti per le città in
cui è stata accertata la presenza di Pfas all’interno delle acque
potabili. Un’inchiesta degli ambientalisti ha rilevato la
contaminazione da sostanze chimiche prodotte dalle industrie, alcune
delle quali cancerogene per l’uomo. «Chiediamo alla magistratura di
indagare perché finora chi dovrebbe garantire la sicurezza della
cittadinanza si è limitato a cercare di sminuire il problema,
sostenendo che i valori siano nella norma», si legge in una nota di
Greenpeace.
Secondo i dati raccolti dagli ambientalisti, la situazione sarebbe
fuori controllo e alla richiesta di visionare gli esiti delle
analisi la Regione Piemonte avrebbe negato di essere in possesso
delle informazioni. «O il massimo ente regionale in materia di
ambientale e di sanità non è al corrente dell’operato dei propri
organi tecnici, oppure la Regione non ha rispettato la normativa
vigente sull’accesso agli atti», l’accusa mossa da Greenpeace.
I dati consegnati da Smat avrebbero indicato la presenza nelle acque
della provincia di Torino di un Pfas specifico prodotto in Italia
solamente da Solvay Speciality Polymers di Alessandria. «È doveroso
chiarire come questa sostanza inquinante prodotta ad Alessandria sia
arrivata nelle acque potabili di Torino e di altri comuni molto
distanti», si legge nella nota di Greenpeace. Intanto più di 125
mila persone sarebbero potenzialmente esposte al Pfoa, un agente
cancerogeno rilevato in diversi comuni della Val di Susa.
L'annuncio choc di Hamas " Uccisi 70 ostaggi nei raid" Strage del
pane, l'Ue accusa Fabiana Magrì
Tel Aviv
La moglie di un ostaggio israeliano ha dato ieri alla luce il
secondo figlio. Ma il neonato potrebbe essere già orfano. Nelle
stesse ore la foto del padre del bambino è comparsa nel meme con cui
Hamas, su Telegram, ha annunciato che oltre settanta «prigionieri
nemici» sarebbero morti, mostrando i volti di alcuni di loro
"eliminati" con una X rossa. La notizia non è stata commentata a
caldo da Israele, a nessun livello. Non si sono espressi i militari
né i politici. E non hanno reagito le famiglie degli ostaggi,
impegnate da quattro giorni in una marcia partita dalla foresta di
Reim, dove si è consumato il massacro del Nova Festival, e che
stasera terminerà a Gerusalemme. È probabile che all'uscita di
shabbat, il sabato sera che dà l'avvio alla settimana nel calendario
lunisolare ebraico, arriveranno le dichiarazioni ufficiali e le
conferenze stampa.
Fino a quel momento, si conosce la versione di Hamas, affidata
all'ormai noto macabro strumento dell'indovinello sul destino degli
ostaggi israeliani: «Sono tutti morti? Sono ancora vivi? Alcuni sono
stati uccisi ma altri sopravvivono?». I primi tre nomi che la
fazione islamica dichiara «uccisi a seguito dei bombardamenti
sionisti» nella Striscia di Gaza sono quelli di Chaim Peri (79
anni), Amiram Cooper (84) e Yoram Metzger (80). I volti scavati, con
la barba lunga, dei tre kibbutznikim di Nir Oz erano già apparsi in
un video del 18 dicembre del 2023 in cui imploravano: «Non
lasciateci invecchiare qui». L'identità di altri quattro ostaggi
israeliani che avrebbero fatto la stessa fine sarà resa nota, si
legge nel messaggio su Telegram, «dopo aver confermato la loro
identità».
Questo perché, spiega Hamas, si sono persi i contatti con i
mujaheddin incaricati di sorvegliare gli ostaggi, eliminati negli
attacchi di Tsahal nell'enclave. Insieme con l'accusa rivolta dalla
fazione palestinese a Israele, di aver commesso un "massacro" di 112
palestinesi che tentavano di accaparrarsi gli aiuti umanitari in
transito a Gaza City, l'avvertimento che oltre 70 sui 134 ostaggi
israeliani prigionieri nella Striscia possano essere morti sta
destabilizzando ulteriormente le trattative per un accordo e una
tregua, già tutti in salita. Hamas ha precisato, nello stesso
messaggio, che «il prezzo che chiederemo in cambio di cinque o dieci
prigionieri vivi è lo stesso prezzo che avremmo preteso se i
bombardamenti del nemico non li avessero uccisi».
I negoziatori israeliani, a loro volta, hanno detto agli
intermediari di Doha e del Cairo – che in giornata si erano espressi
con ottimismo rispetto a una soluzione entro l'inizio del mese del
Ramadan – che non accetteranno di partecipare a un altro ciclo di
colloqui finché la controparte nemica non presenterà un preciso
elenco degli ostaggi vivi. E finché non avanzerà richieste più
ragionevoli sul numero di prigionieri palestinesi che vuole siano
scarcerati. Non solo. A questo proposito, Israele, secondo i media
locali, avrebbe fornito all'Egitto un elenco di nomi off limit, che
non è disposto a far uscire dalle celle. Dopo tre giorni di
trattative in Qatar, gli israeliani sono tornati a casa senza le
risposte attese.
Il rapporto tra progressi e minacce di abbandonare i tavoli è ancora
molto sbilanciato sulle seconde, nonostante le forti pressioni
internazionali. Secondo il Wall Street Journal Hamas avrebbe
congelato le comunicazioni con i mediatori dopo la strage degli
aiuti a Gaza. La Francia ha chiesto un'indagine indipendente sugli
eventi di giovedì, attorno al convoglio umanitario. Il presidente
Emmanuel Macron ha espresso «profonda indignazione» e «la più forte
condanna di queste sparatorie». Il ministro degli esteri tedesco
Annalena Baerbock ha chiesto che l'esercito israeliano spieghi più
dettagliatamente la dinamica dei fatti. La presidente della
Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è detta «profondamente
disturbata dalle immagini di Gaza», aggiungendo che serve «un grande
sforzo per indagare ciò che è successo e garantire la trasparenza».
Prima di lei, il capo degli esteri dell'Ue, Josep Borrell, aveva
espresso il suo sgomento.
Un'indagine approfondita è stata sollecitata anche dagli Stati Uniti
che, in mancanza di una versione più chiara e completa, hanno
comunque bloccato una risoluzione del Consiglio di sicurezza con cui
le Nazioni Unite avrebbero voluto incolpare Israele per la tragedia.
Resta condivisa la necessità di un ampliamento degli aiuti umanitari
a Gaza. I civili nella Striscia «stanno rischiando la vita per
trovare cibo, acqua e altre forniture» ha commentato l'Oms.
"Nella Striscia si muore di fame e il responsabile è Netanyahu "
berlino
«La carestia è indotta ed è facile tornare indietro: basta aprire i
valichi», spiega Philippe Lazzarini, il Commissario generale dell'Unrwa,
l'agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, in questa intervista a La
Stampa.
Si è fatto un'idea del massacro costato la vita a 112 palestinesi
durante il transito del convoglio di beni alimentari? Circolano
diverse versioni. Qual è la sua?
«Non ho altri dettagli rispetto a quanto ho saputo dai media, ma
sono certo che le indagini ci diranno come si sono svolti i fatti. È
scioccante però che centinaia di persone affamate siano state uccise
mentre stavano disperatamente aspettando il cibo. Nel Nord di Gaza
incombe la carestia e come Unrwa non abbiamo più potuto portare
aiuti dal 24 gennaio. Quando abbiamo riprovato a inizio febbraio il
nostro convoglio è stato bloccato dall'esercito israeliano. Non ho
una mia versione dei fatti, ma so che il trasporto di due giorni fa
non era organizzato né dall'Onu né dall'Unrwa né da alcuna
associazione umanitaria conosciuta. Sembra ci sia dietro
un'iniziativa di altra natura».
Di quale natura?
«A questo stadio non faccio supposizioni. I fatti possono essere
accertati solo con un'indagine seria, un adeguato accesso al luogo,
un appropriato interrogatorio a chi guidava il trasporto e
ascoltando testimoni oculari».
Come sta procedendo l'assistenza umanitaria a Gaza in quest'ultimo
periodo?
«Da settimane noi ed esperti della Fao parliamo di carestia
incombente. Rispetto a questa situazione di emergenza e sebbene la
Corte di giustizia internazionale dell'Aia abbia chiesto uno sforzo
maggiore è successo il contrario. L'assistenza umanitaria a febbraio
è diminuita in media del 50% rispetto a gennaio».
Perché è diminuita?
«È mancata la volontà politica. Ci sono due accessi a Gaza
attualmente operativi: Rafah e Kerem Shalom. Il secondo è quello che
permette la maggiore capacità di transito, ma è regolarmente chiuso
o perché ci sono manifestazioni o per via di un sistema di ispezioni
estremamente macchinoso. Per esempio un camion dall'Egitto impiega
per entrare tra i cinque e i sette giorni. Al fondo manca la di
volontà».
Di chi?
«Se Israele volesse, l'accesso ai valichi potrebbe essere più
veloce. Prima del 7 ottobre transitavano 700 veicoli pesanti al
giorno. Oggi abbiamo una media di 100-150 e nemmeno tutti i giorni.
Se ci fosse la volontà di aprire altri valichi, per esempio a Karni
o Erez nel Nord – dove attualmente abbiamo una popolazione in
trappola, ridotta alla fame – potremmo affrontare la situazione.
Questa è una situazione puramente "manmade", cioè indotta dall'uomo,
artificiale. Non ho mai visto nella storia recente un posto in cui
viene artificialmente provocata la carestia».
Cosa intende con una carestia indotta?
«Intendo che è creata da un sistema di sicurezza estremamente
serrato. Se fosse allentato il problema della fame si potrebbe
risolvere. È molto più facile affrontare la fame a Gaza piuttosto
che nel Sahel, dove è legata a condizioni ambientali. Qui la
risposta è nota: basta aprire i valichi e lasciare entrare i
convogli per dare assistenza alle persone».
Il governo israeliano ha lanciato accuse pesanti all'Unrwa,
sostenendo che 12 dei suoi collaboratori sarebbero stati coinvolti
nel massacro del 7 ottobre. Come replica?
«Quando il 18 gennaio sono stato messo al corrente sono rimasto
scioccato. La vicenda è stata presa molto seriamente e non solo le
persone accusate sono state licenziate, ma ho denunciato tutto al
Segretario generale dell'Onu che ha avviato un'indagine
indipendente. Sono in corso di revisione anche le procedure del
sistema di risk management, sotto la guida dell'ex ministra francese
Catherine Colonna. Tra poco avremo i risultati e siamo pronti a
migliorare il necessario. Però voglio essere chiaro: stiamo parlando
solo di accuse».
Quali sono state per voi le conseguenze di questi addebiti?
«Circa 16-18 Paesi hanno congelato i loro contributi all'Unrwa. Se
non cambia qualcosa la capacità dell'Agenzia di affrontare la
peggiore crisi umanitaria della regione sarà compromessa. Non
potremmo fornire servizi essenziali come l'istruzione a Giordania,
Siria, Libano e Cisgiordania, dove ci sono migliaia di bambini e 450
milioni di dollari sono a rischio di congelamento».
Il governo Netanyahu sostiene che l'Unrwa è compromessa con Hamas e
afferma che il loro data-center era sotto la vostra sede a Gaza
City. Come lo spiega?
«Gli israeliani non si sono mai rivolti a noi con le loro accuse, le
hanno sempre trasmesse via social-media o via tv. L'accusa del
data-center è un'affermazione, ma non hanno mai condiviso con noi le
prove. Quando si potrà accedere a Gaza sarà necessario fare una
seria indagine sui tunnel e i loro accessi. Intanto posso dire che
dall'inizio della guerra oltre 400 persone sono state uccise mentre
si erano riparate sotto la bandiera dell'Onu e questa è una grave
violazione che richiederebbe un'inchiesta internazionale».
Perché il governo israeliano vuole le sue dimissioni?
«Israele vuole smantellare l'Unrwa perché è diventata un simbolo dei
diritti dei rifugiati palestinesi e delle loro richieste di un
percorso politico. La richiesta di dimissioni è il passo preliminare
per eliminare l'Agenzia».
Si può sostituire l'Unrwa ora?
«La nostra non è sono un'organizzazione umanitaria ma provvede anche
alla scolarizzazione. Solo a Gaza circa 300 mila bambini vengono a
scuola da noi. L'unico che ci può sostituire è uno Stato che ora non
c'è. Sarebbe un terribile errore sacrificare il futuro di migliaia
di ragazze e ragazzi. L'alternativa è crescere nel trauma, la
migliore ricetta per aumentare odio, violenza e risentimento»
Raid aereo in Siria, ucciso un Pasdaran Razzi di Hezbollah lanciati
verso Israele
C'è anche un cittadino iraniano fra i tre morti registrati in Siria
in seguito a un raid aereo attribuito a Israele nella cittadina
costiera di Baniyas. È un esponente Pasdaran, dispiegato in Siria
come consulente militare. Lo riferisce l'Osservatorio nazionale per
i diritti umani in Siria, secondo cui nell'attacco contro un
edificio residenziale nel quartiere di Batariya a Baniyas sono morte
altre due persone non meglio identificate. L'Osservatorio pubblica
foto dell'edificio distrutto: si trattava di una "villa" isolata da
altri edifici e da alcune fonti identificata come uno degli
avamposti operativi dell'Iran e degli Hezbollah libanesi in Siria. È
la prima volta dall'inizio del recente conflitto in Medio Oriente
che l'aviazione israeliana colpisce la cittadina mediterranea di
Baniyas, a nord-ovest di Damasco e non lontana dal confine con il
Libano. Nuovi attacchi di razzi dal Libano sono stati segnalati ieri
nel nord di Israele.
Caso Santanchè, commissariata la Visibilia " Gravi irregolarità ,
quadro preoccupante"
Andrea Siravo
Milano
Un quadro «preoccupante» costellato di «gravi irregolarità», un
management «inadeguato». Sono molteplici gli elementi che inducono
il Tribunale di Milano a commissariare Visibilia Editore, la
«creatura» dell'attuale ministra del Turismo, Daniela Santanchè.
La decisione di procedere con l'amministrazione giudiziaria accoglie
la richiesta, sostenuta dalla procura, di un gruppo di soci di
minoranza, capitanati dall'imprenditore Giuseppe Zeno e assistiti
dall'avvocato Antonio Piantedosi, che contestavano con un ricorso
presentato nel giugno 2022 una «crisi caratterizzata da costanti e
rilevanti perdite di esercizio, forte indebitamento di natura
tributaria e previdenziale ammontante a più di 2 milioni di euro».
Quando nel cda della società editore di Novella 2000 e Ciak erano
ancora seduti Dimitri Kunz D'Asburgo Lorena e Fiorella Garnero,
rispettivamente compagno e sorella della senatrice di Fratelli
d'Italia che di Visibilia Editore è stata presidente fino al gennaio
2022, prima di finire indagata per la presunta mala gestio della
stessa società nel novembre 2023. Le sofferenze finanziarie della
società non hanno trovato soluzione neanche con il subentro
dell'imprenditore Luca Ruffino (patron di Sif, finanziaria tuttora
prima azionista), morto suicida ad agosto 2023. Per i giudici la
revoca dell'attuale cda e la nomina come amministratore giudiziario
dell'avvocato torinese Maurizio Irrera sono «l'unica» misura «in
grado di portare al superamento della situazione di pregiudizievole
inerzia rispetto alla predisposizione di un adeguato assetto
organizzativo» anche per Visibilia Editrice e «alla gestione del
piano di risanamento in corso».
In particolare, i giudici, valorizzando l'ispezione svolta dalla
commercialista Daniela Ortelli, evidenziano che gli attuali
amministratori, guidati da un geometra di Corsico, Alberto
Campagnoli, «hanno avviato il piano senza assicurarsi di avere le
risorse per sostenerlo». E se ciò non bastasse a destare un «forte
allarme» nel Tribunale sono le criticità sull'organizzazione interna
di Visibilia Editore. Ogni funzione organizzativa amministrativa e
contabile - come certifica l'ispezione - è affidata a Visibilia
Concessionaria. Idem per la società operativa, ovvero Visibilia
Editrice. Una situazione che «esiste da sempre», ma che se prima
poteva trovare una ragionevole spiegazione nel fatto che Visibilia
Concessionaria, di cui Santanchè ne possiede il 75% attraverso la
Immobiliare Dani, controllava Editore, non vale più da quando nel
2022 è formalmente uscita dalla struttura del gruppo. «Nonostante
questa formale terzietà, Concessionaria continua a gestire
l'amministrazione e la tesoreria delle società del gruppo compiendo
scelte anche in ordine ai pagamenti creditori di Editore e di
Editrice». Una fotografia che prova «l'unitarietà» in solo gruppo
delle tre Visibilia e dimostra quindi «l'inadeguatezza» dell'attuale
management. Una situazione «tanto più grave» se si considera che
Visibilia Editore è «quotata» e che le società del gruppo devono
gestire «una conclamata situazione di crisi».
modena, l'annuncio di valditara Studente punito per
un'intervista la scuola ora annulla la sospensione
È contento solo a metà, Damiano Cassanelli, lo studente modenese che
era stato sospeso dal proprio istituto tecnico, l'Itc Barozzi, dopo
aver rilasciato un'intervista in cui esternava critiche e avanzava
proposte verso la struttura.
Ad annunciare la cancellazione della sanzione (12 giorni a casa, mai
applicati), è stato ieri il ministro dell'Istruzione, Giuseppe
Valditara, dicendo che «come avevo già indicato in risposta a una
interrogazione parlamentare, l'organo di garanzia della scuola, a
maggioranza, ha annullato il provvedimento adottato dal consiglio
d'istituto».
«Mi fa strano apprenderlo dal ministro - ha commentato il ragazzo
attaverso il suo avvocato, Stefano Cavazzuti - mentre il Barozzi non
mi ha ancora comunicato niente. Adesso servirebbe fare più luce su
questa vicenda, la mia scuola ha bisogno di più serenità per
lavorare». In quell'intervista, Damiano aveva denunciato un episodio
in cui erano stati effettuati controlli sugli studenti. Poi,
proposto di fare gite all'estero, introdurre dispenser per il cibo e
anticipare l'orario d'ingresso
02.03.24
L'ultimo miracolo di Alexey mostrare al mondo l'altra Russia
«Putin assassino». «No alla guerra». «Ucraini brava gente». «Abbasso
lo zar». «Riportate i soldati a casa». Chiuso nella bara, Alexey
Navalny è riuscito nel suo ultimo miracolo: mostrare al mondo
l'altra Russia, quella che dice il contrario di quello che afferma
Putin, quella fuorilegge, quella che non si vede e che molti
credevano non esistesse più. Sembra una rivincita, amara e tardiva,
forse l'ultima, ma trionfale, e migliaia di persone che sfidano la
polizia, le telecamere con riconoscimento facciale, le transenne e i
megafoni, che si sono portate negli zaini tutto l'occorrente per la
prima notte in cella come consigliato da gruppi di attivisti e siti
indipendenti, marciano come se fossero cittadini liberi. I funerali
di un uomo morto dietro le sbarre diventano un momento di libertà,
in cui la paura fa un passo indietro, e molti scandiscono i mantra
di Navalny «l'amore è più forte della paura», e «la Russia sarà
libera», anche se visto dal fango della tangenziale di Maryino
appare un sogno impossibile.
C'è un contrasto atroce tra la scenografia di un funerale di
periferia – i casermoni prefabbricati sovietici, avvolti nel
grigiore di quello che nonostante il calendario si chiamerà ancora a
lungo inverno, le transenne lungo i vialoni coperti di cumuli di
neve sporca, la chiesetta di quartiere con una messa frettolosa per
i parenti, i ceri stretti in pugno e i foulard che scendono sulla
fronte delle donne – e il cordoglio di milioni di click online, di
centinaia di migliaia di persone che seguono lo streaming della
processione, dei messaggi di governi e organizzazioni
internazionali, della orchestra sinfonica di Londra che dedica a
Navalny la Quarta di Shostakovich, e del parlamento europeo che
applaude la vedova Yulia. I media della propaganda statale russa
pubblicano le fotografie dei diplomatici occidentali che hanno
partecipato alle esequie, e anche le targhe delle loro auto, bene in
vista, come a dire che Navalny era un russo estraneo alla Russia,
che era amato più dagli stranieri, che Putin solo il giorno prima
aveva chiamato «nemici» dalla tribuna del parlamento. Ma a guardare
i volti di quelli che camminano dietro al catafalco, che lanciano i
fiori, accendono le candele, composti, disciplinati, addolorati, ma
pieni di dignità, il mito dei navalniani come un gruppo di ragazzi
moscoviti sparisce. È una folla senza leader – i capi del movimento
sono al sicuro all'estero oppure in carcere, e uno degli slogan
scanditi è «libertà ai detenuti politici» – che però si organizza e
si fa coraggio, e sono numerosi i volti non più giovani, e i
giubbotti dozzinali, e mazzi di rose e garofani da pochi soldi. I
fioristi di tutto il quartiere di Maryino sono stati svuotati, e la
coda di quelli che vogliono entrare in chiesa e poi al cimitero si
misura in chilometri.
Il martirio di Navalny, che aveva vissuto, messo su famiglia e
lanciato la sua sfida al Cremlino proprio da questi casermoni,
attingendo dalle sue radici di periferia la rabbia e la
legittimazione per denunciare la cleptocrazia, segna il finale di
una storia umana e politica che sembra scritta per i manuali e per
Hollywood. Il suo funerale è il rito finale che chiude un'epoca.
Doveva essere la sepoltura anche della speranza di un cambiamento
pacifico, di una democrazia che si conquista in piazza e nelle urne.
Non è successo, forse non accadrà mai, e il popolo di Navalny che
ieri ha sfilato probabilmente per l'ultima volta lo sa. Già il fatto
che Yulia Navalnaya e i figli Dasha e Zakhar non sono venuti a dare
l'ultimo addio al padre e al marito dimostra che il Cremlino non ha
voluto offrire nessuna garanzia di incolumità alla vedova del
politico. Migliaia dei manifestanti degli anni scorsi sono fuggiti
all'estero, altri, tantissimi, non osano unirsi al corteo per paura,
e quelli che sono venuti si vedono respinti, bloccati dalle
transenne, tagliati fuori dal corteo, perché il regime non ha osato
seppellire il dissidente di nascosto in un carcere siberiano, ma non
ha voluto permettere che le sue esequie si trasformassero in una
manifestazione di protesta come era stato nel 1989 con Andrey
Sakharov.
Doveva essere una fine dell'opposizione, questo funerale così
modesto e blindato, ma diventa all'improvviso la promessa di un
nuovo inizio, non solo nella musica di Terminator-2 che accompagna
la discesa della bara nella tomba e ricorda il mitico "I'll be
back", tornerò, pronunciato da Schwarzenegger. Chi è venuto al
cimitero di Borisovo lo ha fatto perché non poteva non esserci,
perché aveva bisogno di testimoniare, per raccontarlo un giorno.
Mentre il presidente russo minaccia compiaciuto di lanciare bombe
atomiche sull'Europa, gli orfani di Navalny dicono, urlano e
piangono parole oggi proibite, dalle quali non potrà non ripartire –
se e quando ci sarà - la meravigliosa Russia del futuro: no alla
guerra, no alla dittatura. —
01.03.24
Salvini visita Verdini in carcere, perplessità del Sapp
alessandro di matteo
roma
Matteo Salvini in carcere per visitare un detenuto. Un fatto che
sarebbe normale - un ministro e parlamentare che si reca nei luoghi
di reclusione - se il detenuto in questione non fosse Denis Verdini,
politico a lungo vicino a Silvio Berlusconi e soprattutto padre
della compagna del leader della Lega. Salvini si è presentato al
carcere di Sollicciano dove da martedì è rinchiuso Verdini,
condannato per bancarotta. L'ex parlamentare aveva ottenuto i
domiciliari, ma gli sono stati revocati dal Tribunale di
sorveglianza di Firenze perché avrebbe violato gli obblighi e preso
parte ad alcune cene a Roma.
Verdini deve scontare 15 anni e 10 mesi di reclusione e si era
costituito nel 2020 a Rebibbia, a Roma. Nel gennaio 2021 aveva
ottenuto la detenzione domiciliare per motivi di salute, a causa del
dilagare del Covid nel carcere. Decisione confermata poi dal
tribunale di sorveglianza di Firenze nel luglio 2021 per l'età,
avendo compiuto 70 anni.
Salvini come ministro può accedere al carcere e ieri si è recato a
Sollicciano per incontrare Verdini nella sala riservata ai colloqui,
dopo avere ricevuto l'autorizzazione dalla direttrice Antonella
Tuoni. L'iniziativa, però, è stata commentata con qualche
perplessità dal Sapp, sindacato di polizia penitenziaria: «Da sempre
incoraggiamo le visite di parlamentari nelle carceri - spiega il
segretario generale Aldo Di Giacomo - auspicando che servano a
verificare le condizioni dei detenuti e quelle di lavoro del
personale penitenziario. Ci auguriamo che la visita del ministro
Salvini al padre della sua compagna Denis Verdini abbia avuto questo
scopo e non si sia limitata a constatare le condizioni del quasi
congiunto».—
Il fondo sovrano che investe i nostri soldi pagati per gas e
petrolio, per conto di Riad
Il fondo sovrano Public Investment Fund (Pif) ha sede a Riad ed è
uno dei fondi sovrani più floridi al mondo, in capo all'Arabia
Saudita. È di fatto il veicolo attraverso cui la famiglia reale
saudita investe i surplus fiscali in strumenti finanziari o in
attività come lo sport e sono ormai molte le realtà che sono finite
nelle mani del fondo, a partire dal calcio. Ha un patrimonio totale
stimato di oltre 776 miliardi di dollari ed è stato costituito nel
1971, proprio per realizzare investimenti per conto del governo
dell'Arabia Saudita. Attualmente è presieduto dal principe
ereditario Mohammad bin Salman Al Sa'ud. Nella fase iniziale aveva
fornito prestiti finalizzati soprattutto all'attuazione di progetti
di sviluppo nazionale, ma nell'arco di poco tempo ha allargato i
propri orizzonti, investendo in tutto il mondo e in più settori.
29.02.24
Gli effetti del voto disgiunto Per l'ex sindaco di Cagliari 5.500 voti in meno delle liste
che lo sostenevano
Sono mancati parecchi voti al campione del centrodestra Paolo Truzzu,
circa il doppio di quelli che gli sarebbero serviti per superare
Alessandra Todde nel testa a testa per la presidenza della Sardegna.
Il sindaco di Cagliari, meloniano, candidato della coalizione al
governo ha ottenuto 328.494 preferenze, appena 2.615 voti in meno di
quelli raccolti dalla rivale sostenuta da Partito democratico e dal
Movimento 5 stelle (esattamente l'opposto di quanto accaduto a Todde,
che ha preso più preferenze delle liste che la sostenevano). Una
manciata di voti, appena lo 0,4%, che avrebbe potuto facilmente
superare se tutti gli elettori che hanno votato per i partiti del
blocco di centrodestra avessero indicato il suo nome come
presidente.
Le liste che lo sostenevano, infatti, hanno totalizzato 333.873
voti, ben oltre i 331.109 ottenuti da Todde. Il voto disgiunto,
insomma, c'è stato eccome, sono stati 5.379 gli elettori che hanno
scelto uno dei partiti del centrodestra ma che poi, per ragioni
chiuse nel segreto dell'urna, hanno deciso di dare la preferenza a
un altro dei candidati sulla scheda elettorale. Il dato più
eclatante, infine, è che Truzzu è andato molto peggio dove - in
teoria - avrebbe dovuto "giocare in casa": lui, sindaco di Cagliari,
è stato sconfitto nettamente proprio nel capoluogo sardo, superato
di otto punti da Todde.
Finora politica e guerra in Ucraina erano, per signori e signore del
nostro occidente, un tira e molla, un'altalena, un dai che io do, un
va e vieni dai quali tutti in fondo pensavano di uscirne salvi, alla
fine. Gli astuti perfino con qualche bel gruzzolo da spendere
politicamente all'interno. Tutt'al più si trattava di pagare qualche
milione di euro e di svuotar gli arsenali del vecchiume; ma alla
prima occasione, ridotto come vogliono logica ed economia Putin al
lumicino, si recuperava il perduto e il pagato. Si sa che le
ricostruzioni sono affari lucrosi... Agli ucraini, quelli scampati
al macello in prima linea, rimasti liberi per merito proprio, si
riservava la amarognola soddisfazione della medaglia degli eroi.
L'importante era che nessuno ad occidente uscisse con le ossa rotte.
Altrimenti il bel gioco della politica e della guerra fatta con gli
altri sarebbe finito.
Poi un giorno il presidente francese Macron pronuncia alcune
parolette: che non può escludere di spedire soldati a combattere a
fianco degli ucraini, non solo, sarebbe ansioso di costruire una
coalizione di volenterosi (formuletta dietro cui abbiamo posizionato
alcune delle nostre peggiori sconfitte) e così accingersi virilmente
a vincere la guerra del Donbass. Ci si incammina da Parigi sulle
luttuose tracce della Grande Armata?
Macron è un azzimato Napoleoncino che si tiene bigottamente stretto
alla lettera della superiorità gallicana pur essendo, come impongono
i mutati tempi della potenza, uomo di nebbia e di vento; che
illazioni sproporzionate, con ipocrita reverenza, hanno etichettato
come macigno europeista. Con indicativa miopia provinciale, da
questa parte delle Alpi, le sue ardite e allarmanti escogitazioni
belliciste (insomma: la Terza guerra mondiale a pezzi da noiosa
cantilena diverrebbe Terza guerra mondiale e basta) sono state
interpretate come legate al gioco di dispetti tra "monsieur le
président" e la Meloni, una grottesca batracomiomachia dell'Unione.
Lei si trasferisce a Kiev come capo dei Grandi o di quel che resta
di loro con un misterioso, forse un pacco vuoto forse no, Patto
d'acciaio con Zelensky. E lui replica dichiarando, nientemeno, quasi
guerra alla Russia.
Macron non ha fatto altro che compiere un passo verbale ulteriore in
una pericolosa progressione che dura da mesi. Con cui le cancellerie
d'occidente in modo omeopatico preparano le opinioni pubbliche dei
rispettivi Paesi a scavalcare il limite estremo: ovvero la necessità
se non si vuole ingoiare, dopo due anni di sacrifici, il malpasso
della sconfitta ucraina, di scendere in campo. Per piegare la Russia
rimasta putiniana bisogna passare dalla non belligeranza milionaria
(armi e sostegno economico) alla belligeranza diretta. È così che da
sempre le guerre diventano mondiali e "inevitabili".
Il presidente francese gioca d'anticipo, dir per primo ciò che gli
altri ancora occultano sotto formule vaghe potrebbe rendere i gradi
di capitano della futura Gran Coalizione dei generosi. La politica
rispetto a come risolvere il problema ucraina finora si è mossa
nell'arte dell'assicurazione e della contro assicurazione,
dell'inganno e del para inganno, dallo scavar buche per far
inciampare Putin da non saper poi come camminare trovandosele
intorno ai propri piedi. Ci pareva possibile curare i conti della
nostra aritmetica, preparar le elezioni Usa, nell'Unione e nei Paesi
satelliti e intanto pagar altri per far la guerra necessaria. I
signori presidenti, buoni a seccar tasche per il conflitto, eran
pieni di entusiasmo: con Kiev comunque, fino alla vittoria. E
aguzzavano gli occhi, nei tavoloni dei Vertici, su realtà caparbie e
avverse aggruppate sotto nomi poco familiari che i loro aiutanti
leggevano sillabando su carte geografiche dell'Ucraina. Alcuni di
loro conoscono il mestiere ma questa faccenda ucraina è diversa, non
una "small war", una guerruccia, ci sono città piene di uomini che
fuggono nei rifugi ed eserciti in marcia nella steppa con i piedi
indolenziti da ritirate e avanzate. Con le armi donate uomini
correvano incontro alla morte attraversando fiumi gelati e,
equipaggiati in carri armati, soffocavano solcando le nevi sterili
dell'Ucraina.
La brutale aggressione russa ha restituito alla Morte il posto che
da un quarto di secolo non avevamo più dinanzi ai nostri occhi di
europei. Pace e benessere ne avevano sbocconcellato il dominio che
per secoli era stato in questa parte del mondo assoluto. La guerra
restava una realtà dell'uomo, ma una realtà nascosta e lontana.
Circondata da precauzioni era per gli europei spettacolo televisivo.
Per trovarla bisognava viaggiare in Africa e in oriente dove i suoi
trionfi sembravano essersi rifugiati. La furiosa mischia ucraina ha
riportato i morti, i morti dappertutto, non onorevolmente coperti
come si usa ma nudi con il loro odore e colore di morte, ridotti a
lembi nelle strade e nei fossi, orride gonfiezze dondolanti a fior
d'acqua. Era una morte europea. Ma finora degli altri. Che sta per
diventare anche nostra? Attenti, qui ora si parla di noi.
Nel sipario di mezze verità, ottimismi e bugie di chiassoni e
gabbadei spunta che l'Ucraina, armi o non armi, è in gravi
difficoltà: dopo mesi di mutua distruzione e nulla più il fronte
cambia faccia. Kiev manca di uomini perché li ha consumati in due
anni. Gli arsenali in occidente son quasi asciutti, bisogna produrre
a gran forza ma per esser sicuri noi. Il bellicismo disinvolto dei
due anni precedenti, la gigantesca fatamorgana della vittoria
sparisce, si cambia tono. Diventa preoccupato, allarmista, da corsa
contro il tempo: ahimè, per fermare Putin gli ucraini non bastano!
Ci si arma e riarma, si restaurano le leve, ci si strofina con il
formare nuclei di riservisti. Perché non si sa mai, Putin è goloso,
bisogna esser pronti. L'entrata in guerra light, dopo aver
ammorbidito le coscienze. Come era chiaro fin dall'inizio, con armi
e denaro si poteva tenere in vita l'Ucraina non portarla alla
vittoria, liberare le terre occupate fino all'ultimo centimetro. Per
quello ci vuole la Terza guerra mondiale.
Morire per Kiev: ma davvero, non solo nel portafoglio. Forse è
davvero necessario per salvare l'occidente ma bisogna avere il
coraggio di dirlo. E a condurla non potranno essere coloro che hanno
causato il disastro.
IL POTERE POLITICO LIBERERA' VERDINI
PRESTO: Nonostante gli arresti domiciliari nella lussuosa villa
sulle colline di Firenze era riuscito ad ottenere il permesso di
recarsi dal dentista a Roma. Ma ha approfittato di questi viaggi per
partecipare a tre cene con manager e imprenditori. In altre parole è
evaso dai domiciliari e così ieri mattina è tornato dritto in
carcere. Tanto più che alcune persone con cui ha cenato sono state
indagate come lui per corruzione nell'inchiesta sugli appalti Anas
che ha portato all'arresto del figlio Tommaso.
Stavolta non è servito a nulla a Denis Verdini - 72 anni, ex braccio
destro di Berlusconi ed ex senatore di Ala oltre che attuale suocero
del vice premier e ministro Matteo Salvini - avere più di 70 anni e
qualche acciacco di salute. Per lui si sono aperte le porte della
prigione di Sollicciano per ordine del Tribunale di sorveglianza su
richiesta della procura generale di Firenze e dovrà rimanerci in
linea teorica fino al 2032 per un cumulo di pene. Deve infatti
scontare 6 anni per il crac del Credito Cooperativo Fiorentino,
oltre a 3 anni e 10 mesi per la bancarotta di un'impresa edile
Arnone di Campi Bisenzio, e altri 5 anni e mezzo per il fallimento
della Società Toscana Edizioni (che pubblicava Il Giornale della
Toscana). Ma considerata l'età potrebbe ottenere ancora i
domiciliari, magari con il braccialetto elettronico.
Le cene finite nel mirino della magistratura e che gli sono costate
il rientro in cella sono state scoperte durante le indagini della
Guardia di Finanza, su delega della procura di Roma, per gli appalti
Anas. Tre le «gite» nella capitale, tra ottobre 2021 e gennaio 2022,
sotto la lente investigativa: due al ristorante Pastation di
proprietà di Verdini Junior e un'altra a casa di quest'ultimo. Dopo
l'arresto di Tommaso Verdini, a dicembre, il Tribunale di
sorveglianza del capoluogo toscano aveva aperto un procedimento e il
22 febbraio si è celebrata l'udienza. La procura generale aveva
chiesto la revoca dei domiciliari per l'ex senatore. Assistito
dall'avvocato Marco Rocchi, si è difeso spiegando che riteneva di
poter partecipare alle cene «perché autorizzato ad andare dal
dentista a Roma e a fermarmi a casa di mio figlio».
La prima cena risale al 26 ottobre 2021 e Denis Verdini, ignaro
delle indagini delle Fiamme gialle, si è intrattenuto, esercitando
tutte le sue arti di uomo dalle mille relazioni con l'ex senatore e
imprenditore Vito Bonsignore e l'allora amministratore delegato di
Anas, Massimo Simonini. Il secondo appuntamento serale è quello del
30 novembre 2021, sempre al Pastation, alla presenza del figlio
Tommaso, del socio di quest'ultimo in Inver, Fabio Pileri, di
Simonini, dell'imprenditore Antonio Veneziano e del sottosegretario
all'Economia, il leghista Federico Freni, estraneo all'inchiesta
Anas.
Il tris di cene vietate si conclude l'11 gennaio 2022 a casa di
Tommaso Verdini alla presenza di Bonsignori, Pileri e Simonini.
Peccato però che Verdini Senior fosse autorizzato dal Tribunale di
sorveglianza per essere a Roma dalle 10 alle 14 e di rientrare,
subito dopo le cure, a casa del figlio. Ma ovviamente una volta
raggiunta l'abitazione non poteva incontrare nessuno a parte gli
stretti familiari proprio perché era in regime di arresti
domiciliari.
Dopo la condanna in Cassazione per il crac Ccf, Verdini si presentò
spontaneamente a Rebibbia. Era il 3 novembre 2020 e il 29 gennaio
dell'anno dopo, si vide riconoscere i domiciliari per l'epidemia di
Covid nell'istituto. L'8 maggio 2021 ha compiuto 70 anni ed è
rientrato tra quelli che hanno diritto a scontare la pena a casa.
Ma ora, nell'ordinanza che lo ha rispedito in carcere, il giudice
scrive che è evidente come «la reiterata violazione delle
prescrizioni, violazioni tra l'altro anche successive alla data
dell'udienza (marzo 2022) in cui si discuteva della proposta di
revoca per una condotta ben meno grave di quella oggetto di odierna
valutazione, rende inidonea la misura domiciliare a contenerne la
pericolosità». Inoltre «Verdini è coindagato per corruzione ed altri
reati (inchiesta Anas, ndr) asseritamente commessi proprio dalle
persone con cui si intratteneva abitualmente ed anzi ricoprendo il
ruolo di elemento di collegamento - per il rilevante ruolo
"politico" ricoperto in passato - con ambienti amministrativi e
politici di rango elevato. Da tale considerazione emerge il fondato
dubbio, che questo Tribunale non può ignorare, che le autorizzazioni
richieste di volta in volta al magistrato per svolgere le lunghe e
ripetute cure dentarie in Roma fossero in realtà uno strumento per
poter più facilmente eludere il vincolo delle prescrizioni accedenti
la misura».
Sanità altra tecnica per favorire i privati.
Esami a rischio
paolo russo
roma
Il governo taglia del 30% le tariffe a rimborso di visite e
accertamenti eseguiti da ospedali pubblici e privati convenzionati.
Una sforbiciata che costringerebbe ad erogare sotto costo molte
prestazioni anche comuni, come una broncoscopia o un'analisi del
colesterolo, tanto che gli stessi privati che lavorano per conto
dell'Ssn mettono in guardia: «Così sottocosto non potremo continuare
a lavorare per conto del pubblico e le liste di attesa finiranno per
raddoppiare», sintetizza padre Virginio Bebber, presidente
dell'Aris, l'associazione degli istituti socio-sanitari no profit di
area cattolica. Anche se qualche problema potrebbero averlo anche
gli ospedali pubblici, visto che con i bilanci in rosso rischiano la
poltrona i loro direttori generali.
Con le nuove tariffe destinate ad entrare in vigore il prossimo
primo aprile, l'Aris calcola una riduzione media complessiva di
quasi un terzo. Un sistema non sostenibile non solo per le strutture
religiose, ma anche per l'associazione di imprese Confapi-Salute e
Artemisia Lab, oltre che per le associazioni scientifiche e dei
pazienti del settore oculistico.
Ma vediamo da dove parte questa crepa che rischia di aprire un'altra
falla nel nostro Ssn. Tutto comincia con i nuovi Lea, la lista delle
prestazioni rimborsabili, aggiornata dopo anni di attesa nel 2017
con circa 400 prestazioni di nuova generazione. Il tassello mancante
erano le tariffe, visto che quelle in vigore risalgono a fine anni
'90. Dopo vari rinvii il tariffario aggiornato, salvo nuove
proroghe, entrerà in vigore il 1° aprile prossimo, ma giunti ormai
in dirittura di arrivo si scopre che per compensare l'aumento dei
costi delle new entry nel librone delle prestazioni mutuabili finirà
anche il taglio delle tariffe di quelle che nei Lea ci sono da
sempre.
«Tariffe - spiega padre Bebber - assolutamente inadeguate e
irrealistiche, che porteranno in futuro enormi problemi». Il centro
studi dell'Aris ci fornisce qualche esempio per capire meglio: le
visite specialistiche - come quelle cardiologiche, ortopediche e
neurologiche - hanno una tariffa di 22 euro, cifra che è
insufficiente a coprire i costi del medico specialista, del
personale infermieristico, del servizio di prenotazione, delle
utenze e delle pulizie. Ogni visita genererebbe per l'associazione
una perdita almeno di 25 euro. Ma sono molte le prestazioni che
hanno tariffe che non coprono neanche i costi diretti di produzione.
Eseguire, per esempio, una colonscopia prevede circa 30 minuti di
tempo, l'impiego di un medico e due infermieri, l'uso di tecnologie
e altri materiali necessari, più un lavoro amministrativo. La nuova
tariffa prevede 95,90 euro per questa prestazione. Analizzando i
costi che deve sostenere la struttura, per l'Aris bisogna fare
questi conti: un medico costa 39 euro; due infermieri 35 euro;
ricondizionamento apparecchiatura post erogazione 20 euro; gestione
certificazione 4 euro; risveglio 2 euro per un totale di 125 euro,
ai quali vanno aggiunti: 18 euro per la manutenzione degli strumenti
tecnologici, 21 euro per l'ammortamento e 17 per costi
amministrativi. Ciò significa che, applicando il nuovo tariffario,
la struttura dovrebbe erogare la prestazione richiesta con una
perdita di circa 85 euro. Due ore di ambulatorio coprirebbero
quattro colonscopie che per la struttura significherebbero 340 euro
di perdita. Stesso discorso vale per una scintigrafia renale, che
rimborsata a 122,40 euro comporterebbe una perdita di 110 euro,
uguale a quella per una broncoscopia con prelievo bronchiale, mentre
un esame urodinamico comporterebbe una perdita secca di oltre 122
euro.
«Il nuovo tariffario sugli esami e le visite sarà un disastro
economico che porterà al fallimento delle strutture sanitarie del
Sud, che potranno essere acquistate a basso costo dalle grandi
multinazionali straniere. Per non parlare del rischio di un aumento
delle liste di attesa», afferma Mariastella Giorlandino,
amministratrice di reti Artemisia Lab e rappresentante dell'Unione
ambulatori e poliambulatori. «Se il metodo per non remunerare
giustamente le prestazioni in convenzione, tagliando del 60% le
tariffe dei laboratori, è quello di dire "facciamole nel pubblico",
significa non conoscere la realtà degli ospedali» gli fa eco Michele
Colaci, presidente di Confapi-Salute. Che nel nuovo tariffario vede
anche una ulteriore spinta alle diseguaglianze territoriali in
sanità, «perché le regioni del Nord che non sono in piano di rientro
potranno modificare al rialzo le tariffe nazionali, quelle del Sud
no».
Tariffe avare uguale a tecnologie "basic" è quello che denunciano
tanto l'associazione dei pazienti con malattie oculari che la
Società di scienze oftalmiche. «Per sostituire il cristallino
operato di cataratta si finirà per usare lenti a basso costo
provenienti dall'India», predice Michele Allamprese, presidente
dell'associazione dei pazienti, che per chi ha problemi di vista
vede liste di attesa più lunghe nel pubblico e maggiore spesa per
interventi in modalità "solvente". —
"Per la cataratta da 1300 euro a 806 Così i risparmi favoriscono i
privati"
Stanislao Rizzo è considerato un mago dell'oculistica e nel
dipartimento che dirige al Gemelli di Roma arrivano non solo da
tutta Italia, ma anche dall'estero per affidare a lui la propria
vista. Pazienti solventi ma anche molti non paganti in regime Ssn.
«Con queste nuove tariffe però sarà sempre più difficile lavorare
per il pubblico» si sfoga.
Sono davvero così basse?
«Prenda uno degli interventi più eseguiti, quello di cataratta.
Prima che ad agosto entrassero in vigore le nuove tariffe
ospedaliere, che hanno preceduto quelle per visite e analisi che
entreranno in vigore ad aprile, il rimborso era di circa 1.300 euro,
ora è sceso a 806 e con quella cifra non riusciamo nemmeno ad
accendere le luci in sala operatoria. Tant'è che alcune casse
sanitarie integrative le rimborsano a duemila e passa euro».
Può fare qualche altro esempio?
«L'iniezione intravitreale che serve per curare varie patologie
della retina è rimborsata a 268 euro ma in molti tariffari regionali
in questa cifra sono inclusi anche visita ed esami preventivi, oltre
al costo del farmaco. Così trattare le maculopatie è impossibile».
Vuol dire che il privato finirà per non fare più queste prestazioni
in regime convenzionato?
«Non mi stupirei se dalla direzione dell'ospedale mi chiamassero
chiedendomi di fermarmi con gli interventi in regime Ssn e di
eseguirli in modalità privata. Del resto gli ospedali pubblici se
vanno in deficit posso sempre contare sui ripiani a piè di lista
delle Regioni, quelli privati i conti in qualche modo devono farli
tornare».
Sembra un de profundis dell'Ssn…
«Ci sono grandi investitori che stanno per aprire un grosso centro
oftalmico privato a Roma che mi hanno già contattato. Io voglio
continuare a mettere a disposizione la mia esperienza anche per chi
non può pagare. Ma il rischio che questa spinta al risparmio finisca
per favorire il privato-privato c'è. Così come è reale il pericolo
che questa dieta delle tariffe finisca per creare nuove
discriminazioni tra i pazienti, negando ad esempio a quelli Ssn un
cristallino di ultima generazione».
28.02.24
Bava (Azionista Juventus): "Ci sono gli estremi per il
commissariamento della società, fatti gravi sul bilancio. La vicenda
CR7..."
27.02.2024 19:30 di Alessandra Stefanelli vedi letture
Bava (Azionista Juventus): "Ci sono gli estremi per il
commissariamento della società, fatti gravi sul bilancio. La vicenda
CR7..."TuttoJuve.com
Marco Bava, uno degli azionisti della Juventus, è intervenuto in
esclusiva ai microfoni di TVPlay.it: le sue dichiarazioni sulla
Superlega.
“LA JUVE RISCHIA IL COMMISSARIAMENTO, MANCANO 20 MILIONI A
RONALDO” – “Esiste una continuità e una libertà di gestione che alla
Juve e nel gruppo Agnelli, molto di più di quando c’era l’avvocato
che era molto capace e attento a tante cose rispetto ai suoi
successori. La continuità nasce dal fatto che se un amministrazione
firma non la solo per sé stesso ma anche per chi viene dopo di lui.
Quando FIAT fece un contratto con General Motors e poi cambiò idea
Marchionne si staccò dal contratto avendo due miliardi di dollari di
risarcimento danni. Secondo me che manca alla Juve, ci sarebbero gli
estremi metterla sotto commissariamento continuano a non esserci
informazioni, carenze negli accantonamenti del bilancio per esempio
col Ronaldo a cui mancano 20 milioni non proprio noccioline. Gli
azionisti quando vengono in assemblea, gran parte, il 60% faceva i
complimenti anche se facevano cose bestiali e altri parlano di
calcio ma non di bilancio. L’azionista della Juve non accetta di
criticare il consiglio amministrazione e non cerca nemmeno di capire
le cose”.
“NON E’ CAMBIATO NULLA DOPO L’ADDIO DI AGNELLI, IL BILANCIO RESTA
IRREGOLARE” – “Ci sono gli estremi del commissariamento mi riferisco
alla legge 231, quando ci sono dei fatti gravi sul controllo e sul
bilancio l’organismo di vigilanza che è un organo pagato dalla
società per vigilare fatto da avvocati importanti o Torino che
capiscono molto di economia. Ho chiesto di fare questa richiesta mi
hanno guardato come fossi un marziano. Secondo me ci sono tutti gli
estremi, non è cambiato nulla, il bilancio su cui la Procura di
Torino ha fatto le sue indagini è stato modificato ma non in alcune
forme sostanziali e la forma più pesante è la vicenda Ronaldo. La
legge dice chiaramente quando hai un rischio probabile ma certo di
un’entità ovvero di Ronaldo, non credo che lui accetti meno soldi di
quello che ha diritto ad avere. Non mi pare che ci siano i
presupposti, stiamo parlandone da più di un anno di questa vicenda.
Faccio presente a oggi dal cambio di vertice e la nuova gestione non
è cambiata per niente perché non poteva farla. Ferrero era già amico
di Agnelli, è indagato per reati fiscali esattamente come John
Elkann”.
“LA FAMIGLIA AGNELLI INTIMIDISCE GLI AZIONISTI, NON C’E’ DEMOCRAZIA”
– “La Juve se ne frega degli azionisti e quindi tutti zitti, hanno
paura quello che io dico è frutto anche spunto da altri azionisti.
La famiglia Agnelli in questo paese ed in questa città hanno
spaventato tutti perché fanno quello che vogliono e gli viene
consentito di farlo. Una volta sono stato portato via dalla Digos in
un’assemblea e nessuno ha detto niente. C’è un’intimidazione nei
confronti degli azionisti che viene riconosciuto in Parlamento dove
stanno discutendo l’idea di fare le assemblee chiuse e saremo
l’unico paese al mondo. E’ chiaro che Juventus e le banche non hanno
un assetto democratico”
"Non si mandino segnali di impunità"
Matteo Indice Genova
«È essenziale che non si trasmetta una sensazione d'impunità, mentre
certe dichiarazioni politiche vanno in quella direzione. E però il
G8 del luglio 2001 e i processi seguenti, ai quali viene d'istinto
collegarsi, dimostrano che si può avere fiducia nell'autorità e
nella giustizia anche quando deve indagare sui soprusi d'un segmento
dello Stato». Vittorio Ranieri Miniati, procuratore aggiunto di
Genova, condusse da pubblico ministero insieme alla collega Patrizia
Petruzziello l'inchiesta sulle torture della polizia nella caserma
di Bolzaneto, chiusa con un riconoscimento di responsabilità diffusa
a carico di decine di agenti. E accetta oggi di ragionare, dalla sua
prospettiva, sui fatti di Pisa.
Il clima politico incide sul comportamento della polizia?
«Tanto, ovviamente».
A Genova come andò?
«La prima riflessione dev'essere sulle condizioni ambientali
immediatamente successive al G8. Di fatto non vi fu alcuna
collaborazione o intervento d'iniziativa dei vertici della polizia
neppure su input politico con l'obiettivo di chiarire gli eventi».
Sta accadendo anche adesso? Ci sono analogie?
«Non lo so. Ma ribadisco: il principale pericolo su questo fronte è
che venga trasmessa agli agenti la sensazione di poter agire
impuniti. Le indagini e i dibattimenti di Genova fissano tuttavia un
precedente fondamentale e ci dimostrano che l'accertamento della
verità non si riesce a fermare».
Esternazioni di protezione pressoché incondizionata ai poliziotti,
come quelle rilasciate nelle ultime ore da ministri del governo in
carica, possono contribuire a creare il clima d'impunità?
«Certo, possono incidere sull'atteggiamento di chi deve dirigere un
servizio delicato come quello dell'ordine pubblico».
Dal 13 al 15 giugno prossimi, in Puglia, si terrà il G7.
«È fondamentale che chi ha il compito di far rispettare le regole
sia il primo a farlo. E chi deve organizzare il lavoro dei
poliziotti sul campo si ispiri a principi rigorosi, trasparenti».
SE PUTIN=HITLER PER LUI SOLO LA STESSA FINE MA UN BAGNO DI SANGUE
PER TUTTI NOI : L'assassinio di Alexey Navalny è
probabilmente il frutto finale di una serie di indecisioni e di un
serio conflitto interno al Cremlino tra «tecnocrati», che hanno
variamente cercato di lavorare a uno scambio del più famoso
dissidente russo, e «falchi», una gran parte dei siloviki, gli
uomini degli apparati, che infine hanno convinto Putin a procedere
alla liquidazione del «paziente berlinese» - come Putin chiamò
Navalny senza nominarlo, ai tempi in cui veniva curato (e salvato)
in Germania dal primo avvelenamento nell'agosto 2020, per intervento
diretto di Angela Merkel. Putin alla fin fine, quando deve scegliere
tra il parere di Roman Abramovich e quello di Nikolai Patrushev (il
potente capo di tutti i servizi segreti russi), sceglie sempre
istintivamente il secondo, che per lui è il Kgb.
Ieri il Team Navalny ha rivelato un dettaglio clamoroso sugli ultimi
giorni di Alexey: il 15 febbraio mattina avevano ricevuto la
conferma che c'era un accordo di massima per scambiare Navalny, più
due cittadini americani, con Vadim Krasikov, un agente del Fsb che
sta scontando l'ergastolo in Germania per aver assassinato in pieno
giorno, sparandogli addosso da distanza ravvicinata nel parco del
Tiergarten, a Berlino - tra famigliole e berlinesi che fanno jogging
- un comandante ribelle ceceno-georgiano che aveva combattuto contro
la Russia nel 2000, Zelimkhan Khangoshvili.
Nella celebre "intervista" a Tucker Carlson, Putin aveva spiegato
già – a una domanda su Evan Gershkovich, il giornalista del Wall
Street Journal arrestato in Russia con accuse inventate di
spionaggio – come considerava Krasikov. «Non ha senso tenere in
prigione – sostenne il dittatore russo – una persona che, per
patriottismo, ha fatto fuori un bandito in una delle capitali
europee». Poi aggiunse, inquietante e sibillino: «Che l'abbia fatto
di sua volontà o meno, è un'altra questione» (peraltro negando che
l'assassinio berlinese fosse stato ordinato da Mosca).
Le trattative sono durate due anni, forse ci sarebbe voluto molto
meno, ma è andata così, dice Pevchikh, e il 15 mattina il team ha
ricevuto la conferma dello scambio. Il 16 febbraio Navalny è morto.
Assassinato.
La proposta di scambiare Navalny era stata recapitata a Putin
dall'oligarca Roman Abramovich. E qui entriamo nella storia
inquietante dell'omicidio di Navalny. «A Putin era stato detto
chiaramente», spiega Pevchikh. «L'unico modo per prendere Krasikov è
scambiarlo con Navalny. «Oh, sì, deve aver pensato Putin. Non
tollererò Navalny libero. E poiché sono pronti a cambiare Krasikov
in linea di principio, dobbiamo semplicemente eliminare il tema
della contrattazione».
Putin si è a quel punto trovato in una falsa posizione, che però di
fatto ha segnato definitivamente la sorte di Navalny. Da una parte
lui voleva fortissimamente riavere Krasikov, l'aveva fatto sapere
agli americani da mesi. Dall'altra però non voleva assolutamente
lasciar andare Navalny, il leader di opposizione che ha sempre
temuto di più, un politico a tutto tondo, e a pochi giorni dalle
elezioni (chiamiamole così) presidenziali.
Washington in linea di principio, spiega una fonte di intelligence
occidentale, lavorava almeno all'inizio per riavere Evan Gershkovich,
il giornalista del Wall Street Journal fatto arrestare da Putin con
accuse inventate di spionaggio, e l'ex marine Paul Whelan, anche lui
in carcere in Russia accusato di spionaggio. Ma era stato possibile
inserire Navalny nella partita - benché fosse cittadino russo, e non
americano - perché esiste la possibilità di scambi internazionali
"umanitari", anche verso Paesi terzi.
Proprio quando la trattativa stava entrando nel vivo, Putin
procedeva alla distruzione di Navalny. Dicembre 2023, dopo mesi e
mesi di ritardi burocratici, il piano di scambio viene messo in
atto. 6 dicembre 2023: agli avvocati non è più permesso di vedere
Navalny, che si trova nella colonia penale numero 6 a Melikhovo,
nella regione di Vladimir. L'11 dicembre vengono informati che è
stato trasferito. Oltre il circolo Polare Artico, nel gulag "Lupo
polare" (dove poi verrà ucciso). Arcipelago Putin.
Abbas Gallyamov, ex speechwriter di Putin nei primi anni al
Cremlino, spiega: «Non è da escludere che Putin, nel decidere il
destino di Navalny, abbia dato il via libera alla realizzazione
simultanea di due scenari: "Scambiarlo? Beh, magari lo scambiamo",
"Ucciderlo? Sì, forse avete ragione, probabilmente è davvero meglio
uccidere". Le autorità non avevano uno scenario ottimale; hanno
dovuto scegliere tra diversi scenari sfavorevoli, quindi il capo
dello Stato ha esitato. In alcuni momenti ascoltava la parte
moderata del suo apparato, in altri si inclinava verso il punto di
vista dei falchi».
Alla fine «si è lasciato convincere dai falchi che sostengono che
non è necessario tenere conto dell'opinione dell'Occidente in una
situazione in cui è incapace di tutto, e sopportare le buffonate
degli oppositori in una situazione in cui un gran numero di
cittadini aspettano solo un motivo per non scendere più in piazza».
Ora però incombono i funerali. Potrebbero avvenire il 29 febbraio,
proprio mentre Putin presenta all'Assemblea federale il suo
messaggio elettorale. Navalny lo perseguiterà anche da morto.
PURTROPPO HA RAGIONE : La sferzata di Macro n ai leader "Non è
escluso l'invio di truppe"
danilo ceccarelli
parigi
È stata una dimostrazione di compattezza e unità quella che ha
cercato di dare ieri Emmanuel Macron riunendo all'Eliseo una ventina
tra capi di Stato e di governo, perlopiù europei, nella Conferenza a
sostegno dell'Ucraina.
Un messaggio chiaro e diretto, inviato da Parigi direttamente a
Mosca per fargli capire che Kiev gode ancora dell'appoggio
dell'Occidente, nonostante i tentennamenti statunitensi. La riunione
si è tenuta solamente due giorni dopo la videoconferenza del G7
organizzata da Giorgia Meloni, disertata da Macron che sabato si è
fatto rappresentare dal ministro degli Esteri Stephane Séjourné, con
una mossa non proprio diplomatica (giustificata dalla partecipazione
al Salone dell'Agricoltura, tenutosi nel bel messo delle
contestazioni degli agricoltori).
La titolare di Palazzo Chigi sembra aver ricambiato il favore,
mandando il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli ad un evento
che ha visto, tra gli altri, la partecipazione del cancelliere
tedesco Olaf Scholz, del premier spagnolo Pedro Sanchez, di quello
portoghese Antonio Costa, del presidente polacco Andrzej Duda e del
titolare della diplomazia britannica David Cameron. Una carrellata
di leader accolti uno ad uno da Macron, che ancora una volta si è
posizionato come capofila del blocco europeo in un appuntamento per
certi versi apparso come una vetrina internazionale.
Il presidente francese ha lanciato un appello per un «sussulto»
contro una Russia sempre più aggressiva e minacciosa, che
sembrerebbe pronta a lanciare altri attacchi contro l'Europa. Per
queto sono necessarie decisioni «forti», ha spiegato Macron. In
primo luogo, sulla fornitura di armamenti: intervenendo in una
conferenza stampa con il primo ministro bulgaro Nikolay Denkov
Volodymyr nel pomeriggio, Zelensky ha ricordato agli europei che
l'Ucraina ha ricevuto solamente il 30% dei proiettili di artiglieria
promessi dall'Ue. Uno dei nodi più difficili da sciogliere quello
sulle forniture di materiale bellico, con la premier estone Kaja
Kallas che ha ricordato a Le Monde la necessità di «dare più armi» a
Kiev, mentre il cancelliere Scholz ha ribadito di non poter fornire
missili Taurus a lunga gittata perché «non sarebbe responsabile». Il
tutto con l'Ucraina che nelle scorse settimane ha firmato accordi
bilaterali con Germania, Francia e Italia.
Ma il titolare dell'Eliseo ha ribadito la minaccia che rappresenta
la Russia anche in termini di cybersicurezza, tornando su un dossier
più volte evocato dalla Francia: «Abbiamo tutti subìto (…) degli
attacchi in termini informativi e in termini cyber». Un modo per
ricordare che in ballo c'è «la sicurezza collettiva di oggi e di
domani». Macron ha inoltre detto che l'invio di truppe occidentali
in futuro non può «essere escluso».
Una posizione sulla quale ha insistito anche il presidente ucraino:
«Insieme dobbiamo fare in modo che Putin non distrugga quello che
abbiamo realizzato e non possa estendere la sua aggressione ad altri
Paesi», ha martellato il leader di Kiev nel videomessaggio trasmesso
prima dell'inizio dei lavori. «La vittoria contro la Russia dipende
da voi», ha poi aggiunto il leader ucraino, nella speranza di dare
uno scossone ai suoi partner utile a rilanciare il dispositivo di
aiuti internazionali. —
LA PERSECUZIONE DI PUTIN CONTINUA : «Vostro onore, i
rappresentanti dell'accusa, vi domando: non avete paura? Non siete
terrorizzati a vedere cosa sta diventando il nostro Paese, che
probabilmente anche voi amate? Non avete paura di questa distopia
assurda nella quale toccherà vivere non solo a voi e ai vostri
figli, ma forse anche ai vostri nipoti?». L'aula di un tribunale è
rimasta forse l'unico posto in Russia dove un cittadino può dire
quello che vuole, per l'ultima volta, e non è un caso che i processi
più recenti contro Alexey Navalny si sono tenuti in teleconferenza
dal carcere, con una telecamera sfocata e un audio che stranamente
si interrompeva proprio quando il politico iniziava una frase
particolarmente sferzante contro il regime. Oleg Orlov, copresidente
di Memorial, la prima Ong russa che ha ottenuto il premio Nobel per
la pace ed è stata messa fuori legge da Vladimir Putin alla vigilia
dell'invasione dell'Ucraina, è accusato di «discredito delle forze
armate russe», l'articolo del codice penale introdotto con la guerra
che ha già mandato in carcere centinaia di russi. Un processo
precedente incredibilmente si era limitato a condannare il 70enne
dissidente a una multa, ma la magistratura ha richiesto una
revisione perché lo vuole dietro le sbarre per tre anni.
È una Russia dove la clemenza non esiste più, e la morte di Alexey
Navalny l'ha appena dimostrato. Orlov viene processato per un
articolo in cui aveva definito il regime putiniano «totalitario e
fascista», pubblicato poco più di un anno fa, quando «alcuni
conoscenti pensavano che usassi tinte troppo fosche», ironizza oggi.
Si è rifiutato di fuggire all'estero, si è rifiutato di prendere
parte al processo-farsa, e voleva rinunciare anche a prendere la
parola per l'ultima volta. Ma ieri ha cambiato idea, approfittando
del privilegio degli imputati per lanciare una denuncia altrimenti
impossibile da pronunciare: quello del leader dell'opposizione «è
stato certamente un omicidio, indipendentemente dalle circostanze
concrete».
Il copresidente di Memorial ha ricordato Navalny come «un uomo
straordinario, coraggioso e onesto», violando il tabù che proibisce
di menzionarlo in pubblico, e facendo suo l'appello a «non
arrendersi». È un passaggio di testimone molto simbolico, che si
compie al tribunale Golovinsky di Mosca, dal dissenso storico nato
nella lotta al comunismo sovietico, quello della resistenza morale
degli intellettuali, e l'opposizione della nuova generazione
postsovietica, che ha combattuto per elezioni libere nelle piazze e
su YouTube, e che pensava che lo stalinismo e il Gulag fossero
reperti d'epoca. Memorial è stata fondata da Andrei Sakharov,
Navalny ha ricevuto dal parlamento europeo il premio Sakharov, e la
coesione generazionale e politica tra mondi diversi e spesso lontani
dell'opposizione russa si fonde in un fronte unico.
Troppo tardi, forse. Navalny è morto, è stato ucciso, è quella che
sta andando in scena a Mosca è l'ultima battaglia della protesta
prima di una notte che scenderà per molto tempo, come ipotizza Orlov
rivolgendosi ai giudici e ai poliziotti del regime di Putin. I
seguaci del politico morto in prigione stanno combattendo per poter
organizzare un funerale pubblico, in quello che – se autorizzato –
diventerà molto probabilmente lo scontro finale. Gli spazi per
un'azione politica legale e non violenta in Russia sono quasi
inesistenti, ma Orlov segue la tattica dei navalniani di lanciare le
sfide ovunque ci sia uno spiraglio, e di costringere il Cremlino a
battere in ritirata – come è successo con la campagna per restituire
alla madre di Navalny il corpo del figlio – oppure di ordinare un
nuovo giro di vite, come verosimilmente avverrà nei confronti di chi
si presenterà al commiato.
Ma se è vero, come dicono i collaboratori di Navalny, che erano in
corso le trattative per scambiarlo con il killer dei servizi russi
Vadim Krasikov, condannato all'ergastolo in Germania, allora ha
ragione il politologo Abbas Galyamov a dire che dentro il Cremlino
esistono ancora delle divisioni, se non tra colombe e falchi almeno
tra i falchi più feroci e quelli più moderati. Nel dubbio, Putin
sceglie quasi sempre la linea dura, ed è difficile credere che
avesse acconsentito a rimettere in libertà la sua nemesi. È vero che
l'esilio in Occidente avrebbe appannato l'immagine di martire di
Navalny, ma il danno che poteva infliggere al Cremlino da vivo
avrebbe compensato, e comunque ne sarebbe uscito come un vincitore
della sua sfida con Putin.
Se però è vero anche, come sostiene Galyamov, che anche il recente
braccio di ferro sul corpo del dissidente ucciso sia un segno che
qualcuno, nella cerchia di Putin, si rende conto del danno
reputazionale prodotto dalle atrocità in Ucraina e dalla repressione
in Russia, allora diventano evidenti i destinatari delle parole di
Orlov, che dice agli esecutori del volere del governo «voi capite
perfettamente tutto», e promette che «i loro figli e i nipoti si
vergogneranno di raccontare dove lavoravano papà e mamma».
Un calcolo, quello sulle divisioni al Cremlino, sempre più fragile,
anche perché l'eterna guerra civile russa prosegue, e Orlov ricorda
agli uomini del regime che «domani potrebbero finire loro sotto il
rullo compressore, come era già successo nella storia». Un'allusione
chiara alle purghe di Stalin nel 1937, lanciate contro i bolscevichi
stessi, e un pronostico inquietante: lo stalinismo è finito soltanto
con la morte fisica del suo leader.
GUARDA IL CASO :«Benficiario» al posto di «beneficiario»,
«ordinate» invece che «ordinante». Refusi e disattenzioni sulla
ricevuta di un bonifico hanno messo nei guai Roberto Rabachino,
giornalista, scrittore, sommelier, sino al luglio 2022 delegato
della Fisar, Federazione italiana sommelier albergatori e
ristoratori. Quegli errori grossolani, infatti, hanno sollevato non
pochi sospetti sulla sua attività. Per l'associazione si occupava di
raccolte fondi benefiche: lotterie, cene di Natale. Il ricavato?
Destinato a Save the children e alla Croce Rossa per i terremotati
dell'agosto 2016. Questo, almeno, sulla carta. Perché ai soci è
bastata una telefonata per scoprire che quelle donazioni non erano
mai avvenute. «Nonostante la ricezione di numerose distinte di
bonifici». Sono scattati accertamenti interni, analizzati estratti
conto e documentazioni. Ed ecco ulteriori magagne. Tra cui degli
accrediti su conti a società riconducibili proprio a Rabachino.
«Contiamo davanti a tutte le persone i soldi e il mattino prima di
alzarvi, già alle quattro, riceverete la ricevuta del versamento»,
era solito ripetere il sommelier, con alle spalle 11 pubblicazioni
di enologia e gastronomia e cattedre, stando ai suoi racconti, a
Roma, Shangai, New York e a San Paolo. Curriculum di un certo
spessore, eloquio volto a rassicurare. Di diverso parere il Collegio
dei Probiviri, che il 22 luglio 2019 l'ha cacciato dalla Fisar: «La
sua condotta era volontariamente e coscientemente programmata a
trattenere indebitamente denaro». Sentenza inappellabile. La loro.
Perché con la giustizia ordinaria la vicenda è andata in maniera ben
diversa.
I soci si rivolgono all'avvocato Claudio Strata. Preparano un
esposto, lo presentano a Palazzo di giustizia.«Rabachino - scrivono
- ha vergognosamente, e senza nessuno scrupolo, lucrato su disastri
e calamità naturali. Utilizzando il nome e la credibilità non solo
di Save the children ma anche della Croce Rossa Italiana e facendo
leva su sentimenti di solidarietà». Scatta un'inchiesta. Il reato
ipotizzato? Appropriazione indebita. Per fatti dal 2011 al 2019. Su
somme che superano i 215mila euro.
A novembre 2021, l'avviso di conclusione indagini è pronto. Poi però
resta lì per dei mesi. Manca personale per completarlo, notificarlo.
Poi trascorrono altri mesi, senza che venga mai fissata la data
dell'udienza. Passa troppo tempo ed ecco che arriva la richiesta
d'archiviazione. «Il reato è prescritto o si prescriverà in tempi
assolutamente incompatibili con la celebrazione del dibattimento»,
si legge nell'atto. Di chi è la responsabilità? «Motivi
organizzativi dell'ufficio». Detto in altri termini, la vicenda è
rimasta lì, a Palazzo di Giustizia, quasi dimenticata, «in assenza
di indici di priorità di trattazione».
L'avvocato Strata non nasconde sdegno e amarezza. «Se è così, come
possono essere tutelate le parti offese di fronte a gravi reati
contro il patrimonio, che a quanto pare non rientrano negli "indici
di priorità di trattazione"?». E rilancia: «Le parti offese di un
reato gravissimo, che ha cagionato un danno patrimoniale rilevante,
oggi si trovano a dover patire l'inerzia degli uffici»
CONTINUO SPRECO DI SOLDI PUBBLICI: Corso racconigi
Quindici varchi Per la zona 30 un investimento da 1,2 milioni
È in fase di realizzazione il progetto per la nuova zona 30
sull'asse di corso Racconigi, con cui vedranno la luce le porte di
accesso all'area e la creazione di attraversamenti pedonali rialzati
e marciapiedi allargati. L'obiettivo è duplice: moderare la velocità
delle auto disincentivando il traffico di passaggio e garantire più
spazio e sicurezza ai pedoni. Un insieme di opere su cui ha posto
l'accento l'assessora alla Mobilità Chiara Foglietta, per rispondere
a un'interpellanza del consigliere Giuseppe Iannò in Sala Rossa. Il
perimetro interessato dalle modifiche alla viabilità è fra i corsi
Vittorio Emanuele II, Trapani, Peschiera e Racconigi. I varchi di
accesso saranno 15 e verranno indicati con segnaletica orizzontale:
si troveranno in corrispondenza delle vie Garizio e Villar
Focchiardo (da corso Vittorio), Bardonecchia, Frassineto e Azzi (da
corso Racconigi), Pragelato e Cenischia (da corso Peschiera),
Frassineto, Spanzotti e Bardonecchia (da via Capriolo), Cenischia,
Monte Albergian, Novalesa, Pellice e Prali (da via Frejus). Nel
perimetro nasceranno quattro passaggi pedonali rialzati. Un progetto
da 1,2 milioni finanziato dal ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti, nell'ambito del programma PinQu.
27.02.24
I pm indagano sulla catena di comando La procura di Pisa indaga sulle manganellate in piazza agli
studenti. Le indagini per accertare eventuali reati sono state
affidate ai carabinieri. Cosa è andato storto, dunque? Sia il
ministro Piantedosi che il capo della Polizia Pisani hanno negato
direttive politiche sui servizi di ordine pubblico. Le scelte sono
fatte autonomamente dalle autorità di pubblica sicurezza locali. Nel
caso di Pisa, dove 13 ragazzi - di cui ben 10 minorenni - sono
finiti in ospedale, il prefetto Maria Luisa D'Alessandro ha detto
che non è stata data nessuna indicazione particolare per reprimere
con la forza e i manganelli le manifestazioni, mentre il questore
Sebastiano Salvo «ha ammesso - secondo quanto riferito da Cgil, Cisl
e Uil - un problema di gestione della piazza, dal punto di vista
organizzativo e operativo, a suo avviso causato dal fatto che non
erano chiari gli obiettivi del corteo». Ci sono state dunque falle
nella fase di prevenzione e poi in strada, quando sono partite
cariche indiscriminate. Sotto esame quindi tutta la catena di
comando, dal questore al responsabile del servizio ai dirigenti in
piazza.
"Il diritto a manifestare va garantito La forza? Solo se c'è un
pericolo reale "
Cesare Mirabelli
alessandro di matteo
roma
La Costituzione garantisce il diritto di manifestare, possono essere
previsti divieti o restrizioni solo per «comprovati motivi di
pubblica sicurezza o incolumità pubblica» e anche l'uso della forza
in caso di violazioni della legge o delle indicazioni delle questure
deve essere assolutamente «proporzionato». Cesare Mirabelli,
presidente emerito della Corte costituzionale, spiega che non basta
una semplice deviazione dal percorso stabilito a giustificare il
ricorso alle maniere forti, a meno che i manifestanti non
intraprendano azioni chiaramente violente, perché il diritto a
manifestare va garantito. E il capo dello Stato, aggiunge, è
intervenuto proprio in quanto «primo garante della Costituzione».
Professore, quindi dal punto di vista della Costituzione la reazione
della polizia è stata esagerata?
«L‘azione della polizia può certamente arrivare allo scioglimento
della manifestazione, se vi è un pericolo per l'ordine pubblico e la
sicurezza pubblica. Ma qui entra in gioco il principio di
proporzionalità: la risposta deve essere adeguata rispetto alla
situazione e non sfociare in un eccesso nell'uso della forza. Non a
caso spesso c'è un'azione di reciproca persuasione, gli
organizzatori anche sulla piazza dialogano con chi ha la
responsabilità dell'ordine pubblico e chi ha responsabilità
dell'ordine pubblico magari tollera alcune irregolarità per
garantire lo svolgimento pacifico della manifestazione».
Quindi non basta dire – come fanno il vice-premier Matteo Salvini e
come ha fatto Fdi in una nota – che se un corteo non rispetta le
regole è giusto manganellare?
«No, certo. Si interviene per comprovate ragioni di sicurezza. Tanto
che a volte si ha l'impressione che ci sia anche una reciproca e non
espressa azione di tolleranza: la polizia sopporta che ci sia una
piccola rottura dei cordoni dei contenimento pur di consentire lo
svolgimento comunque ordinato della manifestazione. Certo, altra
cosa è se nella manifestazione spuntano bastoni, o se partono
sassaiole. Ma se non c'è un'azione violenta, l'essenziale è che sia
garantito il diritto di manifestare».
Questo vale anche se il corteo non era autorizzato o aveva deviato
il percorso?
«La Costituzione stabilisce chiaramente il diritto di riunirsi
pacificamente e senz'armi. È un principio fondamentale, fa parte
delle garanzie democratiche. E per riunirsi non è necessario nessun
preavviso, se si tratta semplicemente di un luogo aperto al pubblico
(un luogo privato a cui si accede a determinate condizioni, per
esempio un cinema o un teatro, ndr). Quando la riunione avviene in
un luogo pubblico (piazze, vie, ndr) non è che deve essere
autorizzata: deve essere dato preavviso all'autorità, che non può
sindacare. Ci possono essere divieti – e non autorizzazioni! – solo
per comprovati motivi di sicurezza o incolumità pubblica. Le forze
dell'ordine devono garantire sia il diritto costituzionale di
manifestare – perché potrebbero esserci contro-manifestazioni che
tentano di impedire il corteo – sia la sicurezza di tutti gli altri
cittadini. E normalmente si svolgono anche delle trattative, il
questore può dare indicazioni sul percorso e via dicendo, proprio
per garantire l'incolumità e la sicurezza che dicevamo. Ovviamente a
condizioni che non siano riunioni non pacifiche o armate».
Sulle manganellate è intervenuto addirittura Sergio Mattarella. Un
fatto senza precedenti.
«Il Capo dello Stato è il primo garante della Costituzione. Perciò è
attento anche ai rischi, alle deviazioni, alle ferite che possono
avvenire rispetto all'esercizio dei diritti fondamentali. In questo
caso ha proprio sottolineato la funzione che la polizia deve avere:
i ragazzi possono avere sbagliato, ma se vi è un eccesso nell'uso
dei manganelli significa che qualcosa non ha funzionato. Non è stato
colto l'obiettivo che si deve avere in questi casi. Senza mettere in
stato d'accusa nessuno. È una constatazione. È fondamentale che
anche chi dissente fortemente dal contenuto della manifestazione
rispetti lo svolgimento di un corteo. È una forma di manifestazione
collettiva del pensiero».
L'opposizione mette sotto accusa tutta la politica di sicurezza del
governo, ricorda le norme anti-rave, il ddl sicurezza… C'è il
rischio di una deriva autoritaria?
«Possiamo ritenere che l'opposizione svolge il suo ruolo, nel senso
che è anche una sentinella del rispetto dei principi costituzionali.
Ma non riterrei che ci si avvii verso uno stato autoritario, perché
vi sono anticorpi nel sistema: le garanzie costituzionali e finanche
giurisdizionali».
Ma le garanzie costituzionali non verrebbero indebolite con la
riforma del premierato? Avremmo un capo dello Stato eletto dal
Parlamento e un presidente eletto dai cittadini, che peraltro
controlla il Parlamento stesso…
«Certamente ci sarebbe un indebolimento del presidente della
Repubblica. Ma su questi temi il contrappeso maggiore dovrebbe
essere il Parlamento, e con questa riforma il capo del governo
avrebbe il potere di sciogliere le Camere sostanzialmente a suo
arbitrio: l'essenziale è che non si inverta il rapporto tra governo
e Parlamento, le Camere non possono diventare come dei consigli
comunali. In questo senso al limite è migliore il
semi-presidenzialismo francese, che ha portato in qualche caso anche
ad avere un Parlamento con una maggioranza diversa da quella che ha
eletto il presidente e alla coabitazione tra le due cariche
istituzionali».
OBIETTIVO DI ISRAELE : A Gaza si muore per mancanza di cibo.
A Gaza, secondo le stime delle Nazioni Unite, una persona su quattro
muore di fame, in alcune aree nove famiglie su dieci trascorrono un
giorno e una notte senza cibo. Gli appelli per fare fronte a questa
catastrofe umanitaria non sono di oggi né di ieri. Vanno avanti da
mesi: a dicembre, un rapporto dell'Integrated Food Security Phase
Classification prevedeva che entro la fine di questo mese l'intera
popolazione della Striscia avrebbe dovuto affrontare livelli di
crisi di insicurezza alimentare acuta, con almeno una famiglia su
quattro alle prese con condizioni vicine alla carestia. È di fronte
a questi numeri, che l'Unrwa, l'agenzia delle Nazioni Unite
responsabile degli affari palestinesi, ha dichiarato di dover
sospendere gli aiuti a nord di Gaza per il «crollo dell'ordine»,
formula per indicare che la disperazione della gente che ha bisogno
di cibo, sta rendendo insicuri i viaggi verso il nord della
Striscia. Qui i fatti della cronaca recente: un mese fa le Nazioni
Unite hanno lanciato l'allarme sulle «sacche di carestia a Gaza» con
una concentrazione particolarmente acuta a nord, e in due mesi le
cose sono andate peggiorando, come la disperazione di chi non
mangia, non sa come sfamare i propri figli e per questo assalta i
(pochi) camion di passaggio con gli aiuti.
Tamara Alrifai, direttrice delle relazioni esterne dell'Unrwa ha
detto che «il comportamento disperato delle persone affamate ed
esauste sta impedendo il passaggio sicuro e regolare dei nostri
camion. Non sto incolpando le persone o descrivendo queste cose come
atti criminali, sto dicendo che il fatto che abbiano fermato i
nostri camion non rende più possibile condurre operazioni umanitarie
adeguate».
L'assedio alla Striscia di Gaza
Dopo l'attacco di Hamas del 7 ottobre, il ministro della Difesa
israeliano Yoav Gallant aveva ordinato un assedio completo della
Striscia: «Non ci sarà elettricità, né cibo né carburante. Tutto è
chiuso» aveva detto. Il ministro della Sicurezza nazionale Itamar
Ben-Gvir dieci giorni dopo aveva sostenuto che nessuno «dovrebbe
entrare a Gaza fino a che gli ostaggi israeliani saranno nelle mani
di Hamas». Il 21 ottobre Israele ha iniziato a concedere l'accesso
di pochi aiuti, ma da allora tutte le organizzazioni umanitarie e
alcuni degli esperti legali che osservano e studiano la situazione
nella Striscia di Gaza, denunciano non solo che la situazione è
ormai – come è sotto gli occhi del mondo – disperata, ma che la
fame, nella guerra a Gaza, viene utilizzata come arma. Impedire
l'accesso dei beni di prima necessità, in guerra, è una violazione
del diritto internazionale che i funzionari israeliani rispediscono
al mittente.
In Burkina Faso
Attacco a una chiesa durante la messa Almeno 15 morti
È di almeno 15 morti e 2 feriti il bilancio di un attacco sferrato
ieri da uomini armati all'interno di una chiesa cattolica a Essakane,
in Burkina Faso mentre veniva celebrata una messa. Lo ha reso noto
il vescovo della diocesi di Dori, monsignor Laurent Bifuré Dabire,
spiegando che «il bilancio provvisorio è di 15 fedeli uccisi, dei
quali 12 morti sul posto e tre nel Centro sanitario a causa delle
ferite riportate». Il vice premier e ministro degli Esteri, Antonio
Tajani, su X ha condannando l'attacco in Burkina Faso esprimendo
«orrore per il vile attacco terroristico contro fedeli cattolici
durante una Santa Messa. Il mio cordoglio alle famiglie delle
vittime e massima solidarietà ai feriti».
Cosca
azzurra
Dagli Anni 80 a oggi
giuseppe legato
La mappa è tutta nell'ultima relazione semestrale della Direzione
investigativa antimafia. Mette in fila mafie, città e famiglie come
in un risiko di potere e lusso. Affari e misteri. Boss, mamme
santissime, broker, massoni, pezzi deviati dello Stato e - da ultimo
- nuove generazioni delle ‘ndrine. Tutti insieme - appassionatamente
- nella striscia di mare e terra che si chiama Costa Azzurra.
«Nizza, Mentone e Cannes» mettono nero su bianco gli investigatori
di Roma. Sessantaquattro chilometri di litorale che da almeno tre
decenni sono stati ospitali e distratti verso i soldi della
criminalità organizzata italiana sapientemente esportata
nell'indifferenza generale transalpina. L'innesco dei "calabresi",
ad esempio, è Ventimiglia, insuperabile frontiera per i migranti, ma
non per i picciotti delle ‘ndrine di mezza Italia che si sono
spostati in quel ricchissimo fazzoletto d'Europa «visto come
naturale continuità - si legge agli atti investigativi - lungo la
costa del mar Ligure». È questa la «Camera di passaggio - secondo
gli 007 - cioè di raccordo tra le strutture italiane e francesi».
L'elenco di nomi prodotto dalla Dia è un brand del potere mafioso
nel mondo.
L'ultima conferma alcuni mesi fa: maggio 2023. La Dda di Reggio
Calabria manda in discovery l'inchiesta "Eureka". Agli atti c'è una
telefonata in cui si discute di un fidanzamento andato a monte
perché la famiglia della ragazza non reputa lo spasimante
all'altezza della figlia: «Se vedeva il conto in banca che ha… vedi
se lo voleva. Che Vincenzo la faceva d'oro». Il rimando è a Vincenzo
Giorgi, un quarantenne originario di San Luca (Rc), uomo d'affari
che rimbalza come un flipper tra Mentone, Milano, Ventimiglia e San
Marino. Per il Ros «le sue condizioni economiche non permetterebbero
di provvedere nemmeno al proprio sostentamento» ma sarebbe coinvolto
«in traffici internazionali di cocaina di portata milionaria». Un
interlocutore lo rassicura: «Vedrai che sulla spiaggia troverò
qualcosa di bello».
Per i carabinieri è l'innesco che fa pensare come dalle pendici
dell'Aspromonte qualcuno stia cercando un locale in cui investire
denaro. Si arriva, così, alla società "Aurora", compagine di diritto
francese, rilevata a luglio 2021 a cui fa riferimento il ristorante
"La Voglia", 3 Avenue Felix Faure a Mentone. Pieno centro,
ombrelloni color crema, "La Voglia" - oggi sotto sequestro per mano
della Dda - conta sei dipendenti tra cui proprio Vincenzo Giorgi che
secondo il Ros detiene una quota occulta «con il placet - si legge
agli atti - degli unici due soci». Tra questi un uomo originario di
Palmi (Rc) ma domiciliato ad Antibes, accusato di trasferimento
fraudolento di valori, avrebbe fondato in Costa Azzurra un circolo
che ha quale scopo ufficiale l'assistenza agli immigrati italiani in
Francia ma, in realtà, dovrebbe essere la copertura per una loggia
massonica di italiani oltralpe. E anche se penalmente non rileva, è
lui stesso al telefono a definirsi «Gran Maestro dell'Ordine
mondiale dei Cavalieri templari in Djibouti» e ancora «appartenente
all'Ordine dei Cavalieri templari di Gerusalemme». A marzo 2022 i
due soci, tra cui il massone, avrebbero «ceduto a Vincenzo Giorgi,
al prezzo simbolico di un euro, ben 240 quote della "Sarl Aurora"»
facendolo così diventare socio di maggioranza.
Ma la storia degli affari delle mafie in Costa Azzurra «è lunga e
referenziata» confida un investigatore di lungo corso. Basti pensare
al caso dei fratelli Graviano, vertici di Cosa Nostra, che scelsero
Nizza come buen ritiro per le loro mogli e i figli concepiti -
mistero indecifrabile - mentre i padri erano ristretti al 41 bis. E
fu un insospettabile commercialista di Palermo, Giorgio Puma, in
fuga dalla paura di essere finito in un gioco più grande di lui, a
raccontarlo ai magistrati Maurizio De Lucia (allora pm, oggi
procuratore) e Michele Prestipino. Iniziò a parlare alle 16.45 del
22 settembre 1998, finì quattro ore dopo. Disse di essere stato
avvicinato da un avvocato dei fratelli di Brancaccio che lo portò al
loro cospetto: «Dottore abbiamo da investire, si informi, studi».
Nell'estratto di inedito verbale dell'epoca Puma «ammise di aver
trasferito somme di denaro per 200 milioni di euro da Palermo a
Nizza e di aver lì reperito diversi alloggi ai familiari dei
Graviano». Ancora: «Ho curato presso gli uffici della Prefettura di
Nizza sia le pratiche per far ottenere ai familiari dei boss il
permesso di soggiorno in Francia sia la stipulazione di contratti di
assicurazione per i due figli dei Graviano nati a Nizza nella
clinica privata del dottor Champardier nell'estate del 1997 al cui
battesimo a Nizza ho presenziato in un hotel sulla promenade des
Anglais». Infine: «Ho aperto per le mogli dei Graviano numerosi
conti correnti in due diversi istituti di credito della città
francese». Le indagini dei magistrati appurarono come, in quel
contesto, il direttore della banca scrisse alla Prefettura di Nizza:
«Le signore - rappresentò - hanno sufficiente denaro per poter
vivere tranquillamente». E dopo pochi giorni ecco le carte di
identità: Rosalia Galdi e Francesca Buttitta, mogli di Giuseppe e
Filippo Graviano, 77 Avenue des frerès Roustan, Residence Port Azur,
Le Golf Juan 06, Nizza.
Lo storico delle mafie Antonio Nicaso, docente universitario di
crimine organizzato in Canada, chiude il cerchio: «Il triangolo
Nizza-Mentone-Cannes è da decenni - dice - un territorio che rientra
nella logica dei paradisi normativi. Le mafie, ‘ndrangheta
soprattutto, sono attente ai vulnus, ai luoghi dove le leggi sono
meno afflittive, dove si incontra minor resistenza». Ecco la chiave
della scelta. «Per anni dalla Francia gli arrestati per 416 bis
(associazione di stampo mafioso) non sono stati estradati in Italia
perché non c'è stata e c'è, a mio avviso, la volontà politica di
affrontare il tema che viene declinato nella sua dimensione
ontologica dei riti e dei miti, quando i clan calabresi vivono di
relazioni che creano sul posto».
Chiedere, per informazioni ai boss della famiglia De Stefano,
‘ndrangheta di élite mondiale. Che dal 1980 ha contato i suoi
vertici nascosti in questo fazzoletto di spiaggia. Fra tutti Paolo,
l'uomo nero che aveva rapporti con la destra eversiva: da Delle
Chiaie a Franco Freda a Junio Valerio Borghese. Spietato, visionario
come i giovani di oggi a caccia di affari e di quiete giudiziaria
nella terra del jet set fino all'arresto avvenuto a villa Georgia,
15 stanze e parco a picco sul mare di Cap d'Antibes. Una linea che
continua: due imprenditori sono finiti nei guai di recente; erano in
contatto con le cosche della Piana di Gioia Tauro, avevano
impiantato un laboratorio di cocaina in un'insospettabile azienda
agricola specializzata nella coltivazione di gelsomini di riviera.
Chapeau.
Pasticcio in alta quota. Prezzi che lievitano come i panettoni a
Natale (da 140 a 330 milioni), liti in cantiere tra italiani e
francesi, ponti nuovi di zecca che crollano abbattendo quelli vecchi
che avevano resistito. Tempi biblici che si allungheranno
ancora. Da quattro anni due vallate, quella italiana di Limone
Piemonte, sopra Cuneo, e quella francese della Roya, sono aggrappate
al destino del Tenda. In attesa che le liti finiscano, i fondi
arrivino e un ponte di ferro, oggi giacente in un piazzale di
Pordenone (vera icona di una storia da teatro dell'assurdo), salga
su un tir e venga finalmente sistemato sulle spalle in cemento che
dovrebbero sostenerlo all'uscita della galleria di valico. Perché
oggi il tunnel c'è ma finisce nel vuoto, come i personaggi sbadati
dei cartoni animati.
La prima idea di ammodernare il Tenda risale al 2009. Oggi compie 15
anni, l'età della prima liceo. All'epoca il ministro competente era
Altero Matteoli. A lui sono seguiti Corrado Passera, Maurizio Lupi,
Graziano Delrio, Danilo Toninelli, Paola De Micheli, Enrico
Giovannini e Matteo Salvini. I lavori dovevano durare dal 2013 al
2020 ma nel 2024 non si vede ancora la fine.
Il 18 dicembre scorso Nicola Prisco, il commissario straordinario
dell'opera e il viceministro dei Trasporti, il ligure Edoardo Rixi,
promettevano solennemente la fine dei lavori a giugno 2024: «È un
impegno inderogabile». Sarebbero stati comunque anni di ritardo ma
ormai il traguardo sembrava vicino. La prima galleria, quella nuova
a fianco della vecchia, avrebbe dovuto essere pronta nel 2017.
L'ammodernamento della seconda era previsto per il 2020. Ma
esattamente una settimana prima delle promesse del 18 dicembre, il
signor Olivier Torlai, prefetto dalla Paca, la regione francese
delle Alpi, aveva scritto a Prisco una lettera che smentiva ogni
ottimismo. Accusando gli italiani, l'Anas e la ditta costruttrice
Edilmaco, di aver cambiato le carte in tavola modificando
arbitrariamente i progetti. Il tono di Torlai è durissimo nei
confronti degli italiani che propongono «importanti modifiche
incomplete e non giustificate, metodi di realizzazione a dir poco
incerti non approvati dalla commissione tecnica che rischiano di
degradare le condizioni di sicurezza». Un quadretto sconfortante. Il
preludio alla prossima conferenza dei servizi italo-francese,
rinviata tre volte e ora fissata per mercoledì. In realtà tutti
sanno che il termine di fine lavori verrà fatto slittare, se va
bene, a settembre.
Per una complicata serie di traversie storiche la strada che arriva
al colle fa lo slalom con il confine: dal versante italiano scende
nella valle francese della Roya e a fondo valle supera nuovamente il
confine con l'Italia per arrivare a Ventimiglia. È una strada molto
tortuosa e stretta. Meravigliosa per i turisti, pessima per i tir.
Una strada più turistica che logistica. Tanto che nel 2017, per
fortuna, si è deciso che in quella valle i grandi camion non possono
passare. Ma nonostante il blocco passano al valico (o meglio
passavano) un milione di veicoli all'anno. In maggior parte auto dei
turisti o furgoncini per il trasporto merci locale.
La galleria è un pertugio a 1.300 metri di quota. Era un miracolo
dell'ingegneria quando venne costruita: nel 1882, con i suoi 3.182
metri era la galleria stradale più lunga del mondo. Ma... non
c'erano le automobili. Da allora il pertugio è rimasto
sostanzialmente lo stesso, largo il giusto per far transitare i
carri. Per questo nel 2009 non era parsa peregrina l'idea di
raddoppiare la galleria costruendo una canna parallela all'esistente
larga 6,5 metri.
Il primo importante stop è del 2017. La procura di Cuneo sequestra
il cantiere e manda agli arresti domiciliari 5 persone, tra
funzionari Anas e dirigenti della Fincosit, la società costruttrice
poi estromessa per gravi inadempienze. Le indagini accertano che la
società avrebbe sottratto 100 tonnellate di ferro al cantiere
rivendendole sotto banco. «Abbiamo evitato un disastro», dice la
procura. Ma al disastro pensa, almeno in parte, la natura. Nella
notte tra il 2 e il 3 ottobre del 2020 la tempesta Alex abbatte un
ponte nuovo sul versante francese facendolo precipitare sul vecchio
che aveva resistito ma viene travolto lo stesso. Da quel giorno in
Francia la galleria finisce nel baratro. Il problema principale non
è più il raddoppio del tunnel (il solo scavo viene terminato nel
luglio scorso) ma la strada per collegarlo. I due ponti crollati
vengono sostituiti da uno unico in ferro. Ed è qui che si scatena
l'ultima rissa. Il progetto originario prevedeva di sostenere le
spalle del ponte con 12 pali da 1,2 metri di diametro. Nell'autunno
scorso invece gli italiani annunciano che i pali saranno 40 del
diametro di 30 centimetri. La motivazione è che la roccia è troppo
dura e che gli scavi di diametro più piccolo sono più facili. Tra
dicembre e oggi inizia un vero e proprio braccio di ferro (è proprio
il caso di dirlo) tra i due versanti. Quello che scatena l'ira del
prefetto francese. È delle ultime settimane la scelta di tornare al
progetto originario con i pali più grandi. Se andrà tutto bene la
strada del colle tornerà percorribile in autunno.
Si poteva evitare tutto questo? Probabilmente si, con ditte oneste e
lavori più celeri. Anche se il terreno in quella parte della
montagna è pieno di falde e franoso. Si sarebbe potuto fare un
tunnel molto più in basso per andare in Francia, com'è progettato da
decenni con la galleria autostradale del Mercantour che arriverebbe
direttamente a Nizza e in Costa Azzurra. Germana Avena, sindaca di
Roccavione, pur danneggiata dal blocco dei traffici di questi anni,
lo dice chiaramente: «La scelta scellerata di bucare la montagna a
1.400 metri di altezza non l'ho mai condivisa». Ma è in minoranza.
Per lei è facile dirlo: Roccavione è nel fondovalle.—
IL SALVINISMO D'AFFARI dalla pista di bob al ponte sullo Stretto
così i predatori di futuro divorano l'Italia
Mario Tozzi
Sarebbe sbagliato pensare che l'imposizione di una pista di bob per
Olimpiadi eventualmente prive di neve, dopo aver abbattuto centinaia
di larici quasi secolari o secolari, che resterà infrequentata in
futuro esattamente come quella piemontese, per uno sport che, in
Italia, assomma, se va bene, una cinquantina di praticanti, sia un
problema locale o determinato da errori casuali. Si tratta, a
guardar bene, di un'ennesima spia di quanto stiamo disprezzando il
nostro patrimonio naturale, una volta primo in Europa, e di quanto
riduciamo tutto a una questione economica, cioè di soli denari che,
come è noto, quando avremo abbattuto l'ultimo albero non saranno
buoni nemmeno da mangiare.
È una questione che va tenuta insieme alla distruzione della fauna
selvatica, all'incapacità di foraggiare e rilanciare i parchi e la
tutela dell'ambiente, all'asservimento alle grandi opere inutili
come unico rilancio dello sviluppo (che manco al tempo dei romani)
e, infine, all'ignoranza dell'integrazione contenuta nei nuovi
articoli 9 e 41 della Carta costituzionale. Questo complesso di
problematiche viene risolto con una logica solo economica che mette
in pericolo i diritti delle generazioni future, per questo possiamo
definirlo come negazione di un avvenire sostenibile: chi pensa che
possa esistere un'economia sana senza una biosfera sana è, nei
fatti, un vero e proprio predatore di futuro.
La vicenda particolare della pista di bob di Cortina è talmente
palmare che non avrebbe bisogno di ulteriori commenti: c'è una pista
già costruita in territorio austriaco a un'ora di auto, c'era la
pista di Cesana (costruita nel 2005 in Piemonte, non utilizzata e
vero monumento allo spreco) e si potevano valutare alternative
ambientali, se ci fosse stata una valutazione di impatto che non c'è
stata. Colate di cemento e taglio a raso dei boschi per un impianto
dal costo approssimativo di 120 milioni di euro, che non sappiamo se
sarà finito per tempo e che, nel caso, non potrà essere riconvertito
a nessun'altra destinazione d'uso pubblica significativa, se non per
la cinquantina di praticanti nostrani di bob. Nessuna pianificazione
precedente, pur di assegnarsi i Giochi olimpici, nessuna previsione
sull'uso futuro, perché tanto chi vivrà vedrà. E sono davvero penose
le considerazioni che parlano di un manto boschivo in incremento in
Italia negli ultimi decenni, perché un conto sono le foreste di
pregio o primarie, un altro i boschi ripiantati o la macchia
mediterranea libera, che costituiscono la massima parte degli
incrementi.
Ma la stessa logica anima i finanziamenti che stanno piovendo anche
in Appennino, in particolare in Abruzzo, dove si stanziano 200
milioni di euro a fondo perduto per nuovi impianti di risalita in un
contesto che difficilmente vedrà nevicate tali da giustificarli. E,
se le vedrà, non dureranno più di un paio di giorni, costringendo
all'assurdo innevamento artificiale, con il poco invidiabile
risultato di poter sciare solo lungo strisce strettissime in mezzo
alle rocce, alle frane e ai torrenti. E le prossime Olimpiadi
invernali rischiano esattamente gli stessi scenari, come stiamo
osservando in tutto l'arco alpino. Incuranti della risalita dello
zero termico a quote superiori a quelle delle cime più alte,
sprezzanti della crisi climatica che ci sta colpendo al cuore, si
continua a far finta di niente, predando il futuro dei nostri figli
e nipoti cui non restituiremo mai indietro in condizioni migliori il
mondo che ci hanno prestato.
Ma è la stessa logica del ponte sullo stretto di Messina,
imperdonabile stornamento di miliardi di euro pubblici che andavano
semmai investiti nel risanamento antisismico delle province di
Reggio Calabria e di Messina, non nello stravolgimento del
paesaggio, nell'incremento del dissesto idrogeologico e nello
sfregio culturale: il ponte forse reggerà ma, quando arriverà il
prossimo sisma, se resterà in piedi, unirà due cimiteri. Per non
dire della rete dei trasporti di Calabria e Sicilia: un'autostrada
sospesa che unisce due mulattiere che non siamo nemmeno sicuri
riuscirà a ospitare la linea ferroviaria ad alta velocità. La logica
delle varie pedemontane, tunnel, trafori, ma anche dighe, argini,
briglie e poi pennelli, moli, scogliere artificiali, tutto il
complesso di opere fondamentalmente inutili e spesso dannose di cui
ci vogliamo dotare, illudendoci che si tratti di sviluppo. Quando
invece si tratta di incremento del dissesto idrogeologico, degli
effetti delle mareggiate, della siccità, insomma di predazione di
futuro bella e buona, da cui difficilmente usciremo assolti dal
tribunale delle generazioni future.
La determinazione assassina con cui si procede allo sterminio della
fauna selvatica attraverso i suoi rappresentanti ecologici più
importanti (e beneamati), come orsi e lupi, la mano sempre più
libera lasciata a una pratica anacronistica e pericolosa come la
caccia, che di sportivo non ha nulla, il pericolo che corrono decine
di specie di viventi non umane, dalle api alle anguille, dagli
anfibi agli alberi, non sono distanti da quella logica: un pianeta
Terra impoverito di orsi e lupi non è salutare per i sapiens. Privo
di insetti non è nemmeno vivibile. Più strade, più cemento, più
asfalto non migliorano il nostro stato di salute, ma solo le tasche
di pochissimi e negano il diritto a un ambiente migliore per chi ci
seguirà.
E pensare che avevamo salutato con soddisfazione l'integrazione
degli articoli 9 e 41 della nostra Costituzione, dove si
aggiungevano termini che prima non c'erano: ecosistemi, natura,
diritti dei viventi non umani, diritti delle prossime generazioni.
Una Costituzione che si adegua alla crisi ambientale e comprende i
limiti invalicabili che dovrebbe avere lo sviluppo ultraliberista
dei mercati, ponendo uno stop addirittura al tabù della libera
iniziativa, se non tiene conto delle questioni ambientali.
Esattamente ciò che, invece, ancora accade sistematicamente in
Italia. Però, in cambio, avremo un'altra cattedrale, costruita sopra
il deserto del nostro futuro.
I DIRITTI AMBIENTALI: Da una parte c'è una ditta torinese, la
Windtek, che vorrebbe costruire un impianto eolico su una collina
che sovrasta un'area tra Piemonte e Liguria, tra l'Alta Langa e la
valle Bormida, zona di confine che in passato aveva fatto i conti
con l'inquinamento industriale dell'Acna e che oggi punta sul
turismo sostenibile e sull'agricoltura. Dall'altra, ci sono 11
associazioni ambientaliste, tra cui Wwf e Italia Nostra, che
contestano il progetto «Fattoria del vento», nome che in realtà
nulla ha a che vedere con il luogo incantato che evoca.
Con una potenza di 43,4 megawatt, infatti, l'impianto sarebbe
costituito da sette pale alte ben 206 metri, ciascuna con una
potenza di 6,20 megawatt, installate al di sotto dei crinali montani
di tre comuni: Saliceto in provincia di Cuneo e Cengio e Cairo
Montenotte nel Savonese. Nelle giornate di cielo terso e sereno, gli
"aerogeneratori" sarebbero visibili addirittura dall'Alessandrino
alla Liguria passando per il Cuneese.
Quale effettivo vantaggio energetico ci sarebbe rispetto al danno
inferto all'ecosistema? Quali indennizzi sarebbero previsti a favore
dei 100 proprietari dei terreni dove dovrebbero essere sistemate le
pale eoliche? Secondo gli ambientalisti, il cantiere necessario per
la collocazione richiederebbe una durata di trenta mesi, con un
incremento del traffico pesante, un invasivo sbancamento dell'area,
il consumo di suolo per le opere accessorie, come una strada di
accesso lunga oltre 3 chilometri. Il punto focale è proprio la
sostenibilità: il progetto in essere pare in tutto e per tutto
sproporzionato ai luoghi individuati per la realizzazione
dell'impianto. E la documentazione presentata dall'azienda sarebbe
«per nulla rassicurante». Intanto, la Provincia di Cuneo si sta
facendo promotrice di un primo incontro tra sindaci (dopodomani), e
poi in seguito col coinvolgimento delle associazioni e della
popolazione, per far luce sul progetto scongiurare un nuovo «caso
Acna» a danno della valle Bormida.
PADRONI DEL MONDO : Mentre Nvidia giovedì pubblicava i suoi
conti da record, sui social ha cominciato a girare un olio su tela
del Guercino. Atlante che sorregge la volta celeste. La
correlazione, come ci ha abituati linguaggio di Internet, è affidata
a poche parole scritte sul dipinto. Sotto la titanica tensione dei
muscoli di Atlante, "Nvidia". Sotto il verde smeraldo della volta
celeste, "L'intera economia globale". Un meme. Nella semantica dei
social, un'immagine che in modo semplice riesce a sintetizzare
messaggi complessi. Un'immagine particolarmente efficace in questo
caso. Perché Nvidia è l'azienda che in questi giorni sta spingendo
il mercato azionario a nuovi livelli record. Il motivo è semplice.
Nvidia produce schede grafiche e processori. E i suoi chip, sono gli
strumenti che rendono possibile le meraviglie dell'Intelligenza
artificiale.
Se l'Ai promette di fare una rivoluzione, Nvidia produce i fucili e
le baionette dei rivoluzionari. Le vendite record registrate
dall'azienda nell'ultimo trimestre (221 miliardi) e la
capitalizzazione record raggiunta subito dopo (2.000 miliardi,
quadruplicata in un anno) hanno innescato un boom del mercato
azionario spinto dai colossi tecnologici. Nuovi record sono stati
segnati da Meta, Google (Alphabet), Amazon, Apple. E Microsoft,
regina della nuova corsa all'oro del mercato digitale con
investimenti miliardari in OpenAi, l'azienda che poco più di un anno
fa ha dato il calcio di inizio alla partita delle macchine
intelligenti. Tutte ‘trilion company', società che valgono più di
mille miliardi.
Oggi sette aziende tecnologiche (le citate finora, più Tesla) hanno
una capitalizzazione complessiva di 14.000 miliardi. Secondo i dati
del Fondo monetario internazionale, più della metà del prodotto
interno lordo degli Stati Uniti (25.000 miliardi); quasi quanto
quello dell'Europa (17.000); sette volte quello dell'Italia (2.100).
Il loro dominio sul mercato azionario è incontrastato.
Oggi tra le 10 aziende più capitalizzate al mondo, 9 sono aziende
tecnologiche Usa. Il loro peso sull'S&P 500 (l'indice azionario più
importante Usa) è tale che una loro crescita porta in rialzo tutto
il valore dell'indice, mascherando turbolenze e crolli di altri
titoli. E il divario continua a crescere, tra fasi di crescita
impetuosa e crolli vertiginosi. Dal 2000 ad oggi se ne contano
almeno quattro: Dotcom, subprime, pre e post pandemia Covid. Ma nel
lungo periodo il valore di queste società è sempre cresciuto. Spinto
da nuove promesse. Nuove corse all'oro. E l'Ai non ha l'aria di
essere una promessa vuota. Promette oro vero.
Gli analisti concordano che sarà una leva senza precedenti per
l'economia globale, portandolo a crescere di svariate migliaia di
miliardi. Pari a circa il 3%. Numeri difficili da immaginare, ma che
inducono gli investitori a fare la loro puntata. Spinti anche dagli
infiniti ambiti in cui l'Ai potrà essere applicata: salute,
prevenzione, lavoro, analisi e gestione delle crisi climatiche.
Tutto. Al momento, promesse. Pochi, a parte Nvidia, hanno cominciato
a macinare sul serio utili grazie all'Ai. E anche l'impatto sulla
società, sulla vita delle persone, al momento è più uno scenario
possibile che qualcosa di concreto. Poco importa. I portafogli delle
grandi società di investimento fanno incetta di titoli.
In Silicon Valley si acclama già la "next big thing", la prossima
grande innovazione capace di cambiare tutto, rivoluzionare
paradigmi, promettere praterie fertili e mercati vergini. Allo
spirito pioneristico dei tecno entusiasti di San Francisco, la
prospettiva che sia in arrivo una nuova rivoluzione serve. Riaccende
i motori. Gli entusiasmi. Riaccende le fantasie.
Venerdì Jeff Bezos, fondatore di Amazon, insieme a Nvidia, Microsoft
e OpenAi ha investito in una startup che lavora a robot umanoidi. Si
chiama FigureAi. Fa robot dai movimenti delicati come pochi altri.
Capaci di fare caffè e preparare tisane. Ha raccolto 675 milioni dai
colossi del tech. La stessa industria dei chip fa gola. Sam Altman,
capo di OpenAi, con Microsoft sta progettando una fabbrica di chip
con la leva del fondo sovrano degli Emirati Arabi. Aziende che
progettano il futuro. Create dalle intuizioni delle aziende che già
dominano il presente. Capaci di raccogliere miliardi, far schizzare
valutazioni, creare nuovi campioni mondiali.
La volta celeste si ingrandisce. Sempre più carica, sempre più
pesante sulle spalle di Atlante. Il titano - condannato a
sorreggerla - per ora regge. L'incognita è quando comincerà ad
accusare la fatica.
Da 28 anni alla guida della società è il ceo più longevo della
storia delle aziende tech americane: "Sono vero, autentico"
Senza ufficio, con il giubbotto in pelle e tatuato Così Huan ha
inventato Nvidia in un fast food
Alberto Simoni
corrispondente da Washington
Quando il valore delle azioni di Nvidia toccò il prezzo di 100
dollari, Jen Hsun "Jensen" Huang si fece un tatuaggio. «Esperienza
unica, non la ripeterò», ha confessato. L'idea era nata durante un
ritiro con i dipendenti della società, le vendite di Gpu (i
processori ad alta tecnologica) aumentavano, l'interesse per i chip
avanzati stava trainando non solo l'industria dei videogames
tridimensionali, ma anche la sanità e il comparto della difesa,
l'energia, la finanza. La quotazione al Nasdaq avvenuta nel 1999 era
stata un successo.
Per celebrare il successo qualcuno si rasò il la testa, altri la
barba. Sfidando un dirigente, Huang disse: quando arriviamo a quota
100 mi tatuerò il logo di Nvidia sul braccio. Non era scaramanzia,
sapeva benissimo che la quota l'avrebbe toccata. Dal "torturatore"
lo accompagnarono i figli, allora bambini. «Papà non piangere, sii
forte», gli ripetevano, ha raccontato a Fortune nel 2017.
E quindi non sono da aspettarsi altri "colpi di testa" da questo
61enne, nato a Taiwan, in America da quando aveva 9 anni, quando
entrerà nella classifica dei venti miliardari più ricchi del mondo.
Presto a giudicare dai numeri che Nvidia sfodera: capitalizzazione
superiore a Google, record di aumento di valore in un giorno, 250
miliardi, più dei 197 di Meta, valore del titolo cresciuto di oltre
il 400% in un anno. E a cascata anche il portafoglio di Huang si è
gonfiato.
Ora è 24esimo spinto dalle performance della sua creatura, fondata
nel 1993 insieme a due amici – in tutto avevano 40 mila dollari in
banca - mentre mangiavano pollo fritto da Denny's, fast food in
California, a due passi da casa. Stessa catena nella quale, giovane
studente di ingegneria elettrica dopo il diploma dell'High School
ottenuto a 16 anni due anni prima del tempo, faceva il lavapiatti.
La sua storia somiglia in parte a quella di altri geni e visionari
che popolano e spopolano nella Silicon Valley, eppure questo
signore, sposato con Lori, due figli, studi in Oregon e a Stanford e
una strana e imprevista formazione in una scuola religiosa piuttosto
intransigente a Oneida, Kentucky, è un essere con picchi di anomalie
nel mondo dell'hi-tech.
Non ha un ufficio, lavora spostandosi da scrivania a scrivania e
nelle conference room della sede di Santa Clara; indossa giubbotti
di pelle, incentiva i suoi a farlo, e la sua azienda è quella con il
maggior tasso di fedeltà dei dipendenti. Amato, rispettato. Anche se
narrano alcune cronache, "Jensen" Huang è spietato quanto deve
eseguire un progetto. «Nessuno qui è il boss, il boss è il
progetto», è uno dei suoi slogan.
Quando Nvidia iniziò, alla Casa Bianca c'era Clinton, Madonna e
Michael Jackson erano le colonne sonore dell'America e la Silicon
Valley era un'ipotesi, benchè concreta. Il primo ufficio a Sunnyvale,
il bagno in condivisione con un'altra azienda, il tavolo da
ping-pong fungeva da mensa.
Huang è al timone da 29 anni, nessun Ceo dell'hi-tech è così
longevo, il suo segreto – ha svelato al New York Times in
un'intervista del 2010 – si chiama "autenticità". Sei un Ceo – disse
– non per quello che indossi, non per le auto o i soldi che hai, ma
se sei vero, autentico appunto. Nel 2017 Fortune l'ha battezzato
Business Person of the Year e l'ultima volta che si è raccontato a
un media americano è stato candido: «Ho già detto tutto di me,
riavvolgo il nastro, la mia storia è sempre identica». Come il
tatuaggio. Autentico. E per sempre unico. —
26.02.24
Peculato e truffa Vannacci finisce sotto inchiesta A pochi giorni dall'uscita del nuovo libro e (forse)
dall'annuncio della candidatura per le Europee, brutte notizie per
il generale Roberto Vannacci. Dovrà rispondere delle accuse di
peculato e truffa in seguito a un'ispezione svolta dallo Stato
Maggiore della Difesa e trasmesse alla Procura militare sul suo
periodo da addetto militare italiano a Mosca. «Sono molto sereno e
continuo per la mia strada a testa alta», fa sapere l'ufficiale,
mentre per il suo legale le attività d'ufficio sono «già
accuratamente ricostruibili dall'interessato oltreché del tutto
regolari». Si schiera in sua difesa la Lega, che con il
vicesegretario Crippa denuncia «un' inchiesta ad orologeria.
Qualcuno lo colpisce per le posizioni scomode con cui si è esposto,
oggi la Lega è ancora di più dalla sua parte». Secondo la
ricostruzione del Corriere della Sera, fra le contestazioni
un'indennità illecita per i familiari, una spesa di 9mila euro
legata all'auto di servizio non autorizzata e rimborsi per
l'organizzazione di eventi che non si sarebbero mai svolti.
25.02.24
PURTROPPO NON SI GUARISCE : Il
centrocampista della Juve a un evento sulla ludopatia con i ragazzi
"La prima schedina a 16 anni, ma il brivido del gol batte le
scommesse"
Il ritorno di Fagioli
"Ero malato di gioco e isolato dal mondo"
LODOVICO POLETTO
TORINO
Lo sbaglio è sottinteso. E sono le scommesse on line. Ma dirlo così
è complicato. E forse sarebbe troppo per un ragazzo di 23 anni che
ha vissuto ai mille all'ora la sua vita da giocatore professionista,
fin da quando aveva l'età di quelli che - adesso - lo ascoltano, in
questo piccolo teatro di Condove, nel torinese. Ragazzini che
pendono dalle sue labbra, se parla di calcio. Che sognano il suo
ritorno in campo. E magari anche di indossare la maglia che vestiva
lui. Così Nicolò Fagioli, centrocampista della Juventus squalificato
per sette mesi per gioco d'azzardo, ripete molte cose che già si
sanno. La prima: «Ho iniziato a giocare online, e scommettere, per
noia: giocavo dalle due del pomeriggio alla sera, non avevo nulla da
fare. Ho cominciato in questo modo, poi è diventato una malattia
vera». Che porta il nome di ludopatia. Ma prima della malattia ci
sono stati i soldi buttai, i debiti accumulati, il giocare in modo
ossessivo.
Nella sua prima uscita pubblica a parlare della sua esperienza -
percorso obbligato prima rimettersi la maglia bianconera - Fagioli
non apre il cuore perché non è richiesto. Ed è un peccato. Ma usa il
linguaggio dei ragazzi, e loro lo capiscono: «La scuola non mi
piaceva» (applausi). Svela: «La prima schedina l'ho giocata a 16
anni con i miei amici, poi man mano che ho iniziato a perdere tutto
è diventato più difficile». . Parla di «adrenalina». E non quella in
campo, ma quella del gioco online: «È difficile rivivere quella
adrenalina lì...». E quasi pensi che sia uno scivolone, ma qui
nessuno lo nota. Fagioli sul palco è prima di tutto il calciatore. I
telefoni immagazzinano byte di foto e video. Gli domandano se è la
stessa adrenalina provata con il primo gol della vita da giocatore:
«Nooo. Quella non è paragonabile a niente. E l'effetto durò una
settimana». L'altra quella del gambling - l'azzardo - l'ha scoperta
poi. «Oggi sto bene rispetto ad un anno fa... Fino a quando non è
accaduto tutto questo casino avevo dei problemi, in famiglia e
fuori».
Ecco, i problemi. I rapporti minati. Il gioco compulsivo. Il flash
arriva quando meno te lo aspetti: «In quel periodo ero molto diverso
rispetto a prima. Non cagavo nessuno: non la mia famiglia, non la
fidanzata. Quando ho capito ne ho parlato con il mio procuratore».
Gli chiedono se aveva compreso a quali conseguenze andava incontro
dice di no: «quando ha realizzato ha temuto la squalifica».
Ma è la frase che viene dopo che racconta bene la sua fragilità:
«Quando riuscivo a giocare tutte le mie paure sparivano». Click.
Soldi persi. Click. Poi è l'ora delle domande sul calcio: «Credo che
l'azzardo abbia influito sulla qualità del gioco in partita. Non
rendevo al 100%. Vedremo come va al rientro». Gli chiedono chi è il
suo idolo? «Era Del Piero quando giocava. Ora che sono dentro al
mondo del calcio il mio idolo sono io». Applausi. E il ragazzo
Fagioli torna sicuro di se: è già l'ora delle foto.
24.02.24
Il Csm attacca la riforma Nordio "Più corruzione senza abuso
d'ufficio"
Perfida, ammantata di tecnicismi, puntuale è arrivata la bastonata
del Consiglio superiore della magistratura alla riforma Nordio, in
particolare sull'abrogazione del reato di abuso d'ufficio. Verissimo
che il reato produce molti fascicoli e quasi nessuna condanna.
Riconosce il Csm quanto sia «ridottissimo» il numero delle condanne:
18 casi in dibattimento di primo grado nel 2021 (cui aggiungere 9
condanne davanti al Gup e 35 sentenze di patteggiamento) a fronte di
4. 745 indagati. Si archivia nel 90% circa dei casi. Ma
l'abrogazione – ritiene l'organo di autogoverno dei magistrati
italiani – rischia di non sortire l'effetto desiderato quanto alla
«cosiddetta paura della firma» e saranno tutte da valutare le
possibili ricadute negative, ovvero se si «determini
involontariamente un parziale depotenziamento del microsistema
penale dedicato alla lotta contro la corruzione». Ricadute nella
lotta alla corruzione? Proprio quello che il ministro Guardasigilli
si affanna a negare.
Ed è subito polemica. Per Fabio Rampelli, FdI, il Csm «difende
l'indifendibile. Se l'archiviazione è sempre un bel traguardo per un
sindaco, il dramma è come arriverà a quel traguardo. Sfinito,
delegittimato e, spesso, politicamente bruciato». All'opposto, il Pd
esulta: «Perfino il Csm sconfessa Nordio. Con l'abolizione
dell'abuso di ufficio rimarrebbero prive di sanzione una serie di
condotte prevaricatrici. Quanto ai sindaci, il rischio è che vengano
contestati reati più gravi»
la sentenza: illegittimo un articolo del jobs act
Reintegro dopo il licenziamento la Consulta estende le tutele
Francesco Grignetti
Roma
Tutto ha avuto inizio dal licenziamento a Firenze nel 2018 di un
autista del trasporto pubblico, per presunti motivi disciplinari. La
causa è andata avanti con sentenze alterne ed è arrivata fin davanti
alla Corte costituzionale, che ieri ha dato una sua "picconata" al
Jobs Act di renziana memoria. E questa è la decisione: si allargano
le tutele per i licenziamenti nei confronti dei lavoratori assunti
dopo il 2015, quelli "a tutele crescenti". Quando non sono
economici, i licenziamenti potranno infatti essere annullati dal
giudice, ordinando la reintegrazione del lavoratore, qualora sia
riconosciuta la nullità del licenziamento medesimo. Una nullità che
sarà più estesa di quanto è oggi, perché cade, per
incostituzionalità, la parolina «espressamente». Era quanto riteneva
la Cassazione che aveva censurato questa limitazione della "espressa
nullità". Una limitazione che non era nella legge-delega e questo
travalicamento da parte del governo Renzi nel 2014 non ha superato
l'esame della Consulta.
L'articolo su cui si è espressa la Consulta prevede che il giudice,
con la pronuncia con cui dichiara la nullità del licenziamento
perché discriminatorio, «ovvero perché riconducibile agli altri casi
di nullità espressamente previsti dalla legge, ordina al datore di
lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del
lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo
formalmente addotto». In buona sostanza, limitarsi alle "nullità
espresse" era un forte limite alla tutela reintegratoria. Da ora in
poi, invece, i giudici del lavoro avranno le mani un po' meno legate
quando esaminano i licenziamenti. E di ciò sono particolarmente
soddisfatti i sindacati. «Siamo contenti - ha commentato Ivana
Veronese, segretaria confederale della Uil - che esca questa
sentenza, un passo avanti nella ridefinizione e anche nel
riequilibrio del Jobs Act». Soddisfatta anche la Cisl. Un po' troppo
poco per la Cgil, invece, che continua a contestare complessivamente
il Jobs Act
Il bitcoin non ha mantenuto fede alla promessa di diventare una
valuta digitale decentralizzata globale ed è ancora poco utilizzato
per trasferimenti legittimi. La recente approvazione di un Etf non
cambia il fatto che bitcoin non è adatto come mezzo di pagamento o
come investimento”. Lo scrivono Ulrich Bindseil e Jurgen Schaaf,
rispettivamente direttore generale e advisor della divisione Market
Infrastructure and Payments della Banca centrale europea, inun post
apparso proprio sul blog della Bce.
Una promessa tradita, nonostante la scelta della Sec
Gli svantaggi dei bitcoin secondo la Bce
Un castello di carte che crollerà
Una promessa tradita, nonostante la scelta della Sec
I due funzionari fanno riferimento a quanto successo lo scorso 10
gennaio, quando la Securities and Exchange Commission (Sec)
statunitense ha approvato i fondi negoziati in borsa (Etf) per il
Bitcoin. Per i sostenitori della moneta virtuale, l’approvazione
formale conferma che gli investimenti in Bitcoin sono sicuri e che
il rally precedente è la prova di un trionfo inarrestabile. “Non
siamo d’accordo con entrambe le affermazioni e ribadiamo che il
valore equo del Bitcoin è ancora pari a zero. Per la società, un
nuovo ciclo di boom-bust del Bitcoin è una prospettiva terribile. E
i danni collaterali saranno enormi, compresi quelli ambientali e la
ridistribuzione finale della ricchezza a spese dei meno
sofisticati”, dicono Bindseil e Schaaf. Il livello dei prezzi del
bitcoin non è un indicatore della sua sostenibilità, si spiega nel
post in cui si sottolinea come “non esistono dati economici
fondamentali, non esiste un fair value da cui si possano ricavare
previsioni serie e in una bolla speculativa non esiste alcuna “prova
del prezzo”. Invece il ritorno della bolla speculativa dimostra
l’efficacia della lobby del bitcoin.
Gli svantaggi dei bitcoin secondo la Bce
“Abbiamo sostenuto che il bitcoin non ha mantenuto la sua promessa
originaria di diventare una valuta digitale decentralizzata globale.
Abbiamo anche dimostrato che la seconda promessa di bitcoin, ovvero
quella di essere un asset finanziario il cui valore avrebbe
inevitabilmente continuato a salire, era altrettanto sbagliata”,
continuano i due funzionari. “Abbiamo messo in guardia sui rischi
per la società e l’ambiente se la lobby del bitcoin fosse riuscita a
rilanciare una bolla con l’aiuto involontario dei legislatori, che
avrebbero potuto dare una benedizione percepita laddove sarebbe
stato necessario un divieto. Ahimè, tutti questi rischi si sono
concretizzati”.
Oggi, ricordano Bindseil e Schaaf, le transazioni in bitcoin sono
ancora scomode, lente e costose. “Al di fuori della darknet, la
parte nascosta di Internet utilizzata per le attività criminali, il
bitcoin è poco utilizzato per i pagamenti. Le iniziative di
regolamentazione per combattere l’uso su larga scala della rete
Bitcoin da parte dei criminali non hanno ancora avuto successo.
Nemmeno la piena sponsorizzazione da parte del governo di El
Salvador, che ha concesso lo status di moneta a corso legale e ha
cercato di dare il via agli effetti di rete attraverso un regalo
iniziale di 30 dollari in bitcoin gratuiti ai cittadini, è riuscita
ad affermarlo come mezzo di pagamento di successo.
Allo stesso modo, il bitcoin non è ancora adatto come investimento.
Non genera alcun flusso di cassa (a differenza degli immobili) o
dividendi (azioni), non può essere utilizzato in modo produttivo
(materie prime) e non offre alcun beneficio sociale (gioielli d’oro)
o apprezzamento soggettivo basato su capacità eccezionali (opere
d’arte). Gli investitori al dettaglio con scarse conoscenze
finanziarie sono attratti dalla paura di perdere il proprio denaro,
che li porta a perdere potenzialmente il proprio denaro”.
Inoltre, si legge nel blog post, “l’estrazione di bitcoin tramite il
meccanismo della proof of work continua a inquinare l’ambiente alla
stessa stregua di interi Paesi: l’aumento dei prezzi dei bitcoin
implica un maggiore consumo di energia, poiché i minatori possono
coprire costi più elevati”.
Un castello di carte che crollerà
In sostanza, il livello del prezzo del bitcoin non è un indicatore
della sua sostenibilità”, chiosano Bindseil e Schaaf. “Non ci sono
dati economici fondamentali, non c’è un valore equo da cui si
possano ricavare previsioni serie. Non esiste una ‘prova del prezzo’
in una bolla speculativa. Al contrario, una riflazione della bolla
speculativa dimostra l’efficacia della lobby dei bitcoin. La
capitalizzazione ‘di mercato’ quantifica il danno sociale
complessivo che si verificherà quando il castello di carte crollerà.
È importante che le autorità siano vigili e proteggano la società
dal riciclaggio di denaro, dai crimini informatici e di altro tipo,
dalle perdite finanziarie per le persone meno istruite
finanziariamente e dai danni ambientali di vasta portata. Questo
lavoro non è ancora stato fatto”.
Il cantiere
dei caporali
filippo fiorini
firenze
Il cantiere adesso è silenzioso. Attorno, Firenze vive, ma in quel
rettangolo di 17 mila metri quadrati, ora possono entrare solo gli
inquirenti. Doveva diventare il decimo supermercato Esselunga in
città e non è detto che questo accada mai, perché per 100 ore
quell'opera è stata la tomba di cinque uomini che lavoravano alla
sua costruzione, sepolti nel crollo del terzo piano. Da quando
mercoledì l'ultimo di loro è stato estratto dalle macerie, l'area è
classificata come scena del crimine. Omicidio colposo plurimo e
crollo colposo, secondo la procura.
Una colpa che tutte le molte parti coinvolte ora si gettano addosso
reciprocamente, parlando di un difetto di fabbrica nella trave che
ha ceduto, oppure, di un errato montaggio da parte degli operai, o
ancora di un vizio di progettazione. Poi, a margine, resta viva
l'aggravante del lavoro nero. E non solo quella: «Volevano solo
sfamare le loro famiglie. E in quel cantiere, mi hanno raccontato,
c'era anche il caporalato» racconta ora Izzedin Elzir, imam di
Firenze.
I parenti di tre delle cinque vittime hanno ingaggiato un avvocato.
Si tratta delle mogli di El Farhane, Haidar e Bouzekri. Sono i tre
marocchini, travolti il 16 febbraio, insieme al tunisino Mohamed
Toukabri e l'italiano Luigi Coclite. Le donne sono in Marocco con i
figli. Le tutela Alessandro Taddia, titolare di un'infortunistica
con sede a San Marino. Dice: «I colleghi delle vittime hanno
riferito che la trave aveva crepe visibili a occhio nudo». Parla
della trave che ha ceduto alle 8,52, mentre Coclite governava la
gettata di cemento con la manica della betoniera e gli altri quattro
stavano sul solaio che poi è collassato. Nell'immediatezza
dell'accaduto, residenti del quartiere che preferiscono l'anonimato,
hanno riferito un'impressione analoga: «La trave sembrava umida»,
come se non fosse conclusa la necessaria asciugatura.
Taddia precisa che «per ora queste sono solo voci». E ha inviato i
propri periti ad affiancare quelli della magistratura. Sono stati
presi dei campioni e si aspetta il risultato delle analisi. Intanto
la Rdb di Teramo, produttore del pezzo incriminato, ha rivendicato
un lavoro a regola d'arte e rispedito le insinuazioni al mittente:
«La colata di cemento è incominciata prima che la trave fosse
fissata alla colonna», hanno detto mentre la polizia perquisiva gli
uffici e sequestrava pc, cellulari e prefabbricati pronti per essere
spediti a Firenze. Per loro, il perno che unisce trave e colonna non
era avvitato, oppure, il dente che sorregge la trave ha ceduto.
Questo scenario viene contraddetto da un'altra delle decine di
aziende coinvolte nella criticata catena di subappalti. Dalla Mina
srl di Fidenza, che ha mandato le gru a Rifredi per muovere i
prefabbricati, ieri, hanno detto: «La trave che ha ceduto era già
stata ancorata prima di Natale e le successive sono state montate a
gennaio». Proprio a gennaio, in cantiere c'era stata l'Asl. Non
aveva trovato irregolarità. Mentre il procuratore fiorentino Filippo
Spiezia da quando ha aperto le indagini dice di aver visto «molte
criticità».
Una di queste è certamente il lavoro nero. L'imam di Firenze,
Izzedin Elzir, ha confermato che nei giorni immediatamente
successivi alla tragedia, tre operai nordafricani, regolari in
Italiano, dipendenti di una ditta fiorentina e dislocati in quello
stesso cantiere, lo hanno avvicinato per «chiedere se fosse corretto
dal punto di vista religioso che i loro datori di lavoro
pretendessero la restituzione in contanti di parte dello stipendio».
Sette euro da ridare, su 12 l'ora in busta paga, ogni mese, per un
anno. «Mi hanno detto che se non fossero arrivati i nuovi operai,
sotto al piano crollato ci sarebbero stati loro», ha raccontato il
religioso che non ricorda il nome della ditta che li impiegava.
I «nuovi operai» sono quelli che sono morti. Con le autopsie
iniziate ieri, l'avvocato Taddia ha fiducia nel dissequestro dei
resti e nel poter far arrivare le salme nelle rispettive patrie
entro domani. «Molti parlano di lavoro nero (due delle vittime
sarebbero state senza permesso di soggiorno, ndr), ma questo non
cambia la nostra legittima richiesta di risarcimento per le famiglie
– spiega il legale – che sarà rivolta contro il committente
principale».
Si tratta de La Villata spa, immobiliare partecipata al 100% da
Esselunga e presieduta dall'ex ministro Angelino Alfano. Oltre al
risarcimento, ai parenti preme la celebrazione delle esequie. Lo ha
detto subito Sarhan Toukabri, fratello di Mohammed, l'unico
tunisino. Lo conferma l'imam Elzir e racconta: «Quei ragazzi
mettevano da parte i soldi per tornare a casa durante il ramadan».
Invece, oggi alla moschea di Firenze si invocano le loro anime nel
tradizionale rito funebre musulmano. Poi, nonostante le speranze, è
più probabile che arrivi prima l'iscrizione di un nome nel registro
degli indagati, ancora contro ignoti, che il dissequestro di resti
tuttora non identificati, per la gravità delle ferite che li hanno
uccisi.
23.02.24
PUTIN = HITLER : Dietro la
morte di Alexey Navalny si allunga minacciosa l'ombra del Cremlino.
Ma a quasi una settimana dal decesso, il regime non ha ancora
permesso ai familiari di vedere la salma e fornisce notizie
contraddittorie, mentre l'esatta causa della morte del rivale numero
uno di Putin continua a essere un doloroso mistero. Le ipotesi si
moltiplicano. In un'intervista al Times, il fondatore del gruppo per
i diritti umani Gulagu.net, Vladimir Osechkin, sostiene che Alexey
Navalny potrebbe essere stato ucciso con una terribile tecnica
omicida che una volta veniva insegnata alle forze speciali del Kgb:
quella del "pugno secco" al cuore. Citando una sua fonte nel carcere
in cui è morto l'oppositore, l'attivista afferma infatti che i
lividi sul corpo sarebbero compatibili con questa eventualità.
«Penso che prima abbiano piegato il suo corpo tenendolo a lungo al
gelo e rallentando la circolazione sanguigna al minimo», ha detto
Osechkin, secondo cui Navalny era costretto a trascorrere ogni
giorno più di due ore e mezza al gelo, in un'area di isolamento
all'aperto mentre il termometro segnava temperature glaciali, fino a
27 gradi sottozero: condizioni estreme alle quali gli altri detenuti
del "Lupo Polare", il carcere nell'Artico in cui Navalny era
rinchiuso ingiustamente, non erano mai tenuti per più di un'ora.
«Poi - sostiene - diventa molto facile uccidere qualcuno, in pochi
secondi, se l'agente ha una certa esperienza».
Di lividi sul corpo si era però parlato anche nei giorni scorsi. Un
operatore sanitario ha infatti raccontato a Novaya Gazeta di ematomi
che potrebbero essere stati provocati dai tentativi di trattenerlo
mentre stava avendo delle convulsioni, e in particolare di un livido
sul petto di Navalny compatibile col massaggio cardiaco che gli
sarebbe stato praticato per tentare di rianimarlo. Christo Grozev,
noto giornalista investigativo di Bellingcat, ha spiegato al
giornale Meduza che le convulsioni potrebbero essere «tipici
sintomi» di un avvelenamento con alte dosi di organofosfati: agenti
nervini proibiti dalla Convenzione sulle armi chimiche dell'Onu.
Bellingcat ha indagato a lungo sull'avvelenamento subito da Navalny
quattro anni fa. E lunedì la moglie dell'oppositore, Yulia Navalnaya,
ha ipotizzato che suo marito sia morto dopo essere stato di nuovo
intossicato col Novichok: il micidiale agente nervino che fu trovato
sul corpo di Navalny nel 2020, quando il trascinatore delle proteste
anti-Putin fu curato a Berlino e riuscì a salvarsi dopo un
avvelenamento che fece a lungo temere per la sua vita e dietro il
quale si sospetta un'operazione dei servizi segreti di Mosca. Yulia
Navalnaya accusa il Cremlino di nascondere il corpo del marito
proprio per questo: per aspettare che spariscano le tracce del
Novichok. Ma non ci sono conferme all'ipotesi della vedova di
Navalny. Difficile avere certezze senza un'analisi
medico-scientifica indipendente, e Mosca continua ad ignorare il
toccante ma deciso appello lanciato ieri da Lyudmila Navalnaya
affinché le sia restituito il corpo di suo figlio per «dargli una
dignitosa sepoltura». La madre di Navalny ha sporto denuncia
sperando di avere giustizia, ma il caso sarà esaminato dal tribunale
di Salekhard solo a partire dal 4 marzo, cioè oltre due settimane
dopo il decesso.
Il regime di Putin è largamente ritenuto responsabile della morte di
Navalny. L'oppositore era dietro le sbarre da tre anni per accuse
inventate di sana pianta per colpirlo e denunciava continui soprusi,
cure inadeguate e lunghi periodi di punizione in un'angusta cella di
rigore con i pretesti più assurdi (come quello di un bottone
slacciato). In questi giorni hanno apertamente puntato il dito
contro Putin anche Vladimir Kara-Murza e Ilya Yashin, due esponenti
di spicco dell'opposizione russa, entrambi in carcere per aver
condannato la crudele aggressione militare contro l'Ucraina.
«Vladimir Putin è personalmente responsabile della morte di Alexei
Navalny. Perché Alexey era suo prigioniero personale», ha accusato
Kara-Murza. Yashin ha detto di non avere dubbi sulle responsabilità
del Cremlino, ma ha anche sottolineato di temere per la propria
stessa vita. «Sono dietro le sbarre - ha detto - la mia vita è nelle
mani di Putin, ed è in pericolo. Ma manterrò la mia linea»
Gianluca Savoini
"Biden come Putin, lui perseguita Assange Con Mosca bisogna
riallacciare i rapporti"
I leader
Le relazioni
L'inchiesta Metropol
L'intesa con Russia Unita
FRANCESCO MOSCATELLI
MILANO
«Basta che Matteo Salvini dica una cosa ragionevole - cioè di
aspettare le indagini per capire se Navalny è morto di infarto, di
gelo, oppure torturato - che subito viene messo in croce. Perché
questa strumentalizzazione? Perché basta che il signor Biden, il
capo del mondo, decida che è stato Putin a farlo uccidere, e tutti
devono omologarsi. Però lui poi vuole fare la stessa cosa con Julian
Assange». Gianluca Savoini, già giornalista de La Padania ed ex
portavoce del segretario leghista, sta sempre dalla stessa parte.
Ovvero con la Russia. Anche se assicura che l'ultima volta che ha
incontrato Vladimir Putin è stata in occasione della visita in
Italia del presidente russo nel luglio del 2019. Il suo nome è
legato al «caso Metropol»: fu accusato di aver partecipato a una
compravendita di petrolio in un hotel di Mosca al fine di girare
alla Lega una plusvalenza da 60 milioni. Dopo quattro anni di
indagini, però, la procura di Milano ha chiesto per tutti
l'archiviazione. E così lui oggi gira l'Italia per presentare il suo
libro Da Pontida al Metropol-La lunga guerra dei poteri forti
internazionali contro la Lega edito dalla Signs Books di Marco
Carucci (in passato dirigente di Forza Nuova e compagno di liceo di
Salvini). «Ormai tutti sono ossessionati in maniera psicopatologica
dalla Russia - insiste Savoini -. Viviamo in questa cappa dove
Russia significa il crimine, l'inferno, il male assoluto. E poi se
qualcuno ha a che fare con la Russia diventa un mostro. Guardate
cos'è successo a Marine Le Pen per aver chiesto un prestito, poi
restituito, a una banca della Repubblica Ceca con partecipazioni di
banche russe».
Savoini, lei parla di mostrificazione della Russia. Ma come
definirebbe la morte in carcere pochi giorni fa dell'oppositore
Aleksej Navalny?
«Quello che è successo a Navalny è quello che succede da tempo ad
Assange. Non è che io voglia fare dei paragoni tristissimi, però
quello che vale per uno vale anche per l'altro. Perché nessuno ha
speso una parola per Gonzalo Lira, il giornalista americano morto
nelle carceri ucraine? Usare due pesi e due misure mi fa schifo».
La Lega ha aderito alla manifestazione in memoria di Navalny, ma il
capogruppo Massimiliano Romeo è stato contestato proprio per quei
legami con Mosca che lei ha rappresentato. Se lo aspettava?
«Chiunque non segue i dettami del pensiero unico sulla politica
internazionale viene attaccato a prescindere. La Lega può aver fatto
bene ad andare. È morta una persona. E quando muore una persona non
si può scherzare. Però bisognerebbe anche evitare di
strumentalizzare questa morte. Comunque la Lega fa parte del
governo, e per evitare problemi al governo, è normale che sia andata
in piazza. Però un conto sono un governo e un sistema politico
schierati, un'altra il Paese reale che ha opinioni anche diverse».
È a questo "Paese reale"che si riferiva Putin quando ha detto alla
studentessa «L'Italia ci è sempre stata vicina»?
«Sì, ma Putin parlava anche alla politica. A tutti i politici
italiani - da Letta a Prodi, da Conte a Salvini - che hanno avuto un
ruolo di governo fino al 2019. Tutti lo invitavano a Roma e andavano
a Mosca a definire accordi commerciali per le nostre imprese,
trattandolo come si tratta un partner importante».
Presentazioni del libro a parte, cosa fa oggi?
«Mi occupo della comunicazione per alcune aziende private. Non
faccio politica».
Che tipo di aziende?
«Aziende di settori normalissimi, dalle costruzioni ad altro,
aziende italiane».
Imprese che lavorano o lavoravano con la Russia?
«No, nessuno adesso può lavorare con la Russia. Ci sono le sanzioni.
La Russia con il mio lavoro di oggi non ha nulla a che fare».
Dice che non fa più politica. Ha ancora rapporti con Salvini?
«Sono nella Lega dal 1992 e ci resto, sento Salvini e i rapporti
sono buoni con tutti. Però, visto che negli ultimi periodi mi
occupavo dei rapporti internazionali, soprattutto di quelli con la
Russia, a fronte di quello che è successo prima con l'inchiesta
giudiziaria finita in nulla, poi con il Covid e alla fine con questa
guerra, adesso faccio altre cose. Non c'è alcuna possibilità di
avere relazioni politiche oggi. Fra non molto, appena la guerra sarà
finita, vedremo. Io credo che con la Russia si dovrà fare i conti.
Eccome»
L'inchiesta Metropol è finita in nulla anche perché c'è stata poca
collaborazione da parte delle autorità russe…
«Non è vero. I magistrati ci sono andati due volte e hanno fatto due
rogatorie. A differenza di alcuni giornalisti che mi hanno
condannato ancora prima di sapere che cosa stava succedendo, la
magistratura ha fatto il suo dovere. Ha dimostrato che non c'era
alcun reato. Io sono stato distrutto per colpire la Lega di Salvini
che nel 2019 era al 34%».
È tornato in Russia ultimamente?
«Certo, in Russia ci vado tranquillamente dato che mia moglie è
russa e ho anche il visto matrimoniale. Gli amici che avevo da
trent'anni per me rimangono amici. A differenza di molti italiani
che fanno i Badoglio, e quando va tutto male saltano dall'altra
parte, in Russia se sei una persona corretta e seria non ti voltano
le spalle».
Lei ha curato l'accordo del 2017 fra la Lega e Russia Unita, il
partito di Putin. Accordo che si sarebbe dovuto rinnovare
automaticamente nel 2022. È ancora valido? Carlo Calenda chiede a
Salvini di mostrare le prove della disdetta…
«Si trattava di un memorandum di collaborazione, nell'ambito di
istituzioni come ad esempio il Consiglio d'Europa e l'Ocse al quale
erano ammessi anche parlamentari russi. Dialogavamo su temi come la
lotta all'immigrazione, la difesa delle identità e anche la lotta
alle sanzioni, perché per noi della Lega rovinavano le aziende
italiane senza portare alcun beneficio politico. È stato impossibile
riconfermare il memorandum perché a un certo punto i deputati russi
sono stati espulsi da questi organismi».—
MADE IN ROMANIA: I pendolari dell'elemosina andavano e
venivano sui furgoni con gli animali L'organizzazione scoperta dalla
polizia locale, venti persone denunciate
Racket dei clochard accompagnati dai cani I boss sono in Romania
gianni giacomino
Avevano trovato il modo di tirare su un discreto giro di affari
chiedendo l'elemosina in compagnia di cani, accucciati vicino ai
loro giacigli in centro città. Ma gli agenti del reparto di polizia
giudiziaria della Locale sono riusciti a scoprire e smantellare
un'organizzazione di «pendolari dell'elemosina», denunciando in
tutto 20 persone tutte di origine romena. Il business era gestito da
cinque soggetti, due dei quali denunciati per il reato di
organizzazione di accattonaggio in concorso. Tutti dovranno poi
rispondere di contraffazione di passaporti e libretti sanitari di
cani, maltrattamento di animali, fino al porto d'armi senza
giustificato motivo. Ogni due settimane un piccolo bus trasportava
cani e mendicanti da Torino a Piscolt, un paesino ai confini con
l'Ungheria a più di 1300 chilometri di distanza da qui. In pratica
c'erano «due squadre» di mendicanti che si davano il cambio e
sostituivano anche i cani. Questo per non dare nell'occhio e
dribblare i controlli ed eventuali sospetti delle autorità italiane.
Perché tutto era stato studiato nei minimi dettagli.
Anche i cani, tutti meticci di piccola e media taglia presi in
affitto da un allevamento con sede sempre a Piscolt erano forniti di
passaporti e libretti sanitari contraffatti, tutti firmati dallo
stesso veterinario. Un giro d'affari che attraverso il raccolto
delle elemosine rendeva tra i 600 e gli 800 euro a settimana per
ogni mendicante. Gli investigatori hanno calcolato che, chi chiedeva
l'elemosina con il cane, doveva pagare ai cinque organizzatori 1600
euro a viaggio per raggiungere Torino o per ritornare a Piscolt.
A scoprire tutto il giro sono state una serie di indagini,
coordinate dalla pm Patrizia Caputo, partite a dicembre del 2022
quando gli agenti della locale hanno denunciato due persone per
contraffazione di passaporti e libretti sanitari di cani utilizzati
per chiedere l'elemosina. Gli stessi investigatori erano poi
intervenuti lo scorso anno per un maltrattamento di animali da parte
di un uomo che chiedeva la carità lungo via Roma nei pressi di
piazza Carlo Felice. In quell'occasione, gli agenti della polizia
locale, già impegnati nel servizio di monitoraggio quotidiano del
centro città, erano intervenuti sequestrando il cane e denunciando
l'uomo. Impiegando diverse settimane gli investigatori hanno
monitorato tutto il mondo dell'accattonaggio intorno a via Roma,
piazza Cln, via Po e piazza Carlo Felice. Hanno pedinato tutte le
persone che chiedevano la questua utilizzando gli animali domestici
con lo scopo di impietosire i passanti. Ne hanno studiato i
movimenti, imparato le abitudini e ricostruito le modalità con le
quali si alternavano a chiedere l'elemosina. La certezze che, dietro
a tutto, ci fosse un'organizzazione di romeni che gestiva i proventi
dell'elemosina è arrivata quando sono spuntati numerosi libretti
sanitari contraffatti degli animali. E così gli agenti hanno
ricostruito i viaggi e i guadagni del racket.
«La nostra lotta contro il racket dei clochard è iniziata oltre un
anno fa - spiega Pierlucio Firrao, vice capogruppo Torino Bellissima
- Abbiamo denunciato questo sfruttamento infame alla polizia
municipale, abbiamo raccolto video, foto e testimonianze e
collaborato con residenti e commercianti per fare luce su un sistema
che lucrava sulle spalle di persone e animali. Le azioni messe in
atto oggi sono un'ottima notizia, siamo molto orgogliosi perchè è
una battaglia a cui tenevamo davvero molto». —
A Rochemolles la Smat sospende le
operazioni di manutenzione
Il fondo dell'invaso è troppo melmoso, il fango ha ostruito gli
scarichi
Lo svuotamento della diga
rinviato al prossimo inverno "Intanto si pensi ai pesci"
Su La Stampa
francesco falcone
Almeno per quest'anno lo svuotamento della diga di Rochemolles è
rimandato. Non per consentire il salvataggio dei pesci che popolano
il lago artificiale nato quasi un secolo fa a fini idroelettrici a
monte dell'abitato di Bardonecchia, come invocato qualche settimana
fa da alcuni sindaci e da associazioni ambientaliste della Val Susa
allarmati dalla possibile moria della fauna ittica, bensì per colpa
del fango.
Lo svaso della diga non avveniva da oltre 50 anni, ed era partito
nel mese di gennaio. Con l'obiettivo di consentire ai tecnici di
Enel Green Power una serie di lavori sugli scarichi dell'impianto,
normalmente posti alcune decine di metri sotto il livello
dell'acqua, e dunque accessibili solo dopo il completo svuotamento
dell'invaso artificiale. Ma proprio durante questa procedura il
fango depositatosi nei decenni sul fondo dello specchio d'acqua ha
cominciato a muoversi verso valle, ostruendo man mano le griglie di
scolo.
Dopo giorni di tentativi di salvataggio delle operazioni pianificate
in accordo col ministero delle Infrastrutture, l'azienda elettrica
ha annunciato di aver modificato i propri piani. Ovvero, che lo
svuotamento del bacino per gli interventi di manutenzione
straordinaria previsti tra febbraio e fine aprile sul fondo del lago
artificiale è per ora sospeso.
L'imprevisto deflusso di una gran quantità di sedimenti sul fondale
- fango e detriti andati ad otturare gli scarichi della diga - ha
bloccato le lavorazioni: «I tentativi per disostruire la griglia non
hanno dato esito positivo. L'intervento di svaso completo,
propedeutico alla manutenzione degli scarichi, verrà dunque
ripianificato non prima della stagione invernale 2024-2025» spiega
Enel Green Power nel comunicare il rinvio dello svuotamento al
prossimo anno.
«Ora la saracinesca è stata chiusa e il lago comincerà a rinvasarsi,
tornando ai livelli abituali con lo scioglimento delle nevi»
chiarisce Enel, che fin da inizio intervento aveva sottolineato
l'importanza di agire in tempi stretti per ripristinare il prima
possibile il livello del lago di Rochemolles: perché sull'acqua del
bacino fa affidamento, a fini idro-potabili, l'intera Val di Susa,
che con il deflusso del lago di Rochemolles alimenta l'acquedotto di
Valle collegato alle reti idriche di tutti i Comuni.
Il prossimo tentativo di svaso della diga avverrà nuovamente in
inverno: «Anche se le attività a quelle quote sono più complicate,
la scelta del periodo è dettata dall'esigenza di operare quando c'è
minor afflusso di acqua» spiegano i tecnici. La tecnica di
svuotamento sarà, invece, ripensata: «Il nuovo svaso avverrà con
modalità alternative per garantire un accesso sicuro agli scarichi»
conferma Enel. Sindaci e associazioni di pescatori che avevano
lamentato l'assenza di un piano di recupero della fauna ittica prima
dell'avvio lavori si augurano che, nel frattempo, vengano studiate
anche valide soluzioni per portare al sicuro i pesci che da sempre
vivono nel lago di Rochemolles
CATTIVERIA UMANA DEMONIACA: rogo doloso nel maneggio di
rivalta
Marybelle, la cavalla amica dei bambini è morta nell'incendio
«Siamo ancora tutti sotto shock. Se una persona, che non sappiamo
ancora chi sia e che vorremmo incontrare per ringraziare col cuore
in mano, non se ne fosse accorta passando lungo la strada, i danni
sarebbero stati ancora più gravi. Vigili del fuoco e carabinieri
sono stati degli angeli». Davide Cofanelli, istruttore ippico del
centro Nuova Cerrina di Rivalta, parla con il groppo in gola dopo
l'incendio di martedì sera tardi che ha distrutto un capanno e
ucciso Marybelle, cavalla di 22 anni amica dei bambini. Era lei a
venire cavalcata dai più piccoli durante le lezioni di equitazione
organizzate dal centro. Qualcuno si è introdotto nel maneggio, con
il favore del buio e ha dato fuoco ad un cumulo di paglia in un
angolo del terreno. Un dispetto, forse, più che un atto vandalico
fine a sé stesso. Sta di fatto che le fiamme si sono propagate al
capanno dove c'era Marybelle, morta intossicata e per le ustioni.
Una tragedia per chi vive il mondo ippico e più in generale per
tutti gli amanti degli animali.
L'allarme, intorno alle 23, è stato lanciato da un passante, o forse
un automobilista che viaggiava lungo la provinciale che collega
Rivalta con Bruino. Provvidenziale, perché il conseguente rapido
arrivo dei vigili del fuoco ha permesso il contenimento delle
fiamme, già estese. Il fuoco poteva distruggere tutto: «Purtroppo
non abbiamo telecamere perché qui non arriva internet – spiega
Davide Cofanelli -, abbiamo provato in passato con collegamenti
mobili, ma invano. Adesso aspettiamo le perizie e le indagini per
capire il perché di questo gesto. E soprattutto chi sia l'autore».
Pochi dubbi sul fatto che il rogo sia doloso: quando i pompieri sono
arrivati la situazione non era compatibile con un'autocombustione.
I carabinieri hanno raccolto le prime testimonianze e nelle prossime
settimane si cercherà di capire se e chi poteva avercela con il
maneggio: «Maybelle era con noi da tanto tempo – conclude
l'istruttore -, è come se fosse morto un pezzo del nostro cuore e
della nostra anima».
0 INTERVENTI O VOTI : In montagna è già allarme siccità
Coldiretti: "Manca il 45% della neve"
andrea bucci
alessandro previati
Le previsioni meteo dei prossimi giorni promettono pioggia e neve ma
qualche precipitazione non contribuirà al recupero del deficit
accumulato in questi primi due mesi dell'anno.
Lo sa bene Coldiretti Torino che ieri è tornata a lanciare l'allarme
sulla montagna torinese dove manca il 45% del volume di neve
normalmente presente a febbraio: «Una situazione sempre più
drammatica che minaccia seriamente l'annata agraria ormai alle
porte». In alcune vallate, ad esempio, l'innevamento è praticamente
assente fino a 2000-2100 metri. «A fine febbraio dovremmo avere una
riserva consistente su tutte le aree montane con una copertura
nevosa media di circa 40 centimetri oltre i 1200 metri - sottolinea
il presidente di Coldiretti Torino, Bruno Mecca Cici - abbiamo
invece mezze valli spoglie e una presenza di neve limitata a pochi
centimetri solo a quote elevate e nei soli versanti all'ombra». La
situazione d'emergenza è già piuttosto chiara nei torrenti che
rischiano di non avere una portata adeguata nella stagione estiva,
quando sarà più alta la richiesta di irrigazione da parte dei
consorzi agricoli. «Tutta la pianura agraria che va dal pinerolese,
al Canavese, passando per l'area Ovest e il ciriacese, da sempre
viene irrigata grazie ai canali che derivano acqua da Chisone,
Pellice, Sangone, Dora Riparia, Stura di Lanzo, Orco - spiega Mecca
Cici - colture come il mais e gli alimenti per allevamenti da latte
e carne, dipendono dall'acqua delle montagne che oggi, viste dalla
pianura, appaiono spoglie e secche».
Coldiretti torna a chiedere atti concreti alla Regione e alla Città
Metropolitana di Torino: lo aveva già fatto negli anni scorsi ma, a
quanto pare, senza successo. «Sono tre anni che chiediamo misure
strutturali per affrontare questa crisi idrica - dice Mecca Cici -
servono (adesso) infrastrutture locali per rendere l'agricoltura
delle nostre campagne resiliente a un clima che alterna lunghi
periodi di siccità ad eventi calamitosi con bombe d'acqua e
grandinate. Solo una politica irresponsabile può ignorare questa
emergenza. Non ha senso appellarsi agli accordi globali se poi la
Regione non fa nulla a casa nostra. Già con l'emergenza idrica del
2022 abbiamo chiesto che partissero progetti urgenti: invece non
sono state stanziate risorse e non è nemmeno stato avviato un tavolo
di pianificazione. Insomma, non è stato fatto nulla». L'associazione
degli agricoltori rilancia anche il tema della pianificazione per
distribuire sul territorio piccoli specchi d'acqua in grado di
raccogliere l'acqua in eccesso dei temporali per poi metterla a
disposizione in caso di siccità. «Inoltre, chiediamo che la Regione
utilizzi la leva del rinnovo delle concessioni idroelettriche per
concordare con i gestori dei bacini montani un uso plurimo delle
acque perché la stagione delle concessioni ad uso esclusivo
idroelettrico non è più tollerabile». Un po' quello che è successo
l'anno scorso con Iren che, proprio con Coldiretti, ha stipulato un
accordo per l'uso dell'acqua della diga di Ceresole.
22.02.24
SALVINI ALLA RESA DEI CONTI:
Galeotto fu un albergo, nel cuore di Mosca. Ha un nome da spy story,
una location perfetta per James Bond, Metropol. In Italia l'abbiamo
conosciuto grazie all'inchiesta giornalistica dell'Espresso, che nel
2018 ha raccontato dell'incontro tra un politico leghista e un
gruppo di broker russi nella lussuosa hall dell'hotel. Si parlava di
affari, tra un caffè . Un caso chiuso per i magistrati di Milano,
che avevano aperto un'indagine ipotizzando la corruzione
internazionale. Nulla di rilevante dal punto di vista penale, ha
stabilito il Gip, accogliendo la richiesta di archiviazione
presentata dalla Procura. Il caso politico, però, rimane un dossier
aperto. Ed è un filo ancora oggi visibile tra il mondo della Lega e
la sfera della politica russa. Tutto nel nome dl tradizionalismo,
dell'ultranazionalismo, dei dogma antidemocratici alla base
dell'estrema destra, divenuta da tempo un network internazionale.
A riproporre oggi quel legame è il protagonista del caso Metropol,
Gianluca Savoini, l'uomo di collegamento tra Matteo Salvini e la
corte di Vladimir Putin. Alla fine del 2023 ha pubblicato una sorta
di libro di memorie politiche, "Da Pontida al Metropol". Sottotitolo
"La lunga guerra dei poteri forti internazionali contro la Lega". I
legami con la Russia? Mai rinnegati, anzi, riaffermati con forza e
convinzione. Con qualche piccola novità, passata inosservata:
l'antico legame con Mosca ha un nome ben preciso, quello di
Aleksandr Dugin, il politologo russo guru del pensiero
tradizionalista, con tinte che spesso sfiorano le ideologie nazional
socialiste e neofasciste, traduttore dei libri di Julius Evola e
René Guenon. Non è un personaggio qualunque, è probabilmente uno dei
link più importanti tra il mondo dell'estrema destra mondiale -
dall'Europa all'America Latina - e il milieu culturale cresciuto
attorno agli oligarchi di peso, come Konstantin Malofeev. I rapporti
di Savoini con questo mondo probabilmente risalgono all'epoca della
sua frequentazione della rivista della destra radicale italiana
Orion, sulle cui pagine negli anni '90 uscivano i primi articoli sul
nazionalismo oltranzista russo. In quegli stessi numeri era
possibile leggere anche i saggi dedicati al negazionismo della Shoah
e all'esaltazione del regime iraniano. Una officina di un pensiero a
tinte scure, da dove sono poi emersi gli esponenti della destra
identitaria legata oggi a doppio filo con la Russia. Come Maurizio
Murelli, fondatore di Orion e oggi editore italiano di Aleksandr
Dugin.
Per Gianluca Savoini la pubblicazione del libro è stata l'occasione
d'oro per riprendere a tessere antichi rapporti politici. Sempre
guardano all'estrema destra. Nei mesi scorsi fa si è fatto
fotografare insieme a Rainaldo Graziani, figlio del fondatore di
Ordine nuovo Clemente, punto di riferimento di Dugin in Italia da
almeno cinque anni. Rainaldo Graziani - che in un'altra foto posa
con in mano un calendario russo, con foto osé di donne ed armi
pesanti - all'inizio di febbraio è stato uno dei protagonisti di uno
spettacolo dedicato alla figlia di Dugin Daria, uccisa in un
attentato a Mosca un anno fa, all'interno dell'ambasciata russa a
Roma. Il legame stretto di Savoini con il mondo neofascista è poi
suggellato dall'editore del libro dedicato al caso Metropol, il
milanese Marco Carucci. Amico da decenni di Matteo Salvini - sono
stati compagni di classe al liceo - Carucci è stato fino a qualche
anno fa dirigente nazionale di Forza Nuova ed oggi è attivo
nell'editoria dell'area della destra radicale: «Conosco Gianluca da
almeno 25 anni - racconta a La Stampa - in tanti anni di battaglie
politiche ci si è spesso trovati sullo stesso fronte intellettuale
di riflessione e elaborazione culturale. Poi ciascuno di noi ha
provato a far germogliare idee consonanti nel rispettivo gruppo
politico». Savoini nella Lega, l'editore Carucci in Forza Nuova.
Il libro che rivendica i rapporti tra la Lega e la Russia sta
facendo il giro del nord Italia in questi mesi, con presentazioni
che diventano occasioni d'oro per rafforzare la rete dei rapporti
all'interno dell'area della destra italiana, con la presenza
ingombrante di Mosca. Non solo la Lega, ma anche Fratelli d'Italia.
Una delle ultime presentazioni è stata organizzata ad Alessandria,
nella sede dell'associazione culturale Libera Mente, con la
moderazione di Fabrizio Priano, responsabile della Scuola di
formazione politica regionale in Piemonte del partito della premier
Giorgia Meloni. E sul canale Telegram "Italia unita" (riferimento
del partito Russia unita) il libro di Savoini viene presentato come
una lettura consigliata. L'assist principale è però arrivato dal Tg1
che a fine dicembre ha dedicato al saggio un servizio sui libri
politici consigliati: «Da Pontida al Metropol ha fatto chiarezza sui
rapporti tra Lega e Russia» era il commento della giornalista Rai.
OMICIDIO DI STATO ANCHE IN BELORUSSIA:
L'oppositore stava scontando una pena di tre anni per un articolo
pubblicato nel 2022
Bielorussia, morto in cella il reporter Lednik era accusato di aver
diffamato Lukashenko
Giovanni Pigni
San Pietroburgo
Il giornalista e oppositore bielorusso Igor Lednik è morto ieri in
prigionia mentre scontava una condanna per diffamazione ai danni del
presidente Aleksandr Lukashenko. Lo ha riferito il servizio stampa
del partito socialdemocratico bielorusso "Gramada", di cui Lednik
era un ex membro. Lednik, 64 anni, era stato arrestato nell'aprile
del 2022 e condannato a tre anni di carcere per aver «diffamato»
Lukashenko in un articolo pubblicato oltre un anno prima, nel
dicembre 2020. Come sostiene il suo avvocato, le condizioni di
salute di Lednik, che già soffriva di problemi cardiaci, erano
peggiorate notevolmente in prigione, rendendo necessaria
un'operazione al tratto gastrointestinale. L'attivista è infine
morto in un ospedale distrettuale di Minsk dove era stato trasferito
dalla colonia penale n. 2 di Bobruisk. La causa ufficiale del
decesso è stata un arresto cardiaco. Lednik sarebbe stato vittima di
maltrattamenti da parte del personale del carcere, ha raccontato al
giornale locale Novy Chas l'ex prigioniero politico Aleksey Golovkin,
che era imprigionato insieme all'attivista. Come riferisce Golovkin,
a Ledkin non veniva concesso l'accesso alle docce, né gli veniva
permesso di fare acquisti nel negozio della prigione. «Mi diceva che
molto probabilmente sarebbe morto in prigione», ha raccontato
Golovkin.
Oppositore di lunga data del regime autoritario di Minsk, Lednik
sosteneva pubblicamente l'abolizione dello Stato dell'Unione, il
progetto di progressiva integrazione tra Bielorussia e Russia
portato avanti dai governi di Lukashenko e di Vladimir Putin.
Nell'articolo per il quale era stato incriminato, intitolato "La
neutralità internazionalmente riconosciuta della Bielorussia:
garanzie di sicurezza nella zona Osce», Lednik accusava Lukashenko
di aver instaurato una dittatura e condotto il Paese sempre più
nell'orbita di Mosca, destabilizzando la sicurezza dell'Europa. Come
fa notare il giornalista bielorusso Dmitry Gurnevich, nel suo
articolo, Lednik aveva previsto l'invasione dell'Ucraina da parte
della Russia di Putin con la partecipazione del regime di Lukashenko.
Secondo Lednik, Lukashenko è responsabile di aver violato il
memorandum di Budapest del 1994, che prevedeva garanzie di sicurezza
per l'Ucraina, la Bielorussia e il Kazakistan in cambio della
rinuncia di questi Paesi ai propri armamenti nucleari. L'articolo,
ha decretato la corte, conterrebbe «informazioni deliberatamente
false» che infangano «l'onore e la dignità di Lukashenko». Nel
luglio del 2022, la pagina Facebook di Lednik era stata dichiarata
«materiale estremista» da una corte bielorussa. Svetlana
Tikanovskaya, ex-candidata presidenziale e leader dell'opposizione
bielorussa in esilio, si è detta «devastata» per la morte di Lednik,
che ha ricordato come «un instancabile combattente per la libertà».
«Questa morte è un tragico simbolo della brutalità del regime di
Lukashenko», ha scritto Tikanovskaya sul suo account X. «Deve essere
ritenuto responsabile di ogni morte, di ogni eroe perduto», ha
proseguito.
Lednik è il quinto prigioniero politico a morire in carcere in
Bielorussia, ha fatto notare il centro per i diritti umani Vyasna.
Tra gli altri figurano l'attivista Vitold Ashurok e il blogger
Nikolay Klimovich, entrambi critici di Lukashenko. Secondo il
centro, 1423 prigionieri politici sono attualmente confinati nelle
carceri bielorusse.
TERRORISMO DI STATO RUSSO : «Mi rivolgo a lei, Vladimir
Putin. La soluzione di questa questione dipende soltanto da lei. Mi
lasci vedere finalmente mio figlio». In un video denso di dolore e
dignità, la madre di Alexey Navalny, Lyudmila, ha chiesto al
dittatore russo che le sia restituito il corpo di suo figlio. La sua
voce è ferma, la sua sofferenza ben visibile dietro gli occhiali
scuri. «Pretendo che il corpo di Alexey sia consegnato
immediatamente, in modo che possa dargli una dignitosa sepoltura»,
afferma la donna, sottolineando col suo tono che non è una supplica
la sua, ma la richiesta che le sia garantito un legittimo diritto.
Lyudmila Navalnaya è vestita a lutto, il nero dei suoi abiti
contrasta con il bianco della neve tutt'attorno, che continua a
fioccare mentre lei parla. Alle sue spalle c'è l'IK-3, il remoto
carcere nell'Artico soprannominato "Lupo Polare", quello in cui il
rivale numero uno del Cremlino, Alexey Navalny, era rinchiuso
ingiustamente. E dove è morto, venerdì secondo le autorità, in
circostanze poco chiare dietro le quali si staglia prepotente
l'ombra del regime di Putin. Da allora, nonostante siano ormai
passati diversi giorni, i familiari non hanno potuto vedere la
salma. Secondo i collaboratori di Navalny, un investigatore avrebbe
detto che c'è bisogno di almeno due settimane per effettuare dei
«test chimici» sul corpo e che la salma - che non è neanche chiaro
dove sia - non può essere quindi consegnata prima. Dubbi e sospetti
ovviamente si moltiplicano. Navalny continuava a sfidare Putin anche
dietro le sbarre, a criticare l'invasione dell'Ucraina e a seguire
la politica internazionale (secondo il New York Times avrebbe
confidato a un amico che l'agenda elettorale di Trump gli pareva
«davvero spaventosa»).
Gli oppositori ora accusano il Cremlino di averlo fatto assassinare
e di voler «occultare le prove». Yulia Navalnaya, la moglie del
dissidente, ha puntato il dito direttamente contro Putin sostenendo
che il Cremlino stia nascondendo il corpo di suo marito perché
aspetta che spariscano le tracce di un micidiale agente nervino: il
Novichok. Non ci sono conferme alle parole di Yulia Navalnaya, ma il
Novichok non viene nominato a caso: si tratta della tossina che
quattro anni fa fu trovata sul corpo di Navalny dopo un
avvelenamento che fece a lungo temere per la sua vita e per il quale
si sospettano i servizi segreti di Putin.
Il Cremlino nega ogni responsabilità. E respinge anche la richiesta
di un'indagine internazionale avanzata dal capo della diplomazia Ue,
Josep Borrell. «Naturalmente, queste sono accuse assolutamente
infondate e rozze contro il capo dello Stato», afferma il portavoce
di Putin, Dmitry Peskov, sostenendo che il presidente russo non
avrebbe neanche visto il filmato in cui Yulia Navalnaya ha promesso
di continuare il lavoro di suo marito. Un video che pare segnare
l'inizio di un coinvolgimento sempre più attivo di Navalnaya in
politica, con un'opposizione continuamente presa di mira dalla
dittatura e i cui esponenti sono praticamente quasi tutti in esilio
o ingiustamente dietro le sbarre. La vedova del principale
oppositore di Putin ha risposto a tono al Cremlino: «Non mi importa
nulla di come l'addetto stampa di un assassino commenta le mie
parole», ha dichiarato su X. «Restituite il corpo di Alexey e
lasciate sia sepolto con dignità, non impedite alla gente di
salutarlo», ha poi affermato aggiungendo la sua voce a quella della
madre dell'oppositore. Poco dopo, il suo nuovo account - che in due
giorni ha raccolto ben 200.000 follower - veniva misteriosamente
bloccato dalla piattaforma di Elon Musk, che però lo riapriva dopo
circa un'ora parlando di un errore del suo «meccanismo di difesa»
contro «la manipolazione e lo spam».
Yulia Navalnaya, per quanto possibile, in questi anni ha cercato di
stare lontana dai riflettori. La morte del marito pare aver
decisamente cambiato le cose. «Un presidente che ha ucciso il suo
principale avversario politico non può essere legittimo per
definizione», ha dichiarato invitando l'Ue a non riconoscere le
presidenziali in programma in Russia tra meno di un mese. Il regime
intanto ha di nuovo preso di mira Oleg Navalny: il fratello di
Alexey Navalny in passato ha trascorso tre anni e mezzo dietro le
sbarre per motivi considerati di chiara matrice politica, e ieri
Mosca lo ha di nuovo inserito nella sua lista dei ricercati per non
si capisce bene quale presunto «reato». Contemporaneamente - scrive
il giornale Meduza - la dittatura ha promosso alcuni alti funzionari
del Sistema penitenziario russo, compreso il vice comandante Valery
Boyarinev, con un decreto sfornato appena tre giorni dopo la morte
di Alexey Navalny.
PUTIN MANDANTE DI STATO : Nessuno è più sicuro, in Russia
come all'estero, nella fase finale assassina e ultra stalinista del
putinismo. Figurarsi la «regina della dissidenza russa», come molti
chiamano adesso Yulia Navalnaya, la coraggiosa moglie di Alexey, una
donna che il Cremlino non può piegare, né controllare. Ecco come
vivere quando si è un target del regime. Da anni, e peggio che mai
adesso.
Come Stalin faceva ammazzare anche all'estero i suoi nemici (Lev
Trozky a Città del Messico fu solo il più famoso, tra l'altro
colpito a picconate un 20 agosto, stesso giorno in cui tanti anni
dopo, nel 2020, venne avvelenato per la prima volta Alexey Navalny),
così sotto la dittatura di Putin sono stati colpiti all'estero,
variamente avvelenati o presi a pistolettate, nemici di Putin da
Alexander Livtinenko (a Londra, polonio) a Sergey Skripal (a
Salisbury, Regno Unito, novichok), fino all'ultimo «traditore»,
Maxim Kuzminov, il giovane pilota russo che dirottò e consegnò
all'Ucraina un elicottero militare russo Mi-8 (trovato morto due
giorni fa a Villajoyosa, Alicante, colpi di pistola). Sotto Putin,
si muore non solo nelle prigioni russe al Circolo polare artico, si
muore anche assassinati in piena Europa (con i Paesi europei
distratti dinanzi al dilagare degli agenti russi). Ora però
succederà come non mai.
Per questo, la routine di Yulia Navalnaya non sarà mai più – ma non
lo è da anni – quella di una donna al sicuro. E lei lo sa benissimo,
«se avessi avuto paura non sarei la moglie di Alexey». Ora però è
evidente che le cose sono cambiate. Un Putin senza freni, senza più
nessuna parvenza di volontà dialogante con il mondo "libero", può
ordinare di ammazzare in primis i due grandi dissidenti rimasti in
carcere, come spiega Christo Grozev a Meduza: «Le mie fonti mi hanno
già avvertito che potrebbe esserci un'ondata di repressioni e
omicidi, che Putin ha "piani speciali" per i leader dell'opposizione
russa. Se questo è vero, gli imprigionati ILYA Yashin e VLADIMIR
Kara-Murza saranno particolarmente vulnerabili». «Credo - ha detto
Evgenia Kara-Murza, moglie del dissidente Vladimir, condannato a 25
anni con accuse ridicole - che la vita di mio marito sia in
pericolo, così come quella di molti altri prigionieri politici nelle
carceri russe». Kara-Murza è scomparso da settimane dalla colonia
penale IK-6 a Omsk, in Siberia.
Certamente rischia tantissimo anche lei, Yulia, bersaglio mobile in
un raggio di fuoco che ormai comprende tutta l'Europa. Nulla
trattiene ormai Putin. Come Stalin - e a differenza invece della
fase brezneviana in cui l'Unione sovietica comunque si ritraeva
dall'assassinare i grandi dissidenti (da Solzhenitsyn a Sakharov e
Sharansky).
Cosa fa Yulia Navalnaya per andare avanti, e proteggersi? La sua
scelta ostinata è stata quest'anno quella di esserci il più
possibile in Russia, dov'era rinchiuso Alexey. Primo accorgimento:
quando il Cremlino ha fatto etichettare l'Fbk, la Fondazione di
Navalny, come «organizzazione estremista», e gli associati di
Navalny sono stati costretti a sciogliere i loro uffici sul campo –
il quartier generale è da tempo tra Vilnius e la Germania –
Navalnaya ha mantenuto un formale non coinvolgimento nel Fbk, e
meticolosamente tiene separato il suo ruolo dal lavoro della
Fondazione. Primo punto del suo piano di emergenza, che le ha
consentito, quest'anno, di andare a far visita al marito in carcere
fin quando è possibile (li chiamava su Instagram «i nostri
appuntamenti»), di andare alle udienze in tribunale mentre il
Cremlino continuava a inventare accuse e procedimenti farlocchi. A
differenza del marito, però, Navalnaya si trova al momento fuori
dalla Russia, come ha spiegato Tatiana Stanovaya, senior fellow al
Carnegie Russia Eurasia Center. «Per il regime russo, questa è una
pessima notizia». Non diremo ovviamente dove.
Yulia si sposta molto. Con estrema riservatezza. Ha due figli in
Paesi che, si spera, possano proteggerli sia a livello di
intelligence che di forze di polizia, perché i luoghi sono noti,
Dasha è tornata a studiare a Stanford, Zakhar è rimasto in collegio
in Germania. «Yulia ha dimostrato grande coraggio perché è chiaro
che sarà il prossimo bersaglio del Cremlino», ha dichiarato Lyubov
Sobol (che vive in esilio, in Germania).
La moglie di Navalny continua la sua sfida di libertà (ieri ha detto
«non mi interessa come commenta le mie parole l'addetto stampa
dell'assassino. Restituite il corpo di Alexey e lasciatelo sepolto
con dignità, non impedite alla gente di salutarlo»). Putin però
continua – anzi espande - la sua sfida, questo è il problema, per
una donna comunque sola: perché è una fantasia che servizi
occidentali la proteggano. Come sa chiunque conosca qualcuno del
team Navalny e li abbia visti girare soli e indifesi, in qualche
capitale europea. Il Cremlino ha a lungo cercato di distruggerla
calunniandola, dandole della protetta dalla Cia, inventando storie
sentimentali extramatrimoniali con oligarchi "filo occidentali",
costruendo un inesistente padre agente del Kgb, o spargendo in giro
che Yulia ha la cittadinanza tedesca. Altra balla.
Lei però non è donna che puoi piegare con la disinformazia. E la
partita sarà guardarsi dagli sgherri di Mosca. Quelli che lui
encomia solennemente. Tre giorni dopo l'assassinio di Alexey Navalny
nella colonia penale "Polar wolf", Putin ha conferito il grado di
colonnello generale al primo vicedirettore del servizio
penitenziario federale Valery Boyarinev.
Eroe per l'Occidente, traditore per i russi Maksim il pilota e la
legge dei tiranni
Domenico Quirico
In fondo lo scivolare dei tempi e delle Storie non conta. A guardar
bene è tutto scritto, parola per parola, nell'atto quarto del
Macbeth shakesperiano. Il figlio, curioso di gravi faccende, chiede
alla madre: che cosa è un traditore? E lady Macduff risponde: «Uno
che giura e mente». Definizione folgorante, plutarchiana. Non a caso
il drammaturgo in cerca di trame saccheggiava appunto Plutarco. E
aggiunge: chiunque fa così deve essere impiccato. Tutti, proprio
tutti? chiede il petulante ma saggio rampollo. «Tutti, nessuno
escluso! E a impiccarli devono esser gli uomini onesti»liquida la
madre che non vuole armeggi e sfumature.
C'è altro da aggiungere? Il piccolo milord sa tutto quello che deve
sapere per orizzontarsi in tempi di ferro. Tranne il fatto che lui e
la madre e i fratelli e la stirpe tutta verranno sterminati dai
sicari di Macbeth il tiranno, per punire il marito e padre che è
fuggito, ha disertato disinvoltamente, senza curarsi dei parenti. I
killer, a loro che invocano pietà professandosi innocenti,
risponderanno sogghignando: «Siete complici di un traditore».
Maksim Kuzminov, disertore dell'esercito putiniano (ma portandosi
dietro un elicottero ricco, pare, di interessanti segreti militari),
liquidato in terra di Spagna prima di perfezionare il tradimento con
memorie o autobiografie, non conosceva probabilmente l'istruttivo
copione dei Macduff. Ma certamente non gli era ignoto quello di più
recenti e reali traditori del suo Paese. Finale sempre tragico
indipendentemente dal fatto che l'abbiano scritto i killer
bolscevichi o putiniani. Il generale Andrej Vlasov e la sua armata
collaborazionista di centomila uomini, per esempio, che si battè
(con impegno) a fianco dei tedeschi contro l'armata rossa. Centomila
erano e centomila furono le ragioni del "tradimento": salvare la
pelle uscendo dai campi di prigionia senza ritorno dei nazisti, la
possibilità una volta tornati sul fronte russo con un fucile in mano
di disertare di nuovo e unirsi ai compagni d'armi; perfino la scelta
ideologica, etica forse per qualcuno, dopo aver vissuto le delizie
del socialismo staliniano e i suoi crimini, di lottare per
abbatterlo a costo di dover spartire pane e munizioni con il nemico,
e che nemico. Non immaginavano, gli ingenui, che per loro ormai non
c'era la via del ritorno perché il Padre dei popoli non aveva
l'abitudine di perdonare il figliol prodigo. Per lui erano traditori
perfino coloro che, combattendo eroicamente, erano stati catturati
dai tedeschi a causa dei suoi errori. L'unico modo per non tradire,
dunque, era morire sul posto!
Certo non supponevano che a consegnarli alla punizione sarebbero
stati, finita la guerra, gli americani. Era scritto sugli ukaze di
Yalta! A iniziare da Vlasov, ex eroe nelle file bolsceviche della
guerra civile, furono impiccati. Rari fortunati furono giustiziati
più lentamente nei gulag.
Disertare, tradire in guerra è faccenda complessa perché il giudizio
morale, non quello semplice dei tribunali militari, dipende dai
punti di vista. E non solo negli eserciti dei tiranni. Scivola tra
le dita la storia di altri disertori celebri, gli irlandesi del
battaglione di "San Patricio''. Li avevano arruolati nell'esercito
americano che scalava, e in che modo spiccio, nel 1846 il primo
gradino del suo Destino Manifesto. Sarà anche un impero riluttante
come dice qualcuno ma il primo gradino della sua espansione è molto
"imperialista'', una aggressione prepotente di un vicino, di stampo
preputiniano. La frontiera con il Messico all'epoca, si fermava al
Missouri e non sul Rio Grande. Dall'altra parte terre immense,
quelle che oggi sono il nuovo messico, l'Arizona, il Texas:
messicani, comanchi... e coloni americani che bisogna difendere
dalle vessazioni. Una guerra condotta con i buoni vecchi metodi,
massacri terra bruciata terrore. Alcuni irlandesi che in America
erano sbarcati cercando libertà e giustizia (erano una colonia
britannica, un serbatoio di carne da cannone) passarono
nell'esercito messicano al grido gaelico "Erin Go Bragh'' Irlanda
per sempre e la bandiera con l'arpa. Si batterono come leoni, questi
disertori, a Buena Vista e a Churubuscu. Traditori? Per gli yankee
nessun dubbio, e dei più perfidi, tanto che furono annientati. E se
invece… In Messico e in Irlanda sono ancora oggi eroi.
Lady Macduff peccava di incompletezza: Kuzminov per gli ucraini era
un eroe, per i russi e non solo per Putin, un vigliacco furbo che ha
trovato il modo per evitare di fare il suo dovere. L'ambiguità del
tradire è nel fatto stesso che è sempre precauzione opportuna,
passando al nemico, portar con sè qualcosa in dono: un elicottero,
per esempio, informazioni, segreti. Perché anche nell'altra trincea,
dove ti consegni con le mani in alto, ti disprezzano e i comandi
temono l'imitazione.
La prima guerra mondiale fu una guerra di disertori, su tutti i
fronti e sotto tutte le bandiere. In particolare l'emorragia colpì
il composito e multinazionale esercito austro-ungarico. Fedeltà
liquide, opache. Poco prima dei giorni fatali di Caporetto due
ufficiali cechi, stufi di rischiar la vita per prolungare quella
della Prigione dei popoli, si presentarono alle linee italiane.
Portavano come lasciapassare i piani e gli orari dell' attacco
studiato dai nibelungici alemanni in trasferta sul fronte Sud.
Nessuno prestò loro attenzione, il proficuo, per noi, tradimento
finì nelle scartoffie gettate nei fossi durante la ritirata verso il
Piave. Gli schizzinosi strateghi del Comando supremo non volevano
sporcarsi le mani con questa plebaglia di renitenti.
Il traditore in divisa è personaggio irrisolto, condannato a un
girone infernale tra Bene, evitare di essere ammazzato, non essere
complice del massacro, e Male, rinnegare coloro che sono suoi
fratelli di sofferenza. Caracolla senza fine nello spazio, ampio,
che c'è tra i vigliacchi e gli eroi. Gli manca il comodo velo che
avvolge il traditore politico, anche quello armato di pugnale. Bruto
tradisce e uccide ma può diventare eroe gridando: lo faccio
eliminare un tiranno. Forse il pilota russo sarà uno dei primi
martiri della terza rivoluzione, quella che abbatterà Putin. Ma i
suoi compagni in uniforme rimasti a rantolare nella neve di Avdiivka
possono pensare la stessa cosa? —
UNA CLASSE POLITICA CHE DANNEGGIA LA VITA DEI SUOI ELETTORI:
Elena Cattaneo
Staminali, una rivoluzione sofferta la scienza ha aggirato i divieti
ipocriti
Le rivoluzioni, in campo scientifico, a volte non necessitano di
molto spazio. Nel 1998, un articolo di appena 1400 parole del
biologo statunitense James Thomson, pubblicato sulla rivista
"Science", ha rivoluzionato la ricerca nel campo delle scienze della
vita. Nel suo paper, Thomson descriveva come avesse isolato, per la
prima volta, dalla blastocisti umana (primo stadio dell'embrione)
40-50 cellule staminali embrionali contenute al suo interno,
riuscendo a propagarle in laboratorio e ottenerne centinaia di
milioni. Le embrionali sono cellule potenzialmente in grado di
"trasformarsi" (il termine tecnico è "differenziare") in tutti i 250
tipi di cellule che compongono i tessuti dell'organismo e, sempre
potenzialmente, di sostituire o riparare quelle danneggiate da
malattie. La portata rivoluzionaria della scoperta fu subito chiara,
ad esempio, ai neuroscienziati dell'Università di Lund Anders
Björklund e Olle Lindvall, pionieri del trapianto cellulare per il
trattamento della malattia di Parkinson. Per loro la scoperta di
Thomson significò la possibilità di produrre, e quindi avere a
disposizione per i test, cellule staminali embrionali umane da
"istruire" per diventare quegli stessi identici neuroni
dopaminergici persi nel Parkinson.
Anche nel mio laboratorio all'Università Statale di Milano
quell'articolo di Science ebbe un effetto dirompente. Noi studiamo
l'Huntington, altra difficile malattia neurodegenerativa che
comporta la perdita di neuroni del cervello. Nell'esplorare ogni
strategia scientifica e razionale possibile, quella delle staminali
embrionali da cui ottenere i neuroni desiderati ci apparve subito
una strada irrinunciabile. Ma in Italia il lavoro di Thomson scatenò
un acceso confronto su quale fosse lo status biologico dell'embrione
e su cosa dovesse intendersi per "ricerca etica". Quel dibattito
ebbe come esito una legge proibizionista (la n. 40 del 2004) in cui,
tra i tanti divieti "in materia di procreazione medicalmente
assistita", fu introdotto anche quello di ottenere quelle preziose
linee cellulari staminali dalle blastocisti sovrannumerarie
destinate ad un "congelamento distruttivo" . Per i ricercatori che
trasgrediscano, è previsto il carcere.
Un divieto imposto per ragioni ideologiche, con l'ipocrisia però di
permettere, per legge, agli studiosi di importare dall'estero quelle
stesse cellule: "liberi tutti" di fare ricerca con le staminali
derivate dagli embrioni, purché siano altri, oltre confine, a
ottenerle. Il mio laboratorio fu il primo in Italia ad importarle,
dopo aver ottenuto tutti i pareri etici favorevoli. Basterebbe
riflettere sull'ipocrisia di questo paradosso vissuto dai
ricercatori italiani per dare il polso dell'inconsistenza
scientifica e giuridica di quel divieto.
Spesso – si pensi anche alla sperimentazione animale, al
miglioramento genetico delle piante o alla carne coltivata – nel
nostro Paese vengono confusi insieme due piani che, invece,
dovrebbero rimanere ben distinti: il primo è la descrizione della
realtà che ci viene restituita dalla ricerca scientifica, il secondo
è l'enunciazione di convincimenti etici ed ideologici legittimi, su
cui si può concordare o dissentire.
Quel che all'epoca mi colpì, e non cessa di rammaricarmi, fu che,
nel corso del dibattito sui referendum mirati all'abrogazione dei
divieti presenti nella legge 40, alcuni studiosi furono pronti a
giustificare con una patina di scientificità quella decisione
ideologica, definendo inutili a priori le ricerche ipotizzabili su
quelle cellule che avevamo appena cominciato a conoscere. Come se
non cozzasse contro ogni logica scientifica dichiarare inutile ciò
che ancora deve essere studiato, provato, capito.
Sono passati esattamente vent'anni da quando quella legge è stata
promulgata/entrata in vigore e, in contrasto con le affermazioni
insensate di allora, oggi le staminali embrionali umane sono in
sperimentazione clinica per il Parkinson, per il diabete, per la
degenerazione della macula dell'occhio. Studi (irrinunciabili) sul
modello animale di Parkinson, condotti nel 2011 e nel 2014, hanno
dimostrato che quelle cellule, istruite a diventare neuroni
dopaminergici e trapiantate, sono in grado di sopravvivere,
differenziarsi e rilasciare dopamina producendo un marcato recupero
del comportamento nell'animale.
È grazie a queste conoscenze che in Svezia, Usa, Corea del Sud e in
Giappone (usando, in questo caso, neuroni da cellule riprogrammate)
si è arrivati ad avviare quattro sperimentazioni sull'uomo per il
trattamento della malattia. Ne conosceremo gli esiti tra qualche
anno, ma la strada è tracciata. Eppure, in Italia, il divieto di
derivare staminali da embrioni sovrannumerari resiste, mentre la
maggior parte degli altri divieti, dannosi alla salute delle donne,
sono stati cancellati, uno dopo l'altro, dalla Corte costituzionale,
soprattutto grazie all'impegno diretto di tante coppie assistite
dall'Associazione Luca Coscioni.
Non è mia intenzione discutere il convincimento di chi ritiene non
etico l'utilizzo di embrioni sovrannumerari per la ricerca, bensì
ribadire che proibirlo per legge era scientificamente insensato già
due decenni fa, poiché liquidava come inutile ogni possibile studio
in quel campo, ma lo è ancora di più oggi, alla luce della
conoscenza accumulata.
Credo sia compito della comunità scientifica riportare il tema
all'attenzione del legislatore, presentando tutte le evidenze
scientifiche necessarie a spiegare che queste ricerche e il
superamento di quel divieto sono essenziali al perseguimento di
scopi "costituzionalmente rilevanti", come la tutela della salute,
diritto fondamentale dell'individuo e interesse primario della
collettività.
Interesse che oggi si traduce prioritariamente nel fare di tutto per
curare malattie neurodegenerative come Parkinson, Huntington e molte
altre. Difficile immaginare una finalità più urgente, nobile,
preziosa e in accordo con la dignità della persona umana.
La pianura Padana soffoca nello smog basta attaccare l'Ue per le
politiche green
Mario Tozzi
Certo non avevamo bisogno di misurazioni (che qualcuno ritiene
estemporanee) di organismi stranieri per sapere che la pianura
Padana è il luogo non puntuale con il maggiore inquinamento
atmosferico d'Europa: lo avevamo già notato durante la pandemia e lo
sappiamo ogni mese dalle rilevazioni di Arpa Lombardia, ma anche
Veneto e Emilia Romagna. In realtà tutti i dati di tutte le fonti
dipingono lo stesso quadro negativo: i giorni sopra il limite
permessi in un anno sono 35 e già ora siamo attorno ai 20 in molte
località. E la situazione si ripete da anni. Si parla di inquinanti
particolarmente insidiosi e potenzialmente mortiferi, le particelle
sottili o micropolveri (in particolare le PM 2,5) corresponsabili di
migliaia di morti «in eccesso» per malattie respiratorie conseguenti
a inquinamento atmosferico.
È vero che viviamo in un'epoca in cui le condizioni ambientali in
Europa migliorano rispetto al passato e in cui si fanno grandi
sforzi, ma è evidente che non sono sufficienti e questa è una
responsabilità in capo non solo ai decisori politici, ma anche agli
operatori della comunicazione, che regalano troppi spazi a chi
minimizza o nega i problemi ambientali, indicando negli ecologisti
il nuovo nemico. La minaccia alla salute dei sapiens e agli
ecosistemi non viene da chi la mette in luce, ma da chi agisce solo
per il profitto o da chi nasconde la testa sotto la sabbia.
Da cosa dipendono i valori negativi dell'aria padana è presto detto,
sgombrando subito il campo dagli ennesimi mercanti di dubbi:
generazione di energia per attività industriali e produttive,
allevamenti intensivi, traffico veicolare, riscaldamenti domestici
più o meno nell'ordine, sebbene i dati di Greenpeace sostengano che
oltre il 50% sia da assommare ai soli riscaldamenti e allevamenti.
Questo punto necessita di un ragionamento ulteriore: una quantità di
particolato viene emessa direttamente in loco, ma una buona parte è
costituita dal cosiddetto particolato secondario, che si genera in
atmosfera a seguito di reazioni chimiche e fisiche. Dove il tempo è
stabile, come in questo scorcio di inverno in pianura Padana, i gas
si modificano, e anche l'ammoniaca prodotta in agricoltura la
ritroviamo dopo settimane nel particolato sotto forma di nitrati.
Ecco perché gli allevamenti intensivi c'entrano eccome.
Senza dubbio vanno considerate concause naturali coincidenti e
contingenti: polveri desertiche in transito o accidenti particolari,
ma sono fenomeni sempre tenuti nel conto e certo non danno alcuna
possibilità di essere ottimisti. Peraltro una quantità notevole di
polveri sahariane se ne va in giro per l'atmosfera terrestre a
rendere più fertile il Sudamerica, foreste comprese, o a sporcare le
nostre auto quando piove. E poi ci sono le condizioni
geomorfologiche che, in certi contesti meteorologici di alte
pressioni persistenti, impediscono l'evacuazione del carico solido
atmosferico, ma anche questo è noto da tempo, almeno da quando
qualcuno propose addirittura di spianare il passo del Turchino per
liberare la pianura Padana dalla nebbia.
La situazione è critica e la crisi climatica l'aggrava: non è
davvero il caso di prendersela con l'Europa per le nuove direttive
verdi, tra cui una che indica di dimezzare alcuni inquinanti da qui
al 2030, perché quella è senz'altro la strada. Se ci piace essere
ipocriti, e sperare nel caso o in una tecnologia salvifica
sconosciuta al momento, non raccontiamoci almeno che tutto va bene e
che, comunque, non siamo a Pechino o a New Dehli. —
PRIMA DI DECIDERE ASCOLTARE TUTTI: In carcere da otto anni,
condannato in via definitiva all'ergastolo, Rocco Schirripa,
affiliato alla ‘ndrangheta calabrese paga la partecipazione al
delitto del procuratore capo Bruno Caccia ucciso da un commando
delle cosche calabresi la sera del 26 giugno 1983 mentre passeggiava
sotto casa in via Sommacampagna. Non si sa con quale ruolo, perché
il dato non è emerso nei tre gradi di giudizio che si sono fin qui
celebrati. Certamente – per i giudici - ha dato un contributo
decisivo all'esecuzione dell'unico magistrato ucciso dalle ‘ndrine
nella loro centenaria storia di sangue e crimini al netto
dell'assassinio del giudice Antonino Scopelliti avvenuto in
Calabria.
Ha scritto dal carcere due lettere. Una a La Stampa e una alla
famiglia del procuratore, cioè ai figli e alle figlie. Nega addebiti
su quell'omicidio, ma chiede di incontrare le persone a cui –
sentenze alla mano – ha tolto (insieme al boss Domenico Belfiore e
ad altri, troppi, ignoti) un affetto insostituibile con un omicidio
efferato.
«Aspiro – scrive Schirripa – ad avere un confronto con uno di voi -.
Finora me lo avete sempre negato e d'altronde non mi sento di darvi
torto. Voi, giustamente fate fede alla condanna. Lo so che le
sentenze vanno rispettate e io sono il primo a farlo. Ma non posso
rispettare una sentenza costruita a tavolino: la verità – scrive
Schirripa, nella vita panettiere ma anche affiliato di rango al
locale (struttura di base delle ‘ndrine) di Moncalieri – non è
quella che vi hanno fatto credere». La famiglia del procuratore
interpellata da La Stampa risponde con un freddo "no comment".
Schirripa non ammette responsabilità consapevoli sul delitto. E
forse sta in questo il comprensibile e legittimo diniego dei figli
del procuratore che da anni si battono per ottenere verità piena su
quanto accaduto. Una richiesta rimasta largamente inevasa. Ai
magistrati di Milano – a cui ha chiesto di parlare ormai un anno e
mezzo fa – Schirripa ha spiegato di aver fornito un'automobile a
Vincenzo Pavia, criminale pentito, cognato della famiglia Belfiore
(mandanti dell'omicidio Caccia), ma senza sapere a cosa servisse. E
oggi dice: «Spero, un giorno di avere la possibilità della revisione
del processo perché Pavia – continua – ha preso in giro tutti quanti
ma sono convinto che in punto di morte sia stato sopraffatto da uno
scrupolo di coscienza sapendomi innocente. Ha fatto qualche
dichiarazione a qualcuno, ma poi è sparita». Schirripa potrebbe
riferirsi a frasi che Pavia avrebbe riferito poco prima di morire a
Pancrazio Chiruzzi, meglio conosciuto come "il solista del
kalashnikov" sentito dai legali di Schirripa in indagini difensive
depositate alla procura generale di Milano. Sia come sia, va
rimarcato come Schirripa non abbia mai confessato alcunché di fronte
a acquisizione investigative della squadra Mobile di Torino che
hanno retto a tre gradi di giudizio senza esitazioni dei magistrati
giudicanti. Un risiko di prove di fronte alle quali adesso chiama in
causa il suo principale accusatore, Vincenzo Pavia. Che però non può
rispondere perché morto a marzo 2019.
21.02.24
Trovato morto in Spagna il pilota Kuzminov nel 2023 dirottò un
elicottero militare russo
ll pilota russo Maxim Kuzminov, che dirottò un elicottero militare
russo Mi-8 per le forze armate ucraine nell'agosto 2023, è stato
trovato morto in Spagna con diverse ferite da arma da fuoco. Lo
riferiscono vari media online tra cui Nexta e l'agenzia Tass.
Lo "squadrone della morte" dei servizi segreti aveva già usato quel
veleno
JACOPO IACOBONI
Gli stessi che l'hanno molto probabilmente avvelenato, adesso
faranno le analisi chimiche per poi comunicare al mondo di cosa è
morto. Sentite chi, e per quale lunga serie di indizi.
Il corpo di Alexey Navalny non sarà consegnato alla madre e ai
familiari prima di (almeno) 14 giorni. Lo spiega uno degli associati
del team Navalny, Ivan Zhdanov, che ha parlato con gli
"investigatori" del regime russo. «Faranno qualche specie di "esame
chimico" per 14 giorni (!)», chiosa sarcastica Kyra Yarmish, la
portavoce del Team. Se passano quattro, massimo cinque giorni dalla
morte, le tracce di Novichok vengono cancellate. E Yulia Navalnaya
nel suo commovente discorso l'ha detto anche, molto chiaramente:
«Era impossibile spezzare mio marito. Ecco perché Putin lo ha
ucciso. Con vigliaccheria e vergognosamente, senza mai pronunciare
il suo nome. Nascondono il suo corpo... Finché non scompariranno le
tracce dell'ultimo Novichok di Putin». Io so chi sono, noi sappiamo
chi sono - ha gridato questa donna che nonostante tutto non è stata
spezzata - e diremo tutti i nomi, uno a uno.
Il primo a far capire che i sospetti di un nuovo avvelenamento su
Navalny erano fortissimi – per tutta una serie di indizi e
incongruenze che La Stampa ha riportato e ricostruito nei giorni
scorsi – è stato Alexander Polupan, un medico-rianimatore che
conosce meglio di tutti la storia del primo avvelenamento di Navalny,
quello avvenuto nell'agosto 2020 in Siberia. Dopo che Navalny fu
avvelenato, a Polupan fu permesso di vedere il dissidente in un
ospedale di Omsk. Fu lui – oltre che la moglie Yulia Navalnaya – a
insistere e a battersi per un trasferimento immediato all'estero, e
Polupan fece parte della commissione che decise di trasportare
Aleksey in Germania. Yulia Navalnaya cercò molto attivamente di
convincere medici e funzionari dei servizi a consegnarle suo marito
per farlo curare in Germania. Si rivolse persino pubblicamente a
Putin – cosa che le deve essere costata moltissimo, considerando lo
schifo che prova per quest'uomo. Intervenne Angela Merkel, molto
colpita anche da Yulia. Dopo di che Navalny poté essere portato a
Berlino, per essere curato e salvato.
Polupan ha cominciato a pensare subito a un nuovo avvelenamento. Ora
Yulia l'ha detto: Aleksey è stato di nuovo avvelenato. Di nuovo con
il Novichok. «Sappiamo tutto, anche i nomi, e li faremo presto, uno
a uno», ha detto mentre annunciava che si accinge a prendere il
testimone di Navalny. Chi sono questi nomi? È possibile provare a
ipotizzare la pista più seguita, in questo momento?
I principali collettivi investigativi indipendenti russi stanno
puntando direttamente, con poche esitazioni, verso l'Fsb, i servizi
interni di Putin, i successori infami del Kgb. E in particolare
verso uno dei suoi "squadroni della morte". Mediazona, attraverso le
telecamere stradali, ha rintracciato un convoglio (un camion dei
servizi carcerari, auto della polizia, e una berlina non meglio
identificata – presumibilmente con uomini dei servizi) che si muove
tra la sede della prigione "Lupo Polare" e la città più vicina,
Salekhard, la notte successiva alla morte di Navalny. Sette ore
prima circa dell'arrivo della povera madre di Navalny al carcere,
stavano nascondendo le tracce dei loro orrori. Per darlo a chi, quel
corpo?
Christo Grozev di Bellingcat ricorda che «la volta precedente che l'Fsb
ha rapito il corpo in coma di Navalny, poi ha passato due giorni a
"ripulire il corpo" e i suoi vestiti dalle tracce di Novichok, prima
di (pensare) di poterlo consegnare in tutta sicurezza».
Ora siamo precisamente in questa fase: stanno manipolando il povero
corpo morto, per nascondere le tracce. Nel frattempo il provider
delle telecamere a circuito chiuso di tutta Salekhard, la città di
50mila persone dove il corpo di Navalny è stato portato nella notte
dell'assassinio, ha chiuso l'accesso a tutte le immagini e alle
telecamere. Qualcosa che evidentemente può avvenire solo su
richiesta dei servizi segreti federali, l'Fsb.
Secondo fonti bene informate su questo dossier, c'è un solo un ente
governativo russo che può gestire la pratica terribile degli "esami"
post mortem (per occultare le prove) in un caso dell'importanza di
Navalny: è l'Istituto di Forensica Criminale dell'Fsb, che già fu
dietro il tentativo del 2020 di avvelenare Navalny, ed ebbe
l'incarico di «ripetere la perizia» anche sul corpo di Boris Nemtsov.
Ci sono tre figure apicali, che gestiscono il programma di ricerca e
avvelenamenti dell'Fsb. Il più basso è il colonnello Stanislav
Makshakov, che è in contatto con gli "squadroni della morte" Fsb sul
campo. Makshakov riferisce al generale Kirill Vasilyev, direttore
dell'Istituto di Criminalistica dell'Fsb. Vasilyev a sua volta è
subordinato al generale Vladimir Bogdanov, ex capo dell'Istituto di
Criminalistica e poi a capo della sua entità madre, il "Centro
tecnologico speciale" dell'Fsb. Le analisi sul corpo, fatte fare
agli stessi specialisti in assassinio. Un capolavoro del gulag
"Il tuo libro mi dà speranza"
3 aprile 2023
Carissimo Natan,
Sono Alexey Navalny. Saluti dall'Oblast di Vladimir, anche se non
sono sicuro che tu ne abbia un caro ricordo.
Mi trovo nella colonia penale IK-6 "Melekhovo", ma dalla prigione di
Vladimir mi hanno scritto dicendo che mi è stata preparata una
cella. Probabilmente, quindi, andrò nella stessa struttura in cui
sei stato tu, soltanto che adesso, forse, ci sarà una targa sulla
quale è scritto «Qui è stato rinchiuso Natan Sharansky». Ti prego di
scusare l'intrusione e la lettera di uno sconosciuto, ma credo che
sia consentito nel rapporto autore-lettore.
Scrivo nelle vesti di lettore. Ho appena finito di leggere il tuo
libro Fear no evil mentre ero trattenuto in Pkt (cella di
isolamento, ndr) e ti sto scrivendo da Shizo2, 128 giorni in tutto.
(Shizo è la massima forma di punizione per i carcerati russi: chiusi
in cella di isolamento, hanno accesso limitato all'acqua calda,
possono scrivere lettere 35 minuti al giorno, tenere un unico libro,
non possono ricevere telefonate o visite, ndr). Sono scoppiato a
ridere quando ho letto il brano in cui racconti di essere stato
punito «con una serie di 15 giorni di reclusione a Shizo e poi,
avendo infranto le regole del carcere, sono stato mandato in Pkt per
sei mesi». Mi ha divertito constatare che il sistema non è cambiato,
e nemmeno il modo in cui agisce.
Voglio ringraziarti per questo libro perché mi ha aiutato molto e
continua ad aiutarmi. Sì, adesso sono a Shizo, ma leggendo dei 400
giorni che tu hai trascorso in «cella di punizione», con razioni
ridotte di cibo, si comprende che alcune persone pagano un prezzo
molto più alto per le loro convinzioni. Guardo le cartoline che ti
hanno spedito da Avital3, con tutte le parole illeggibili, ricoperte
da righe nere. In tribunale hanno cercato di convincermi che
bruciare le lettere che mi sono state spedite è legale. Dopotutto,
in esse c'era qualcosa in "codice".
Capisco di non essere il primo, ma vorrei davvero diventare
l'ultimo, o quanto meno uno degli ultimi, a dover sopportare tutto
questo.
Il tuo libro infonde speranza perché la similitudine tra i due
sistemi – l'Unione Sovietica e la Russia di Putin, la loro
somiglianza ideologica, l'ipocrisia che funge da premessa stessa per
la loro esistenza, e la continuità dalla prima alla seconda –
garantiscono un crollo ugualmente inevitabile. Come quello a cui
abbiamo assistito.
La cosa più importante è arrivare alle conclusioni giuste, così che
questo stato di menzogne e ipocrisia non inizi un nuovo circolo.
Nella prefazione all'edizione del 1991 hai scritto che i dissidenti
in prigione hanno mantenuto in vita il «virus della libertà», ed è
importante impedire che il Kgb inventi un vaccino contro di esso.
Ahimè, l'hanno inventato. Vista la situazione attuale, però, la
colpa non va addossata a loro, ma a noi, che ingenuamente abbiamo
pensato che non si potesse tornare al passato e anche che non
importa se, a fin di bene, ci sono dei brogli elettorali qua e là, o
se si influenzano un po' i tribunali qua e là, e se si imbavaglia un
po' la stampa qua e là.
Queste piccolezze e la convinzione che è possibile rendere moderno
l'autoritarismo sono gli ingredienti di questo vaccino.
Nondimeno, il «virus della libertà» è ben lontano dall'essere
estirpato. Oggi, malgrado le minacce, le persone che non hanno paura
a esprimersi a favore della libertà e contro la guerra non sono più
decine né centinaia, come prima, ma decine e centinaia di migliaia.
Centinaia di loro sono in prigione, ma io confido che non si lascino
abbattere e non si arrendano mai.
Molti di loro hanno attinto forza e ispirazione dalla tua storia e
dal tuo lascito.
Io sono uno di loro e ti ringrazio.
Ho copiato dal libro: «L'anno prossimo a Gerusalemme».
Tuo Alexey
****
"Mi sono commosso"
11 aprile 2023
Caro Natan,
Ti spedisco queste poche righe per ringraziarti moltissimo della tua
risposta. Mi sono commosso e ho dovuto nascondere le lacrime ai miei
compagni di cella. Questa è la seconda volta che mi commuovi!
Nell'ultima pagina di Fear No Evil, dove hai scritto «scusa il
ritardo», naturalmente mi è stato impossibile non iniziare a
piangere. (Si riferisce a quando Sharansky si è riunito con la
moglie Avital, dopo nove anni di carcere, ndr).
Nella tua «alma mater', tutto è come era. Si onorano le tradizioni.
Venerdì sera mi hanno fatto uscire da Shizo. Oggi, lunedì, mi hanno
dato altri 15 giorni. Tutto va secondo l'Ecclesiaste: ciò che era
sarà.
Io, però, continuerò a credere che noi cambieremo in meglio le cose
e che un giorno in Russia ci sarà quel che non c'era. E la Russia
non sarà quello che è stata.
Dopotutto, in quale altro luogo è meglio trascorrere la Settimana
Santa, se non a Shizo?
Un grande ringraziamento,
Ti abbraccio,
A. —
Traduzione di Anna Bissanti
ERRORE GRAVE DI HAMASS:
Kfir Bibas, appena un anno, sempre che sia ancora vivo, è l'ostaggio
più giovane del mondo. Rapito il 7 ottobre del 2023 con il
fratellino Ariel di 4 anni e con la madre Shiri, che li teneva
entrambi stretti fra le braccia, è stato portato da Nir Oz a Khan
Yunis. L'ha potuto stabilire l'esercito in base ai filmati delle
telecamere di sicurezza recuperati dalle forze di Tsahal sul campo.
Il padre Yarden, invece, è stato catturato separatamente. Era uscito
di casa per affrontare i terroristi, per proteggere la famiglia. Ma
è finito anche lui ostaggio a Gaza. Ed è l'unico dei Bibas di cui
Hamas abbia diffuso un video, lo scorso primo dicembre, per fargli
esprimere preoccupazione per la sua famiglia. Ora quella
preoccupazione, inizialmente respinta da Israele come terrorismo
psicologico inflitto da Hamas alle famiglie e all'opinione pubblica,
è apertamente e pubblicamente condivisa dal portavoce militare
Daniel Hagari. Che promette: «Stiamo facendo ogni sforzo per
ottenere maggiori informazioni sul loro destino».
«In una parola: barbarie», ha postato il presidente israeliano Isaac
Herzog sulla piattaforma X dopo la diffusione dei filmati delle
telecamere di sorveglianza. "Questi video ci strappano il cuore. Il
rapimento di bambini è un crimine contro l'umanità e un crimine di
guerra», ha commentato la famiglia Bibas. Per il premier Benjamin
Netanayhu le nuove prove «strazianti» sono un memento e suggellano
la promessa «salderemo i conti».
Nelle immagini si vedono Shiri e i bambini, circondati da sette
uomini armati, raggiungerne altri otto che li attendono in un'area
di prefabbricati di lamiera in mezzo a strade sterrate. Poi i tre
ostaggi vengono avvolti e nascosti sotto un grande lenzuolo.
Un'altra telecamera li inquadra mentre i rapitori li fanno salire a
bordo di un furgoncino. Hagari, mostrando le prove del rapimento, ha
detto che il mezzo li ha portati nella parte orientale di Khan Yunis,
dove sono stati affidati ai membri di «un'organizzazione
terroristica conosciuta come Khatib Al-Mujahidin», cioè Battaglione
dei Santi Guerrieri. Nata del 2001 da una scissione con Fatah
all'inizio della Seconda Intifada, la fazione che ha rapito i Bibas
ha finito per diventare una subalterna di Hamas. A fine novembre,
hanno ricordato i media israeliani, le Brigate Al-Mujahideen
dichiararono che i fratellini dai capelli rossi e la loro madre
«erano in nostro possesso quando sono stati trovati morti»,
aggiungendo che anche i loro guardiani erano stati uccisi.
Dichiarazioni mai confermate dall'esercito ma la «preoccupazione»
espressa ieri da Hagari è stata accolta come un ulteriore funereo
segnale in una situazione di stagnazione dell'accordo tra Israele e
Hamas per la liberazione degli ostaggi e la cessazione delle
ostilità armate. Così ci riprova, l'esercito, a fare leva sui
residenti di Gaza stremati dalla guerra. Negli ultimi giorni sono
stati distribuiti nella Striscia nuovi messaggi di invito per la
popolazione a scambiare informazioni sugli israeliani sequestrati da
Hamas e dagli altri gruppi armati con una ricompensa in denaro.
Netanyahu continua a mostrarsi sempre più irremovibile verso le
richieste sempre più smisurate da parte di Hamas. E ha esortato i
presidenti delle principali organizzazioni ebraiche americane
riuniti a Gerusalemme a fare pressione sul Qatar, che più di tutti
può esercitare la sua influenza sulla fazione islamica. Ma l'emirato
della famiglia Al Thani ha rispedito la dichiarazione al mittente,
accusando Netanyahu di sabotare le trattative e voler «prolungare la
guerra per ragioni che ormai sono note a tutti».
Perfino il "ministro rivale" del premier Benny Gantz - dato dai
sondaggi come leader di governo in pectore in caso di elezioni -
ormai sostiene che una delegazione tornerà al Cairo per negoziare
solo "quando le condizioni saranno mature". In assenza di un accordo
o della liberazione da parte di Hamas di tutti gli ostaggi
israeliani entro l'inizio del Ramadan (il 10 marzo), il ministro del
gabinetto di guerra minaccia l'ampliamento delle operazioni militari
a Rafah. Ma Tsahal ha detto ai media che qualsiasi preparazione per
un'operazione di terra nella città valico al confine con l'Egitto
potrebbe richiedere ancora «diverse settimane a causa della
necessità di evacuare la popolazione civile». La sensazione
dell'analista militare e politico di Haaretz, Amos Harel, è che
«nonostante le chiacchiere, né Netanyahu né l'esercito israeliano
sono desiderosi di operare a Rafah»
URSULA GESTISCE IL POTERE FACENDO SPARIRE GLI SMS :Il Green
Deal come marchio di fabbrica del suo primo mandato è ormai soltanto
un ricordo. Per il suo bis alla guida della Commissione, Ursula von
der Leyen ha deciso di cambiare la scaletta delle sue priorità: al
primo posto c'è la Difesa, in particolare il sostegno all'industria
militare europea, al secondo c'è la necessità di supportare la
competitività delle imprese europee. Un programma obbligato visto
che questa volta la sua candidatura non potrà essere "calata
dall'alto" come cinque anni fa, estratta dal cilindro di Emmanuel
Macron durante le trattative post-elettorali tra i leader. Questa
volta von der Leyen dovrà passare per una campagna elettorale sotto
l'insegna del Partito popolare europeo e in particolare del suo
partito, la tedesca Cdu. L'esito del percorso iniziato ieri, con
l'ufficializzazione della candidatura come Spitzenkandidaten, è
dunque tutt'altro che scontato perché per arrivare fino in fondo
bisogna superare diverse tappe e dietro ognuna di esse si nascondono
insidie. Su una cosa, però, è stata netta: nessuna collaborazione
con i partiti dell'estrema destra.
L'arrivo sul palco della Konrad Adenauer Haus - sede federale della
Cdu a Berlino - è stato accompagnato dagli applausi. Ma il calore è
un'altra cosa. Sono applausi di circostanza quelli che gli tributa
il suo partito. I cristiano-democratici tedeschi di Friedrich Merz
hanno scelto di incoronare «all'unanimità» una personalità che non
amano, ma che non ha rivali nel suo ruolo all'interno del partito
tedesco. Von der Leyen può vantare buone relazioni internazionali e
soprattutto - ci tiene a ricordare pubblicamente Merz - ha ottimi
rapporti con il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. Un
asso da giocare di non poco rilievo in questo momento perché «la
sicurezza sarà la cosa più importante in questi prossimi anni,
insieme all'economia», dice il numero uno della Cdu, il partito che
conta nel Ppe il gruppo più numeroso di delegati.
Il mandato politico che arriva da Berlino è che «la futura
Commissione deve fare in modo che l'Europa resti competitiva al
livello mondiale», dichiara Merz. In modo che l'industria tedesca
non perda (ancora) quote di mercato - è il sottotesto. In passato
dalle file della Cdu e in particolare della Csu (l'omologo partito
bavarese) sono arrivate critiche più o meno velate al Green Deal di
Bruxelles. Perfino ieri un esponente della Csu ha rilasciato una
dichiarazione dove ricordava che «von der Leyen ha riconosciuto
troppo tardi che non si protegge l'ambiente con la burocrazia». Per
questo il programma presentato ieri a Berlino è studiato per suonare
come musica alle orecchie del partito che ha scelto di sostenerla.
Il discorso di von der Leyen ruota intorno a tre pilastri: il primo
è «migliorare la capacità difensiva dell'Europa ampliando
l'industria della difesa», con la nomina di un commissario ad hoc.
In secondo luogo si punta ad abbattere la burocrazia, e in
particolare «ridurre la gli obblighi di rendicontazione di un 25%».
Infine cambia l'asse prospettico sul Green Deal: restano gli
obiettivi ambientali, ma andranno portati avanti «insieme con
l'industria».
La strada per il bis alla Commissione, però, è soltanto all'inizio.
Il 6 marzo von der Leyen sarà incoronata ufficialmente come
candidato di punta del Ppe al congresso di Bucarest, anche se in
realtà lei ha deciso di non correre per un seggio al Parlamento
europeo. Sulle liste, quindi, il suo nome non ci sarà. Con ogni
probabilità il Ppe sarà ancora il primo partito, ma la sua
riconferma non sarà automatica: dopo il voto, servirà il via libera
(a maggioranza qualificata) del Consiglio europeo e successivamente
il voto dell'Europarlamento. Cinque anni fa fu eletta con nove voti
di margine e quest'anno il suo riallineamento sulle posizioni del
Ppe potrebbe farle perdere qualche sostegno nel campo socialista,
anche perché si voterà a scrutinio segreto.
Von der Leyen ha provato a tracciare una linea netta alla sua
destra, assicurando che non intende collaborare con «gli amici di
Putin», citando «Afd, Marine Le Pen, Wilders e altre forze
estremiste». Si tratta degli alleati della Lega, che infatti ha
subito sparato a zero contro il bis della tedesca. La premier
Meloni, invece, si era detta disponibile a sostenerla. Si tratta di
un nodo politico che a un certo punto verrà al pettine.
20.02.24
Società fiduciarie e paradisi fiscali. Il sistema John Elkann
funzionerebbe così e probabilmente questo sarebbe un retaggio di
famiglia. Dal decreto di perquisizione che gli è stato recapitato la
settimana scorsa (l’accusa è di frode fiscale) si apprende che nel
luglio scorso il Nucleo di polizia economico-finanziaria di Torino
ha effettuato un’ispezione antiriciclaggio presso la P fiduciaria,
che sarebbe uno degli schermi che garantirebbe la dovuta
riservatezza (tanto apprezzata nel Piemonte sabaudo) sulla reale
consistenza del patrimonio di Jaki e, in particolare, dell’eredità
di Gianni Agnelli e Marella Caracciolo, al centro di un aspro
contenzioso giudiziario.
In quella visita i finanzieri rintracciarono un mandato fiduciario
intestato al presidente di Stellantis e scoprirono così il
collegamento tra John e la società anonima Blue dragons di Eschen
nel Liechtenstein, allo stesso indirizzo del Tremaco trust, «il
trust della famiglia Agnelli-Elkann».
Grazie all’esposto presentato da mamma Margherita contro i suoi tre
figli, John, Lapo e Ginevra, presunti usurpatori di eredità, e a
questa ispezione, la Guardia di finanza ha verificato quanto sia
complessa la rete di controllo del patrimonio degli eredi di Gianni
Agnelli.
Per esempio Jaki risulta titolare solo delle quote della holding Iig
Spa in liquidazione. Tutto resto non compare a un primo controllo
nelle banche dati. Dopo la visita di luglio, l’accertamento si
sarebbe chiuso a metà dicembre «con rilievi».
Adesso la palla è passata alla Banca d’Italia dove è stato trasmesso
l’incartamento con il risultato delle verifiche, in vista di
eventuali provvedimenti da prendere e sanzioni da infliggere da
parte di Palazzo Koch. Nelle indagini sono entrate anche altre
società, come la Simon fiduciaria, perquisita al pari della P
fiduciaria e della Sogefi.
La Simon fiduciaria risulta controllata dalla banca privata Ersel,
ma i finanzieri sono andati a scartabellare negli archivi con la
convinzione che la società rappresenti gli interessi di John. La
Simon detiene l’intestazione fiduciaria del pacchetto di maggioranza
relativa (valore 10 milioni di euro su 30,5 di capitale) della
Merope property company Roma, ditta di sviluppo di progetti
immobiliari senza costruzione.
La stessa fetta di quote è in mano all’imprenditore Marco Caleffi.
Amministratore è il manager Pietro Croce, rampollo genovese, figlio
di Carlo, già presidente della Federazione internazionale della vela
e dello Yacht club italiano, ovvero lo storico circolo degli
Agnelli.
La gemella Merope property company srl, che secondo i risk manager
avrebbe tra i suoi titolari effettivi Jaki, ha un capitale di 36,68
milioni. Lo schema è quasi lo stesso: la Simon controlla una
partecipazione del valore di 10,3 milioni, così come Caleffi e
l’amministratore è Croce.
La prima delle due Merope detiene circa il 35 per cento dell’Elettra
(capitale sociale di 350.228 euro), costituita nel febbraio 2021,
altra società di sviluppo di progetti immobiliari senza costruzione.
Secondo gli 007 dell’antiriciclaggio è riconducibile «a una
compagine societaria di elevato standing», dal momento che tra i
titolari effettivi figurerebbero Jaki, Caleffi e Vitaliano Borromeo
Arese. Amministratore? Ancora una volta Croce.
Nel settembre 2021 sulla totalità delle quote della Elettra è stato
posto un pegno a favore del Banco Bpm e di Intesa San Paolo a
garanzia di un finanziamento a medio lungo termine di quasi 100
milioni di euro. A fine 2022 la società risultava proprietaria di
diversi immobili a Roma, situati nelle vicinanze di villa Borghese e
dell’ambasciata statunitense.
La società è stata oggetto di un’altra segnalazione per un bel
gruzzolo arrivato proprio dall’onnipresente Liechtenstein. Infatti
il 18 giugno 2021 sul conto della Elettra è arrivato un bonifico da
10 milioni di euro inviato a titolo di versamento in conto aumento
capitale da tale Valery Gulev.
[…] la somma proveniva da Vaduz, capitale del Liechtenstein e più
precisamente da un conto della Banque Havilland Ag, un istituto di
credito privato specializzato nella gestione di grandi patrimoni.
Ricordiamo che a Vaduz veniva accreditato anche il vitalizio
destinato a Marella Caracciolo, ma in un’altra banca. Per tale
rendita è stata aperta l’inchiesta della Procura di Torino. Si
tratta di due storie diverse che, però, confermano l’importanza del
principato incastonato in mezzo alle Alpi per i ricconi che vanno
alla ricerca di discrezione.
Gulev è un personaggio molto interessante. Nato il 7 febbraio a
Belgorod, città della Russia occidentale, laureato in
giurisprudenza, negli anni ‘90 è stato vicedirettore della società
Chernomornaftogaz (azienda statale di prodizione di gas e petrolio).
Nel 2011 è stato nominato direttore generale di Gazprom Ep
international. Ma a partire dal 2015 i suoi rapporti con Vladimir
Putin e il suo cerchio magico si sarebbero raffreddati (per usare un
eufemismo) e il manager ha preso la residenza a Cipro usufruendo del
golden Visa program. Non risulta sia stato colpito da sanzioni dopo
l’inizio della guerra in Ucraina, né avrebbe legami particolari con
l’attuale establishment.
Da tempo ha spostato i suoi interessi a Genova, dove ha acquistato
diversi prestigiosi immobili. Il link con il capoluogo ligure,
stando al sito Gente d’Italia, è stato nel 2014 la sponsorizzazione
che Gazprom fece a favore della Federazione internazionale della
vela, allora presieduta, come detto, da Croce senior, padre di
Pietro, socio d’affari di Jaki.
Il calvario
di
Navalny
JACOPO IACOBONI
Il corpo di Navalny presentava lividi che «suggeriscono che sia
stato trattenuto giù durante forti convulsioni e poi sottoposto a
compressioni toraciche». Lo sostengono con Novaya Gazeta diversi
testimoni locali di Salekhard, la piccola città vicino alla colonia
penale Ik-3, il terrificante "Lupo polare", dove era rinchiuso il
dissidente più temuto da Putin. Tra loro anche una fonte nel
servizio ambulanze. Salekhard è una città così piccola che tutti
hanno un parente, un amico, o almeno conoscono qualcuno che lavora
nella colonia penale, e dove ovviamente non si parla d'altro. Quel
tipo di lividi si attaglierebbe benissimo a convulsioni dovute a un
agente della classe novichok, a cui se ne aggiunge uno in
particolare, compatibile con un massaggio cardiaco praticatogli nel
tentativo di rianimarlo.
Bisogna usare il condizionale, naturalmente, perché il corpo di
Navalny non c'è, e non ci sarà a breve. Perché aspettare ancora - e
probabilmente la famiglia dovrà aspettare ancora non pochi giorni -
per riconsegnare quel cadavere a chi gli ha voluto bene? Segni di
eventuali torture, o pressioni, o compressioni fisiche, non
sparirebbero, quello che invece degrada e sparisce - di solito dal
quarto quinto giorno in poi - sono le tracce di un veleno derivato
dal novichok, nell'ipotesi che Navalny sia stato avvelenato una
seconda volta. Questa volta fino ad ammazzarlo.
L'ipotesi non è accademica, ma ogni giorno si aggiungono tasselli
coerenti con questa possibilità. Sabato, le parole del medico
Alexander Polupan, che rianimò Navalny dopo l'avvelenamento in
Siberia nell'agosto del 2020, riportate da La Stampa. Ieri hanno
cominciato a parlare diverse fonti a Salekhard, la città vicino alla
colonia penale dov'era rinchiuso Navalny. Secondo loro, il corpo non
è stato portato all'obitorio standard per i prigionieri morti nel
"Lupo polare". I coroner locali hanno rifiutato di eseguire
l'autopsia, cosa che può avere due spiegazioni: o Mosca ha ordinato
di aspettare, o loro temevamo quello che avrebbero trovato, e che
sarebbero stati puniti per aver rivelato la vera causa della morte.
Molto meglio non sapere. Fino a che sarà possibile (fino a che le
tracce di un veleno possano scomparire?). Due voli non programmati
sono atterrati a Salekhard, probabilmente con a bordo otto
funzionari dei servizi segreti e del Servizio penitenziario che si
sarebbero occupati dell'esame. Ossia dell'occultamento delle prove.
Spesso in Russia chi assassina e chi fa gli esami sono la mano
destra e la mano sinistra.
Come riferito da La Stampa domenica, la sera prima del giorno in cui
ufficialmente Navalny è morto, c'è stato grande trambusto alla
colonia penale, come se qualcosa stesse accadendo. Erano già
arrivate almeno tre macchine. Il Times scrive che funzionari del Fsb
sono stati in visita al "Lupo polare" due giorni prima della morte
ufficiale, e hanno «proceduto a scollegare e smantellare alcune
telecamere di sicurezza e dispositivi di ascolto».
Dopo l'avvelenamento di Navalny il 20 agosto 2020, lo specialista di
terapia intensiva Mikhail Fremderman spiegò quali sono i sintomi del
novichok: «Tali sostanze aumentano il contenuto corporeo di
acetilcolina, uno dei principali mediatori del corpo. A sua volta,
inizia ad avere un forte effetto sui muscoli, sulla respirazione,
sul tono muscolare, sulla pressione sanguigna e sulla funzione
cardiaca. La regolazione degli organi interni e del sistema
neuromuscolare è disturbata. Una persona perde conoscenza, può avere
convulsioni, sviluppa rapidamente il coma. Alcuni tipi possono anche
essere applicati sulla pelle, e una persona viene avvelenata
gravemente». Convulsioni, trattenimento, lividi.
Possibili capri espiatori sono al momento due. Uno è il responsabile
medico della colonia, Alexei Lysyuk. Il medico 39enne che già è
stato più volte oggetto di attenzione da parte delle forze
dell'ordine. Secondo ex detenuti del "Lupo polare", nel centro
medico diretto da Lysyuk c'erano solo analgesici, e lui per usare un
eufemismo, «non brillava per talento medico», sostiene il canale
telegram Cheka-Ogpu. Il secondo capro espiatorio ha un profilo più
interessante: si chiama Vadim Kalinin, è lui a capo dell'IK-3 dal
2021, già condannato per abuso di potere. Il reato però fu
amnistiato. Suo figlio, Danil Kalinin, si vanta di essere un
ufficiale del Fso, il servizio di sicurezza presidenziale del
Cremlino.
Ieri Bild ha scritto che prima della morte di Navalny si era
ipotizzato che Mosca potesse puntare - con la Germania e gli Stati
Uniti - a scambiare Navalny con Vadim Krasikov (un membro dei
servizi russi autore dell'assassinio di un ribelle ceceno georgiano
a Berlino). Ma la cosa appare improbabile: Putin nella recentissima
intervista con Tucker Carlson aveva menzionato Krasikov in risposta
a una domanda sulla possibile liberazione di Evan Gershkovich, del
Wall Street Journal, e appariva frustrato dal non riuscire a
riaverlo. Quello che è certo è che Navalny temeva di essere
sottoposto a un lento avvelenamento. Una morte in slow motion. A un
certo punto aveva cominciato a dire ai suoi associati che gli
venivano fatte delle iniezioni, ma gli veniva impedito di scoprire
cosa c'era nelle siringhe. Il suo team temeva che fosse di nuovo
avvelenato. —
Depongono fiori per Alexey, la Digos li identifica tutti
È stata identificata dalla Digos una dozzina di persone riunite ieri
a Milano per onorare con i fiori la memoria di Alexey Navalny, sotto
la targa in ricordo di Anna Politkovskaya, in corso Como. A
denunciare l'episodio sui social il senatore Pd Filippo Sensi che ha
annunciato una «interrogazione parlamentare a Piantedosi, per
chiedere conto di che Paese siamo». Secondo quanto ricostruito dalla
Questura, si sarebbe trattato di un equivoco: una pattuglia di
passaggio e destinata ad altro servizio che non era a conoscenza
dell'iniziativa si sarebbe fermata a chiedere i documenti ai
presenti. «È una cosa assurda che non ci era mai successa», sostiene
Marina Davydova dell'associazione Annaviva. «Eravamo in pochi, tutti
in silenzio a posare dei fiori»
Il debito pubblico italiano è cresciuto di 105,3
miliardi di euro nel 2023. Fino a toccare quota 2.862,8 miliardi, il
massimo storico. La fotografia immortalata dalla Banca d'Italia
mette in evidenza quanto il fabbisogno del Paese abbia influito su
tale risultato. Circa 89 miliardi sono a carico di una maggiore
richiesta degli enti centrali. Nell'anno in cui si sono trasmessi in
pieno i rialzi dei tassi d'interesse della Banca centrale europea
(Bce), l'Italia ha registrato un marcato incremento, in valori
assoluti, dell'indebitamento.
ITALIA - GLI INTERESSI PASSIVI SUL DEBITO PUBBLICO
A fine 2021 era a quota 2.678 miliardi di euro,
l'anno dopo si è sfondata la soglia dei 2.700 per 57 miliardi.
Nell'anno appena chiuso l'ulteriore salita, sempre più a ridosso dei
3.000 miliardi. L'incremento di oltre 100 miliardi rappresenta un
rischio, e un costo, per il Paese. Primo, perché appesantisce i
conti pubblici nazionali riducendo i margini operativi del governo.
Secondo, perché complica la gestione del debito nei confronti degli
investitori istituzionali e delle controparti europee. […] in mano
ai piccoli risparmiatori c'è circa il 13% dell'intero ammontare. […]
19.02.24
Le
proteste cominciate in gennaio in Germania si sono allargate a macchia
d’olio al resto d’Europa: Francia, Belgio, Olanda, Spagna, Portogallo. E
poi sono arrivate quelle italiane: hanno puntato su Roma ma sono
arrivate fino a Sanremo. Un malcontento diffuso anche in Romania,
Polonia, Ungheria, Bulgaria, Slovacchia. Ci sono ragioni che accomunano
le proteste degli agricoltori europei, ci sono ragioni nazionali, e
altre difficili da attribuire a qualcuno.
Il Green Deal diluito
Vengono contestate le soluzioni ambientali individuate da Bruxelles per
tagliare entro il 2030 le emissioni di CO2 del 55% rispetto al 1990 e
raggiungere la neutralità climatica entro il 2050: tutti i settori vi
devono contribuire. Il primo motivo di scontro è stato l’aggiornamento
della direttiva sulle emissioni industriali, che ha l’obiettivo di
prevenire e ridurre l’inquinamento provocato dai grandi impianti,
compresi quelli zootecnici: «la stalla deve comportarsi come una
fabbrica, con tutti gli adempimenti sulla sostenibilità». Il mondo
agricolo si è messo di traverso e nell’accordo finale raggiunto il 28
novembre scorso gli allevamenti intensivi di bovini sono stati
stralciati dal testo. Il secondo è la legge sul ripristino della natura,
proposta dalla Commissione Ue il 22 giugno 2022, per riparare almeno il
20% delle superfici terrestri e marine dell’Ue che versano in cattive
condizioni. Per il comparto agricolo chiedeva di portare dall’attuale 4%
fino ad almeno il 10% la superficie di terreno agricolo da non coltivare
entro il 2030 (ma era a discrezione degli Stati indicare la percentuale
). Lo scopo è favorire la riproduzione della fauna e degli insetti
impollinatori (api, coleotteri, sirfidi, falene, farfalle e vespe).
Senza impollinazione è a rischio la crescita delle piante e la sicurezza
alimentare. Per gli agricoltori il provvedimento metteva invece a
rischio la produttività dell’Ue. Questa parte è stata stralciata dal
testo finale nel novembre scorso. Il Parlamento Ue ha invece rigettato
il 22 novembre il regolamento che puntava a dimezzare l’uso dei
pesticidi entro il 2030, a favore di metodi alternativi. Una misura
necessaria a proteggere la fertilità dei terreni, la salute dei
coltivatori e la salubrità dei prodotti, ma gli agricoltori l’hanno
contestata in tutte le sedi, e il 6 febbraio la presidente della
Commissione Ue Ursula von der Leyen ne ha annunciato il ritiro. Sempre
il 6 febbraio la Commissione Ue ha anche annunciato i nuovi obiettivi
climatici Ue al 2040, che prevedono un taglio del 90% delle emissioni
rispetto al 1990, ma ha evitato di indicare quel 30% per l’agricoltura
che invece era presenti in una bozza iniziale.
Mercosur e prodotti ucraini
L’accordo di libero scambio con il Mercosur (Argentina, Brasile,
Paraguay e Uruguay) è da sempre nel mirino del mondo agricolo europeo,
in particolare francese, che teme l’impatto delle importazioni. Pochi
giorni fa la Commissione ha ammesso che non ci sono le condizioni per
chiudere il negoziato. Poi c’è la questione dei cereali ucraini diretti
in Africa. Chiuso il porto di Odessa è stato aperto un corridoio di
transito via terra. Il problema è che alcuni container si fermano sui
mercati polacchi, ungheresi, francesi, italiani. Il grano ucraino già
costa meno, in più l’abbondanza di prodotto fa calare i prezzi. Un danno
per i produttori di cereali, ma un vantaggio per gli allevatori che
comprano il mangime a un prezzo più basso (che tuttavia si sono uniti
alle proteste). Il 31 gennaio scorso l’Ue, per proteggere le produzioni
agricole comunitarie di cereali ha introdotto un meccanismo di
salvaguardia rafforzata sulle importazioni dall’Ucraina di prodotti a
dazio zero, ed è previsto un «freno di emergenza» anche per il pollame,
uova e zucchero.
La burocrazia della Pac
La Politica agricola comune (Pac) esiste dal 1962 per aiutare i
contadini, stabilizzare i prezzi e garantire la sicurezza alimentare.
Nel corso degli anni ha subito molti cambiamenti, ma la svolta cruciale
è del 2023: per l’erogazione dei fondi occorre una maggiore attenzione
alla questione climatica, anche perché gli agricoltori, causa siccità e
alluvioni, sono i primi a pagarne il prezzo. Oggi la Pac vale un terzo
del bilancio dell’Ue: per il periodo 2021-2027 si tratta di 386,6
miliardi più 8 miliardi provenienti da Next Generation Eu per aiutare le
zone rurali a realizzare la transizione verde e digitale. Di quei fondi
270 miliardi sono per il sostegno al reddito degli agricoltori.
All’Italia andranno 37,1 miliardi, alla Francia 64,8, alla Germania
42,5, alla Spagna 45,5 e cosi via. Per ottenere questi fondi occorre
rispettare le condizionalità sull’uso di fitofarmaci, terreni a riposo
ecc. Il problema per i piccoli agricoltori è la burocrazia lunga e
gravosa. Critica accolta: entro il 26 febbraio la presidente von der
Leyen presenterà al Consiglio Agricoltura delle proposte per ridurre gli
oneri amministrativi. Inoltre la Commissione ha proposto di congelare
per un altro anno l’obbligo di mettere a riposo almeno il 4% delle
superfici coltivate per poter ottenere gli aiuti Ue previsti dalla PAC.
Richieste nazionali
Oltre alle proteste contro le politiche Ue, dove gli agricoltori hanno
portato a casa diversi risultati, ci sono quelle contro i governi
nazionali. In Germania a innescare la miccia è stato lo stop al «diesel
calmierato» per i trattori (su cui poi il governo ha fatto una parziale
marcia indietro). In Francia non vogliono gli aumenti delle imposte sul
gasolio agricolo e sanzioni alle imprese che non rispettano la «legge
Egalim», che regola e protegge il guadagno degli agricoltori nei
confronti della grande distribuzione. Il nuovo premier Gabriel Attal ha
promesso dieci misure con effetto immediato, tra cui semplificazioni
amministrative per aiutare le piccole imprese a ricevere prima gli
indennizzi dalle calamità naturali, e «clausole specchio» negli accordi
di libero scambio (i prodotti agricoli importati devono soddisfare gli
stessi standard di produzione europei). In Olanda il malcontento è
iniziato nel 2022 quando il governo Rutte decise un piano di
abbattimento dei capi di allevamento del 30% per ridurre le emissioni.
In Belgio i contadini valloni chiedono l’adeguamento all’inflazione e la
compensazione economica per tutti i vincoli.
Le richieste in Italia
Gli agricoltori italiani, oltre alle questioni comuni a tutti i Paesi
Ue, pressoché tutte superate, si sono diretti in massa su Roma. Per
chiedere cosa? Prezzi più giusti all’origine. L’ortofrutta, per esempio,
quando arriva sullo scaffale del supermercato ha avuto un ricarico del
300% rispetto alla miseria pagata al produttore. Non solo: quando
troviamo un prodotto in offerta lo sconto viene fatto pagare sempre al
produttore.
Questo succede perché fra l’agricoltore e la grande distribuzione c’è in
mezzo una lunga filiera: l’intermediario, il grossista, il
trasportatore, l’imballaggio. Di chi è la colpa? Per ridurla i
produttori dovrebbero aggregarsi fra loro, conquistando così maggior
potere contrattuale
Lo hanno fatto i piccoli coltivatori di mele della Val di Non: si sono
consorziati e il prezzo di vendita alla Gdo (grande distribuzione
organizzata) lo decidono loro. Altro discorso sono le aste al ribasso:
la Gdo decide il prezzo iniziale e chi fa il ribasso maggiore entra
sullo scaffale. Una pratica sleale stoppata da una nuova direttiva
europea, ma che andrebbe potenziata. Un altro tema caldo è la
redistribuzione dei fondi Pac. Dei circa 37 miliardi che arrivano nel
nostro Paese spalmati su 7 anni, una quota è destinata ai campi
coltivati. Da decenni il regolamento europeo parla chiaro: i fondi
devono essere assegnati equamente. Tutti i Paesi si sono adeguati tranne
l’Italia, dove un ettaro di terreno seminato al Sud riceve meno fondi
rispetto a quello del Nord. Per riequilibrare bisogna togliere agli
agricoltori del Nord, che ovviamente si oppongono. L’inadempienza però
ci espone alla procedura di infrazione. Infine il coro che da ogni parte
si leva : «tasse troppo alte». Vediamo.
Irpef sul reddito agricolo
Le imprese agricole individuali e a conduzione familiare hanno sempre
pagato l’Irpef sui redditi dominicali e agrari definiti dal catasto in
base alla superficie e al tipo di coltura dichiarata. Si tratta di
importi modesti proprio perché non calcolati sui redditi reali. Nel 2016
il governo Renzi, con la legge n. 232 decide l’esenzione totale
dell’Irpef. Prorogata poi dai governi successivi fino al 31.12.2023.
Nella categoria ci sono i produttori di vino e i vivai che non hanno
redditi risicati all’osso. A partire da quest’anno il governo Meloni ha
deciso di non prorogare, scatenando la rabbia degli agricoltori. Ma
quanto pesa sulle loro tasche? Dalla relazione tecnica alla legge di
bilancio 2022 sappiamo che un anno di esenzione Irpef impatta sulle
casse dello Stato per 127,7 milioni di euro, più 9,4 di addizionali
regionali e 3,6 comunali. Totale 140,7 milioni di euro. Considerando che
dai dati Istat le imprese agricole individuali e a conduzione familiare
sono 1.059.204, vuol dire che in media dovrebbero pagare di tasse
ognuna, all’anno 132,9 euro. Dal loro punto di vista sono troppi. E
infatti la premier ci ha ripensato. In tutti i Paesi Ue gli agricoltori
pagano le tasse in base ai loro redditi reali.
Redditi in crescita
Se si esclude il 2020, quando c’è stata una battuta d’arresto a causa
del Covid, a partire dal 2013 il reddito medio per agricoltore nella Ue
è cresciuto. Nel 2021, secondo i dati della RICA (rete d’informazione
contabile agricola), ammontava a 28.800 euro. Dentro c’è un 10% di
aziende agricole con un reddito superiore a 61.500 euro e un 10% fatica
a raggiungere il pareggio (con in media meno di 800 euro per
lavoratore). Tra i Paesi Ue ci sono differenze significative: Danimarca,
Germania nord-occidentale, Olanda e Francia settentrionale vantano i
redditi per lavoratore più elevati mentre in Romania, Slovenia, Croazia
e Polonia orientale sono più bassi. In Italia la media arriva a 36 mila,
con le regioni del Nord a quota 40 mila.
Gli aiuti straordinari
Nel periodo 2014-2023 Bruxelles ha stanziato 500 milioni per aiutare i
produttori di frutta e verdura fresca colpiti dal divieto russo sulle
importazioni dall’Ue; 800 milioni per stabilizzare il mercato
lattiero-caseario e sostenere il reddito complessivo degli agricoltori
per far fronte alle perturbazioni del mercato; 450 milioni per sostenere
il settore vitivinicolo di fronte agli impatti del Covid e alle sanzioni
commerciali; 500 milioni per sostenere i produttori più colpiti dalle
gravi conseguenze della guerra in Ucraina e 156 milioni per gli
agricoltori di Bulgaria, Ungheria, Polonia, Romania e Slovacchia, i
paesi più colpiti dall’aumento delle importazioni di cereali e semi
oleosi dall’Ucraina; 330 milioni per gli agricoltori di 22 Paesi che
hanno visto aumentare i costi di produzione e subito l’impatto di eventi
meteorologici estremi.
Il dialogo mancato
Le ragioni di un malessere così diffuso sono tante e complesse, ma è
troppo facile dire che tutte le colpe sono da addossare alle politiche
europee o ai singoli governi.
C’è una verità inconfutabile: il settore agricolo è messo sotto
pressione dai cambiamenti climatici. L’agricoltura è responsabile
dell’11% delle emissioni di CO2 dell’Ue, e partecipare alla transizione
verde è nel suo stesso interesse.
La politica, che ora sta strumentalizzando le proteste in corso,
dovrebbe invece mettere in campo le competenze migliori per trovare
soluzioni praticabili. Significa conoscere il settore e confrontarsi con
esso. Lo ha riconosciuto anche la presidente von der Leyen: «Per andare
avanti sono necessari più dialogo e un approccio diverso». Poi però
tutti devono fare la loro parte e non dire solo dei «no».
18.02.24
Per il supermercato lavoravano 61 aziende
nel 2023 i precedenti con 4 feriti a Genova
MONICA SERRA
INVIATA A brescia Ci sono almeno 61 aziende nell'intricato reticolo di
subappalti assegnati per realizzare il nuovo supermercato Esselunga
nell'ex Panificio militare. E su cui ora si stanno concentrando gli
investigatori che indagano sulla strage degli operai alla periferia
di Firenze.
I lavori di quest'opera - grande quanto un isolato - da 35 milioni
di euro sono stati avviati il 26 luglio del 2021 con una durata
prevista di almeno 1.200 giorni e il coinvolgimento di 100
lavoratori. La società
committente è La Villata spa, immobiliare di investimento e sviluppo
con sede a Milano controllata al 100% da Esselunga. Da un anno è
presieduta dall'ex ministro Angelino Alfano, sembrerebbe per via
della sua amicizia con Marina Sylvia Caprotti, figlia del defunto
Bernardo.
L'impresa esecutrice dei lavori è l'Aep Attività Edilizie Pavesi
srl, con sede a Pieve del Cairo (Pavia), la stessa coinvolta in
almeno due altri incidenti (non mortali) tra il febbraio e l'aprile
dello scorso anno a Genova, nel cantiere del supermercato di San
Benigno, inaugurato il 24 maggio del 2023. E, mentre per il primo
episodio, il crollo di una soletta il 10 febbraio del 2023, tre
operai erano rimasti feriti in maniera lieve, tanto che gli
accertamenti si sono chiusi con una contravvenzione, per il secondo,
il crollo di una griglia metallica che aveva colpito un operaio in
maniera più seria, l'inchiesta avviata dalla procura diretta da
Nicola Piacente è ancora in corso. Tanto nel cantiere ligure quanto in quello toscano, l'Aep
sarebbe la società incaricata a realizzare l'opera. Ma le ditte che
materialmente hanno eseguito i lavori sono differenti.
Da anni l'azienda lomellina collabora con il principale gruppo
italiano di supermercati per via della storica amicizia tra il suo
fondatore, il geometra Luigi Dallera di Mezzana Bigli, e Bernardo
Caprotti. Di fatto la società di Pieve del Cairo non ha
personale di manovalanza nei cantieri, ma solo responsabili tecnici:
è una «general contractor», ovvero gestisce lavori edili per conto
terzi, che affida ad altre piccole e grandi ditte.
Nell'elenco di quelle notificate alla Asl fiorentina dal
coordinatore della sicurezza, e citate nell'ultima comunicazione
telematica che risale all'8 febbraio, si contano 61 nomi: sono tutte
imprese che hanno operato in via Mariti.
Alcune sono grandi aziende
come la Vangi che fa movimento terra, la Rdb di Pescara, colosso
specializzato nella realizzazione di prefabbricati per grandi
superfici di vendita, ma ci sono anche tante piccole ditte
individuali, molte con titolari stranieri. Tra quelle più piccole
figurano anche la Go Costruzioni di Villongo, nella Bergamasca, la
Ojkos di Bergamo e la Pavindustria Technology di Palazzolo
sull'Oglio, nel Bresciano ai confini con la provincia di Bergamo.
Proprio il paese che ora piange quattro tra gli operai morti
nella tragedia.
Incongruenze negli orari e l'ispezione nel carcere: tutte le bugie
di Mosca
Il sospetto dell'avvelenamento "Sono sintomi da Novichock"
jacopo iacoboni
Le versioni su come è morto Alexey Navalny si moltiplicano. E siamo
ad appena due giorni dai fatti. Il giorno dopo la morte la versione
data a caldo dal servizio penitenziario, e poi variamente
amplificata dalla propaganda di regime – malore e caduta durante la
passeggiata, e susseguente trombo-embolia – è già clamorosamente
caduta. Chiamiamola versione 1.
Rimpiazzata da versione 2: se possibile ancora più vaga. Ieri
mattina alla madre di Navalny, Ljudmila Navalnaya, e all'avvocato
Vasily Dubkov, alla colonia penale Ik-3 è stato detto che la causa
della morte del dissidente più famoso di Russia è stata una
«sindrome della morte improvvisa».
Tuttavia a un altro avvocato di Navalny, quando si è presentato al
comitato investigativo di Salekhard, è stata fornita anche una
versione 3: «La causa della morte non è stata stabilita, è stato
effettuato un nuovo esame istologico» – ha riferito Kira Yarmysh, la
portavoce del Team Navalny. Secondo la versione 3, le cause della
morte non erano state accertate, quindi la salma non poteva essere
consegnata alla famiglia finché non fossero stati completati gli
accertamenti. Pazienza se, riferisce sempre Yarmiysh, un'ora prima
lo stesso dipartimento aveva detto agli avvocati che «il controllo è
stato completato, non è stato riscontrato alcun crimine».
Chiamiamola versione 4.
Navalny fa paura al Cremlino anche da morto. Lyudmila Navalnaya e
l'avvocato Dubkov ieri mattina sono andati nella colonia nel
villaggio di Kharp. Un impiegato del carcere ha detto loro che il
corpo di Navalny era stato portato via da dipendenti del comitato
investigativo, per ripetere degli «esami» a Salekhard. A quel punto
madre di Navalny e avvocato sono andati all'obitorio di Salekhard.
Era chiuso, hanno telefonato al numero che c'era scritto e il
dipendente ha riferito di non aver ricevuto la salma. «Mentono
letteralmente ogni volta», osserva amara Yarmysh.
La "sindrome della morte improvvisa", non significa nulla. Apre uno
scenario inquietante: con una diagnosi del genere, spiega il medico
anestesista-rianimatore Alexander Polupan, che curò Navalny dopo
l'avvelenamento in Siberia nell'agosto 2020, Navalny non poteva
prima sentirsi male e poi perdere conoscenza, come invece sosteneva
il primo comunicato del Servizio penitenziario federale: «In caso di
morte improvvisa, il paziente perde conoscenza all'istante». La
Commissione investigativa può trattenere il corpo anche un mese, in
caso di «ripetizione della perizia», spiega l'avvocato di Ovd-info
Eva Levenberg.
Il Cremlino non può consentire un funerale di Navalny prima delle
elezioni. Parlando in linea generale con Agentsvo, il collettivo
indipendente di Roman Badanin, Polupan spiega che la «sindrome della
morte immediata» potrebbe essere stata osservata in caso di
avvelenamento con veleno della classe Novichok: «Speculativamente –
dice il medico - possiamo dire che in casi di avvelenamento da
Novichok riusciti accadrà la stessa cosa, proprio arresto cardiaco».
Se Navalny ha avuto un malore durante una passeggiata, l'ora della
morte non può che essere la mattina prestissimo (non certo le 14,17,
come scritto nei referto): nella prigione "Lupo polare" di Kharp – a
100 chilometri da Vorkuta, le cui miniere di carbone facevano parte
del sistema dei gulag sovietici - per chi è in punizione è possibile
camminare all'esterno in uno stretto cortile di cemento solo alle
6,30 del mattino, a -30°, spiegò lo stesso Navalny. I detenuti in
condizioni normali possono camminare «dopo pranzo, e anche se in
questo momento c'è la notte polare, dopo pranzo fa più caldo di
diversi gradi», spiegò Navalny. Un prigioniero dello stesso carcere
di Navalny ha detto a Novaya Gazeta che la morte di Navalny è
diventata nota alle 10 di mattina locali. E che la sera prima c'era
nella colonia un'agitazione come se stesse succedendo qualcosa. La
mattina presto c'è stata un'ispezione totale del carcere.
Christo Grozev, il giornalista che, assieme al team Navalny,
smascherò la squadra del Fsb che avvelenò il dissidente nell'agosto
2020, lo dice sarcasticamente: «Il Cremlino non riesce nemmeno a
spiegare bene la sua storia. L'annuncio iniziale era «coagulo di
sangue». Poi è stato cambiato in «sconosciuto» e il corpo è stato
inviato per «ripetere la perizia».
Alexey ha scelto di morire come Gesù la lotta ai corrotti era la sua
missione"
Iegor Gran
È morto come Gesù, in un supplizio lento, quasi in una vertigine
mistica che è il rovescio della vertigine di potere di Vladimir
Putin. Per spiegare il destino e la fine di Aleksey Navalny bisogna
immergersi nell'abisso della Russia sapendo che comunque ci
risulterà incomprensibile. Proviamo ad ascoltare Iegor Gran, figlio
di quella Russia dalla quale è scappato nel 1973 con suo papà,
Andrej Sinjavskij, espulso dopo sei anni di Gulag per attività
antisovietica insieme a Julij Daniel', nel primo processo storico ai
dissidenti. Due letterati che non si sognavano nemmeno di rovesciare
il potere, semmai di deriderlo, almeno un po'. Iegor ha oggi 60
anni, da cinquanta vive a Parigi, è diventato scrittore, pubblica
libri sempre attraversati da uno spietato sarcasmo. L'ultimo edito
in Italia da Einaudi si intitola Gli uffici competenti ed è il
racconto a tratti irresistibile della sua infanzia a Mosca, in una
casa controllata dal Kgb.
Monsieur Gran, come ha reagito alla morte di Navalny?
«Non è stata una sorpresa, l'obiettivo di Putin era di ammazzarlo a
fuoco lento. Non ha funzionato perché hanno esagerato con le
torture. Le sue condizioni di detenzione erano estreme, ha fatto più
di trecento giorni d'isolamento in locali non riscaldati, in pieno
inverno, l'hanno messo in cella con persone malate e sporche, ha
vissuto in un livello di igiene deprecabile. Non sapremo mai cos'è
successo in queste ultime ore, magari è stato picchiato dai
guardiani o gli hanno buttato addosso qualcosa. Ma tutto questo è
una sconfitta in più per Putin».
Cosa voleva ottenere il Cremlino dal prigioniero Navalny?
«Trasmettere paura e togliere le illusioni a tutti quelli che
avessero l'ambizione di Navalny e cioè di contestare il regime al
potere. Per questa ragione doveva durare ancora un po'. L'immagine
di uno che muore a poco a poco doveva avere un effetto dissuasivo. A
loro serviva di più vivo, ma inoffensivo un po' come ha fatto Giulio
Cesare con Vercingetorige, messo in gabbia e mostrato al popolo
prima dell'esecuzione».
Che effetto può avere la sua morte sull'opinione pubblica russa?
«Marginale. Molti russi lo detestavano, soprattutto in provincia,
purtroppo non è mai riuscito a mobilitare intorno alla sua causa, se
non nel milieu intellettuale di Mosca o San Pietroburgo. Ma al di là
di questo la sua influenza era nulla. Il suo smacco è stato evidente
quando è tornato in Russia dopo l'avvelenamento, e si è trovato
abbandonato da tutti o quasi. Umiliato, un po' come Gesù sulla
croce. Può sembrare un parallelo forzato, ma è così».
Perché è tornato? Non poteva rimanere a Berlino e di lì continuare
la campagna contro Putin?
«Perché era un uomo molto coraggioso e poi perché era sfuggito alla
morte, aveva messo un piede nell'aldilà e il fatto di essersi
salvato miracolosamente gli aveva forse dato il sentimento di avere
una missione quasi divina da realizzare. Ma ha sovrastimato la
voglia dei russi di battere la corruzione che invece per loro non è
mai stato un problema».
Perché le denunce di Navalny cadevano nel vuoto?
«Molto semplicemente perché tutta la Russia è corrotta, dal livello
più basso a quello più elevato. Le persone più semplici pensano che
se non ci fosse la corruzione non riuscirebbero nemmeno a farsi
visitare dal medico. È paradossale e anche triste ma in Russia la
corruzione è un modo di salire nella scala sociale. E ognuno pensa
che se un giorno avrà i mezzi corromperà qualcuno che può aiutarlo
ed è disponibile a farsi corrompere: non è una vergogna. Non dico
per tutti, ma per la maggioranza è così».
Che differenza c'è tra Navalny e i dissidenti degli anni Settanta,
della generazione di suo padre?
«Colossale perché Navalny era un uomo politico, che aveva un
programma politico e conduceva una battaglia politica. Gli
oppositori dell'età di mio padre no, non aveano un partito e nemmeno
dei simpatizzanti, nessuno ha mai stampato manifesti per Solženicyn
o per Sinjavskij. Solo una volta nel dicembre 1965 c'è stata una
piccola manifestazione in piazza Puškin a Mosca, qualcosa di
spontaneo senza pretese politiche, ma solo la richiesta di accedere
all'aula dove si stava svolgendo a porte chiuse il processo contro
mio padre e Julij Daniel'. I manifestanti non avevano un programma
politico, anche se forse avrebbero voluto vedere la caduta di quel
potere».
Le Izvestije, il principale giornale russo, nell'edizione online,
ancora ieri sera non davano notizia della morte di Navalny, ma
riportava l'ultimo sondaggio elettorale secondo cui Putin ha un
gradimento del 79 per cento. È realistico? Non ci sarà nessuna
sorpresa nelle elezioni di metà marzo?
«Ma no, le elezioni in Russia sono una farsa, e anche se fossero
vere non cambierebbe niente perché il sostegno a Putin è molto forte
soprattutto in Provincia. L'amministrazione presidenziale deciderà
quale sarà la percentuale, ma non cambierà nulla al fatto che i
russi, oggi, sostengono Putin e la sua guerra in Ucraina».
Tutti "zombi" come scrive lei nel suo ultimo libro?
«Eh sì, contrariamente a quello che molti credono, la maggior parte
degli zombi sono delle persone per bene».
Rivelazioni
del New York Times: flusso calato del 15%, operazione di
intelligence sofisticata
Israele dietro i gasdotti saltati in aria La nuova strategia per
fermare l'Iran
fabiana magrì
tel aviv
Si alzano i toni tra Israele e Iran, con un avvertimento che segna
un cambio di passo e una nuova frontiera nella guerra ombra tra i
due nemici assoluti. L'ha scritto il New York Times nel riportare i
misteriosi attacchi (l'ultimo è stato registrato giovedì), che
nell'ultima settimana hanno colpito e danneggiato due gasdotti che
servono le principali città iraniane. Anche Teheran e Isfahan. Le
operazioni, come di prassi in questa arena, non sono state
rivendicate da Israele. Ma ad attribuirle allo Stato ebraico con
ragionevole certezza sono stati due funzionari occidentali e un
comandante affiliato alle Guardie rivoluzionarie, citati dal
quotidiano statunitense.
Secondo diverse fonti, i sabotaggi - forti esplosioni ma nessuna
vittima - avrebbero interrotto il flusso di energia e gas verso
intere province, con un impatto sul 15% della produzione giornaliera
nazionale di gas naturale e una ricaduta su milioni di persone.
«L'effetto - ha detto al Nyt Homayoun Falakshahi, analista senior
delle materie prime per Kpler, punto di riferimento per
l'intelligence commerciale globale - è stato molto alto perché si
tratta di due condutture significative che vanno da Sud a Nord. Non
abbiamo mai visto nulla di simile in scala e portata».
Di diverso parere il ministro del petrolio Javad Owji che,
interrogato dai media locali venerdì, ha commentato che «il piano
del nemico era interrompere completamente il flusso di gas in
inverno in diverse grandi città e province del nostro Paese», con un
potenziale impatto sulla popolazione civile, sulle industrie e le
fabbriche, ma «le squadre tecniche del ministero avevano lavorato 24
ore su 24» per risolvere l'emergenza, l'interruzione era stata
minima e il servizio presto ripristinato.
Il dato davvero rilevante resta quello della valenza simbolica di
attacchi le cui dinamiche restano da chiarire - con droni, esplosivi
applicati alle tubature o altri mezzi - ma dimostrano una profonda
conoscenza delle infrastrutture sul territorio, un preciso
coordinamento e la partecipazione di collaboratori dall'interno, per
studiare dove, come e quando colpire. Le guardie - ha spiegato la
fonte anonima vicino ai Guardiani della rivoluzione - controllano le
loro aree di competenza ogni poche ore. Quindi chi ha eseguito
l'attacco doveva essere a conoscenza dei passaggi, dei turni e delle
pause. Questi ultimi sabotaggi, in diversi punti lungo due
principali gasdotti nelle province di Fars e Chahar Mahal Bakhtiari,
dimostrano, secondo l'analista Shahin Modarres sentito dal New York
Times, che «le reti segrete che operano in Iran hanno ampliato la
loro lista di obiettivi. È una grande sfida e un duro colpo per la
reputazione delle agenzie di intelligence e sicurezza iraniane».
Siti militari e nucleari della Repubblica islamica sono da tempo nel
mirino di Israele, così come scienziati che partecipano allo
sviluppo del programma nucleare e comandanti, raggiunti con attacchi
mirati sia in patria sia all'estero. Recentemente i servizi segreti
israeliani hanno ucciso due alti comandanti iraniani in Siria. E in
passato l'intelligence ha messo a segno sabotaggi informatici su
server statali, causando il caos nelle stazioni di servizio in tutto
il territorio.
Sempre venerdì, nel suo primo briefing con la stampa estera
dall'inizio della guerra a Gaza, il ministro israeliano della Difesa
Yoav Gallant aveva ribadito che in ciascuno dei sette fronti su cui
è impegnato Israele - Gaza, Libano, Cisgiordania, Siria, Iraq, Yemen
e Iran - si possono riconoscere idee, soldi, intelligence, know-how
e armamenti che fanno capo al regime degli ayatollah, definito «la
fonte del caos nella regione». Sebbene l'Iran neghi ufficialmente un
coinvolto diretto nell'attacco di Hamas del 7 ottobre, il suo ruolo
nell'addestramento e nel rifornimento di armi e munizioni alle
fazioni palestinesi nella Striscia è emerso e continua a emergere da
prove raccolte dall'esercito israeliano mentre continua l'avanzata
nell'enclave. L'Iran sostiene e arma anche gli altri suoi alleati -
gli Houthi in Yemen, Hezbollah in Libano e le milizie in Iraq e
Siria - che stanno conducendo operazioni di appoggio a Hamas e di
disturbo contro Israele e Stati Uniti.
17.02.24
E MORTO L'ENNESIMO MARTIRE DEL DIAVOLO PUTIN :
Ci sono così tante cose che non quadrano, anche nell'atto finale e
tragico della morte (o assassinio) di Navalny - e il regime che lo
fa morire è così opaco e tirannico - che farne l'elenco risulterà
inevitabilmente provvisorio, oltre che vano. Il servizio
penitenziario russo annuncia che il prigioniero Alexey Navalny è
morto ieri mattina quaranta miglia a Nord del Circolo polare Artico,
nella regione Yamalo-Nenets, in una colonia penale di massima
sicurezza. Anche la moglie Yulia, pur sottolineando che di nulla si
può essere certi e che il regime di Putin mente sempre, dice che
«Putin pagherà, sarà punito». Navalny aveva 47 anni. Stava scontando
la sua condanna - su accuse completamente inventate dal Cremlino -
in condizioni carcerarie oltre i limiti della tortura, che spingono
il presidente americano Joe Biden a dire che la Russia e Putin
personalmente «è responsabile della sua morte».
La ricostruzione delle modalità della sua morte sarà inevitabilmente
faticosa e lacunosa: fermo restando che il responsabile appare
immediatamente chiaro a tutti. Il sistema penitenziario russo ieri
mattina ha emesso un comunicato che recita così: «Oggi nella colonia
correzionale n. 3, Navalny A. A. dopo la passeggiata si è sentito
male e ha perso conoscenza. Gli operatori sanitari dell'istituto
sono arrivati immediatamente ed è stata chiamata un'équipe medica di
emergenza. Sono state eseguite tutte le misure di rianimazione
necessarie, ma non hanno dato risultati positivi. I medici del
pronto soccorso hanno confermato la morte del condannato. Le cause
della morte sono in fase di accertamento». La propaganda russa ha
cominciato immediatamente a diffondere la tesi dell'embolia. E il
primo commento ufficiale del Cremlino è stato offerto da Dmitry
Peskov, il portavoce di Putin, per il quale il problema è stato solo
specificare che «non sono necessarie indicazioni particolari del
Cremlino», che «le cause della morte saranno accertate dai medici»,
e che il presidente russo Vladimir Putin era stato informato della
morte di Navalny.
Ma appunto: Alexander Polupanov, un medico che ha curato Navalny
dopo l'avvelenamento nel 2020, ha chiaramente spiegato a Novaya
Gazeta che «è impossibile confermare si sia trattato di
tromboembolia, perché non è stata eseguita un'autopsia». Anna
Kartenikova, ex analista del Servizio penitenziario federale di
Mosca, alla luce della sua esperienza ha commentato così: «Embolia
polmonare è utilizzata dai medici carcerari in senso lato. (...) Una
diagnosi così universale, difficile da dimostrare… E questo fa
alquanto comodo. Il paziente è morto per problemi ai reni o al
fegato? Andiamo, l'hanno fatto. Trombo, morte improvvisa».
Poi c'è Putin. Che è apparso quasi garrulo, negli istanti successivi
alla morte. Farida Rustamova, una delle più stimate e brave
giornaliste russe, da anni la più attenta cremlinologa in giro, ha
postato una foto presa da uno screenshot della trasmissione
ufficiale del Cremlino, che ritrae ieri mattina - durante un meeting
con gli studenti di Chelyabinsk - un «Vladimir Putin di ottimo umore
dopo essere stato informato della morte di Navalny». Putin che si
rifiutava anche solo di nominare Navalny: lo chiamò il "paziente
berlinese" mentre veniva curato e salvato a Berlino su
interessamento personale di Angela Merkel, all'indomani
dell'avvelenamento in Siberia avvenuto da parte dei servizi russi
del Fsb .
Molto sospetti sono poi gli orari dei comunicati ufficiali russi. Il
canale telegram russo VChK-Ogpu ha fatto notare che il comunicato
stampa del Servizio penitenziario che annunciava la morte di Navalny
è stato pubblicato alle ore 14.19 locali, letteralmente due minuti
dopo l'ora ufficiale del decesso nei referti (14,17). Qualcosa che è
totalmente non credibile, «le autorità non agiscono mai così
rapidamente, soprattutto quando si tratta della morte dei
prigionieri». Il che apre la strada ad almeno due domande, uno: che
Navalny sia morto diverse ore prima? E due, come stava al momento
della morte?
Certamente proprio questa settimana, il 14 febbraio, Navalny era
finito in una cella di punizione per la ventisettesima volta. Ma
tutti quelli che sono entrati in qualche modo in contatto recente
con lui, dagli avvocati ai membri del suo team, a sua madre Ljudmila,
riferiscono che stava relativamente bene, almeno fino a lunedì,
ovviamente per quanto si possa stare bene nelle terribili condizioni
di tortura, freddo e malnutrizione in cui veniva segregato. E anche
il corrispondente di Sota il 15 febbraio lo ha visto sorridere in un
video-collegamento dalla prigione col tribunale regionale. Il dubbio
è che sia stato liquidato, o ci sia stata un'accelerazione palese di
pratiche che l'hanno condotto alla morte.
Dmitry Muratov, il premio Nobel direttore di Novaya Gazeta, il
giornale di Anna Politkovskaya, un'altra celeberrima assassinata
durante il regime putiniano (con Boris Nemtsov, una trimurti di
martiri della libertà di Putin), ci ha spiegato senza mezzi termini
che «la pena di Navalny è stata integrata dall'omicidio».
Nel documentario "Navalny" di Daniel Roher viene chiesto a un certo
punto a Navalny quale messaggio voleva lasciare nel caso in cui
venisse ammazzato dal Cremlino. La sua risposta, con un sorriso
luminoso, fu: «Non arrendetevi».
ANGELINO ALFANO IL COMMITTENTE PER ESSELUNGA: Silenzio. E in
questo silenzio che, alle cinque di sera, regna davanti allo
squarcio nel corpo di quello che un giorno diventerà un
supermercato, si alza soltanto la voce di una donna: «Assassini.
Assassini». Lo urla con rabbia e va via. E chi è lì a guardare
attraverso quella ferita nel muro l'enorme trave di cemento,
spezzata e piegata su se stessa, in una forma innaturale, annuisce,
ma non replica.
Via Filippo Mariti: quartiere Novoli di Firenze. In quello che un
tempo era il Panificio Militare, sorgerà un supermercato Esselunga.
I lavori vanno avanti da mesi. L'impresa appaltatrice è la Aep,
Attività edilizie pavesi, ma dentro l'area recintata lavorano almeno
una quindicina di aziende in subappalto. Alle 8,52 di ieri Luigi, il
pompista, l'operaio che regge il tubo da cui esce il getto di
cemento, che formerà la soletta, era in piedi sulle lastre
prefabbricate. Con la pompa in mano: stavano posando il calcestruzzo
sull'angolo più esterno del cantiere, verso via Mariti. Alle 8,52,
quella trave che adesso vedi dallo squarcio, s'è sganciata dal
supporto. Una grossa porzione della struttura ha vibrato per qualche
secondo. Poi è collassata la zona su cui stavano facendo i lavori. E
crollando ha sfondato un piano, poi un altro e un altro ancora.
Tutto giù, uno strato sull'altro. Giù, giù, fin sottoterra dove un
giorno, quando il supermercato sarà finito, ci saranno i posteggi. E
ha trascinato con sé gli uomini che stavano livellando il
calcestruzzo e quelli completavano altre opere nei piani più bassi.
Luigi l'hanno trovato quasi subito. Morto. Altri tre operai, sono
rimasti feriti, e adesso sono in ospedale. Alle otto di sera il
resto della squadra (almeno tre persone) è ancora sepolta da metri
di lastre di cemento prefabbricato, putrelle spezzate, tondini
d'acciaio schizzati fuori dalle armature. Altri due, fin dal
mattino, già vengono indicati come morti. E gli altri? Sono lì, da
qualche parte. E se siano miracolosamente sopravvissuti, o se anche
per loro, ormai, non si può far altro che pregare, si saprà quando i
pompieri riusciranno a calarsi, a smuovere le macerie, portare
soccorso o raccogliere i corpi. Sono, cioè, in quello che gli operai
dai calzoni sporchi di cemento e le scarpe antinfortunistiche
imbrattate di fango, al bar dall'altra parte della piazza, chiamano
"l'inferno".
Alle 9,24 di ieri Gionni Desiato, il capocantiere dell'impresa che
ha in appalto soltanto i lavori di sistemazione dell'area attorno al
futuro centro commerciale, ha ricevuto una telefonata da uno dei
suoi uomini. «Gridava che era venuto giù un pezzo dell'edificio. E
che era crollata un pezzo di parete esterno, sfiorando il furgone
scuolabus, fermo lì vicino» racconta. E sembra di sentirle le sue
grida. Che sono le stesse degli operai che urlavano i nomi dei
colleghi, due tre minuti dopo il crollo, quando la polvere sollevata
dal cemento spezzato, ha iniziato a diradarsi. «Gli ho detto di
transennare la strada. E di chiamare i soccorsi» ripete. Ma c'erano
già le sirene. I curiosi, il traffico impazzito.
No, questo non è soltanto un incidente sul lavoro. Questo è una
sciagura che ferisce Firenze, perché è capitata a pochi passi dal
centro. Perché, dodici ore dopo quello sfracello, non si sa ancora
quante siano davvero le vittime. Ed è per questo che ieri mattina in
decine di fabbriche della zona gli operai hanno incrociato le
braccia fino a mezzogiorno. «Hanno compreso la gravità di quel che
era accaduto, hanno smesso di lavorare sono usciti in modo
spontaneo» dice Bernardo Marasco, il segretario della Cgil
fiorentina. Lo spiega dopo la manifestazione davanti alla
Prefettura, alla quale hanno partecipato tutte le sigle sindacali.
«Non si può morire di lavoro». Ma, come dice Marasco: «Non è nemmeno
accettabile che nei cantieri spesso non si abbia certezza di nulla.
Nemmeno di quante sono le persone». E questo è il tema della
sicurezza nell'edilizia. «Sulla quale dobbiamo ragionare in modo
organico. Ma dopo che i contorni di questa sciagura saranno
compresi».
Già, i contorni. Ma prima c'è tantissimo altro da fare. Accendono le
fotocellule i vigili del fuoco arrivati da mezza regione per
continuare anche col buio a rovistare tra le macere. Adoperano
fonometri per individuare rumori anche deboli-deboli che possano
dare speranza di qualche vita da salvare. Usano i cani. I sistemi
video a microfibre per esplorare - senza provocare altri crolli - lo
spazio attraverso quello shanghai di travi, putrelle e lastre,
incastrate, accartocciate e sospese. Le termocamere, quelle che
riescono a leggere variazioni di calore, qui non bastano. Bisogna
fare di più. Correre rischi, in questa corsa contro il tempo per
salvare – se possibile – ancora una vita. «Si va avanti ad oltranza»
dice Luca Cari, l'unico dei Vigili del fuoco autorizzato a parlare.
E «oltranza» vuol dire che, anche adesso che è buio, ci sono
pompieri che s'infilano lì sotto. Respiri affannati che arrivano via
radio da sottoterra: «Da qui non si passa…».
Giù davanti alla Prefettura, invece, si dibatte ancora di sicurezza.
Di sciagure sul lavoro. Il sindaco Dario Nardella, in viaggio in
Terra Santa, annulla gli appuntamenti e annuncia l'immediato rientro
in città. Il Comune cancella tutti gli eventi in programma per oggi
e domani e dichiara il lutto cittadino. I sindacati mettono in
cantiere scioperi. E intanto la Procura della Repubblica apre un
fascicolo, per ora senza indagati, ipotizzando il crollo colposo e
l'omicidio colposo. Ma prima di tutto bisogna chiarire perché è
capitato tutto questo. E le tesi sono tante. Un difetto nelle
putrelle prefabbricate? Un errore di manovra dei mezzi di cantiere?
Oppure tutto è riconducibile alla fretta di concludere i lavori, e
far partire gli interventi di rifinitura? Nessuno si sbilancia. «Ma
la vulgata generale è che l'impresa appaltatrice abbia dato
un'accelerata» dicono i sindacati. Vero? Falso? «C'era più gente in
questo periodo nell'area delle costruzioni. Lo abbiamo notato anche
noi. Ci sono stati mesi complicati prima, adesso stavano andando
molto veloci» spiega Gionni Desiato. Ma dipende da quello? «Soltanto
Dio lo sa».
L'ex
presidente americano Donald Trump è stato condannato a versare 354,9
milioni di dollari nel processo civile a New York per aver gonfiato
il valore degli asset della Trump Organization, la holding di
famiglia.
Il giudice Arthur Engoron lo ha anche bandito per tre anni dal
ricoprire incarichi operativi in qualsiasi azienda newyorchese. La
causa era stata portata avanti dalla procuratrice, democratica,
Letitia James. Aveva accusato la società della famiglia Trump di
aver creato valori fittizi per accedere più facilmente al credito e
alle assicurazioni.
Trump ha sempre negato qualsiasi responsabilità. Anche i due figli
Donald jr ed Eric sono stati inibiti per due anni da incarichi
all'interno di compagnie a New York, oltre a dover pagare
un'ulteriore multa da quattro milioni di dollari. Trump e la Trump
Organization fra l'altro non potranno, per tre anni, accedere ad
alcuna formula di prestito da società finanziarie di New York. La
sentenza è giunta dopo tre mesi di dibattimento
16.02.24
Il rapporto di Banca d'Italia
Il debito pubblico sale a 2.863 miliardi Cresce ancora il fabbisogno
dello Stato
Il debito pubblico italiano è cresciuto di 105,3 miliardi di euro
nel 2023. Fino a toccare quota 2.862,8 miliardi, il massimo storico.
La fotografia immortalata dalla Banca d'Italia mette in evidenza
quanto il fabbisogno del Paese abbia influito su tale risultato.
Circa 89 miliardi sono a carico di una maggiore richiesta degli enti
centrali. Nell'anno in cui si sono trasmessi in pieno i rialzi dei
tassi d'interesse della Banca centrale europea (Bce), l'Italia ha
registrato un marcato incremento, in valori assoluti,
dell'indebitamento. A fine 2021 era a quota 2.678 miliardi di euro, l'anno dopo
si è sfondata la soglia dei 2.700 per 57 miliardi. Nell'anno appena
chiuso l'ulteriore salita, sempre più a ridosso dei 3.000 miliardi.
L'incremento di oltre 100 miliardi rappresenta un rischio, e un
costo, per il Paese. Primo, perché appesantisce i conti pubblici
nazionali riducendo i margini operativi del governo. Secondo, perché
complica la gestione del debito nei confronti degli investitori
istituzionali e delle controparti europee.
Secondo i dati di Banca d'Italia, su base annua è calata di quasi
due punti percentuali la quota di debito detenuta da Palazzo Koch,
in linea con la riduzione degli acquisti da parte della Bce. Allo
stesso tempo, in mano ai piccoli risparmiatori c'è circa il 13%
dell'intero ammontare. Un valore che non sono è salito negli ultimi
cinque anni, ma che è destinato a crescere ancora. Non a caso, il
Tesoro ha già comunicato di voler spingere sulle emissioni retail,
come il Btp Valore, nel corso dell'anno corrente.
contrari i consiglieri di italia viva
Roma, cittadinanza onoraria a Assange L'appello della moglie:
"Rischia la vita" Con 27 voti favorevoli e due contrari, l'Assemblea capitolina
ha concesso ieri la cittadinanza onoraria di Roma a Julian Assange,
il giornalista australiano di WikiLeaks in carcere nel Regno Unito
per aver pubblicato file riservati del governo americano. E che
aspetta per martedì prossimo l'udienza dell'Alta corte in cui si
deciderà se concedere o meno il suo trasferimento negli Usa: «Morirà
se verrà estradato negli Stati Uniti, la sua salute sta peggiorando,
fisicamente e mentalmente, la sua vita è in pericolo ogni singolo
giorno trascorso in carcere», l'appello disperato lanciato ieri in
una conferenza stampa a Londra dalla moglie Stella.
«Finalmente ce l'abbiamo fatta», il commento soddisfatto della ex
sindaca della capitale, Virginia Raggi, dopo l'approvazione della
delibera che concede la cittadinanza, «adesso Gualtieri convochi la
moglie di Assange, per conferirle l'onorificenza». A favore anche il
Pd: «Concedergli la cittadinanza significa rafforzare il contributo
arrivato già a gran voce da tutto il mondo», scrive in una nota il
gruppo consigliare dem del Campidoglio.
Di opinione diversa i due consiglieri di Italia viva, che hanno
votato contro l'iniziativa, perché «quella di Assange è una vicenda
dai contorni opachi, ancora da definire dal punto di vista
giudiziario» e le sue azioni
«hanno messo a repentaglio la sicurezza e la vita di molti»
Si finge pentito per uccidere la pm antimafia Il piano fallisce
lecce Ha finto di collaborare con la Giustizia per uccidere un
magistrato. Pancrazio Carrino, 42 anni, aveva preso di mira Carmen
Ruggiero, la pm della Dda di Lecce che aveva ottenuto il suo arresto
assieme a quello di altri 21 personaggi. Un'indagine sulla Sacra
Corona Unita e il clan «Lamendola-Cantanna», chiusa con l'operazione
dei carabinieri «The Wolf» nel luglio del 2023.
Nell'ordinanza di custodia cautelare firmata dalla gip Maria
Francesca Mariano, oltre che alle vicende mafiose il nome di Carrino
era accostato a una vicenda di violenza sessuale. Nessuna accusa, ma
abbastanza da far infuriare l'uomo, che ha finto di voler
collaborare con la Giustizia per trovarsi faccia a faccia con la pm.
Voleva «tagliarle la giugulare senza essere bloccato», ha poi
spiegato. A sventare l'agguato in carcere è stato un tenente dei
carabinieri, che gli ha tolto di mano il pezzo di ceramica che
Carrino voleva usare come un coltello.
15.02.24
EDOARDO L'AVEVA AVVISATA NEL 1997:
Gli avvocati di John Elkann replicano
alle accuse mosse in sede penale dalla madre: «Le accuse di
violazioni fiscali sono insussistenti». Margherita Agnelli risponde
a stretto giro di posta: «Non abbiamo nulla da nascondere». Poi
l'ammissione: obiettivo dell'azione giudiziaria della figlia
dell'Avvocato è «la tutela di tutti i propri figli», vale a dire non
solo dei tre avuti nel primo matrimonio con Alain Elkann ma anche
gli altri cinque avuti con il secondo marito, Serge de Pahlen.
L'esposto penale, fanno però osservare i legali di John Elkann, «è
l'ultimo di una serie di iniziative giudiziarie che Margherita ha
esercitato da ormai vent'anni in Italia e all'estero» e che «non
hanno avuto riconoscimento in alcuna sede giurisdizionale, sia essa
penale o civile».
Tutto nasce dal patto successorio sottoscritto all'indomani della
morte dell'Avvocato, nel marzo 2004, negli uffici del notaio Marocco
a Torino. Patto tombale in cui Margherita rinunciava per sempre alla
sua quota della società Dicembre, quella del ramo di Gianni Agnelli
che comprende il pacchetto di controllo della Fiat, ottenendo in
cambio beni e denaro per un valore complessivo di 1,2 miliardi di
euro. Nei mesi successivi però Margherita ricevette una parte di
quelle somme da un trust lussemburghese che, a suo dire, non era
compreso nella somma dei beni che costituivano l'asse ereditario.
Dopo qualche tempo Margherita iniziò così una serie di cause legali
con due obiettivi: rendere nullo il patto successorio che lei stessa
aveva firmato e ottenere più denaro sostenendo che ci fossero altre
somme oltre a quelle che erano state oggetto della divisione
ereditaria.
Per rendere nullo il patto successorio Margherita ha sostenuto nel
corso degli anni di essere stata indotta a firmarlo approfittando
del suo momento di debolezza al momento della morte del padre. In
seconda battuta sostenendo che il patto non era valido perché non
conforme alla legge italiana. Il nodo su cui si stanno scontrando in
sede civile è quello della nazionalità di Marella Agnelli. La madre
di Margherita aveva potuto cedere le sue quote al nipote John perché
Marella era di nazionalità svizzera e la legge di successione
svizzera consente il salto di una generazione nella trasmissione di
eredità anche quando il cedente sia ancora in vita. Ciò che la legge
italiana, al contrario, non consente. Da qui la lunga querelle sulla
nazionalità di Marella Agnelli, se avesse titolo alla cittadinanza
svizzera o no. Querelle che gli avvocati di Margherita hanno ora
portato in sede penale accusando John Elkann, il commercialista
Gianluca Ferrero e il notaio svizzero Urs von Grunigen di aver
firmato documenti falsi che confermavano la nazionalità svizzera di
Marella.
La vicenda, iniziata con l'obiettivo di dare a Margherita una quota
della stanza dei bottoni di Exor (la finanziaria degli Agnelli che
guida anche il gruppo Gedi), si è presto trasformata in una querelle
ereditaria sull'ammontare delle somme che spettano alla figlia
dell'Avvocato. Querelle che è proseguita negli anni senza esclusione
di colpi e di denunce tra familiari. «In sintesi – scrivono i legali
di Elkann – c'è una mamma che perseguita da più di vent'anni, in
tutte le sedi giudiziarie, facendo anche ampia pubblicità sulla
stampa, i suoi genitori e tre dei suoi figli che non hanno altra
responsabilità se non quella di essere stati gli unici ad aver
assicurato alla nonna cura, assistenza e dedizione fino all'ultimo
giorno». Parole durissime per la scelta stessa di averle rese
pubbliche. In questo quadro di scontro familiare, proseguono i
legali di John Elkann, «l'assunzione della qualità di indagato ha
dunque ben scarso significato e anche dal punto di vista tecnico non
costituisce neppure un carico pendente». Gli stessi avvocati
insinuano poi che la scelta di Margherita Agnelli di sconfessare il
patto successorio che aveva firmato avvenne quando la figlia
dell'Avvocato si accorse che l'azienda, sull'orlo del fallimento nel
2004, si era ripresa e tornava a produrre utili e dividendi. «Si
ripone – concludono i legali di Elkann – la massima fiducia nel
lavoro degli inquirenti che non potrà che confermare la verità dei
fatti». Nella replica i legali di Margherita Agnelli negano che
l'Avvocato e la moglie Marella abbiano mai scritto in un testamento
che Margherita e i suoi discendenti dovessero essere estromessi da
quella parte di asse ereditario a lei mai rendicontato». Con ciò
confermando che il nocciolo della questione è la presunta esistenza
di un patrimonio non reso noto al momento della successione di cui
Margherita vuole la sua parte. —
Accordo con elon musk per la connessione ad alta velocità
Tel Aviv: sì all'uso di Starlink nella Striscia Il ministro delle Comunicazioni israeliano, Shlomo Karhi, ha
approvato l'utilizzo del servizio Starlink di Elon Musk nella
Striscia di Gaza. Lo annuncia lo stesso Karhi sui social. «Il
ministro delle Comunicazioni israeliano e i rappresentanti di
Starlink hanno raggiunto un accordo sul servizio Starlink nella
Striscia di Gaza», si legge in una nota, «le autorità di sicurezza
israeliane hanno approvato la fornitura di servizi Starlink presso
l'ospedale da campo degli Emirati Arabi Uniti che opera a Rafah. Le
connessioni ad alta velocità a bassa latenza di Starlink
consentiranno di effettuare videoconferenze con altri ospedali e di
effettuare diagnosi a distanza in tempo reale».
«Le unità nella Striscia di Gaza a sostegno di cause umanitarie
saranno approvate individualmente, solo dopo che le forze di
sicurezza israeliane avranno confermato che si tratta di un'entità
autorizzata senza rischi o possibilità di mettere in pericolo la
sicurezza nazionale», ha precisato il ministro israeliano.
Ok Commissione Covid, FdI evoca condanne Opposizioni dure, Speranza:
"Squadrismo" Finale nel caos per l'Aula della Camera, che dà il via libera
all'istituzione di una commissione di inchiesta sul Covid, proposta
voluta inizialmente da Italia viva e poi fatta propria da FdI.
L'ultima dichiarazione di voto, quella della FdI Alice Buonguerrieri,
scatena la bagarre, con il presidente di turno Fabio Rampelli che
deve sospendere la seduta per alcuni minuti. A far infuriare il
centrosinistra sono le frasi della deputata che parla di «sentenze
di condanna», grazie alle quali «siamo potuti venire a conoscenza di
atti e documenti» sulla gestione della pandemia da Covid. Le
opposizioni (che, tranne Iv, hanno votato contro) insorgono. Volano
parole grosse, anche contro Galeazzo Bignami ("Meglio che ti vesti
da nazista che da cogl... come sei..."). Duro Speranza: «Ho sentito
un intervento su Conte e Speranza, quello è un intervento
squadrista». La commissione nasce con 132 sì, 86 no e un astenuto
14.02.24
ORA CHI INTERVIENE ?
Pinerolo, il sindaco Salvai
comunica gli importi incassati: 5 milioni e 390 mila, la terza voce
dopo Imu e Tari
"Sì, il Comune fa cassa con il velox ma sostiene i costi di mense e
asili"
antonio giaimo
Il cartello stradale per chi si lascia alla spalle l'autostrada
Torino Pinerolo e imbocca la tangenziale è di quelli che non si può
affermare di non aver visto: su fondo blu con scritta bianca,
accanto al limite dei 90 allora e dell'icona del vigile urbano, si
legge: «Attenzione tratto soggetto a controllo elettronico della
velocità». Da quel punto c'è un chilometro di strada prima che le
telecamere catturino l'immagine di chi forse per disattenzione ha
superato il limite. Quello che accade dopo è un film dal finale
scontato, spiega Federico Battel, comandante della polizia locale:
«Dalla targa si risale al proprietario dell'auto, viene notificato
un verbale, se si è superato di poco il limite la multa è di 56 euro
e se si paga entro 5 giorni la sanzione viene ridotta del 30%. Se
però si superano i 10 km la multa sale a 173 euro con la detrazione
di tre punti dalla patente».
E benché ormai siano anni che in quel punto della circonvallazione
di Pinerolo, teatro in passato di incidenti mortali, ci sono le
telecamere, sono veramente tanti gli automobilisti che commettono
questa infrazione del codice della strada.
Il sindaco, Luca Salvai, per dare una risposta ai soliti post che
sui social bollano il Comune affermando che si finanzia con le
multe, esce allo scoperto, nella sala di rappresentanza non solo
comunica gli importi incassati, e quindi la cifra che ha messo a
bilancio, ma aggiunge: «Con le multe il Comune fa cassa. Se Fleximan
ci abbattesse l'autovelox addio alle luci di Natale e agli eventi
che sosteniamo ogni anno e non basta, perché saremmo costretti anche
ad aumentare le tasse e salirebbero le tariffe degli asili e le
mense».
Quando entra nel dettaglio e proietta una slide si vede che la cifra
iniziale messa a bilancio per le multe dell'autovelox è di quelle
importanti: 5 milioni e 390mila, che nel capitolo delle entrate del
Comune di Pinerolo viene subito sotto gli 8 milioni e 500 mila dell'Imu
e gli 8 milioni e 274 mila della Tari, gli incassi delle multe
sarebbero quindi poco superiori ai 4 milioni dell' Irpef.
Ma sotto a questa cifra corroborante per le casse comunali si
aggiungono una serie di altri importi che portano il segno meno,
prosegue Salvai: «Ci sono 751 mila euro fra le spese di gestione
dell'autovelox e quelle di riscossione, quindi scendiamo a 4 milioni
e 638 mila euro, ma non basta, dobbiamo tener conto del fatto che,
siccome l'autovelox è su una strada della Città metropolitana, il
50% degli incassi vanno a loro per interventi di sicurezza stradale.
Insomma dalla cifra iniziale, detratta la quota che dobbiamo mettere
a bilancio per far fronte ai casi di dubbia esigibilità, che è del
43%, il Comune potrà contare su un milione e 160 mila euro».
Ma non è solo l'autovelox a contribuire alla voce entrate, ci sono
anche le multe che vengono fatte in centro, un milione e mezzo di
euro, e anche in questo caso come per l'autovelox circa il 50% degli
incassi deve essere destinato ad interventi sulla sicurezza
stradale. Ricorda Mario Gatta, presidente della Globalconsumatori a
cui si sono rivolti alcuni automobilisti per intentare un ricorso:
«Certamente il codice della strada deve essere rispettato, ma anche
i Comuni devono rispettare le procedure quando installano gli
autovelox ed accertarsi che siano omologati».
13.02.24
Israele vieta l'ingresso alla relatrice Onu "Nega che il 7 ottobre è
un atto antisemita"
Israele ha deciso di negare l'ingresso nel Paese a Francesca
Albanese, relatrice speciale del Consiglio dei diritti umani
dell'Onu. La decisione, hanno fatto sapere i ministeri degli Esteri
e degli Interni, è legata «alle sue oltraggiosi affermazioni che "le
vittime del massacro del 7 ottobre non sono state uccise perché
ebree, ma in risposta all'oppressione israeliana"». Non è la prima
volta che Albanese e lo Stato ebraico si scontrano. «Il divieto di
ingresso da parte di Israele non è una novità - ha replicato la
funzionaria Onu -. Israele ha negato l'ingresso a tutti i relatori
specialidal 2008. Ciò non deve diventare una distrazione dalle
atrocità di Israele a Gaza, che stanno raggiungendo un nuovo livello
di orrore a Rafah». —
12.02.24
UN MIO ERRORE LA VISITA A GIANNI AGNELLI IN OSPEDALE A MONACO:
Un patrimonio estero mai
quantificato: forse, “l’altro” (e vero?) patrimonio di Gianni
Agnelli. Da aggiungere, a detta di sua figlia Margherita, a quello
dichiarato in Italia e che sarebbe stato sottratto ai suoi diritti:
attribuendolo a lungo alla madre Marella e tenendolo al sicuro in
società offshore.
Potrebbe diventare questa la pista più inaspettata, capace di
svilupparsi dall’inchiesta aperta dalla Procura di Torino per reati
fiscali e che vede indagati il presidente di Stellantis e ad di Exor,
John Elkann, oltre al commercialista della famiglia, Gianluca
Ferrero e al notaio svizzero, Urs von Grunigen.
In attesa di vedere che cosa troveranno i pm […], le notizie più
concrete su quei presunti paradisi fiscali arrivano proprio dalla
causa civile avviata il 6 ottobre 2022 a Torino sull’eredità di
Marella Caracciolo Agnelli, vedova dell’Avvocato, che contrappone
Margherita ai figli John, Lapo e Ginevra Elkann […]
NELLE MEMORIE di quel dibattimento, sono per paradosso gli stessi
avvocati dei fratelli Elkann, Luca Re ed Eugenio Barcellona, a
riconoscere l’esistenza di un patrimonio estero di Agnelli. Ma che
cosa hanno scritto i due legali? Un passaggio volutamente
sarcastico, per sminuire le tesi di Margherita: l’esistenza del
patrimonio estero sarebbe dunque un “segreto di Pulcinella” e non
una “scoperta straordinaria”. Un patrimonio, aggiungono, “che non
era stato dichiarato al fisco italiano”: “Quali fossero le ragioni
di questa mancata dichiarazione... non è affatto rilevante in questa
sede”.
Che cosa hanno scoperto, invece, gli investigatori privati di
Margherita? Sedici società offshore, tutte nelle Isole Vergini
Britanniche e con relativi conti in Svizzera presso la Morgan
Stanley Ag di Zurigo. Alcune cessate da tempo, molte costituite con
Gianni Agnelli ancora in vita, altre create subito dopo la morte e,
infine, in buona parte riconducibili a Marella Caracciolo.
Per dodici di esse è stato possibile raccogliere solo i dati
sull’anno di costituzione (tutte nel 1998) e le denominazioni.
Perlopiù in lingua inglese o spagnola e dichiarate come
riconducibili a “members of Agnelli family”. Molto più dettagliate,
al contrario, le informazioni sulle altre cinque: riferibili ogni
volta a Marella Caracciolo e, in un caso, con un patrimonio che
sfiora il miliardo di dollari.
Ecco dunque la Budeena Consulting Inc., costituita il 12 luglio
2004, con beneficiaria la vedova dell’Avvocato che avrebbe ricevuto
“questi beni derivanti da patrimoni degli Agnelli”. È stata anche
ricostruita una “cassa” di almeno 900 milioni di dollari.
Tocca poi alla Layton S.A.B.V.I., il cui conto di riferimento
svizzero era stato chiuso nel 2003. In due comunicazioni postume,
nel 2006, Marella era indicata come beneficiaria.
Centrale, in questa ricostruzione, è poi la Silkestone Invest
Corporation B.V.: attivata il 4 gennaio 2000, con conto sempre a
Zurigo. Una comunicazione del 15 marzo 2007 confermava che la
beneficiaria era la madre di Margherita.
Fu dal conto svizzero di Silkestone che vennero trasferiti alla
figlia, dopo l’accordo “transattivo” del 2004 sull’eredità del
padre, 109 milioni di euro come parte della sua liquidazione.
LA FIGLIA del “Signor Fiat” chiese chi avesse ordinato quel
pagamento, ma la risposta fu lapidaria: “Il titolare del conto ci
consiglia di non rispondere a questa domanda”. Strategica è anche la
Fima Finance Management Inc., domiciliata presso la Dragon
Consulting Ag (cessata nel 2017).
Quando i legali dell ’epoca di Margherita chiesero il 13 luglio 2007
a Morgan Stanley Zurigo se esistessero conti riferibili
all’Avvocato, scattò uno strano cortocircuito: sette giorni dopo, la
banca replicò dicendo che “Giovanni Agnelli è sconosciuto a questo
istituto”.
L’8 novembre successivo, invece, la stessa banca, interrogata su
Fima, affermava che “beneficiario” era stato proprio l’Avvocato. In
realtà, nel 2004 e prima degli accordi ereditari tra madre e figlia,
quel ruolo in Fima era già passato a Marella Caracciolo. Una
galassia offshore, dunque: ma quanto denaro ha “conservato” o ancora
“conserva”?
11.02.24
outlook negativo
Moody's declassa lo Stato ebraico "Rating da A1 a A2"
Moody's taglia il rating di Israele da A1 a A2, con outlook
negativo. Il downgrade è legato alla guerra che aumenta i
rischi politici per lo Stato ebraico e ne indebolisce le
istituzioni. «Al momento non c'è accordo per mettere fine alle
ostilità e manca un piano che possa ripristinare ed eventualmente
rafforzare la sicurezza in Israele», sottolinea Moody's. Benjamin
Netanyahu ha replicato che l'economia «è forte
Alla Mole 150 invitati per il compleanno del politico VIETTI
CAPO DELLA LOGGIA UNGHERIA ?. Gli amici: "Sarai il prossimo
sindaco". Lui: "Al massimo il vice di Favaro"
Da Marilyn Monroe a Gene Gnocchi I 70 anni di Vietti diventano uno
show
miriam massone
Il compleanno per i 70 anni di Michele Vietti potrebbe ricordare un
party alla Jep Gambardella, un po' Grande Bellezza e un po' Costa
Smeralda ormeggiata a Sanremo in questi giorni di festival. Le
paillettes ci sono, le décolleté e i gemelli pure, e poi i camerieri
in guanti, anche un ospite in tabarro nero, i vini giusti e i
candelabri, la dance Anni 70, lo show dei comici, i sorrisi bianchi,
la "riccanza" dell'Impresa, conquistata più che ereditata, e quella
consapevolezza di aver raggiunto l'età per cui non si può più
"perdere tempo a fare cose che non mi va di fare". Ma se quella di
Jep era una Roma sfrontata e un po' cafona, questa è la sobria,
elegante e sabauda Torino (neh). Un dettaglio? L'ora
dell'appuntamento: 20,20. Location: non una terrazza vista Mole, ma
la terrazza della Mole (il museo si può affittare per eventi
speciali a 12 mila euro). Parola d'ordine: "Con l'allegria e le
risate, vengano pure le vecchie rughe", Shakespeare. Si vola alto. I
regali? Donazioni al fondo Talea Compagnia di San Paolo. I 150
invitati sfilano puntuali: «Nessuna defezione - conferma commosso
Vietti, politico, ex vicepresidente del Csm, oggi professore alla
Lumsa - Io non sarei quello che sono senza di voi. Amici, siete il
mio dono più bello». C'è il gotha dell'industria, da Giorgio Marsiaj
a Marco Gay, ci sono Dario Gallina, Guido Bolatto e Vincenzo Ilotte.
E ancora, Paola Gribaudo ed Elisa Giordano. Giulio Biino, l'ex
rettore Guido Saracco, Fulvio Gianaria, l'attrice Sara D'Amario
(scatenata in balli da Pulp Fiction), Giovanni Quaglia, Gianluca
Vignale, dal mondo del vino Bruno Ceretto e Lamberto Vallarino
Gancia, da quello della sanità Carlo Picco e Giovanni Muto. Il
generale della Finanza Benedetto Lipari, la vicesindaca Michela
Favaro. E il presidente Alberto Cirio.
La serata è un luna park. Si sale con l'ascensore panoramico, poi la
foto come sul red carpet, quindi la cena nella sala del Tempio, tra
i mostri pop di Tim Burton e i memorabilia. I posti non sono
assegnati, ci si siede per affinità elettive. Accanto al festeggiato
ci sono, ad esempio, il prefetto Donato Cafagna, il ministro
Pichetto Fratin e il "padrone di casa", il presidente del museo Enzo
Ghigo che porta in dote un regalo da cinema, letteralmente: sul maxi
schermo scorrono spezzoni dei film preferiti da Vietti, si inizia
con 2001 Odissea nello spazio e si finisce con Pretty Woman.
Charlie Gnocchi («Ho conosciuto Michele 25 anni fa in una pizzeria
di Roma: ha una simpatia innata») tiene il ritmo, tra i ravioli ai
carciofi e la guancia di manzo (il catering è firmato Stratta), il
fratello Gene spunta prima della torta e per 10 minuti si ride:
«Volevano un comico stasera, doveva arrivare Toninelli ma è in
tournée con il suo spettacolo "Il tunnel del Brennero"». Passa anche
Piero Chiambretti, ma è alla Mole per altro.
Il festeggiato è luminoso. Canta Vecchio frack di Modugno, lui che
indossa le bretelle («Sono in tinta»). Poi Marilyn Monroe in video
intona Happy Birthday mister president. È l'ora del discorso. Vietti
sfila dalla tasca un biglietto con gli appunti. È un dejavu.
Nell'ultimo compleanno della "Torino che conta" il bigliettino è
diventato simbolo di un tragico epilogo: l'incipit del
Segre-Seymandi gate. Ma qui Love is in the air, canta Paul Young. Ed
è vero. «Sei l'amore della mia vita», dice Vietti alla moglie, il
notaio Caterina Bima. E ai figli di lei, Edoardo e Ludovica riserva
parole bellissime, si dice felice poi che ci siano anche i suoi, di
figli, Piero e Maria Margherita. Caterina lo bacia - «Tu non hai le
rughe» gli dice - e lo omaggia di un divertente pullover verde con
la scritta "I'm not a boomer". Lui si presta, ironico. Musica,
maestro. Prima, un selfie: «Sarai il futuro sindaco di Torino» gli
dice Gnocchi. Ma Vietti scappa: «Giammai! Per carità! Al massimo
farei il vice di Favaro».
10.02.24
Il test della Naf: le batterie alla prova delle basse temperature
Le elettriche e il gelo le auto cinesi vincono la sfida norvegese
Mattia Eccheli
Con appena 33 chilometri di percorrenza in meno rispetto a quella
dichiarata, la Gran Turismo di lusso cinese HiPHi Z – 5,2 metri di
lunghezza – è l'auto elettrica che soffre meno le basse temperature,
almeno in termini di autonomia. I chilometri dichiarati dalla casa
sono 555, quelli effettivamente percorsi lo scorso gennaio sono
stati 522: la discrepanza è appena del 5,9%.
Certo, non è un'auto economica (almeno 105 mila euro), ma a quanto
pare in termini di efficienza è valida. Lo ha attestato la Norges
Automobil-Forbund (Naf), l'associazione degli automobilisti della
Norvegia, che sottopone periodicamente a test nel ciclo reale le
vetture a zero emissioni che si possono acquistare nel paese.
Tutte vengono guidate lo stesso giorno, lungo il medesimo percorso e
nelle medesime condizioni (tra -2 e -10 gradi di temperatura) con
una singola carica. Le prove, indubbiamente empiriche e tuttavia
confrontabili, sembrano dimostrare quanto le tecnologie cinesi siano
all'avanguardia. Considerando lo scostamento percentuale, la metà
dei modelli che compaiono nella Top 10 arrivano dalla Repubblica
Popolare: diventano addirittura sei se si include il Suv britannico
da 5,1 metri Eletre, terza assoluta, della Lotus, uno dei marchi
controllati dalla Geely, la multinazionale dell'auto del Regno di
Mezzo.
Il veicolo d'Oltremanica sarebbe quarto per numero di chilometri
"persi" (65, 465 contro i 530 dichiarati), ma percentualmente cede
il 12,3% invece del 12% della Bmw i5, seconda con 61 km in meno (444
invece di 505). Nemmeno la vettura tedesca è alla portata di tutte
le tasche: non meno di 75 mila euro per 5,06 metri di lunghezza. È
sopra i 5 metri anche la Kia EV9, offerta a partire da 72.500 e
promessa con 505 km di autonomia, mentre nei test si è fermata a 442
(-12,5%).
Poi, nell'ordine, tre auto cinesi: il Suv da 4,89 metri Xpeng G9
(poco sotto i 60.000 euro di listino) e il Suv EL6 e la berlina ET5
della NIO, che percorrono 73 e 79 km in meno rispetto a quelli
dichiarati.
I tre modelli del Celeste Impero cedono percentualmente il 13,1, il
13,8 e il 14,1%. In ottava e nona posizione, ci sono altri due
modelli tedeschi premium da circa 84.000 euro e da poco meno e poco
più di 4,9 metri di lunghezza: i Suv Mercedes Eqe e la Audi Q8
e-Tron Sportback. Una vettura cinese chiude la Top 10: è la più
piccola (4,3 metri) fra le "migliori". Si tratta della BYD Dolphin
(35.500 euro) per la quale è stato rilevato il 20,6% di autonomia in
meno (339 km invece dei 427 annunciati).
Alcuni fra i modelli più compatti e i marchi generalisti non sono
riusciti a raggiungere gli stessi valori. La Hyundai Kona (113 km in
meno con una perdita del 24,9% dell'autonomia) o la Jeep Avenger
(-27,6% con 286 km percorsi rispetto ai 395 omologati) o la Opel
Astra (117 chilometri "sfumati", -28,3%).
Per 5 modelli è stata accertata una flessione attorno al 30% con un
picco del 32% per la Toyota bZ4X. Gli altri sono la Tesla Model 3
(441 km invece di 629, -29,9%), la Polestar 2 Long Range (-30% pari
a 184 km percorsi in meno), la Volvo C40 (-31%, 395 km anziché 572)
e Volkswagen ID.7, che con 194 chilometri coperti in meno (-31,9% su
608) è la vettura che cede più percorrenza in assoluto. Test
analoghi sono stati effettuati in altri paesi con risultati in
alcuni casi ancora peggiori (oltre il 50% di autonomia in meno). —
09.02.24
LA GUERRA DEL GAS : Lettera
di uno studio legale americano che difende alcune Ong palestinesi
contro Israele
Licenza per il giacimento di gas a Gaza Eni diffidata assieme ad
altre compagnie
GERUSALEMME
L'Eni e altre società petrolifere, hanno ricevuto una diffida da uno
studio legale che difende alcune Ong palestinesi, d'intraprendere
attività di esplorazione nelle zone marittime dinanzi alla striscia
di Gaza.
L'azienda petrolifera italiana, assieme alla inglese Dana Petroleum
(controllata dalla South Korea National Petroleum Company) e Ratio
Petroleum (una società israeliana), ha ottenuto lo scorso 29 ottobre
dal ministero dell'Energia israeliano una licenza per esplorare la
ricerca di gas naturale nello spazio di mare antistante l'enclave,
unico sbocco al mare palestinese, che secondo gli accordi di Oslo,
Ramallah controlla fino a 20 miglia nautiche dalla costa. Il
progetto rientra nel quarto round di offerte offshore e riguarda
l'esplorazione della "zona G". Questa è un'area il cui 62% rientra
nei confini marittimi dichiarati dallo Stato di Palestina nel 2019,
«in conformità con le disposizioni della Convenzione delle Nazioni
Unite sul diritto del mare (Unclos) del 1982, di cui la Palestina è
firmataria», come si legge nel comunicato delle Ong che si sono
rivolte allo studio legale americano Foley Hoag Llp. Israele non fa
parte dell'Unclos, ma ha risposto alle obiezioni sostenendo che,
poiché non riconosce la Palestina come Stato sovrano, la stessa non
può dichiarare i propri confini marittimi, secondo il principio che
solo gli Stati sovrani hanno il diritto alle zone marittime.
La cosa, secondo i legali, è in contrasto con il diritto
internazionale. La questione dello Stato palestinese è controversa.
Nel 1974 la risoluzione 3236 dell'assemblea generale dell'Onu
riconosce ai palestinesi il diritto a uno Stato proprio. Quattordici
anni dopo, nel novembre 1988, l'Organizzazione per la Liberazione
della Palestina proclamò la nascita dello Stato palestinese. Oggi
sono 139 su 193 gli stati membri dell'Onu che riconoscono la
Palestina come Stato. L'Italia, come Stati Uniti, Spagna,
Inghilterra, ovviamente Israele e altri, non ancora.
Per il diritto internazionale, Israele è potenza occupante della
Palestina, e controlla le sue aree marittime. Per i legali, la
pubblicazione della gara (Israele ha pubblicato anche bandi per zone
H ed E che pure inglobano aree marittime palestinesi) e la
concessione delle licenze, violano anche il diritto internazionale
umanitario, annettendo "de facto e de jure" delle aree marittime
palestinesi. Le Ong Adalah, Al Haq, Al Mezan e Pchr, hanno scritto
pochi giorni fa al ministro dell'energia israeliano, chiedendo di
revocare gare e licenze e di bloccare lo sfruttamento delle aree
palestinesi, ricordando che «l'esplorazione e lo sfruttamento del
gas nelle aree marittime della Palestina violano palesemente il
diritto fondamentale del popolo palestinese all'autodeterminazione».
Hanno anche notificato alle compagnie petrolifere, tra le quali
l'Eni, che procedere nell'esplorazione le rende complici di
saccheggio e quindi di crimini di guerra che, considerando la causa
in corso dinanzi alla Corte internazionale di Giustizia dell'Aja,
potrebbe coinvolgerli. Lo scorso 17 gennaio, intervistato da La
Stampa, Seyed Hossein Mousavian, ex capo del comitato relazioni
estere per la sicurezza nazionale di Teheran aveva riferito che
dietro la guerra a Gaza c'erano interessi economici da parte di
Israele, riprendendo anche uno studio condotto dall'Unctad
(Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo) secondo
cui «l'occupazione israeliana continua a impedire ai palestinesi di
sviluppare i propri giacimenti energetici in modo da sfruttare e
trarre vantaggio da tali risorse». Raggiunto al telefono da La
Stampa, il portavoce dell'Eni non ha voluto commentare la notizia.
Indagati il figlio John Elkann, il commercialista Ferrero e il
notaio svizzero Von Gruenigen per il suo ruolo di esecutore
testamentario
Eredità Agnelli, esposto di Margherita la procura di Torino apre
un'inchiesta
giuseppe legato
torino
Ci sono tre indagati per presunti reati tributari – precisamente
dichiarazione infedele - nell'ambito di un'inchiesta avviata dal
pool reati economici della procura di Torino, guidata dal
procuratore aggiunto Marco Gianoglio, che ieri ha portato militari
della Guardia di finanza a diverse acquisizioni di documenti a
Torino e in Svizzera nello studio dell'avvocato Urs Robert Von
Gruenigen. Quest'ultimo è uno degli «iscritti» per l'ipotesi di
reato di natura fiscale. Insieme a lui figura in concorso il
commercialista Gianluca Ferrero, attuale presidente della Juventus.
L'ultimo indagato è John Elkann amministratore delegato di Exor che
- sempre secondo le ipotesi degli inquirenti - avrebbe agevolato la
condotta mendace del commercialista.
Von Gruenigen come esecutore testamentario incaricato dal tribunale
elvetico di amministrare l'eredità di Donna Marella e Ferrero come
professionista - secondo l'ipotesi formulata dai magistrati -
sarebbero coloro che materialmente non avrebbero fatto figurare
nelle dichiarazioni dei redditi 2018 e 2019 in favore di Marella
Agnelli, moglie dell'avvocato Gianni Agnelli, deceduta il 23
febbraio 2019, circa 8 milioni di euro sui quali - sempre secondo la
procura di Torino - sarebbero sostanzialmente state evase le tasse
dovute al Fisco italiano. Una cifra che si aggira attorno ai 200
mila euro.
L'inchiesta - che al momento è in una fase di garanzia per gli
indagati - è nata nei mesi scorsi dopo che - pressappoco nella
primavera del 2023 - l'avvocato Dario Trevisan del Foro di Milano,
legale di fiducia di Margherita Agnelli de Pahlen, figlia di Gianni
e Marella Agnelli e mamma di John, Ginevra e Lapo, Elkann - ha
depositato a Torino un esposto in procura. Tra le diverse vicende
portate all'attenzione dei magistrati del capoluogo piemontese Mario
Bendoni (lo stesso che ha indagato sui bilanci della Juventus) e
Delia Boschetto, sostituti organici al pool reati economici, vi era
una corresponsione di denaro – regolarmente tracciata e non segreta
- fatta da Margherita alla madre Marella e maturata sulla scorta di
accordi transattivi e del patto successorio a loro volta legati al
testamento dell'Avvocato in base ai quali Margherita avrebbe
ottenuto 1,3 miliardi di euro (il suo patrimonio – secondo alcune
recenti stime - complessivo si attesterebbe attorno ai 3 miliardi).
Si tratterebbe di 500 mila euro annui versati dal 2004, dalla figlia
alla madre, a titolo di vitalizio, per una cifra complessiva di 8
milioni di euro circa. Da lì, dall'ipotesi denunciata da Margherita
di presunte irregolarità fiscali su quella somma, sono partiti gli
accertamenti degli inquirenti che adesso sollevano contestazioni di
garanzia. Una disfida dunque all'interno della famiglia avulsa da
interessi societari su Juventus, Stellantis e qualsiasi altra realtà
imprenditoriale. Da tempo, Margherita Agnelli sostiene che la madre
avrebbe trascorso in Italia gran parte del suo tempo, negli ultimi
anni della sua vita e che la residenza in Svizzera fosse
sostanzialmente fittizia, mentre gli avvocati dei tre fratelli hanno
sempre obiettato come la questione dovrebbe essere discussa in
Svizzera, paese in cui Marella aveva la residenza e viveva ormai da
40 anni. —
08.02.24
UN MODELLO CHE LA MELONI NON VUOLE CONDIVIDERE:
(ANSA) - TOKYO, 07 FEB - A poche settimane dall'apertura del primo
impianto in Giappone, la Taiwan Semiconductor (Tsmc) ha annunciato che
avvierà la costruzione della sua seconda fabbrica nel Paese, anche
questa nella prefettura di Kumamoto, a sud-ovest dell'arcipelago.
L'inizio dei lavori è previsto entro la fine di quest'anno, ha reso noto
il maggiore produttore al mondo di chip, con l'apertura attesa entro la
fine del 2027. Tra gli investitori ci saranno ancora una volta la
Toyota, che deterrà una quota di partecipazione di circa il 2%, insieme
a Sony Semiconductor Solutions e al produttore nipponico di componenti
auto Denso.
L'azienda taiwanese ha dichiarato che l'investimento complessivo
supererà i 20 miliardi di dollari, con il contributo del governo di
Tokyo che supererà di poco i 3,2 miliardi di dollari. I due nuovi
impianti combinati creeranno impieghi per oltre 3.400 lavoratori
altamente qualificati, rivela Tsmc, e produrranno semiconduttori per una
vasta gamma di applicazioni, compresi quelli per il settore automotive,
e chips con dimensioni che variano da 40 a 6 nanometri.
Separatamente l'esecutivo nipponico ha deciso di fornire assistenza
finanziaria alla fabbrica di chip giapponesi Rapidus, nella prefettura
settentrionale di Hokkaido e all'azienda statunitense Micron Technology,
nella prefettura di Hiroshima. Il ministro dell'Economia e
dell'Industria, Ken Saito, ha dichiarato durante una conferenza stampa
che ci si aspetta una "crescita significativa" nel mercato dei chip di
memoria, e che la produzione di chip attraverso la collaborazione con
gli Stati Uniti ha una "grande importanza" dal punto di vista della
sicurezza economica.
GLI AGRICOLTORI VOGLIONO LA LICENZA DI UCCIDERCI ?
In Italia usate 400 sostanze
Secondo i dati contenuti nel rapporto del Wwf del 2022, "Pesticidi:
una pandemia silenziosa", l'Italia è il sesto maggior utilizzatore
al mondo di pesticidi con 114.000 tonnellate l'anno di circa 400
sostanze diverse. A livello globale, nel 2019 sono state utilizzate
circa 4,2 milioni di tonnellate (0,6 chilogrammi a persona) con un
incremento previsto di circa 3,5 milioni di tonnellate. Boscalid,
Fludioxonil, Metalaxil, Imidacloprid, Captan, Cyprodinil e
Chlorpyrifos sono i pesticidi più diffusi negli alimenti campionati
in Italia. Il Chlorpyrifos è un principio attivo definito non sicuro
dall'Efsa (l'Autorità europea per la sicurezza alimentare) nel 2021.
A questo gruppo appartiene anche il glifosato, erbicida autorizzato
in Europa, il più utilizzato in Italia ma che il produttore ha
recentemente deciso di ritirare dal mercato Usa. Un'indagine
condotta da Legambiente ha rilevato che solo l'1,3% dei campioni di
frutta, verdura, prodotti animali e trasformati era fuorilegge,
ossia supera la quota massima di residuo consentita di queste
sostanze, spesso sospettate di essere cancerogene. Ma il 34% degli
alimenti presentava uno o più residui. Percentuale che sale al 40,2%
nella frutta, scende all'8,7% nei prodotti trasformati e risale al
14,8% nelle verdure, mentre è assolutamente residuale nella carne,
così come nel latte. Le cose vanno un po' meno bene per le uova,
dato che il 5% risulta essere contaminato dall'insetticida fipronil,
che può dare problemi solo se ingerito a forti dosaggi. Promossi a
pieni voti invece i prodotti biologici tra i quali nessuno è
risultato essere sopra le soglie consentite dalla legge, mentre
residui sono stati rintracciati appena nel 2,5% del campione.
Rischi di tumori e leucemie gravi
160%
I PERICOLI
Diciamolo subito in premessa: rischi per la salute dell'uomo
esistono solo quando i residui dei pesticidi negli alimenti
superano, spesso anche di un bel po', i limiti consentiti dalla
legge. E questo succede fortunatamente di rado. Anche se è più
difficile valutarne gli effetti quando, come sembra essere nel 18%
dei casi, si è esposti a un cocktail di fitofarmaci, sia pure a
piccole dosi. Un'indagine accurata sui pericoli per l'uomo,
attraverso la raccolta di numerosi studi internazionali, l'ha
condotta la sezione italiana dell'Isde, la Società dei medici per
l'ambiente. Effetti che sono stati identificati in: diminuzione
della fertilità maschile, danni alla tiroide, disturbi autoimmuni,
diabete, deficit cognitivi e comportamentali, malattie
neurodegenerative come il Parkinson, sviluppo puberale precoce.
Vari studi evidenziano anche una correlazione tra esposizione a
pesticidi e insorgenza dei tumori. Degli insidiosi linfomi
Non-Hodgkin si è rilevato un incremento dei casi del 160% per
esposizione all'insetticida lindano, del 25% per esposizione a
cynazina e del 280% in caso ci si sia esposti al diserbante
"acido-2,4-diclorofenossacetico".
Rischi statisticamente significativi di leucemia sono stati
riscontrati in 5 studi su 9, in due su due nel caso del mieloma
multiplo. Per esposizione a Fonofos (utilizzato soprattutto nella
semina) e a Methylbromide (utilizzato contro insetti e funghi) si è
dimostrato un rischio significativo di cancro alla prostata anche
fino a 3 volte l'atteso.
Un'eccessiva esposizione ai pesticidi sembra avere una correlazione
anche con l'insorgenza di tumori nell'infanzia, vista la loro più
alta incidenza riscontrata in un'ampia coorte di figli di
agricoltori americani.
ERA ORA: L'Ue avvia la procedura contro l'Ungheria "L'ufficio per la
sovranità va contro i diritti"
Emanuele Bonini
Bruxelles
Stato di diritto e diritti fondamentali, l'Unione europea torna
all'attacco dell'Ungheria di Viktor Orban, eccessiva nelle sue
logiche di sovranismo. La legge che istituisce un ufficio per la
difesa della sovranità «rischia di danneggiare seriamente la
democrazia» nel Paese, spiega Anitta Hipper, portavoce della
Commissione europea nell'annunciare l'avvio della procedura
d'infrazione contro il Paese, il suo governo, e la sua maggioranza.
Bruxelles boccia il dipartimento incaricato di indagare quello che
fanno in Ungheria soggetti stranieri, soprattutto se svolte
nell'interesse di un altro Stato o di un organismo,
un'organizzazione o una persona fisica. C'è anche la questione
legata alle consultazioni elettorali, perché l'ufficio al centro
della contestata legge ungherese intende, secondo le intenzioni del
legislatore nazionale, indagare sulle attività che utilizzano
finanziamenti esteri sulla presunzione per cui questi soldi possono
essere usati per influenzare l'esito delle elezioni o la volontà
degli elettori.
«La Commissione considera tutto questo contrario alla legislazione
europea», taglia corto Hipper, che cita nello specifico la legge per
la protezione dei dati personali, oltre al mancato rispetto dei
diritti elettorali. Quest'ultimo aspetto consente l'apertura
dell'infrazione per violazione dello Stato di diritto, ma non è
l'unico elemento. Perché la procedura, si legge nella nota di
accompagnamento alla decisione, la legislazione sarebbe anche
contraria aòla libertà di espressione e di informazione, la libertà
di associazione, il diritto al rispetto della vita privata e
familiare.
La Commissione europea ha agito con una celerità ad una legge
adottata dal parlamento ungherese il 12 dicembre 2023 ed entrata in
vigore il 22 dicembre 2023. Dopo neppure due mesi arriva la
procedura d'infrazione, a riprova di quanto assicurato, non più
tardi di due giorni fa (5 febbraio), dalla commissaria per i Servizi
finanziari, Mairead McGuinness, nel corso del dibattito su Ilaria
Salis nell'Aula del Parlamento europeo: «Non esiteremo ad avviare
una procedura d'infrazione in caso di violazione del diritto
unionale». Così è avvenuto nel caso in questione, e lo stesso
potrebbe accadere per le condizioni carcerarie di Ilaria Salis, la
maestra italiana accusata di aggressione a simpatizzanti di estrema
destra a Budapest, per cui la procura ha chiesto 11 anni di carcere.
Dopo le immagini dell'accusata in catene e con il guinzaglio
nell'aula di tribunale di Budapest, l'esecutivo comunitario ha
promesso le verifiche del caso.
Il regime carcerario è competenza degli Stati membri, ma la carta
dei diritti fondamentali prevede che nell'ambito del diritto
dell'Unione europea le condizioni di detenzione non violini i
diritti fondamentali. Inoltre tutti gli Stati membri dell'Ue sono
tenuti, perché impegnati formalmente, a rispettare tutti i criteri
in materia di dignità di trattamento dei carcerati definiti dal
Consiglio d'Europa, organismo internazionale non Ue a cui i 27
aderiscono e con cui cooperano. Ci potrebbero dunque essere gli
estremi di interventi e provvedimenti. L'Ungheria di Victor Orban
resta un sorvegliato speciale, e l'infrazione di oggi lo dimostra
una volta di più.
Anche Borrell finisce nel rifugio antiaereo "La migliore garanzia è
l'ingresso nell'Ue": TERZA GUERRA MONDIALE.
giuseppe agliastro
mosca
Un'altra tremenda raffica di missili e droni si è abbattuta
sull'Ucraina. Il bilancio ufficiale delle vittime al momento è di
cinque morti e quasi 50 feriti, di cui almeno 40 nella sola Kiev,
dove il raid ha lasciato temporaneamente senza energia elettrica
diverse aree della città. Ed è sempre nella capitale ucraina che si
registra il maggior numero di morti: le autorità denunciano che
almeno quattro civili sono stati uccisi nel bombardamento a causa
dei rottami di un missile che, precipitando, hanno colpito un
palazzo di 18 piani provocando un terribile incendio. Un'altra
persona sarebbe morta a Mikolayiv, nel sud dell'Ucraina, ma
bombardamenti si registrano anche nelle regioni di Kharkiv, nel
nord-est, Leopoli, nell'ovest, e Cherkasy, nel centro del Paese.
Il capo di Stato maggiore dell'esercito ucraino Valery Zaluzhny
sostiene che le truppe del Cremlino abbiano sparato 64 tra missili e
droni e che la contraerea ne abbia abbattuti 44. Da parte sua, Mosca
afferma di aver abbattuto sette missili e due droni ucraini sulla
regione russa di Belgorod e che due civili siano rimasti feriti
nella cittadina di Shebekino.
A Kiev gli allarmi antiaerei hanno iniziato a suonare ancor prima
che albeggiasse, costringendo la gente a correre nei rifugi e nelle
stazioni della metropolitana. Anche Josep Borrell racconta di aver
iniziato la giornata in un rifugio antiaereo. Il capo della
diplomazia europea ha incontrato a Kiev il ministro degli Esteri
ucraino Dmytro Kuleba, che è tornato a premere sull'Ue chiedendo
«misure urgenti» per aumentare le forniture di proiettili
d'artiglieria, e che poi - di fronte alle resistenze dei
repubblicani negli Usa - ha anche definito "confusa" la situazione
del sostegno americano all'Ucraina invasa dalle truppe russe. Ieri
inoltre il Parlamento ucraino ha approvato in prima lettura (ma ne
servono tre e le discussioni potrebbero andare avanti settimane) un
progetto di legge oggetto di vivaci dibattiti (e di dure critiche da
parte di alcuni politici) che mira a reclutare più soldati e
prevede, tra le altre cose, di ridurre da 27 a 25 anni l'età minima
alla quale si può essere richiamati sotto le armi.
LA CARRIERA UNIVERSITARIA DI GIUSEPPE CONTE
Dopo la laurea alla Sapienza in diritto privato (per vedere la tesi
ci vuole l’autorizzazione dell’autore!), Conte non va a lavorare ma
resta in università come Cultore della materia del suo prof.
Giovanni Battista Ferri a Roma. È un ruolo che non prevede
stipendio, a volte rimborsi della facoltà per somme modestissime.
Dopo quattro anni, nel 1992-93 ottime una borsa del CNR. Seguono
generiche “attività di ricerca” all’estero: Conte cita le università
di Yale, la Sorbonne e la New York University, presso le cui
biblioteche, comunque, Conte non lascia scritti.
Nell’aprile 1998 Conte diventa ricercatore universitario alla
Facoltà di Firenze. Non sono pubblici (ma dovrebbero esserlo,
invece) i giudizi della Commissione visto che in dieci anni dalla
laurea Conte ha prodotto due soli testi: “Il volontariato. Libertà
dei privati e mediazione giuridica dello Stato” e "Matrimonio civile
e teoria della simulazione" che sono stampate per il concorso
(circolazione assente, senza Isbn oggi non sarebbero presentabili) e
due articoletti di poche pagine (intitolati entrambi “Appunti...”)
in testi che raccolgono autori diversi.
Dopo due anni dalla nomina a ricercatore (circa 1.200 euro al mese
di stipendio), si diventava, in genere, ricercatori confermati. Nel
caso di Conte, invece, dopo due anni e due mesi, nel giugno del
2000, diventa già incredibilmente professore associato. La cosa è
veramente incredibile perché nel biennio Conte pubblica solo "La
simulazione del matrimonio nella teoria del negozio giuridico",
1999), riproposta del precedente libro utilizzato per il concorso da
ricercatore.
Inoltre, ha scritto sei commentini ad articoli del Codice (in genere
diritto privato), di meno di una decina di pagine ciascuno, tre dei
quali in volumi a cura di Guido Alpa (sono “Commentario al testo
delle disposizioni...”, Padova 1998 e “I contratti in generale”,
Torino, 1999, “Codice del consumo e del risparmio”, Milano 1999).
Solo nel 2001, tredici anni dopo la laurea, Conte pubblicherà un
vero e proprio libro, “Le regole della solidarietà”, Roma, 2001.
Questo libro deve essere un capolavoro, sebbene non pare essere un
best seller nell’indice delle citazioni che si usa (sistema
discutibile) per valutare la ricaduta di un testo scientifico.
Sta di fatto che basta questo per vincere l’idoneità a professore
ordinario a Caserta nel luglio del 2002 con un concorso con
commissario il prof. Guido Alpa (unica volta in cui Alpa risulta
commissario in un concorso di ordinariato) presso il cui studio
Conte lavora, a Roma: attesterebbe il fatto la lettera inviata
congiuntamente il 29 gennaio 2002 dal Garante alla privacy agli
avvocati “Alpa e Conte, viale Sardegna 38, Roma” e la targa sul
campanello.
In quel concorso gli idonei sono due: quello di sede, che entra in
cattedra a Caserta e, appunto, Conte, che in quanto idoneo viene poi
chiamato a Firenze. Tutto arci-italiano: passano il mio e il tuo
candidato. Se non fosse che i 5 Stelle hanno preso i voti al grido
di “onestà” e “meritocrazia” mentre l’art.51 del codice civile
prevede, come da recente pronunciamento dell’Autorità Anticorruzione
“che non deve esserci una collaborazione professionale”.
L’Opac Sbn, il catalogo ove sono elencati tutte le pubblicazioni
presenti nelle biblioteche del nostro Paese (quindi tutte le
pubblicazioni contemporanee perché c’è l’obbligo di depositarle),
alla voce Giuseppe Conte/diritto, ne enumera una miseria, e tutte
successive a quando Conte era già stato messo in cattedra: abbiamo
una monografia, “L’impresa responsabile” (Gioffrè), due a doppia
firma con Guido Alpa (“La responsabilità di impresa” e “Diritti e
libertà...”, ma la prima stampata da una tipografia romana), la
cura, con altri, di un testo uscito in Germania (“Worterbuch...”) e
cinque interventi in libri a cura di...
07.02.24
L'Unrwa sotto la lente di una commissione
Le Nazioni Unite hanno nominato ieri una commissione indipendente
per valutare la neutralità dell'Unrwa nell'attacco di Hamas contro
Israele il 7 ottobre. L'agenzia che si occupa dei profughi
palestinesi è nel mirino dopo l'inchiesta che ha fatto emergere che
12 suoi dipendenti avrebbero partecipato in varie forme ai massacri
del 7 ottobre.
La commissione, nominata dal Segretario Generale Antonio Guterres
(nella foto), sarà guidata dall'ex ministra francese Catherine
Colonna in collaborazione con tre centri di ricerca (l'Istituto
Raoul Wallenberg in Svezia, l'Istituto Chr. Michelsen in Norvegia e
l'Istituto danese per i diritti umani), indica un comunicato
dell'Onu. Nel rapporto finale la commissione dovrà, se necessario,
sottoporre proposte per «migliorare i meccanismi in atto» per il
funzionamento dell'organizzazione. La nomina della commissione è
stata decisa in consultazione con il Commissario generale di Unrwa,
Philippe Lazzarini, che ne aveva fatto richiesta: i compiti saranno
di valutare se l'agenzia stia facendo tutto ciò che è in suo potere
«per garantire la sua neutralità e per rispondere alle accuse di
gravi violazioni in caso queste avvengano»
06.02.24
Gabriele, manager licenziato da Invitalia, è accusato di corruzione
e traffico di influenze. Sequestrati dalla Guardia di Finanza anche
230 mila euro Le tappe
Arrestato il figlio dell'ex ministro Visco "Rete di relazioni al di
fuori delle regole"
Grazia Longo
Roma
Le mazzette chiamate «pasta» per ingannare l'orecchio investigativo,
i contanti consegnati in una «cartellina o una busta azzurra»,
regali come un iPhone da 1.300 euro, fatture false per 230 mila euro
spartiti con un avvocato amico con cui pagare «le rate della Bmw, la
spesa, la farmacia, le toelette per il cane» e la ricerca di «amici
politici per scalare i vertici di Invitalia».
Nelle 67 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare della gip Maria
Gaspari i reati di corruzione e di influenze illecite per l'appalto
pilotato di una diga di oltre 4 milioni di euro vedono come deus ex
machina Gabriele Visco, 51 anni, figlio dell'ex ministro Ds delle
Finanze Vincenzo ed ex dirigente di Invitalia (Agenzia nazionale per
l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa). È finito
agli arresti domiciliari come è accaduto ai suoi tre presunti
complici: l'avvocato romano Luca Leone e gli imprenditori Pierluigi
Fioretti, ex consigliere comunale di Alleanza Nazionale in
Campidoglio, e Claudio Favellato di Isernia, che lavora nel campo
della costruzione di reti idriche, strade e sistemazioni idrauliche.
È stato inoltre attivato un sequestro preventivo di 230 mila euro.
L'inchiesta della procura di Roma, guidata da Francesco Lo Voi, si è
sviluppata grazie alle indagini del Nucleo speciale polizia
valutaria della Guardia di finanza, che ha scoperto «una rete di
relazioni al di fuori delle regole». Secondo l'accusa Gabriele Visco
avrebbe favorito Favellato, con la mediazione di Fioretti, a vincere
la gara per la diga, e avrebbe cercato di far assumere il figlio di
un suo amico in Invitalia (senza però centrare questo obiettivo) per
cui si ipotizza il reato di traffico di influenze. Mentre per la
falsa consulenza di Visco all'avvocato Leone, con cui si sarebbe
diviso i soldi delle false fatture, si profila l'accusa di
corruzione.
Ecco allora l'ex dirigente di Invitalia rivendicare con ingordigia
«maggiori e più concrete utilità da parte di Favellato».
Intercettato mentre parla di lui con Fioretti gli chiede: «Ma
mercoledì quello scemo lo vedemo? Ce porta a pasta? Ce porta a
pasta». Visco punta anche a far carriera in Invitalia e chiede ai
due imprenditori, che rivendicano «amicizie con politici» di
aiutarlo nella crescita professionale. Fioretti e Favellato
garantiscono di fare pressione in questa direzione e «vantano un
rapporto con persone che lavorano a fianco del ministro Urso (viene
fatto il nome di Federico Eichberg o sottosegretari come il senatore
Claudio Barbaro) e con l'ex sindaco di Roma Gianni Alemanno». Tutte
persone estranee all'inchiesta. E non si deve neppure escludere
l'ipotesi che stessero millantando queste «amicizie».
Lo scopo di Visco Jr è che i politici intervengano
sull'amministratore delegato di Invitalia Bernardo Mattarella,
nipote del Presidente della Repubblica, che non ha nulla a che fare
con le indagini. Visco insiste molto su questo tasto: «Se potete fa'
du' telefonate a qualcuno che alza il telefono, chiama il mio
amministratore… guardate Gabriele è bravo». E fa capire che se non
riesce a fare carriera «non riuscirà a essere funzionale agli
interessi degli imprenditori». Infatti dice: «Perché sennò, se non
riesco ad occuparmi… tutto quanto… io non riesco andà a fa' quello
che interessa».
I politici sono un chiodo fisso anche degli imprenditori. Fioretti,
conversando con Favellato, in merito all'appalto vinto afferma:
«Adesso abbiamo vinto quella cosa l'ho fatta, mi è sembrato che
Rocca (presidente della Regione Lazio) era favorevole, mo' vediamo,
lo sai com'è, all'inizio è sempre un po' un casino». Anche in questo
caso va precisato che Rocca è estraneo alle indagini.
La fame di tangenti di Gabriele Visco, secondo i magistrati, non si
è fermata neppure dopo il licenziamento da parte di Invitalia, il 12
aprile 2023. L'ex manager affermava infatti: «Mo' riscuoterò tutti i
crediti che c'ho da riscuotere in giro per carità... quello è il
minimo». E quando termina il suo rapporto professionale Visco si
preoccupa principalmente che non venga scoperta la falsa consulenza
che aveva affidato all'amico avvocato Luca Leone. Ma in ufficio
qualcuno sospettava: una collega intercettata definisce quella
collaborazione come «una marchetta». Ci sono 19 «giroconti» riferiti
ai prelievi su una carta tedesca comune a Visco e Leone, di cui
quest'ultimo scrive su numerosi messaggi WhatsApp, mentre il primo
li ha cancellati dal suo cellulare. — Chi è vicino all'ex ministro
delle Finanze Vincenzo Visco, 82 anni, lo definisce turbato e
profondamente provato per l'arresto del figlio Gabriele. Al telefono
rivela un mix di emozioni tra lo sconcerto di un padre e la capacità
di mantenere i nervi saldi di un esperto uomo politico. Gentile, con
la voce pacata, commenta in modo amaro quanto accaduto: «La notizia
mi ha colto di sorpresa, non ho potuto parlare con mio figlio perché
è ai domiciliari, ma soltanto con il suo avvocato che incontrerò di
persona domani (oggi per chi legge, ndr). Al momento non abbiamo
dettagli sui motivi all'origine dell'arresto».
Ma lei si sente tranquillo? «No, non sono tranquillo perché quella
dell'arresto è una notizia inattesa e impensabile».
Vincenzo Visco è professore di Scienza delle Finanze. Ha insegnato
presso le Università di Pisa, Luiss e Roma La Sapienza. È stato
ministro delle Finanze dal 1996 al 2000 (governi: Prodi I, D'Alema I
e D'Alema II; lo era già stato per pochi giorni soltanto nel 1993
con il governo Ciampi), Ministro del Tesoro, del Bilancio e della
Programmazione economica dal 2000 al 2001 (governo Amato II) e vice
ministro dell'Economia con delega alle Finanze dal 2006 al 2008
(governo Prodi II). La sua vita parlamentare è durata 25 anni e 7
legislature: entrò a Montecitorio nel 1983 come indipendente di
sinistra (nelle liste del Pci). Venne rieletto nel 1987 e divenne
componente della Commissione Finanze e Tesoro. È stato ministro
delle Finanze del governo ombra di Achille Occhetto dal 1989 al
1992. Ha sostenuto la svolta della Bolognina che ha trasformato il
Pci in Partito Democratico della Sinistra; con la nuova formazione
politica Visco è stato eletto senatore nel 1992. Nel 1992 diviene
membro della Direzione e coordinatore delle politiche economiche del
Pds.
Suo figlio Gabriele Visco è, invece, entrato in Invitalia dopo
un'esperienza a Telecom nel luglio del 2007. Ha cominciato come
semplice consulente per scalare in fretta i gradini e diventare in
breve tempo dirigente della società partecipata, nel periodo in cui
era guidata da Domenico Arcuri. La sua ascesa professionale ha
scatenato non poche polemiche proprio a causa della parentela con il
famoso padre. Infatti la Spa in cui ha lavorato fino allo scorso
aprile - che si occupa di attrazione di investimenti e sviluppo
d'impresa - è controllata dal dicastero di Via XX Settembre, dove
all'epoca il padre Vincenzo ricopriva l'incarico di vice ministro.
L'avvocato difensore di Visco Jr, Leo Mercurio, al momento
preferisce non rilasciare commenti. Invitalia, invece, ha diffuso
una nota in cui sottolinea: «Con riferimento alle vicende che
chiamano in causa un ex dipendente, Invitalia precisa di aver
cessato ogni rapporto di lavoro con il signor Gabriele Visco a
inizio 2023. L'Agenzia è a disposizione delle autorità inquirenti
per fornire tutte le informazioni e i documenti necessari e valuterà
ogni possibile azione al fine di tutelare la propria posizione come
parte lesa». Viene inoltre ribadito che il rapporto professionale «è
stato risolto consensualmente per motivi legati alle prestazioni»
LA LICENZA DI UCCIDERE ELETTORALE ZAPPA SUI PIEDI DELLA LEGA :
L'ultimo è l'orso M90. Abbattuto. La colpa? Si era avvicinato
troppo a una coppia di fidanzati che se ne andava a passeggio su una
strada forestale nel Comune di Mezzana, in Val di Sole. Era arrivato
a una decina di metri di distanza dai due, per poi subito
allontanarsi per i fatti suoi. Non è bastato. Perché aveva dei
precedenti, l'ignaro animale, e si era già avvicinato a centri
abitati, con frequentazioni non richieste «di strade urbane e
periurbane», come si legge nell'ordinanza. Anche senza far niente,
ma non importa. Aveva un radiocollare dalla notte tra il 14 e il 15
settembre 2023. Ed erano stati segnalati 12 avvicinamenti a centri
abitati e tre casi, che, nel linguaggio ermeticamente burocratico di
questi provvedimenti, rientrano «nella fattispecie 16 del Pacobace».
Traduzione: «Orso segue persone». Che poi lo faccia per vedere se
hanno del cibo da offrigli o per chissà che altro, perché magari non
ritiene gli umani pericolosi, chi lo può dire? Lui, invece, in base
a questi pregressi è stato ritenuto altamente «pericoloso». E il
presidente della Provincia Autonoma di Trento Maurizio Fugatti non
ha esitato a firmare l'ordinanza di abbattimento. Anzi, quasi
neanche il tempo di informare chi di dovere, che il Corpo Forestale
aveva già assolto il compito. Scatenando un bel po' di polemiche.
Anche perché di tutti gli episodi citati, sono solo due quelli con
testimoni: il primo su una statale, un mese fa, quando era stato
avvistato alle prime ore dell'alba da un automobilista, ma senza
nessuna conseguenza. Il secondo è quello dei due fidanzati, che
invece si erano spaventati.
Va ricordato che proprio vicino a Mezzana si trova Caldes, il paese
dove nell'aprile dell'anno scorso un'orsa aveva aggredito e ferito e
ferito a morte il runner Andrea Papi. Da allora è partita la caccia
all'orso, a torto o a ragione. Certo è che oggi, per quest'ultimo
abbattimento, le critiche arrivano anche dal ministro dell'Ambiente,
Gilberto Pichetto Fratin, che ha tenuto a sottolineare come la
soppressione non possa essere «l'unica alternativa», ma piuttosto
«una soluzione estrema», dichiarando poi di aver «mobilitato tutte
le strutture che fanno capo al ministero per definire una strategia
tempestiva», così da individuare in futuro soluzioni che
garantiscano «una convivenza pacifica nei territori». C'è un po' di
politichese, ma non sembrano frasi di elogio. Molto più duri,
ovviamente, gli animalisti. L'Organizzazione internazionale per la
protezione degli animali: «Quella della provincia autonoma di Trento
è una politica miope e nemica degli animali, che non tutela la
biodiversità. Il presidente Fugatti è sordo anche alle istanze
dell'opinione pubblica». La Lega antivivisezione: «Mentre
pubblicavano il decreto erano già pronti con le carabine per
impedirci di difendere l'orso». Massimo Vitturi: «Una caccia
all'orso, una vera e propria esecuzione, studiata a tavolino per
uccidere M90, un giovane orso di appena tre anni da poco
indipendente dalla madre».
Gli animalisti hanno già indetto una manifestazione di protesta. In
prima fila sul banco degli imputati, loro hanno messo soprattutto
lui, Maurizio Fugatti. «Bisogna fermarlo», urlano, Dalla fine di
aprile 2023, dopo la morte di Andrea Papi, al mese di ottobre,
secondo il Wwf, nella Provincia di Trento erano già stati rinvenuti
7 orsi morti, più di uno al mese. Una sorta di strage che in pratica
ha colpito circa il sette per cento dell'intera popolazione di
questi animali fra le montagne del Trentino, che era stimata intorno
ai cento individui. Da allora non si può dire certo che la
situazione sia migliorata: da un lato, sostiene il Wwf, si sono
succedute continue campagne di allarmismo sui grandi carnivori «e
dall'altro il presidente Fugatti si è contraddistinto per la
compulsiva emanazione di ordinanze finalizzate alla cattura e
all'abbattimento di orsi, ma anche di lupi. «Quello che emerge
chiaramente, alla fine, è che la gestione di questa specie da parte
della provincia Autonoma sta mostrando grosse carenze mettendo
seriamente a rischio il futuro degli orsi bruni sull'arco alpino».
Dal 2000 a oggi invece dovrebbero essere stati 50 gli orsi uccisi,
per lo più dai bracconieri. In ogni caso nell'elenco di tutti gli
orsi morti, uccisi e non, con provvedimento o senza, non c'è l'orsa
JJ4, proprio quella accusata di aver ucciso il runner Andrea Papi. È
rinchiusa nel centro faunistico di Casteller, in attesa che decidano
del suo futuro. Una cosa è certa: M90 è stato molto meno fortunato.
LICENZA DI UCCIDERE CON L'ACQUA : Acque potabili
contaminate da Pfas nella provincia di Alessandria e in oltre 70
comuni della città metropolitana di Torino, incluso il capoluogo. La
rivelazione è contenuta in un nuovo report di Greenpeace.
L'analisi dell'associazione ambientalista si basa su dati ufficiali
degli enti pubblici piemontesi ottenuti tramite istanze di accesso
agli atti. L'altro dato che emerge dal report è che per la maggior
parte delle province piemontesi, invece, non esistono dati. Gli enti
pubblici non li raccolgono. I Pfas sono un gruppo di oltre 4.700
sostanze chimiche artificiali (Ocse, 2018), le due più note sono il
Pfoa (acido perfluoroottanoico) e il Pfos (acido
perfluoroottansolfonico). Di recente la Iarc, l'agenzia dell'Oms per
la ricerca sul cancro, ha pubblicato uno studio circa la loro
cancerogenicità: il Pfoa è stato classificato come cancerogeno
certo, il Pfos come possibile cancerogeno. Utilizzati sin dagli anni
‘40 del secolo scorso per molti usi industriali, ad esempio per
l'impermeabilizzazione di tessuti o pentole antiaderenti, i Pfas
(acidi perfluoroalchilici) sono resistenti ai processi naturali di
degradazione. Un documento dell'Agenzia Europea per l'Ambiente
(dicembre 2019) sintetizza il rischio sanitario derivante dalla loro
contaminazione. Nel 2020 Efsa (l'autorità europea per la sicurezza
alimentare) ha stabilito una dose massima settimanale di assunzione
pari a 4,4 nanogrammi per chilo di peso corporeo per 4 sostanze (Pfoa.
Pfos, Pfna e PfhxS) appartenenti al gruppo dei Pfas.
Un'inchiesta di Le Monde ha ricostruito un anno fa la mappa della
contaminazione europea da Pfas. Tra le zone contaminate note ci sono
anche il Nord Italia e il Piemonte. «Per questo, dopo Veneto e
Lombardia, abbiamo iniziato a chiedere dati agli enti piemontesi con
la procedura dell'accesso agli atti per avere un'idea dei livelli di
Pfas presenti nell'acqua pubblica», spiega Giuseppe Ungherese,
responsabile della campagna Inquinamento approdato a Greenpeace dopo
anni da ricercatore universitario, con un dottorato in
ecotossicologia, esperto di economia circolare e inquinamento. A
fine luglio 2023 Greenpeace ha inviato 43 richieste alle otto Asl
regionali, alla direzione generale di Regione Piemonte, ai 29
gestori del servizio idrico integrato e a cinque comuni che
gestiscono autonomamente la propria rete potabile. «Solo 10 enti,
pari al 23% del totale - riferisce Ungherese - hanno risposto
positivamente inoltrando copia delle analisi effettuate; 10 tra
comuni ed enti non hanno invece risposto; 11 tra Asl e gestori hanno
giustificato l'assenza di dati con il fatto che la direttiva europea
(che fisserà anche in Italia nuovi limiti di concentrazione nelle
acque potabili, ndr) entrerà in vigore solo nel 2026 e fino ad
allora quindi non occorrono monitoraggi; 8 tra Asl e gestori si sono
giustificati sostenendo che non sono in vigore leggi che impongono
dei limiti alla presenza di Pfas nelle acque potabili (vero, ndr);
due gestori hanno infine comunicato come la ragione dei mancati
controlli fosse riconducibile a una specifica richiesta di Arpa
Piemonte di non ricercare i Pfas nell'acqua potabile ovunque ma solo
nelle aree a maggior rischio». Il 28 agosto 2023 la Regione Piemonte
ha risposto così alla richiesta di dati: «Le informazioni richieste
non sono in nostro possesso». Il 21 marzo 2023 è stato votato il
decreto legislativo 23 febbraio 2023 n. 18, che ha recepito la
direttiva europea (2020/2184/UE) per le acque destinate al consumo
umano. Sarà in vigore solo dal 12 gennaio 2026 e introdurrà una
nuova soglia: la concentrazione massima di Pfas dovrà essere pari a
100 nanogrammi/litro per la somma di 24 sostanze (0,1
microgrammi/litro). Per altri due anni quindi non ci saranno vincoli
da rispettare e a quanto emerge dal report nemmeno gli enti locali,
nonostante i sempre più numerosi studi scientifici, hanno adottato
misure di controllo e prevenzione a tutela pubblica.
In alcuni Paesi europei, che come noi hanno recepito la direttiva
europea, le cose stanno invece andando in maniera differente. «La
Danimarca ha messo un valore limite pari a 2 nanogrammi nell'acqua
potabile, la Svezia 4, le Fiandre 4, la Germania lo metterà a 20,
cioè sotto il valore che ha fissato l'Europa. Gli Stati Uniti
addirittura hanno proposto come valore soglia lo zero tecnico, che
per alcune sostanze diventa 4 nanogrammi per litro - spiega
Ungherese -. Un valore scelto per consentire a tutti i laboratori
sul territorio americano di rilevare tali concentrazioni». Insomma,
come sempre quando si parla di rapporto tra inquinamento e salute,
c'è uno scollamento tra quello che dicono le norme e ciò che ha
stabilito la scienza. Dei 671 campioni di acqua a uso potabile di
cui gli enti locali hanno condiviso i dati con Greenpeace Italia -
analizzati tra il 2019 e il 2023 - nel 51% è stata riscontrata la
presenza di Pfas, con le maggiori positività nella provincia di
Alessandria. In questa area cinque comuni, lungo il torrente Scrivia,
hanno evidenziato la presenza degli inquinanti in tutti i prelievi
effettuati in questi anni: Alzano Scrivia, Castelnuovo Scrivia,
Molino dei Torti, Guazzora e Tortona. «Ma la situazione
dell'Alessandrino era nota, ci aspettavamo questi dati - è sempre
Giuseppe Ungherese ad illustrare le tabelle -. La sorpresa è stata
trovare Pfas in 77 comuni sui 291 della città metropolitana di
Torino».
Nello specifico, per la città metropolitana di Torino, il 45% dei
campioni è risultato positivo alla presenza di Pfas. Greenpeace ha
realizzato anche 15 prelievi autonomi nelle otto province piemontesi
da fontane pubbliche di parchi giochi. «Le analisi eseguite da un
laboratorio indipendente accreditato hanno evidenziato la presenza
di Pfas in 5 campioni su 15». C'è da dire, per correttezza e per non
fare allarmismi inutili, che a parte un caso (ad Alzano Scrivia la
presenza di Pfoa riscontrata è di 120 nanogrammi per litro, ovvero
sopra il limite che dal 2026 diventerà legge) i dati raccolti sono
tutti sotto i 100 nanogrammi: «Ma questo - accusa Ungherese - non
può rassicurare viste le più recenti evidenze scientifiche che
identificano seri rischi per la salute umana. Ricordiamo che per le
sostanze cancerogene non esistono soglie sicure: dovremmo fare come
Danimarca, Germania, Stati Uniti. Non accontentarci di aspettare il
2026 per vedere entrare in vigore un limite altissimo che non mette
in sicurezza la cittadinanza». La Asm, il gestore dell'acqua
potabile di Vercelli, ha motivato l'assenza di dati specificando che
nel «Piano Regionale Integrato dei controlli di Sicurezza Alimentare
Prisa 2019» è Arpa Piemonte che ha ritenuto «sufficiente, in assenza
di regolamentazione specifica, estendere la ricerca di tali molecole
(Pfas)» solo per la provincia di Alessandria, «zona maggiormente
interessata». La sfida che ci attende, non solo in Piemonte, è
azzerare queste sostanze e parallelamente trovare chi inquina, per
intervenire su chi sversa. «È possibile - conclude Ungherese - che
nella città metropolitana di Torino abbiamo trovato elevati livelli
di Pfas anche in quei posti che sono oltre i 1.000 metri di
altitudine? A Bardonecchia per esempio». I Pfas, una volta dispersi,
possono rimanere nell'ambiente per tantissimo tempo, sono chiamati
«inquinanti eterni». Se non sappiamo da dove provengono come
facciamo a bloccarne l'emissione e garantire la salute pubblica?
05.02.24
LE REALTA' IGNORATE DA ISRAELE :
Muhammad ricorda nei dettagli la notte di dicembre in cui le forze
armate israeliane hanno fatto irruzione nel campo profughi di Jenin.
La gente da dietro le finestre guardava il cielo, per capire se il
campo sarebbe stato bombardato un'altra volta. Muhammad e i suoi
vicini hanno preso i bambini e sono corsi verso l'ospedale vicino,
il posto considerato più sicuro, e si sono nascosti nelle corsie, lì
hanno aspettato la fine dell'incursione. Poche ore dopo si è diffusa
la notizia che i mezzi militari si fossero ritirati ed è tornato a
casa con la moglie e i tre figli, due bambini di sei e quattro anni,
e l'ultimo appena nato, ma i soldati israeliani erano ancora nel
campo, nascosti nelle case, e sui tetti. Muhammad e i suoi vicini
hanno cominciato a correre, hanno attraversato il quartiere di
Somaran e raggiunto un'altura. Lì, poco dopo, sono stati raggiunti
da un razzo. È svenuto per qualche minuti, poi ha ripreso i sensi,
cercando di capire cosa fosse accaduto, ha guardato la sua mano, non
vedeva l'anulare, pensando fosse abbassato. Ma non c'era più. Poi ha
provato ad alzarsi, ma non aveva più le gambe.
Da allora in poi è rimasto cosciente «vedevo le mie gambe amputate
proprio davanti a me». Quando due giovani sono riusciti ad arrivare
le gambe erano a pochi metri da lui, ma nessuna ambulanza poteva
raggiungerli. Bloccate dai mezzi militari israeliani che avevano
circondato l'ingresso degli ospedali. Così due giovani l'hanno preso
in braccio e hanno raggiunto l'ospedale a piedi. Una volta
svegliato, dopo l'operazione, dice di aver pensato che per lui si
fosse aperta la porta dell'inferno. Oggi Muhammad vive chiuso in
casa, il suo amico Mustapha ha imparato qualche esercizio da fargli
fare, va in visita da lui ogni giorno. Lo sposta dal divano alla
sedia a rotelle che gli è stata donata da un'organizzazione
umanitaria. Era l'unico a lavorare e oggi, per sfamare la moglie e i
tre figli, deve contare sull'aiuto della sua famiglia.
Fino a un mese fa lavorava in Israele. Questo, dice, rende il suo
destino ancora più tragico. «Avevo un'autorizzazione, lavoravo in
Isreale, a Qiryat Shemona, e Hatzor, lavorando con ebrei, il che
significa che il mio supervisore era ebreo, il che significa che per
loro ero "pulito", che non ho mai rappresentato una minaccia».
Dai suoi figli
I suoi rapporti con i datori di lavoro israeliani non avevano mai
avuto un'ombra, nelle ultime settimane gli avevano chiesto «ma
perché torni a casa? perché torni a Jenin, resta qui che sei al
sicuro».
Sapevano delle incursioni quasi quotidiane, dei morti, della
distruzione che avanza in Cisgiordania.
Ma Muhammad voleva tornare dai suoi figli, da sua moglie. «È proprio
perché i vostri militari entrano e escono dal campo continuamente,
che devo tornare da loro».
Prima, una volta tornato da Qiryat Shemona e Hatzor, prendeva i
bambini e li portava a giocare, a fare la spesa. Oggi non può più. I
bambini lo guardano e dicono: «Papà è stato colpito da un aereo».
Hanno sostituito il desiderio delle costruzioni con quello di
pistole giocattolo.
«Hanno iniziato a comportarsi come i militari, nascondendosi in un
angolo e nell'altro, perché è così, il ragazzo dice che vuole
"programmarsi per la guerra"».
Muhammad non si arrende, non compra le pistole giocattolo. Li fa
uscire di casa il meno possibile. Quando sente il ronzio dei droni
dice solo: passerà presto.
Prima del 7 ottobre, nel 2023, le forze israeliane avevano ucciso
205 palestinesi in Cisgiordania, mentre i coloni israeliani erano
responsabili di altri nove morti. Di questi decessi, 52 sono
avvenuti solo a Jenin. Oggi, stando ai dati aggiornati del Ministero
della Sanità di Ramallah la conta dei morti è salita 350, quella dei
feriti a tremila.
Dalla seconda Intifada
Dalla scorsa primavera le forze israeliane hanno cominciato a
condurre attacchi aerei in Cisgiordania, non accadeva dalla seconda
Intifada, all'inizio degli anni 2000.
Il 3 luglio, durante un'operazione militare durata due giorni nel
campo profughi densamente popolato di Jenin, sono state sganciate
bombe da aerei da combattimento e sono stati condotti attacchi con
droni. Da lì in poi, la violenza non ha fatto che aumentare. Una
delle ultime, violente incursioni, a dicembre, è durata 60 ore.
Incursioni con una strategia comune, che coinvolge gli attacchi alle
strutture sanitarie, diventati sistematici, così come la distruzione
di strade e infrastrutture, condutture idriche e sistemi fognari.
Tra il 7 ottobre e la fine di gennaio, la Mezzaluna Rossa
Palestinese ha documentato 160 incidenti in cui le forze israeliane
hanno impedito il lavoro delle sue squadre in Cisgiordania e
nell'annessa Gerusalemme est. Significa blocco delle ambulanze,
strutture mediche circondate, significa dunque mancato accesso alle
cure. L'esercito israeliano afferma di essere «obbligato» a
ispezionare le ambulanze, sostenendo che «i terroristi si
nascondano» lì e vicino agli ospedali e che le truppe cerchino di
ridurre al minimo i ritardi. Medici, paramedici e operatori sanitari
condannano: «La mancanza di rispetto per gli ospedali è
sconcertante: da ottobre abbiamo assistito alla sparatoria e
all'uccisione di un ragazzo di 16 anni nel complesso ospedaliero, i
soldati hanno sparato più volte proiettili veri e gas lacrimogeni
contro l'ospedale, i paramedici sono stati costretti a spogliarsi e
inginocchiarsi per strada», dice Luz Saavedra, coordinatore di
Medici Senza Frontiere a Jenin.
L'esercito nel campo
Nei fatti, il blocco dell'assistenza sanitaria è diventata una
procedura standard in ogni incursione: l'esercito entra nel campo
seguito dai bulldozer, i cecchini si posizionano sui tetti, le
squadre cercano depositi di armi e conducono decine di arresti, e le
strutture mediche, compresi gli ospedali pubblici, vengono
circondati dai veicoli armati e dai soldati israeliani.
Una domenica di metà dicembre Ahmad, 13 anni, affetto da gravi
problemi al sistema immunitario, si era svegliato nella sua casa di
Al-Yamun, dieci minuti in macchina da Jenin.
Non era la prima volta che suo padre, Mohamed Asaad Sammar, un
bottegaio di 56 anni, doveva prenderlo in braccio, caricarlo in
macchina e portarlo in ospedale.
Nel campo di Jenin era in corso un'incursione. Non era la prima
volta che raggiungere una struttura medica si sarebbe trasformato in
un'odissea. Due mesi prima erano stati costretti a dormire in
ospedale, bloccati lì dai combattimenti all'esterno. E ancora prima,
mentre erano in clinica per una visita di Ahmed, la struttura era
stata colpita da un razzo, e il cugino di Ahmed era rimasto ferito.
I check point
A dicembre ha provato a chiamare l'ambulanza. Ma le ambulanze erano
bloccate, perché le forze armate israeliane impedivano ai mezzi
medici di lasciare il parcheggio degli ospedali, il mal di stomaco e
gli spasmi del ragazzo non facevano che aumentare, il ragazzo diceva
«papà non respiro», così, sebbene arrivassero notizie dei violenti
scontri nel campo profughi, Mohamed non ha avuto scelta, l'ha messo
in macchina, aiutato dal figlio maggiore, e si è diretto
all'ospedale con la sua auto. Mezz'ora in macchina, per coprire un
percorso che quotidianamente fa in sei, sette minuti, moltiplicati
dai check point della sicurezza israeliana.
Ahmed diventava sempre più pallido, così suo padre è sceso dalla
macchina, l'ha stretto tra le braccia e ha cominciato a camminare
verso l'ospedale.
Un video di quella mattina lo ritrae mentre sostiene il corpo del
ragazzino, circondato dalle telecamere che stazionavano davanti
all'ingresso dell'ospedale al-Suleiman.
Di fronte all'entrata i soldati israeliani al lato di un tank che
bloccava l'accesso.
Mohammed Asaad Sammar non esita di fronte a loro, continua a
camminare con Ahmed tra le braccia, attraversa l'area con le
ambulanze bloccate e entra nel pronto soccorso.
Quando finalmente riesce a stendere il suo corpo su una barella è
troppo tardi. I medici che si sono avvicinati gli hanno chiuso le
palpebre e l'hanno dichiarato morto.
Ogni giorno, da allora, cammina fino al cimitero. L'ingiustizia,
dice, non è qualcosa di nuovo per lui, non è qualcosa di nuovo per i
palestinesi. In qualche modo, dice, tutti hanno imparato a
conviverci. Ma non riesce, né vuole, rassegnarsi alla morte di un
figlio, di un ragazzino malato che nessuna ambulanza ha potuto
raggiungere. Può succedere a chiunque, sempre.
È successo a lui, da allora non ha pace. «Ahmed era solo un
ragazzino di tredici anni. Che colpa aveva il mio ragazzo? ».
La pioggia scende sul cimitero di al Yamun, Mohammed apre le mani
coi palmi rivolti al cielo, abbassa la testa e prega.
IL PUNTO DI RIFERIMENTO DI YAKY, MELONI E SALVINI : I membri
del Cda dell'azienda produttrice di auto elettriche di Elon Musk,
Tesla, si sono trovati davanti a un dilemma. L'investitore Steve
Jurveston, direttore da molti anni insieme ad altri, aveva lasciato
l'azienda dopo che un'indagine interna ha rivelato la sua condotta
libertina con molte donne nel settore hi-tech e l'uso illegale di
stupefacenti. Alcuni dettagli sono stati pubblicati dalla stampa nel
2017 e gli altri direttori di Tesla hanno discusso come gestire la
situazione. Alcuni lo hanno sollecitato a dimettersi. Per sua
fortuna, Jurveston – anche se l'azienda lo considerava un direttore
indipendente – aveva un buon amico con il quale intratteneva stretti
legami finanziari e che aveva preso parte con lui alle feste usando
ecstasy e Lsd: Elon Musk.
In incontri riservati, Musk ha convinto i consiglieri a permettere a
Jurveston di prendersi un congedo straordinario e quindi a
dimettersi di sua volontà nel 2020. Alla fine, è rimasto nel
management di SpaceX, l'azienda che produce razzi, sempre di
proprietà di Musk. Quando gli è stato chiesto in che modo il Cda
avesse gestito il caso, Antonio Gracias, un altro ex direttore
indipendente di Tesla e buon amico di Musk, in una deposizione in
tribunale del 2021 ha detto: «La reazione? Non si è fatto niente,
siamo rimasti a vedere quel che sarebbe successo». Si stima che
Gracias e la sua società di venture-capital abbiano investito nelle
aziende di Musk circa 1,5 miliardi di dollari. Molti altri direttori
delle aziende di Musk hanno rapporti personali e finanziari molto
stretti con lui e hanno tratto enormi profitti da questa relazione.
I loro rapporti sono un misto confuso di amicizia e ricchezza e
alcuni azionisti stanno iniziando a porsi interrogativi
sull'indipendenza dei membri del Cda incaricati di vigilare sul
direttivo. Martedì, un giudice del Delaware ha annullato il
pacchetto salariale multimiliardario di Musk presso Tesla,
affermando che i membri del Cda che l'avevano autorizzato nel 2018
erano in debito con lui.
Numerosi direttori o ex direttori di Tesla e SpaceX prendono parte a
feste insieme a lui, vanno in vacanza in posti esotici con lui e
frequentano insieme al tycoon «Burning Man», il festival di arti e
musica in Nevada. Musk e questi direttori – tra cui gli investitori
Gracias e Ira Ehrenpreis, il tecno-guru Larry Ellison, l'ex media
executive James Murdoch e lo stesso fratello Kimbal Musk – hanno
investito decine di milioni di dollari l'uno nelle aziende
dell'altro. Alcuni hanno ottenuto da Musk anche sostegno per fare
carriera. Secondo persone che hanno assistito al suo consumo di
sostanze stupefacenti, alcuni manager di spicco di Tesla e di SpaceX
conoscono le sue abitudini ma non hanno mai preso iniziative in
merito.
A gennaio il Wall Street Journal ha scritto che Musk fa uso di varie
sostanze, tra cui cocaina, ecstasy, Lsd e funghi allucinogeni, e ha
detto che per i dirigenti di Tesla e SpaceX la situazione è
preoccupante, specialmente per quello che riguarda il consumo
ricreativo di chetamina, per la quale dice di avere una prescrizione
medica. L'uso di sostanze stupefacenti illegali viola le rigide
politiche antidroga delle aziende di Musk e potrebbe compromettere i
contratti federali di SpaceX e i controlli di sicurezza. La quantità
di sostanze stupefacenti consumate da Musk e dai membri del Cda si è
fatta inquietante. Nella cultura che Musk ha creato attorno a sé,
alcuni amici, tra cui alcuni direttori, hanno l'impressione che da
loro ci si aspetti il consumo di queste sostanze e che astenersene
potrebbe contrariare il miliardario che ha fatto guadagnare loro
ingenti ricchezze. Per alcuni di loro questo vuol dire quasi
sentirsi amici di un re. Musk e il suo rappresentante legale Alex
Spiro non hanno voluto rispondere alle domande dei giornalisti o
fare commenti. Spiro ha detto che l'imprenditore si «sottopone a
test antidroga random a SpaceX e li ha sempre superati tutti». Dopo
quell'articolo, lo stesso Musk ha twittato di essersi sottoposto a
controlli casuali dopo l'episodio del 2018 – nel quale aveva fumato
erba in diretta durante una trasmissione – senza che gli siano «mai
state trovate minime quantità di droghe o alcol». In un altro tweet
ha scritto che «se le droghe fossero davvero utili per migliorare la
mia produttività nel tempo, le prenderei senz'altro».
Alcuni membri del Cda paventano le ripercussioni negative del
comportamento di Musk sulle sei aziende che dirige e i circa 800
miliardi di asset degli investitori. Malgrado le preoccupazioni,
però, il Cda di Tesla non ha svolto indagini né ha registrato i suoi
timori nei verbali ufficiali, che potrebbero essere resi di pubblico
dominio.
Nell'inverno del 2022 - raccontano i bene informati - Larry Ellison,
grande amico di Musk ed ex membro del Cda di Tesla, lo ha invitato
nella sua isola alle Hawaii per prendersi una pausa rilassante dal
lavoro e disintossicarsi. Ellison l'anno scorso aveva visto Musk a
una corsa automobilistica a Miami, poi - quando gli ha fatto la sua
offerta - il multimiliardario si trovava a una festa a Hollywood
Hills dove ha assunto ecstasy in forma liquida da una bottiglietta
d'acqua. Prima che lo facesse, ha raccontato chi lo ha visto, le
guardie del corpo hanno allontanato gli ospiti da quel piano della
casa per assicurargli privacy.
Per i suoi molteplici rapporti personali e professionali con i
membri del Cda delle sue aziende e per gli enormi capitali in gioco,
Musk è l'esempio più eclatante di un amministratore delegato legato
ai suoi direttori. Tesla versa a questi ultimi somme di denaro di
gran lunga più ingenti degli stipendi medi dei consiglieri della
maggior parte delle aziende americane. Secondo uno studio recente
della National Association of Corporate Directors and compensation
consultant, Pearl Meyer, nel 2023 il salario complessivo medio più
alto per consiglieri d'amministrazione negli Stati Uniti è stato di
329.351 dollari. Negli anni, i membri del Cda di Tesla, retribuiti
perlopiù in stock option, hanno ricevuto centinaia di milioni di
dollari per le poltrone che occupano, molto più della media nelle
aziende pubbliche.
04.02.24
Borrell : bisogna lavorare perché la soluzione si realizzi
"Stati Ue pronti a riconoscere la Palestina"
L'Ue «non può riconoscere alcuno» Stato, «non abbiamo questo potere,
lo hanno gli Stati. Ma so che alcuni Stati membri dell'Ue stanno
pensando» di riconoscere ufficialmente la Palestina. Lo dice l'Alto
Rappresentante dell'Ue, Josep Borrell, in conferenza stampa al
termine del Gymnich a Bruxelles. La soluzione a due Stati, aggiunge,
«non cresce sugli alberi»: se la si vuole perseguire, bisogna
«lavorare» perché diventi realtà. La ministra degli Esteri belga,
Hadja Lahbib, spiega: «In Belgio abbiamo il riconoscimento dello
Stato palestinese nell'accordo di governo. Aspettiamo il momento
buono». Tuttavia, la ministra ricorda anche che Ungheria e
Repubblica Ceca hanno «riconosciuto lo Stato palestinese, ma questo
non ha cambiato le politiche», dato che ora sono «percepiti come
molto vicini a Israele. Questi riconoscimenti simbolici non cambiano
molte cose, malgrado il fatto che sono certamente importanti e che
stiamo valutando di farlo. Vogliamo un piano di pace, che dia una
prospettiva politica per un vero Stato» palestinese, conclude.
03.02.24
In nove mesi cachet per 300mila euro Sangiuliano: complicato
lavorare con lui niccolò carratelli
roma
Lunedì pomeriggio sarà ufficiale, con la pubblicazione delle
conclusioni dell'istruttoria condotta dall'Antitrust. Ma Vittorio
Sgarbi, come previsto in questi casi, è stato informato in anticipo,
già ieri mattina, dell'esito del procedimento nei suoi confronti. E
ha capito che non c'era alternativa alle dimissioni. Al di là della
sicurezza ostentata negli ultimi mesi, infatti, l'ormai ex
sottosegretario era consapevole che l'accusa di aver svolto attività
incompatibili con la carica di governo avesse un suo fondamento.
Come lo aveva capito Gennaro Sangiuliano, esaminando il dossier
anonimo, ma molto dettagliato, recapitato al ministero lo scorso
ottobre.
Il ministro della Cultura si era consultato con i suoi consiglieri
giuridici e poi aveva ritenuto doveroso girare tutto il materiale
all'Autorità per la concorrenza, perché valutasse il possibile
conflitto di interessi di Sgarbi. Con il quale Sangiuliano, da quel
momento, non ha praticamente più parlato, affidando le comunicazioni
al suo capo di gabinetto. «Sono stati mesi complicati nel rapporto
con lui», ha spiegato il ministro a chi ci ha parlato in queste ore,
dicendosi «umanamente dispiaciuto» per tutta la vicenda. Una storia
costellata da eventi culturali in giro per l'Italia, connessi al
ruolo di sottosegretario, come conferenze, convegni, inaugurazioni
di mostre o presentazioni di libri. Per le quali, però, Sgarbi si è
fatto pagare cachet sostanziosi, in veste di "professore" o "critico
d'arte", sorvolando sul suo incarico di governo, in virtù del quale
non potrebbe ricevere compensi. Fino a 7mila euro (più Iva) per un
paio d'ore di presenza a una mostra, circa 200 euro al minuto per
una lectio magistralis su Caravaggio, tanto per fare due esempi. Lo
scorso anno, in nove mesi, l'incasso ha superato i 300mila euro.
Pagati dai Comuni ospitanti o dalle aziende sponsor, che hanno
fatturato a due società riconducibili allo stesso Sgarbi, una
gestita dal suo addetto stampa (e fin qui capo segreteria al
ministero) Antonino Ippolito, l'altra dalla sua storica compagna e
attuale "manager" Sabrina Colle. Società con capitali sociali
irrisori e sede legale a casa di Sgarbi, create solo per incassare i
bonifici dei pagamenti delle varie attività parallele. Un modo per
non far figurare Sgarbi come beneficiario diretto e provare ad
aggirare la legge Frattini in materia di conflitto di interessi (la
numero 215 del 2004), che impone a chi ricopre incarichi di governo
di dedicarsi «esclusivamente alla cura degli interessi pubblici».
Dal giuramento in poi, «al titolare non può derivare, per tutta la
durata del governo, alcuna forma di retribuzione o vantaggio». Vieta
poi di «esercitare attività professionali o di lavoro autonomo in
materie connesse con la carica di governo, di qualunque natura,
anche se gratuite, a favore di soggetti pubblici o privati». La
legge precisa che «sono vietate anche all'estero», ma Sgarbi le ha
svolte serenamente in Italia. Il sottosegretario si era difeso
sostenendo che il suo caso non rientrerebbe in questa fattispecie e
sottolineando che non c'era alcun atto da lui firmato, anche solo
una lettera, con la quale avesse potuto agevolare i suoi interessi.
Ora, lasciato il ministero, potrebbe comunque impugnare il
pronunciamento dell'Antitrust. Che, peraltro, ha successivamente
ampliato l'istruttoria, con un'altra accusa a carico di Sgarbi,
relativa alla vendita dei suoi libri con dedica personalizzata sul
proprio sito internet (vittoriosgarbi.it) perché «potrebbe integrare
gli estremi dell'attività di rilievo imprenditoriale».
Infine, a rendere ancora più complicata la permanenza al governo del
critico d'arte, l'inchiesta della magistratura nata da un servizio
della trasmissione di Rai3 Report, su un dipinto del Seicento rubato
10 anni fa da un castello in Piemonte e poi misteriosamente
ricomparso come un "inedito" di proprietà di Sgarbi, finito indagato
per riciclaggio di beni culturali. Con tutto questo quadro davanti,
le opposizioni invocavano da tempo le sue dimissioni e avevano
presentato una mozione alla Camera per chiedere la revoca delle
deleghe. Ora, per il sollievo di Giorgia Meloni e dei partiti di
maggioranza, il voto su quella mozione non sarà più necessario. —
Io, tradito
scuola
dalla Damiano Cassanelli
"
FILIPPO FIORINI
MODENA
I ferri corti tra Damiano Cassanelli, diciott'anni, e la dirigenza
dell'Ites Barozzi di Modena sono incominciati l'ultimo giorno di
scuola dell'anno scorso, quando, probabilmente per evitare che gli
studenti festeggiassero l'arrivo delle vacanze, è stata organizzata
una perquisizione all'ingresso sequestrando cibi e bevande. Così,
quando lo scorso novembre, questo rappresentante d'istituto ha
convocato, insieme agli altri, uno sciopero per protestare contro
quell'episodio e il respingimento degli altri reclami che avevano
avanzato, i rapporti erano già tesi e la presidenza ha minacciato di
chiamare la Digos. La manifestazione, poi, i ragazzi l'hanno fatta
lo stesso e, a una giornalista, Damiano ha spiegato perché erano lì.
Risultato: a gennaio gli è stata data una nota sul registro, poi,
una sospensione di 12 giorni, approvata in consiglio d'istituto, ma
non ancora messa in atto. Il motivo? Parlando alla stampa avrebbe
leso l'immagine dell'istituto.
Damiano, come vive questi giorni?
«Continuo ad andare a scuola. Cerco di impegnarmi, ma faccio fatica
a concentrarmi. Questa situazione è sgradevole. Mi sono sentito
tradito da una scuola che mi ha insegnato dei valori sani e a dire
la verità, ma ora mi punisce per questo stesso motivo. Io
formalmente non ho ricevuto notizie della mia sospensione. Mi è
stata solo comunicata a voce, dopo che il consiglio d'istituto l'ha
approvata. Poi, due settimane di limbo. Nessuna notizia di un
ripensamento e mi dispiace».
Quali sono i provvedimenti contro di lei?
«La vicepreside mi ha dato una nota sul registro, motivandola con le
dichiarazioni che ho rilasciato alla Gazzetta di Modena, in
occasione dello sciopero che abbiamo fatto il 28 novembre. Poi ha
convocato un consiglio di classe, proponendo di sospendermi per 12
giorni. Lì, i voti sono stati tutti contrari. Si è deciso
all'unanimità di non sospendermi. La ragione, in quel caso, era il
fatto che avessi diffuso agli altri rappresentanti di classe una
risposta che lei stessa mi aveva mandato via mail, a proposito di
una delle istanze che avevamo avanzato. Ma non era una conversazione
riservata, era un tema che abbiamo discusso in assemblea. Era mio
dovere informare anche gli altri rappresentanti».
Cos'ha detto in quell'intervista?
«Avevo evidenziato il fatto che non potessimo fare gite all'estero.
Nella mia scuola c'è un indirizzo linguistico, e comunque anche
tutti gli altri indirizzi studiano almeno una lingua straniera.
Quindi, andare all'estero ci sembrava una buona opportunità.
Un'altra problematica è quella delle macchinette che distribuiscono
cibo e bevande. Al Barozzi non ce ne sono e non c'è nemmeno un bar.
Gli studenti che non si sono portati la merenda da casa, devono
stare senza bere e mangiare per 6 ore. Un altro punto, era quello di
poter entrare a scuola prima delle 8. C'è gente che arriva da fuori
Modena con le corriere e deve aspettare al freddo. Infine, il fatto
che l'ultimo giorno di scuola dell'anno scorso, noi studenti siamo
stati perquisiti».
Chi vi ha perquisito?
«Il personale scolastico».
Il personale scolastico non ha diritto di perquisire un privato
cittadino. Per quale motivo lo avrebbero fatto?
«Noi non siamo una scuola problematica. Non ci sono stati episodi di
criminalità o proteste violente. Anche la manifestazione in cui ho
rilasciato l'intervista è stata fatta in modo civile, ma il nostro
sciopero non era stato autorizzato e alla vigilia la dirigenza
scolastica ha minacciato che, se fossimo andati, avrebbero chiamato
la Digos. Credo che faccia tutto parte di un clima volto a
disincentivare le nostre iniziative».
Ieri al Barozzi si è discusso un altro provvedimento disciplinare,
cosa si è deciso?
«È un mio compagno, a sua volta rappresentante, la cui sospensione è
stata discussa in consiglio di classe. I voti sono stati tutti
contrari, quindi per ora il risultato è positivo, ma non posso
escludere che poi la vicenda si ripeta uguale alla mia».
C'è stata grande solidarietà per la sua vicenda. La conforta?
«Ringrazio di cuore gli altri studenti del Barozzi e da tutta Italia
che mi hanno fatto sentire la loro vicinanza. Ho ricevuto
approvazione anche da esponenti politici di ogni colore, mi ha fatto
molto piacere».
Lei fa il rappresentante d'istituto per passione politica? Magari
una passione che vorrebbe coltivare anche dopo il diploma?
«Sono due anni che lo faccio. La prima volta mi sono detto che
valeva la pena provare. Mi interessava poter presentare le proposte
di noi studenti a chi prende le decisioni. Mi è piaciuto e ho deciso
di ricandidarmi. Però, no, non credo di entrare in politica dopo il
diploma. Voglio continuare a studiare le lingue».
02.02.24
Crosetto: "Dietro gli assalti ci sono Russia e Cina"
Federico Capurso
Roma
Gli attacchi dei ribelli Houthi contro le navi mercantili nel mar
Rosso «minacciano la nostra stabilità economica», mette in guardia
il ministro della Difesa Guido Crosetto, in audizione di fronte alle
commissioni Esteri e Difesa della Camera, perché comportano
l'ennesimo «aumento delle materie prime». E questo, accusa Crosetto,
è «uno degli strumenti più efficaci con cui Mosca e Pechino
perseguono l'obiettivo di prevalere slealmente nella competizione
internazionale e di guadagnare nuove sfere di influenza».
L'Italia parteciperà quindi alla missione europea Aspides «con
almeno una nave militare per 12 mesi, e valutiamo anche l'invio di
assetti aerei con compiti di sorveglianza e raccolta dati». Un
impegno, però, che ha bisogno di «un finanziamento aggiuntivo
rispetto a quanto previsto nella legge di Bilancio». Insomma,
servono più soldi. Qualcosa si recupererà spostando i fondi
destinati alla precedente operazione Atalanta, inglobata da Aspides,
ma Crosetto chiama il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti a
trovare quel che mancherà tra le pieghe di un Bilancio già piuttosto
stirato. E non solo per contrastare gli Houthi. Crosetto chiede
ulteriori risorse anche per finanziare nuovi aiuti militari
all'Ucraina, visto che l'Italia sta fornendo «un intervento pari a
quello di Paesi che hanno un terzo o un quinto del nostro Pil». Al
Consiglio informale Difesa di mercoledì a Bruxelles, racconta il
ministro con un certo imbarazzo, «quando la Germania ha annunciato
che fornirà 7 miliardi di aiuti, io ho preferito tacere». Ma su
questo tavolo la partita economica rischia di essere più lunga e
complicata, visto che potrebbe giocarsi a giugno, a ridosso delle
Europee, con l'ingombrante impegno di preparare una manovra
correttiva di bilancio. E con le opposizioni che continuano a
criticare l'anima «bellicista» del governo.
Fortunatamente, l'Italia non è sola. Sul fronte ucraino l'Europa ha
appena stanziato 50 miliardi di euro. Nel Mar Rosso, invece, prende
corpo la missione Aspides, guidata da Grecia e Francia, che «fisserà
probabilmente a Larissa, nel Peloponneso, il suo quartier generale».
Le azioni militari di Stati Uniti e Regno Unito contro le postazioni
militari dei ribelli, intanto, «hanno dimezzato le "attività
cinetiche" degli Houthi». Un calo che il ministro della Difesa
definisce «significativo». Eppure, nonostante questo, «è impossibile
pensare di riuscire a fermarli completamente. Gli Houti sono
militarmente organizzati e valgono 10 volte Hamas»
01.02.24
NON E' IL POSTO ADATTO PER PRODURRE:
Un investimento da 25 milioni di
euro che darà lavoro a cento persone: firmata l'intesa con il gruppo
dei microsatelliti
San Mauro, nelle ex cartiere Burgo Argotec aprirà uno Space Park
andrea bucci
San Mauro si trasforma in città dell'aerospazio grazie
all'insediamento di Argotec Space Park. E darà lavoro a cento
persone. L'annuncio, ieri, in municipio dove è stato firmato il
protocollo d'intesa, pubblico e privato, fra Regione, Argotec,
Agenzia Piemonte Lavoro e Comune di San Mauro. La compagnia
aerospaziale si avvarrà della rete regionale dei servizi pubblici
per ricercare le professionalità necessarie: ingegneri aerospaziali,
elettronici, informatici e delle telecomunicazioni ma anche profili
tecnici per le operazioni di produzione, nonché professionisti
dell'area amministrativa, legale, marketing e comunicazione.
Argotec, ovvero la società specializzata nella produzione di
microsatelliti aprirà in città lo Space Park, un nuovo grande
stabilimento che, dal 2025, sarà ospitato negli spazi delle ex
cartiere Burgo (sorgerà su 11 mila e 500 metri quadrati all'interno
di 17 mila metri quadri di spazi verdi aperti al pubblico, di cui
mille e 200 di aree dedicate a imprese, incubatori e start up). L'ex
cartiera ospiterà anche la sede societaria, che al momento ha base a
Torino. L'investimento è stimato in 25 milioni di euro. E poi c'è un
altro investimento di 4,5 milioni di euro per un nuovo impianto
produttivo nel Maryland (Stati Uniti), dove Argotec ha già una sua
sede. La scelta di ristrutturare l'ex cartiere sanmaurese realizzata
da Niemeyer nasce dalla volontà di non versare nuovo cemento e di
valorizzare un'opera prestigiosa sul territorio che andava
recuperata. L'azienda sarà in grado di produrre 52 satelliti
all'anno (uno a settimana), con la possibilità di aumentare
ulteriormente la produzione in futuro.
Ad annunciare le politiche di lavoro è Romana Garavet, alla guida
della funzione Human Capital di Argotec: «Il nostro piano di
assunzioni conferma le ambizioni e le prospettive di crescita del
Gruppo. Nell'ultimo anno abbiamo raddoppiato il numero dei colleghi,
in Italia e negli Stati Uniti, ed è su questa falsariga che
intendiamo proseguire, creando un forte impatto occupazionale sul
territorio».
«Questa collaborazione ci consente di supportare concretamente una
realtà solida come Argotec nella ricerca di personale in possesso
sia di competenze tradizionali sia nuove ed emergenti, mostrando che
il sistema regionale è dinamico e in continua evoluzione, come
l'attuale mercato del lavoro», aggiunge la direttrice di Agenzia
Piemonte Lavoro, Federica Deyme.
Un'attenzione verso il territorio salutata con soddisfazione dalla
politica. Perché un ruolo chiave nella partita l'ha giocato,
appunto, l'assessore regionale al Lavoro, Elena Chiorino:
«Orgogliosi che una realtà virtuosa come Argotec scelga di investire
sul territorio. Come Regione abbiamo il dovere di mettere in campo
ogni sforzo possibile per fare incontrare domanda e offerta, certi
che sul territorio piemontese siano presenti competenze ed
eccellenze uniche, che meritano di essere valorizzate». E'
entusiasta anche la sindaca, Giulia Guazzora: «Siamo soddisfatti di
aver fatto da tramite per un accordo che rappresenta un ulteriore
passo nel rilancio dell'area del Pescarito, con importanti ricadute
sul tessuto socio economico ed occupazionale».
31.01.24
"L'Unrwa è parte del problema palestinese un impero economico in
mano ai jihadisti"
Orlando Trinchi «Quando si parla di "giorno dopo", questo è uno dei temi su
cui si dovrà discutere». Il politologo franco-israeliano Emmanuel
Navon si riferisce al futuro dell'Unrwa, l'Agenzia Onu per i
rifugiati palestinesi. Classe 1971, professore all'Università di Tel
Aviv e presidente di Elnet, organizzazione dedicata ai rapporti fra
Israele ed Europa, Navon ha dato alle stampe un importante saggio
sulla storia diplomatica del popolo ebraico, La stella e lo scettro.
Storia della politica estera di Israele (Giubilei Regnani, 2023).
«Coinvolgimento con gli attacchi di Hamas del 7 ottobre», accuse
all'Unrwa. La preoccupa?
«Lo Shin Bet, l'agenzia di sicurezza israeliana, e l'Idf hanno
denunciato il coinvolgimento attivo del personale, dei veicoli e
delle strutture dell'Unrwa nell'attacco terroristico del 7 ottobre».
Il segretario generale dell'Onu, Guterres, si è detto «inorridito» e
il rappresentante della politica estera dell'Ue Borell ha espresso
«preoccupazione» per le rivelazioni.
«Per chiunque abbia familiarità con l'Unrwa, tuttavia, questa non è
stata una sorpresa. In teoria, l'Unrwa è un'agenzia umanitaria delle
Nazioni Unite. In pratica, è un impero economico corrotto
controllato dall'Olp e da Hamas. Avrebbe dovuto essere smantellato
con l'istituzione nel 1950 dell'Alto Commissariato Onu per i
rifugiati (o Unhcr)».
Per quale motivo?
«Dal momento della sua creazione nel 1949, l'Unrwa è stata
incaricata dalla Lega Araba di perpetuare il problema dei profughi
palestinesi, invece di risolverlo. Vi sono milioni di rifugiati in
tutto il mondo, ma solo per i rifugiati palestinesi esiste
un'agenzia Onu separata e solo questa agenzia separata trasferisce
automaticamente lo status di rifugiato di generazione in
generazione, anche a chi non è un vero rifugiato. Nel 1948 c'erano
circa 600 mila rifugiati palestinesi, ma secondo l'Unrwa oggi ve ne
sono 5 milioni e hanno il diritto di stabilirsi in Israele e
diventare cittadini israeliani. Questa fantasia non ha precedenti
storici né basi nel diritto internazionale. È anche incompatibile
con una soluzione a due Stati. L'Unrwa è parte del problema, non
della soluzione, e deve essere ritenuta responsabile del ruolo
svolto nelle atrocità del 7 ottobre. Accolgo con favore la decisione
degli Usa, del Regno Unito, della Francia, del Canada,
dell'Australia, dell'Italia, dell'Austria, della Finlandia e dei
Paesi Bassi che sospenderanno i finanziamenti all'Unrwa».
Netanyahu sembra aver definitivamente voltato le spalle alla
soluzione dei due Stati e si oppone allo Stato palestinese. Un
errore?
«Netanyahu è un politico che lotta per la sopravvivenza politica.
Questa sopravvivenza dipende dai partner di estrema destra, motivo
per cui non vuole che abbiano una scusa per lasciare la sua
coalizione (appoggiare uno Stato palestinese fornirebbe sicuramente
qualcosa del genere.
Americani, egiziani e Qatar si stanno muovendo per un accordo.
Funzionerà?
«Il fuoco cesserà solo dopo che Israele negherà ad Hamas la
possibilità di perpetuare un altro 7 ottobre. Israele deve, e lo
farà, ripristinare la sua deterrenza insegnando ai suoi nemici una
lezione che loro, e il mondo, non dimenticheranno mai.
Successivamente sarà necessario trovare un nuovo modus operandi
nella Striscia di Gaza e anche in Cisgiordania. Ma nessun modus
operandi del genere potrà reggere finché i palestinesi saranno
motivati dalla distruzione di Israele e finché l'Iran diffonderà
caos e distruzione in Medio Oriente». —
Antonio Di Pietro
"Sto con i trattori, siamo solo all'inizio Governo impotente, è
tutta colpa dell'Ue" andrea rossi
Alle tre del pomeriggio Antonio Di Pietro ha appena finito di
occuparsi dei pulcini. «Spero per Pasqua di avere i polli. Sa, ci
vogliono almeno otto mesi, non come in certi allevamenti dove
bastano trenta giorni. Vuole sapere come sta l'agricoltura? Gliel'ho
appena spiegato».
Ex garagista, ex metalmeccanico, ex segretario comunale, ex
commissario di polizia, ex pm di Mani Pulite, ex leader dell'Italia
dei Valori, ex ministro, a 74 anni l'uomo che ha diviso l'Italia tra
chi lo considerava paladino della giustizia e chi un camaleontico
populista è tornato alle origini. Montenero di Bisaccia, colline
molisane: «Lavoro la terra che mi ha lasciato mio padre: olio, vino,
grano, orzo. Per me, mia sorella, i miei figli e chi mi vuol bene».
Intorno solo appezzamenti coltivati. «Vuol dire che l'amore per la
terra è ancora forte, il problema è che non dà più da vivere a
nessuno». Vista dalla prospettiva di un pensionato che si diverte a
fare un po' di attività fisica (parole sue), la protesta dei
trattori è sacrosanta e per di più appena all'inizio. «Crescerà, si
fidi».
Perché ne è così sicuro?
«In tv vediamo grandi distese di campi. Una cartolina. La realtà è
fatta di famiglie che devono campare con 15-20 ettari».
E ci riescono?
«Impossibile».
Lei ci riesce?
«Ho una buona pensione e 20 ettari. C'è chi si fa le settimane
bianche e chi pota gli ulivi. Io non devo campare, mi diverto, ma i
miei colleghi qui sono disperati».
I principali problemi?
«Un'infinità. I macchinari sono inavvicinabili. La manodopera non si
trova: fatico a farmi potare gli ulivi e le viti. I cinghiali
distruggono tutto. Poi, nel Centro-Sud non c'è irrigazione:
guardiamo il cielo sperando che piova. Ho una vigna di due ettari,
potrei fare 400 quintali d'uva l'anno: sa com'è andata lo scorso
autunno?».
Male?
«Nemmeno un grappolo. Sono andato a comprare il vino alla cantina.
Ma chi deve vivere di quello?».
Non ce la fa.
«E non riceve nemmeno un minimo di attenzione. Come si fa a reggere
così?».
Chi protesta accusa le multinazionali.
«Fanno i loro interessi. Il problema è chi permette che realizzino
maxi-profitti alle spalle del sistema produttivo diffuso».
Il governo?
«Ma si figuri, cosa vuole che faccia il governo».
Se fosse ministro lei cosa farebbe?
«Mi sentirei impotente. A me produrre un litro d'olio costa 12 euro.
In giro lo trovo in vendita a 2 euro e 50. Solo le latte costano un
euro e 50 l'una. Chi può reggere con questi squilibri?».
I suoi colleghi dicono che è tutta colpa dell'Europa.
«Hanno ragione. L'Europa sì che potrebbe fare qualcosa. Invece
impone regole uguali per tutti, che siano grandi o piccole aziende,
sulle colline molisane o nella sterminata pianura tedesca. Come se
tutti potessero produrre le stesse cose, nello stesso modo e al
medesimo costo. E poi non ti lascia lavorare».
In che senso?
«Siamo costretti a ruotare le coltivazioni. Ma chi ha 15 ettari cosa
ruota? Chi ha i cinghiali che devastano tutto? E vogliamo parlare
della burocrazia?» .
Parliamone.
«Ieri sera è venuto un vicino a portarmi due balle di fieno per le
oche. Aveva il furgone pieno di scartoffie».
E quindi?
«Una volta dentro le auto dei contadini trovavi gli attrezzi. Ora ci
sono montagne di carta: un'elefantiaca produzione di divieti e
obblighi. Così i piccoli vengono fagocitati. O stai dentro il
sistema della grande impresa o sei fuori dal mercato».
Si riesce a stare dentro?
«E come? Io con un ettaro di terra faccio 25 quintali di grano
l'anno; c'è chi fa venti volte tanto. Non si può seminare il grano
raccolto, bisogna acquistare i semi che costano tre volte tanto. Uno
ci prova, poi al porto di Brindisi, o Genova, arriva un'enorme nave
piena di grano e ti abbatte ulteriormente il prezzo. L'Europa
dovrebbe tutelare la specificità dei suoi territori. Invece con i
suoi vincoli di fatto favorisce le grandi imprese: coltivazioni
verticali e allevamenti intensivi, animali che muoiono senza aver
mai fatto un passo».
Non è anche colpa di noi cittadini-consumatori?
«C'è chi può permettersi di non adeguarsi, ma gli altri? Chi ha poco
o niente compra l'olio a 2, 50 euro al litro e ancora ringrazia».
Tra i grandi accusati sono finite pure le associazioni di categoria,
a cominciare da Coldiretti. Giusto?
«Di Coldiretti sono socio. Era una grande realtà, merita rispetto,
ma è antistorica. Noi chiediamo a Coldiretti o al governo di andare
in battaglia armati di baionetta contro chi ha la bomba atomica».
Ha nostalgia della politica?
«No, sono orgoglioso di ciò che ho fatto, da magistrato e da
politico. Ma è importante rendersi conto del tempo che passa e di
quello che resta. Rincorrere il potere fino alla fine dei propri
giorni non fa per me».
Cosa pensa di Giorgia Meloni e del suo governo?
«Le auguro di fare il bene del Paese, che ne ha bisogno. Lo
augurerei a chiunque al posto suo. Non ho pregiudizi, oggi mi sento
molto lontano da posizioni preconcette».
E del ministro Nordio?
«Ha promesso di coprire gli organici in due anni. Mi auguro che ci
riesca, la situazione della Giustizia è drammatica».
La sua è una foto senza luci.
«Vivo la terza fase della mia vita: dalla mia collina mi guardo
intorno e vedo l'amarezza di chi deve trovarsi un altro lavoro
perché con la terra non ce la fa. E ne soffro».
Non ha più voglia di lottare? Magari di scendere in strada con gli
altri agricoltori?
«Lo sto già facendo. A modo mio: idealmente e mettendomi a
disposizione. Da qui passano in tanti: chi ha un problema con
l'Agenzia delle entrate, con le banche, chi ha bisogno di un
consiglio. La porta è sempre aperta». —
si è rotta Russia
Una fontana di acqua bollente è esplosa a Nizhny Novgorod, in pieno
giorno: 12 passanti, tra cui due bambini, sono rimasti gravemente
ustionati nella rottura di una tubatura del riscaldamento. Il giorno
dopo è stato il turno di Volgograd, con un altro geyser che ha
raggiunto l'altezza del sesto piano: cinque ustionati e centinaia di
stabili rimasti senza riscaldamento. Il giorno prima, in un altro
quartiere della stessa città, altre 223 case sono rimaste senza
calore nel pieno del gelo di gennaio.
Mentre Vladimir Putin sta cercando di ridurre in macerie le città
ucraine, alle sue spalle si è aperta un'altra linea del fronte, che
passa per le città russe. Secondo il ministero della Protezione
civile di Mosca, ogni 7 minuti viene registrata un'emergenza: un
incendio, un blackout, una fuga di gas o di acqua. La Russia sta
andando a pezzi, e gli incidenti con le caldaie, che hanno lasciato
al gelo migliaia di abitanti dell'hinterland moscovita, attirando
l'attenzione di Putin e dei media internazionali, sono soltanto la
punta di un iceberg. I primi allarmi sullo sgretolamento delle
infrastrutture ereditate dall'Unione Sovietica sono stati lanciati
dai tecnici all'inizio degli anni Duemila, ma all'epoca il regime e
l'economia putiniani erano in ascesa, e sembrava un problema
transitorio. Trent'anni dopo, «la quantità si sta trasformando in
qualità», avverte l'economista Igor Lipsitz, che nell'intervista
alla rivista Spektr emette la diagnosi: «La Russia è attrezzata con
impianti follemente obsoleti, usurati e assolutamente inaffidabili».
La media dell'usura dell'impiantistica - tubi, cavi, pompe, turbine,
caldaie, motori - si aggira intorno al 65-70%. A Nizhny Novgorod,
grande e ricca, dopo l'incidente del geyser le autorità si sono
vantate di aver ridotto il tasso di obsolescenza dal 77% al 50%, in
alcuni agglomerati si aggira sul 100%, nella ricca Mosca tende allo
zero. L'Associazione ascensoristica russa ha appena fatto sapere che
su 81,5 mila ascensori da sostituire, manca il finanziamento per 45
mila, quasi il 10% del parco totale. La Russia, contrariamente
all'immaginario europeo, non abita in casette rustiche, ma in
casermoni di cemento, e la prospettiva di vecchi o bambini
imprigionati al 22esimo piano senza ascensore, e con i caloriferi
rotti, appare apocalittica.
La causa è scontata, quanto la soluzione. L'impiantistica sovietica,
centralizzata, elefantiaca e inefficiente, ha dei costi di gestione
mostruosi. Per gli enti locali erano eccessivi: fino al 60% delle
spese del ricco comune di Mosca veniva divorato da riscaldamento,
acqua calda e altre funzioni vitali. La ricchezza apparente e
appariscente della Russia del boom petrolifero è stata spesa
altrove: i privati in auto e vestiti, gli oligarchi in yacht e
squadre di calcio, i sindaci in progetti immobiliari scintillanti e
ricchi di appalti ambigui, il Cremlino in Olimpiadi e guerre. Ora,
per tamponare l'emergenza infrastrutturale ci vorrebbero, secondo
l'economista ed ex deputato della Duma Ivan Grachov, 10-20 trilioni
di rubli ogni anno, per 3-5 anni (un euro equivale a 100 rubli).
La finanziaria del 2024 è di 35 trilioni, di cui un terzo speso per
la guerra. Ogni raid aereo sulle città ucraine polverizza chilometri
di tubature e centinaia di caldaie: la spesa per le infrastrutture
comunali è stata ridotta a 818 miliardi nel 2024 e si dimezzerà a
455 nel 2025, per scendere a 360 nel 2026. «Le condizioni di vita
della popolazione non hanno più nessuna rilevanza per il potere»,
commenta Lipsitz: «Tanto può sempre giustificare povertà e disagi
con la guerra».
La modernizzazione delle infrastrutture potrebbe essere un motore di
rilancio, ma il Cremlino preferisce le bombe, e la popolazione non
ha i mezzi. Il presidente dell'Associazione ascensoristica Pyotr
Kharlamov dice che la sostituzione degli ascensori dovrebbe venire
finanziata dai condomini, ma gli inquilini russi non hanno messo da
parte i soldi necessari nemmeno per un impianto. Il fatto che gli
ascensori siano prevalentemente occidentali, di marchi che
boicottano il mercato russo, e che i prezzi siano aumentati del 50%,
è quasi irrilevante di fronte a una constatazione amara: la Russia è
un Paese povero, come dimostra il fiume di volontari disposti a
morire nelle trincee ucraine per qualche migliaio di euro.
È stato Putin in persona a nazionalizzare la caldaia rotta di
Klimovsk, il paese nei pressi di Mosca, mostrando la via. Il capo
della Duma Vyacheslav Volodin chiede la rinazionalizzazione della
rete elettrica, nonostante dovrebbe a quel punto venire
sovvenzionata dal governo. E il presidente della Camera di industria
e commercio Andrey Shirokov ha rotto un tabù sostenendo che la
privatizzazione degli alloggi dei russi negli anni Novanta «è stata
un errore che ha generato una classe di proprietari miserabili».
Secondo lui, fino al 60% degli inquilini non sono in grado di
permettersi le spese comunali e condominiali, e dovrebbero
rinunciare agli appartamenti di proprietà.
Un'ammissione del fallimento dell'utopia postcomunista, che regalava
case a chi le abitava nella speranza thatcheriana di creare una
classe di piccoli proprietari, che avrebbero avuto qualcosa da
perdere oltre alle loro catene. Quarant'anni dopo, si sta pensando a
una nuova Urss, che abita in una gigantesca banlieue di case
popolari (comunque fatiscenti). Una riscrittura definitiva del patto
sociale: invece di cittadini che scelgono dove e come vivere, e da
chi farsi governare, dei sudditi totalmente dipendenti dallo Stato,
e pronti a farsi mandare in guerra, stavolta senza nemmeno i soldi
per accendersi un mutuo.
01.02.24
30.01.24
l modello sarà la Riserva selezionata istituita nel 2002 dopo la
fine del servizio obbligatorio
Nell'agosto 2022 è stata votata una legge delega per la
riforma dell'ordinamento militare che prevede una dotazione
suppletiva di uomini e donne in divisa e nuove regole per il
reclutamento, sancendo di fatto la nascita di una riserva di fino a
10 mila "volontari". Il testo esplicita solo che i riservisti siano
ripartiti in distretti regionali e ipotizza un impiego in «attività
in campo logistico nonché di cooperazione civile-militare». Mentre
in molti Paesi europei è una tradizione radicata – Usa, Svizzera,
Israele – in Italia è un istituto relativamente nuovo e nella
formula pensata dal ministro Guido Crosetto è aperto a ex militari o
civili che volontariamente desiderano aderire. Sui punti ancora da
chiarire – catena di comando, selezione, addestramento, richiamo,
regole di ingaggio – si ipotizza un funzionamento simile a quello
della Riserva Selezionata istituita nel 2002 in concomitanza della
sospensione della leva obbligatoria, in seguito alla quale sono
venute meno una serie di professionalità impiegate nei ranghi, come
avvocati, ingegneri, interpreti. Il primo a partire è stato
l'Esercito, poi si sono aggiunti Marina, Aeronautica e Carabinieri,
ognuno con funzionamenti differenti (specie i Carabinieri perché
formano ufficiali di polizia giudiziaria). Il bacino più ampio però
rimane l'Esercito, che usa un modello mutuato da quello americano
seppur con sfumature diverse.
Si fanno due corsi l'anno dove in media partecipano 35/40 persone e
si formano ufficiali tra una serie di candidati che sulla carta
devono esser laureati o avere specialità professionali specifiche
(come parlare arabo o cinese). Il mese e mezzo di corso è diviso in
due moduli che si svolgono alla Scuola di Applicazione di Torino
ovvero nella stessa sede dove finisce il percorso di formazione
degli ufficiali d'Accademia (ultimo triennio, dopo il biennio a
Modena). Cioè si viene specializzati nella formazione militare.
Gli interessati fanno domanda al distretto militare di appartenenza,
una volta ammessi al corso ricevono il grado di tenente col quale si
svolge il corso praticando materie come geopolitica, addestramento
formale, addestramento fisico. Un'infarinatura militare perché
sebbene in teoria non si vada a combattere (l'impiego dei riservisti
è volto principalmente alla logistica, cioè a far funzionare la
macchina bellica) può capitare di dover essere costretti dalle
circostanze a farlo, specie quando si vien impiegati in teatri come
Libano o Afghanistan.
Quello che governa il tutto è il codice dell'ordinamento militare
secondo cui se un reparto esprime un'esigenza di profili
professionali invia una richiesta allo Stato Maggiore Difesa (Sme)
che individua un profilo adeguato. Una volta selezionato il
riservista viene impiegato per un periodo di tempo di sei mesi
prolungabile per un totale massimo di un anno meno una settimana. —
Emendamento per tutelare gli amministratori: puniti solo i casi di
grave dolo
Scudo erariale fino al 2026 per la Pa I Cinque Stelle contro la
proroga
Il centrodestra ci riprova con lo scudo erariale. La maggioranza ha
depositato un emendamento al Milleproroghe, all'esame delle
commissioni della Camera, per prorogare lo scudo degli
amministratori pubblici fino alla fine del 2026. Allo stato attuale
la norma scade a giugno di quest'anno, grazie a un rinvio inserito
nel decreto della Pubblica amministrazione approvato qualche mese
fa.
Lo scudo erariale è destinato a funzionari e amministratori,
limitando ai casi di dolo e grave inerzia le contestazioni della
Corte dei Conti. I magistrati contabili hanno contestato più volte
questa misura perché, spiegano, l'indebolimento della responsabilità
erariale può favorire la dispersione delle risorse pubbliche,
specialmente di quelle legate al Pnrr, determinando perciò un clima
favorevole per le infiltrazioni della criminalità organizzata.
Il ragionamento della Corte dei Conti è chiaro: esentare dalle
responsabilità gli amministratori che hanno provocato un danno
all'erario ha una ricaduta diretta sullo Stato e sugli enti locali.
L'idea dello scudo erariale nasce a causa dell'annosa questione
della paura della firma, con la necessità di garantire agli
amministratori di non essere perseguiti se invece danno il via
libera agli atti.
«Per noi è irricevibile», attaccano i 5 Stelle. «In questo modo il
centrodestra punta a rendere stabile una norma nata con il governo
Conte II in un contesto emergenziale e pensata come eccezione per un
arco temporale molto breve», spiegano i capigruppo M5s nelle
commissioni Affari Costituzionali e Giustizia della Camera, Alfonso
Colucci e Valentina D'Orso, che aggiungono: «La proposta della
maggioranza è sbagliata e pericolosa di per sé, ma diventa esplosiva
se letta in combinato disposto con l'abolizione del controllo
concomitante della Corte dei Conti sul Pnrr, già voluta dal governo
e approvata dalla maggioranza, e con la prossima abrogazione
dell'abuso d'ufficio».
Secondo i pentastellati si tratta di «un vero e proprio liberi
tutti». Il governo, in occasione dell'ultima proroga, aveva promesso
«una disciplina aggiornata e stabile», ma se l'emendamento dovesse
essere approvato la riforma arriverà solo dopo la chiusura del Piano
nazionale di ripresa e resilienza.
L'analisi Istat-Banca d'Italia: "Rapporto ricchezza-reddito tornato
al 2005"
L'inflazione brucia il 12% della ricchezza frena ancora l'industria:
a dicembre - 2,8%
Luca Monticelli
L'inflazione mangia la ricchezza delle famiglie. Nel 2022 il
patrimonio degli italiani si è ridotto del 12% a causa dell'aumento
dei prezzi. La stima è calcolata in un rapporto diffuso dall'Istat e
dalla Banca d'Italia. Alla fine del 2022 la ricchezza netta delle
famiglie italiane è stata pari a 10.421 miliardi di euro, rispetto
al 2021 è diminuita del 12,5%. E a dicembre è frenata l'attività
industriale, -2,8%.
La ricchezza netta dei nuclei familiari viene misurata come somma
delle attività non finanziarie (come abitazioni, terreni) e delle
attività finanziarie (depositi, titoli, azioni) al netto delle
passività (prestiti a breve, medio e lungo termine).
«Il rapporto tra la ricchezza netta e il reddito lordo disponibile è
sceso da 8,7 a 8,1, tornando ai livelli del 2005», si legge nello
studio. Il valore delle abitazioni è cresciuto, ma a incidere sulla
ricchezza c'è il dato relativo alle attività finanziarie che si sono
contratte di oltre il 5%, principalmente per effetto della riduzione
del valore delle azioni e degli strumenti del risparmio gestito.
Dopo circa un decennio sono tornati a crescere i titoli di debito
detenuti dalle famiglie, si è passati da 231 a 253 miliardi di euro
in un anno, con una risalita del 9,4%. Si tratta di titoli «in buona
parte emessi dalle amministrazioni pubbliche - rileva l'analisi -
mentre l'aumento dei depositi è stato contenuto, dopo il forte
accumulo osservato nel triennio precedente». A perdere appeal è
anche il mercato azionario, in calo dopo tre anni di crescita. Gli
andamenti negativi dei mercati, spiega la nota economica,
determinano una riduzione dei valori delle attività finanziarie,
solo in parte controbilanciata dagli acquisti di nuovi prodotti. Le
famiglie hanno riportato perdite in conto capitale, derivanti
principalmente dalla svalutazione di riserve assicurative, quote di
fondi comuni, azioni e titoli.
Intanto, da Confindustria arriva un nuovo indice per leggere
l'economia in tempo reale attraverso le fatture elettroniche. Gli
economisti di via dell'Astronomia lo hanno chiamato Rtt, real time
turnover, perché nasce con l'ambizione di «far emergere in maniera
istantanea le inversioni di tendenza», sottolinea il direttore
generale di Confindustria Raffaele Langella. Lo strumento consente
di capire la dinamica del Pil grazie a un'analisi su 400 milioni di
fatture elettroniche, pari a 900 miliardi di euro di valore. Al suo
debutto, l'indice registra una crescita del Pil del +0,8% nel quarto
trimestre del 2023, sostenuta da servizi e costruzioni. Di contro,
l'industria rallenta di quasi 3 punti percentuali a dicembre, dopo
+3,2% a novembre. Questo dato, letto insieme alla dinamica piatta
delle scorte Istat a fine anno, anticipa un calo della produzione. —
SARA' UN FLOP TOTALE PER LA SCELTA SOLO ELETTRICA : "La nuova Lancia
riparte dall'Italia Dal 2026 tutte le auto saranno elettriche"
Luca Napolitano
giuliano balestreri
«Ripartire dall'Italia per la nuova Lancia. Il mandato che mi ha
dato l'amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, è
molto chiaro. Contribuire ad aumentare il fatturato dei marchi
premium di Stellantis con DS e Alfa Romeo». Luca Napolitano, 55 anni
e tre figlie, da tre anni è al vertice di Lancia con l'obiettivo di
riportare il marchio ai fasti del passato, dalla B24 protagonista
nel "Sorpasso" con Vittorio Gassman alla Delta che ha fatto sognare
gli appassionati: «Lancia è il marchio dell'eleganza italiana e
tocca il cuore di tanti appassionati in tutto il mondo, non solo in
Italia. Lancia nasce e si crea al Centro Stile a Torino dove c'è chi
disegna il marchio delle belle auto italiane e da lì si riparte.
Avevamo il sogno di fare rinascere questo marchio. E ce la faremo.
Con tre nuove vetture dal 2024 al 2028».
La prima arriva tra pochi giorni.
«È la nuova Ypsilon, una vettura completamente cambiata. Un omaggio
dovuto a un'auto così amata dagli italiani e in particolare dalle
donne che sono il 65% degli acquirenti. La presenteremo a Milano il
14 febbraio, in collaborazione con Cassina, uno dei più grandi
interior designer a livello internazionale. Sarà la prima vettura
della nuova era sia elettrica che ibrida e verrà venduta per l'80%
in Italia».
Perché con Cassina?
«Perché parliamo di due marchi italiani con un secolo di storia
ciascuno alle spalle, due esempi di eccellenza e dai valori
condivisi quali italianità, iconicità, innovazione, ricerca,
rispetto per la tradizione, oltre all'attenzione alle tematiche
ambientali. Non si tratta di una collaborazione industriale, insieme
abbiamo ricreato a bordo della nuova Ypsilon quella unica sensazione
di comfort o di sentirsi a casa, la stessa sensazione che si provava
sulle belle Lancia del passato fino alla Lancia Thema degli anni
'80».
C'è l'obiettivo di andare all'estero?
«Sì. Prima vogliamo avere successo in Italia e poi subito dopo,
certo, vogliamo riportare la Lancia in Europa. La nostra missione è
quella di rafforzare l'offerta premium di Stellantis. Con un
posizionamento ben differenziato e chiaro rispetto agli altri. I
nostri valori sono: la nostra storia, il design italiano e una
visione ambiziosa per il futuro. Lavoriamo con umiltà, un passo alla
volta ma anche con grande passione e amore per il nostro brand».
Un'operazione ambiziosa.
«Sì. Si tratta di una sfida ambiziosa. La Lancia deve fare un grande
salto in termini di posizionamento. Noi crediamo molto nel nostro
piano. In fondo l'attuale Ypsilon è in Italia la city car dei
record, leader storico del segmento B, con 39 anni di successi,
quattro generazioni, 3 milioni di unità vendute e un parco
circolante di un milione di italiani fedeli».
La crisi non aiuta la vendita di auto.
«Vero, ma lo scorso anno con 44.743 immatricolazioni, il 9% in più
rispetto all'anno prima, Lancia Ypsilon è stata la terza auto più
venduta nel mercato italiano e il secondo modello più venduto di
Stellantis, raggiungendo (con il 14,9%) la seconda maggiore quota di
mercato nel segmento B della sua storia. Due anni, il 2022 e il
2023, consecutivi da record».
Un solo modello per questi obiettivi non sarà sufficiente.
«Il nostro piano è a dieci anni e prevede tre nuove vetture, una
ogni due anni: la seconda, la Gamma, verrà prodotta proprio in
Italia nello stabilimento di Melfi che nel 2026, farà il suo
ingresso nel segmento più grande del mercato, con il 50% dei volumi
destinato all'Italia. Nel 2028 uscirà il terzo modello, la Delta, la
vettura che ogni appassionato di Lancia sta aspettando e che
susciterà l'entusiasmo degli amanti dei rally in Italia e non solo.
Per l'ammiraglia siamo agli ultimi dettagli. Per la Delta abbiamo
ancora un po' di tempo perché sappiamo quanto questo modello sia
importante per tanti appassionati. A tutto questo si sta aggiungendo
una rete di concessionari che è stata interamente rinnovata per
massimizzare una esperienza in perfetto stile Lancia».
Il tutto mentre l'industria affronta la transizione verso
l'elettrico.
«Il cammino verso le emissioni zero è qualcosa di molto naturale per
il marchio che già oggi non dispone più in gamma di motori a benzina
o diesel. Lancia è infatti pronta a tornare con una chiara strategia
di elettrificazione, con la Nuova Ypsilon disponibile sia in
versione elettrica che ibrida e a partire dal 2026 con una gamma
composta solo da vetture elettriche.
29.01.24
Ingiusta detenzione ed errori giudiziari, ogni giorno tre persone
finiscono in cella senza colpe
In vent'anni 30 mila innocenti in carcere quasi un miliardo le spese
per lo Stato
franco giubilei
torino
Gli anni di libertà rubati dalla giustizia italiana costano cari per
le spese di risarcimento che lo Stato è chiamato a rifondere, due
milioni e 460 mila euro all'anno, ma non hanno prezzo per le persone
che subiscono la detenzione essendo innocenti. I numeri danno la
dimensione di un fenomeno che in vent'anni, fra il '91 e il 2021, ha
colpito 30 mila persone nel nostro Paese: significa che in media
ogni anno 961 cittadini finiscono dietro le sbarre senza avere
alcuna responsabilità dei delitti che vengono loro attribuiti. Nel
lasso di tempo interessato, lo Stato ha sborsato quasi un miliardo
di euro, 932.937.000 per l'esattezza. Nel solo 2022, 539 persone
sono state incarcerate innocenti, per una cifra di 27 milioni 378
mila euro per indennizzi liquidati.
Si potrà obiettare che l'errore, nelle indagini e nei processi così
come in qualsiasi altra attività, non è umanamente eliminabile, ma
qui c'è qualcosa di più se l'ingiusta detenzione investe tanta
gente. Occorre comunque distinguere fra quanti «subiscono una
custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari, salvo
venire assolti» e le persone che restano vittime di errori
giudiziari veri e propri, cioè coloro che «dopo essere stati
condannati con sentenza definitiva vengono assolti in seguito a un
processo di revisione», spiegano Benedetto Lattanzi e Valentino
Maimone. Sono i giornalisti che da oltre venticinque anni osservano
il fenomeno dal loro osservatorio del sito www.errorigiudiziari.com.
I dati fanno riferimento al 2022, quando gli errori giudiziari sono
stati otto, uno in più rispetto all'anno precedente, mentre
nell'arco dei ventun anni dal '91 in poi il totale ammonta a 222
casi - in media sette all'anno - per una spesa complessiva per
risarcimenti di 76 milioni 255 mila euro. Se ci si ferma a
considerare solo il 2022 la spesa ha sfiorato i dieci milioni, ma
qui a colpire è il divario all'anno prima, quando la cifra era sette
volte più bassa. Gli autori dell'analisi a questo riguardo spiegano
però che sull'elaborazione degli indennizzi pesano «i criteri di
elaborazione dei risarcimenti, che sono molto più discrezionali e
variabili rispetto a quelli fissati invece dalla legge per
l'ingiusta detenzione». Questa degli innocenti chiamati a pagare per
delitti che non hanno commesso è solo una delle piaghe che
affliggono il mondo carcerario italiano e chi ha la ventura di
varcare i cancelli di un istituto di pena. Il sovraffollamento delle
celle su cui era intervenuta anni fa l'Unione europea, stabilendo
una superficie minima a disposizione di ogni detenuto, è tornato a
farsi sentire: i reclusi hanno raggiunto quota 60 mila mentre la
capienza degli istituti ammonta ufficialmente a 51.272 posti.
Ai detenuti in sovrannumero corrispondono, secondo i sindacati di
categoria, organici insufficienti di polizia penitenziaria. Un
disagio che si esprime anche nel numero abnorme di suicidi, uno ogni
cinque giorni, denuncia l'associazione Antigone. —
28.01.24
"Il mondo è cambiato, l'Italia si prepari se c'è pericolo servono i
riservisti "
Guido Crosetto
L'esercito
Nuovi equilibri
"
Il rischio
FRANCESCO OLIVO
ROMA
Secondo Guido Crosetto gli attacchi alle navi nel Mar Rosso non sono
solo un'offensiva militare, ma un nuovo capitolo «di guerra ibrida».
Per il ministro della Difesa, infatti, la decisione degli Houthi di
non colpire le navi cinesi e russe di fatto «altera le regole del
commercio mondiale». E quindi la missione europea è ancora più
urgente «per gli interessi italiani». Lo scenario globale è
cambiato, anche perché «gli attori che lo stanno destabilizzando,
Iran, Russia e Corea del Nord, hanno una capacità produttiva
militare superiore a quella della Nato».
Ministro, quante navi invierà l'Italia nel Mar Rosso?
«L'Italia manderà una nave che si aggiunge alle altre già presenti
in zona per le altre missioni».
Per l'Italia questa è davvero una priorità?
«Per l'Italia molto più che per altri Stati».
Perché allora questa lentezza nelle decisioni?
«Per andare più rapidi abbiamo trovato un accordo con Francia e
Germania. Poi, però, per dei puri dettagli, si perdono settimane e
ora non ce lo possiamo permettere».
Ha influito il fatto che la Spagna abbia frenato su un intervento
europeo?
«Quella del governo spagnolo è una diffidenza ideologica. Sánchez ha
fatto prevalere l'interesse dei suoi accordi politici su quelli
della sicurezza internazionale».
Qual è l'aspetto più preoccupante di questa crisi?
«C'è una guerra commerciale in atto che vuole alterare le regole
globali».
In cosa consiste?
«Le navi russe e cinesi non vengono attaccate e la cosa viene
annunciata apertamente. Questo crea un disallineamento commerciale,
perché le loro merci hanno costi di trasporto e di assicurazioni
inferiori, cosa che si riflette sui prezzi. È una guerra che si
innesca su un'altra guerra».
Una guerra ibrida?
«Sì. È l'inizio di qualcosa di diverso».
Le navi italiane potranno colpire le postazioni degli houthi?
«Noi non possiamo bombardare, a meno che ci sia una risoluzione
internazionale o la richiesta di un Paese amico. Possiamo rispondere
agli attacchi, magari anche anticipandoli».
Verrà coinvolto il Parlamento?
«Di sicuro. Ci saranno delle comunicazioni o passaggi formali, a
seconda della configurazione della missione, con un voto dell'Aula».
Le azioni di Stati Uniti e Gran Bretagna stanno ottenendo risultati
concreti?
«Sì, ma non è facile: gli Houthi sono molto organizzati e non facili
da sconfiggere. Io spero che passi il messaggio che siamo davanti a
uno scenario nuovo, che ci riguarda da vicino e che ci dobbiamo
attrezzare».
Cosa significa?
«Abbiamo costruito regole con l'idea di un mondo sempre pacifico, di
nazioni che non invadono le altre, di guerre che non incidono sul
benessere dei nostri cittadini. E invece ci ritroviamo in un mondo
diverso, in cui gli attori che lo stanno destabilizzando, Iran,
Russia e Corea del Nord, hanno una capacità produttiva militare
superiore a quella della Nato».
Deve cambiare il ruolo delle forze armate italiane?
«Sì, abbiamo trasformato le forze armate con l'idea che non ci fosse
più bisogno di difendere il nostro territorio e che la pace fosse
una conquista di fatto irreversibile. Le forze armate, in questo
quadro, al massimo partecipano a missioni di pace, senza arrivare a
scontri veri e propri. Ora i recinti sono stati abbattuti, non ci
sono più regole».
Non crede che si generi allarme tra i cittadini?
«Il ruolo del ministro della Difesa presuppone di prendere in
considerazione gli scenari peggiori possibili».
Qual è lo scenario peggiore?
«Doversi difendere sul proprio territorio. Altra cosa che va
prevista è intervenire in Paesi lontani per difendere gli interessi
italiani».
Come pensa verrà accolto questo discorso?
«So che è un discorso difficile da accettare perché tutti noi
tendiamo a nasconderci in una comfort zone».
Per questo propone di creare una riserva militare?
«Sì».
È una svolta militarista?
«Noi non vogliamo la guerra, i riservisti non servono per fare la
guerra, ma per difendersi, in supporto alle forze armate regolari, e
solo nel caso, poco probabile, di un attacco diretto. Non c'è una
visione ideologica, ma pragmatica. Come in Svizzera che non
partecipa a conflitti da secoli ma è pronta a difendersi».
Di cosa si tratta?
«Di volontari che, in caso di necessità, possono essere attivati per
affiancare le forze armate. I militari dovranno specializzarsi
sempre di più, ma poi serve un bacino più ampio».
Questo richiede una riforma della Difesa?
«Sì. Le faccio un esempio: se io ho bisogno di esperti di
intelligenza artificiale o di hacker, con le regole ed il
trattamento economico del pubblico impiego, non li troverò mai».
Agirete subito?
«Per la riserva esiste già una delega del Parlamento».
Sarà lunga la crisi?
«È una vicenda legata alla guerra di Gaza. Anche per questo bisogna
trovare una soluzione rapidamente».
La posizione italiana è cambiata?
«Noi abbiamo condannato duramente i crimini di Hamas. Dopodiché
abbiamo detto a Netanyahu che non si può essere contrari alla
soluzione dei due Stati che tutto il mondo sostiene. Né si può stare
zitti davanti al numero altissimo di vittime civili».
Oggi comincia la Conferenza Italia-Africa. Ci dice in due parole che
cos'è in concreto il Piano Mattei?
«È un'avanguardia basata su dei paletti chiari. Seguiranno degli
sforzi politici ed economici molto forti».
Quali?
«Non è fuffa. La vittoria di Meloni è stata far capire a tutti gli
Stati occidentali che questo è il secolo dell'Africa».
L'analisi è chiara, ma cosa si farà concretamente?
«Ci saranno interventi su istruzione, commercio, sanità, ricerca,
infrastrutture. Si partirà con esperimenti in alcuni Stati, per poi
allargarsi agli altri».
La convince l'accordo con l'Albania sui migranti?
«È un tentativo innovativo. Poi vedremo i risultati».
Il Fatto Quotidiano ha scritto che lei nel corso di un evento
privato ha dato per scontata la vittoria di Putin e l'allargamento
del conflitto in Medio Oriente. È vero?
«Assolutamente no, mai detto né pensato. E per fortuna non c'è
neanche bisogno di smentire perché il mio intervento è registrato.
L'articolo del Fatto Quotidiano lo considero un atto di guerra
ibrida».
Addirittura? Il quotidiano ha confermato il contenuto dell'articolo.
«Quelle fake news non fanno male a me, ma allo Stato. Perché mettono
in discussione, attraverso frasi mai pronunciate, le posizioni
cruciali della politica estera e di difesa dell'Italia».
Servirebbe uno sforzo maggiore per arrivare alla pace in Ucraina?
«La pace non è un'opzione nelle nostre mani: la guerra continuerà a
lungo perché Putin ha ancora l'idea di arrivare a Kiev».
Il sostegno all'Ucraina si sta affievolendo?
«Potremmo girarci dall'altra parte, poi però ci troveremmo i carri
armati di Putin sotto casa».
Il governo ora cerca risorse con le privatizzazioni, si stanno
mettendo in vendita gli asset dello Stato?
«Con questo governo gli asset dello Stato non saranno mai messi in
vendita».
Meloni in passato aveva denunciato i tentativi di privatizzazione
delle Poste. Una giravolta?
«Non si tratta di una vera privatizzazione, nel senso che lo Stato
mantiene il controllo». —
27.01.24
In orbita i satelliti militari degli Ayatollah
L'Iran manda in orbita tre satelliti nell'ambito di un programma
che, secondo l'intelligence occidentale, punta a perfezionare
l'impiego dei suoi arsenali balistici. L'operazione è da inquadrare
negli sforzi collaterali attuati da Teheran per rafforzare il
proprio ruolo nello scacchiere internazionale in una fase di
inesorabile allargamento del conflitto che affonda le radici nella
guerra a Gaza. La messa in orbita rappresenta un passo in avanti dal
punto di vista tecnologico, perché portata a compimento con un
vettore che in passato aveva registrato diversi fallimenti. Il
filmato diffuso dalla televisione di Stato, mostra il lancio
notturno del razzo Simorgh, avvenuto secondo un'analisi compiuta
dell'Associated Press alla base aerospaziale dell'Imam Khomeini
nella provincia rurale di Semnan. «Il ruggito del Simorgh ha
risuonato nel cielo del nostro Paese e nello spazio infinito», ha
commentato l'emittente pubblica iraniana, che ha identificato i
satelliti coi nomi di Mahda, Kayhan-2 e Hatef-1. Il primo ha scopi
di ricerca, mentre Kayhan e Hatef sono "nanosatelliti" focalizzati
rispettivamente sul posizionamento globale e sulla comunicazione.
Secondo gli 007 Usa lo sviluppo di tali tecnologie satellitari
«accorcia i tempi» nei quali l'Iran potrà dotarsi di un missile
balistico intercontinentale, come menzionato in un rapporto che cita
specificamente il Simorgh quale vettore a duplice uso
26.01.24
E spunta il dossier contro l'Onu "Dipendenti complici dei jihadisti" nello del gatto
GERUSALEMME
Israele ha presentato all'Unrwa le prove del coinvolgimento di suoi
dipendenti nel massacro del sette ottobre. Il segretario delle
Nazioni Unite, Guterres, ha chiesto una rapida inchiesta interna,
cosa ribadita anche dal capo dell'Unrwa, Lazzarini, che si è detto
scioccato e ha annunciato il licenziamento immediato di questo
personale. Nell'attesa dei risultati dell'inchiesta, gli Stati Uniti
hanno bloccato i finanziamenti all'Unrwa. Israele ha più volte
accusato l'agenzia per i rifugiati di aiutare Hamas. Alcuni ostaggi
rilasciati da Gaza hanno detto di essere stati rinchiusi in
strutture dell'Unrwa e tenuti da insegnanti dell'organizzazione.
Accuse anche all'Oms per l'uso militare che Hamas fa degli ospedali,
subito respinte al mittente.
«Continueremo a difendere noi stessi e i nostri cittadini
rispettando il diritto internazionale». Questa la reazione a caldo
del premier israeliano Benjamin Netanyahu al pronunciamento della
Corte internazionale di Giustizia dell'Aia. Il tribunale, che non ha
chiesto formalmente un cessate il fuoco a Israele, impegna il Paese
ebraico a mettere in campo tutte le misure per prevenire atti di
genocidio nella Striscia di Gaza. Ma Netanyahu va avanti per la sua
strada. «Israele sta combattendo una guerra giusta come
nessun'altra. Continueremo – ha aggiunto il premier - questa guerra
fino alla vittoria assoluta, finché tutti gli ostaggi non saranno
restituiti, e Gaza non sarà più una minaccia per Israele». Il
premier si è anche soffermato sul fatto che la Corte continuerà a
discutere dell'accusa di genocidio verso Israele, su richiesta
sudafricana, decisione che, per lui, è «una vergogna che non sarà
cancellata per generazioni».
Dello stesso parere è anche ministero degli Esteri israeliano che in
una nota, ribadendo che la guerra di Israele è contro Hamas e non i
civili palestinesi, scrive che «l'accusa di genocidio mossa contro
Israele alla Corte Internazionale di Giustizia è falsa e scandalosa.
Si tratta di una vergognosa strumentalizzazione della Convenzione
sul genocidio che non solo è del tutto priva di fondamento nei fatti
e nel diritto, ma è anche moralmente ripugnante».
Una cinquantina tra ex militari, professori universitari e
imprenditori hanno scritto una lettera contro Netanyahu, invitandolo
alle dimissioni, perché «è un pericolo per la nazione». Il premier
ha chiesto ai membri del governo di non parlare, di non commentare
la sentenza della Corte di Giustizia dell'Aia. Ma il ministro della
Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, ha comunque liquidato l'Alto
tribunale internazionale come «antisemita», dichiarando che «non
cerca giustizia, ma piuttosto la persecuzione del popolo ebraico».
Hamas ha invece accolto con favore la sentenza affermando che
«contribuisce a isolare Israele», continuando a parlare di genocidio
in una nota trasmessa via Telegram. Il ministro degli Esteri
palestinese Riyad al-Maliki ha sottolineato che la decisione della
Corte mondiale costituisce un «obbligo legale vincolante», e ha
chiesto a tutti i Paesi di far rispettare il pronunciamento.
Per il Sudafrica, il pronunciamento della Corte è una «vittoria
decisiva» per lo stato di diritto internazionale. Mentre l'Egitto
dice che si aspettava la richiesta di sospensione dei combattimenti.
La Commissione europea, infine, in un comunicato, chiede che le
parti rispettino quanto richiesto dalla Corte.
I mercantili occidentali non transitano da Bab el-Mandeb per paura
degli attacchi dei ribelli yemeniti. Al loro posto ci sono le
compagnie del Dragone
Il lasciapassare Houthi per le navi cinesi I cargo di Pechino
padroni del Mar Rosso
Francesco Semprini
Nel Mar Rosso infestato dagli attacchi delle procure iraniane,
scosso dai bombardamenti alleati e affollato da gendarmi marittimi,
c'è una flotta silenziosa che si incunea tra lo stretto di Aden e il
canale di Suez, pronta a solcarne incolume i mari in tempesta. È una
flotta che viene da lontano, dalla Cina, attore privilegiato in
questa fase del conflitto che, dalla Striscia di Gaza, sta
contaminando con le sue metastasi il Medio Oriente mettendo a dura
prova il traffico marittimo dell'intero Pianeta. Di fronte
all'instabilità causata dagli arrembaggi Houthi (compiuti con raid
missilistici e azioni piratesche via mare) diverse compagnie di
navigazione cinesi hanno redistribuito le loro navi per servire il
Mar Rosso e il Canale di Suez, in quello che secondo gli analisti è
un tentativo di sfruttare l'immunità del Dragone dagli attacchi
della formazione yemenita filo-iraniana. Gli stessi che hanno
causato molti armatori attivi in quel bacino a ordinare cambi di
rotta ai propri bastimenti.
Si tratta di linee più piccole che servono i porti di Doraleh a
Gibuti, Hodeidah nello Yemen e Jeddah in Arabia Saudita, scali alle
prese con pronunciati cali dei volumi di traffico dovuti al cambio
di rotta delle navi container costrette a doppiare il Capo di Buona
Speranza in Sudafrica. Tra i mercantili del Dragone che operano
nell'area ci sono la Zhong Gu Ji Lin e la Zhong Gu Shan Dong,
entrambe battenti bandiera cinese, sebbene sull'identità
dell'armatore viga il mistero, spiega il Financial Times. Entrambe
le navi all'inizio di questa settimana erano indicate sul sito web
della Transfar Shipping con sede a Qingdao, che si descrive come «un
attore emergente nel mercato transpacifico», tuttavia, la società ha
dichiarato di aver smesso di gestire le navi nel febbraio 2023 e di
non sapere quale compagnia le gestisca adesso. L'entrata in scena di
queste realtà più snelle e smaliziate avviene dopo che la maggior
parte delle grandi compagnie di trasporto marittimo di container –
tra cui la stessa Cosco, operatore cinese della quarta flotta più
grande del settore – hanno abbandonato il Mar Rosso meridionale a
causa dei rischi per la sicurezza. I dati di Clarksons, azienda di
servizi marittimi, mostrano che gli arrivi di navi portacontainer a
metà gennaio all'ingresso del Mar Rosso sono stati del 90% in meno
rispetto alla media della prima metà di dicembre.
Gli attacchi Houthi iniziati alla fine di novembre in solidarietà
con i palestinesi di Gaza (ma che in realtà celano anche altri
motivi) si sono intensificati nelle ultime settimane al punto tale
da far scattare le rappresaglie di Stati Uniti e Gran Bretagna
capofila della missione "Operation Prosperity Guardian" a cui si
affiancherà presto quella europea (con postura limitata a difesa e
deterrenza) "Aspis". I leader della formazione yemenita hanno
affermato che non attaccheranno le navi associate a Cina o Russia,
entrambe alleate dell'Iran, finché non avranno legami con Israele.
Gli Usa, peraltro già alle prese con il boicottaggio dei colossi
della Corporate America McDonald's, Coca-Cola e Starbucks da parte
Paesi arabi, hanno chiesto a Pechino di sollecitare l'Iran a tenere
a freno gli Houthi, senza riscuotere successo almeno al momento.
Cichen Shen, esperto di Lloyd's List Intelligence, ha affermato che
la «spiegazione più semplice» della corsa degli operatori cinesi
nella regione è che stanno cercando di sfruttare la loro presunta
invulnerabilità per fare i giusti affari. Questo nonostante le
preoccupazioni espresse da Pechino sull'escalation nel Mar Rosso.
L'approccio è simile a quello adottato quattro anni fa dalla China
United Lines (CULines), con sede a Yangpu, sull'isola di Hainan. La
società è cresciuta in modo significativo durante l'interruzione
degli scambi dovuta alla pandemia di Covid-19 e si è concentrata
sulle rotte Cina-Europa e Cina-Stati Uniti. Strategia valida anche
ora visto che CULines ha appena annunciato l'avvio di un servizio
Red Sea Express che collegherà Jeddah in Arabia Saudita con una
serie di porti cinesi. A essa si affiancano operatori sino ad oggi
sconosciuti come Sea Legend con sede a Qingdao, le cui unità battono
bandiera cinese e navigano nella zona di pericolo del Mar Rosso
scortate dalla marina militare di Pechino. E Fujian Huahui Shipping
che gestisce la Hui Fa e la Hui Da 9, entrambe registrate di recente
in transito nel Canale di Suez. Secondo esperti sentiti dal Ft i
nuovi operatori sono destinati a «scomparire rapidamente» una volta
terminata la crisi, elemento questo che richiederebbe chiarimenti su
eventuali legami cinesi degli stessi Houthi.
"Il governo smantella la sanità pubblica" Schlein invoca più risorse
e personale
«Il governo va nella direzione dello smantellamento della sanità
pubblica». Così la segretaria Pd Elly Schlein all'inaugurazione del
circolo Pd intitolato a Guido Rossa a Genova: «Servono più risorse
sulla sanità pubblica, serve sbloccare il tetto delle assunzioni del
personale, credere di più nella sanità territoriale e riuscire ad
aiutare le emergenze urgenze». La leader aggiunge: «Questi circoli
siano altrettanti semi di un impegno che annaffiamo ogni giorno per
un'Italia migliore. Non facciamoci dire che l'alternativa a questo
pessimo governo non c'è, l'alternativa c'è e a partire da noi, la
costruiremo su un programma sui bisogni delle persone, aperto alle
altre forze di opposizione, l'Italia merita di più».
25.01.24
Epidemie in crescita per la mancanza di acqua potabile
Gaza, in 20 uccisi da un raid facevano la coda per il pane Tajani:
scudi umani di Hamas
nello del gatto
GERUSALEMME
Almeno 20 rifugiati, in fila per prendere aiuti umanitari e cibo,
sono stati uccisi a seguito in un attacco vicino a Gaza City. Il
ministero della Sanità gestito da Hamas ha denunciato che l'esercito
israeliano avrebbe preso di mira una folla nei pressi della rotonda
Kuwait, a est del quartiere di Zeitoun. Il portavoce del ministero,
Ashraf al-Qidra, ha detto che nell'attacco sarebbero anche rimaste
feriti centinaia di persone e che il bilancio delle vittime potrebbe
aumentare poiché decine di persone gravemente ferite sono state
portate all'ospedale Shifa della città.
L'esercito israeliano ha respinto le accuse di essere il
responsabile della strage, facendo sapere di star esaminando quanto
accaduto, sottolineando, come già detto altre volte, che Israele non
prende di mira i civili. È salito invece a tredici il bilancio dei
morti nel Centro di formazione Khan Younis dell'Unrwa che è stato
colpito mercoledì. Sono almeno 56 i feriti, dei quali una ventina i
gravi, estratti dalla palazzina dove c'erano 800 persone, 43mila in
tutta la struttura delle Nazioni Unite.
«Tutto quello che sta accadendo è colpa di Hamas che ha fatto di
tutto affinché Israele non facesse l'accordo con l'Arabia Saudita»,
ha argomentato il ministro degli esteri Antonio Tajani in conferenza
stampa a Gerusalemme dopo una giornata di incontri con i vertici
israeliani e palestinesi: «Siamo preoccupati – ha continuato - per
la popolazione civile palestinese lo abbiamo detto a Israele, ma
sappiamo bene che Hamas usa la popolazione civile come scudi umani,
è una organizzazione terroristica che ha compiuto atti quasi
peggiori di quelli dei nazisti. Siamo per un cessate il fuoco da
entrambe le parti e ci impegneremo per il dopo, ma senza Hamas.
Bisogna rinforzare il ruolo dell'Autorità nazionale Palestinese». Il
capo delle feluche italiane ha ribadito che, con l'avallo
israeliano, si sta lavorando per permettere a un centinaio di
bambini feriti di Gaza di uscire dalla Striscia ed essere
trasportati in Italia per cure.
La guerra non ferma però i colloqui per la liberazione degli
ostaggi. Il ministro Tajani ne ha parlato sia con gli israeliani che
con il presidente palestinese Abu Mazen, il quale sarebbe d'accordo
ad un loro rilascio incondizionato. Per sostenere il dialogo, gli
Stati Uniti hanno inviato il capo della Cia, William Burns, per
colloqui con Israele, Egitto e Qatar. Dopo che Hamas ha respinto
l'ultima proposta israeliana, secondo una fonte vicina ai negoziati,
le due parti avrebbero raggiunto un accordo di base sulla maggior
parte dei termini della nuova proposta. Secondo le indiscrezioni,
l'accordo durerà 35 giorni, durante i quali verranno rilasciati
tutti gli ostaggi israeliani. In cambio, Israele libererà
prigionieri palestinesi e fornirà aiuti umanitari alla Striscia di
Gaza. Secondo la fonte citata da Haaretz, l'unica questione che le
parti non riescono a risolvere è se nell'accordo verrà dichiarato un
cessate il fuoco completo, una richiesta di Hamas che Israele
rifiuta.
«La gente vuole il cessate il fuoco! Netanyahu e Sinwar, vogliamo il
cessate il fuoco. Basta con la guerra e basta con la distruzione!».
Sono queste le voci che si sentono in un video registrato a Khan
Younis, nel sud della Striscia di Gaza, dove una grande folla di
palestinesi ha marciato chiedendo di porre fine alla guerra a Gaza.
Non si sa quando sia stato girato il filmato che arriva un giorno
dopo un altro simile diffuso dal portavoce arabo dell'esercito
israeliano.
In attesa del pronunciamento di oggi della Corte Internazionale di
Giustizia, che potrebbe chiedere a Israele una sospensione dei
combattimenti, il paese ebraico ha declassificato documenti che
dimostrano il proprio impegno nel non colpire i civili. Intanto,
secondo indiscrezioni, un responsabile di Hamas ha detto che se oggi
la Corte internazionale di giustizia ordinerà un cessate il fuoco
immediato nella sua sentenza sul caso di genocidio contro Israele,
Hamas lo rispetterà se Israele ricambierà. —
24.01.24
Akio Toyoda torna a manifestare tutti i suoi dubbi sulle
auto elettriche. Il manager giapponese, diventato da pochi mesi
presidente del consiglio di amministrazione della Toyotadopo
14 anni da numero uno assoluto, ha colto l'occasione di un dialogo
con i dipendenti per ribadire un'opinione che negli anni scorsi gli
ha attirato non poche critiche: "Non importa quanti progressi
facciano le elettriche, penso che avranno comunque solo una quota di
mercato del 30%" e pertanto non arriveranno a 'dominare' il
mercato".
Neutralità tecnologica. Inoltre, per Toyoda, i consumatori "non
dovrebbero essere obbligati ad acquistare" auto
elettriche e l'industria non dovrebbe subire imposizioni
industriali da parte dei politici. Insomma, i veicoli a batteria non
dovrebbero essere sviluppati escludendo altre tecnologie come
l'ibrido o le celle a combustibile di idrogeno. In poche parole,
Morizo, come viene chiamato Toyoda nel mondo delle competizioni
sportive, ha ribadito la sua preferenza per un approccio
"tecnologicamente neutrale" alla transizione energetica e "multi-percorso"
perché il vero nemico da combattere non è l'auto, bensì la CO2.
Non deve decidere la politica. Toyoda non ha lesinato un altro
attacco ai legislatori, partendo dalle sue previsioni sul futuro del
mercato: a fronte di elettriche destinate ad assicurarsi al massimo
il 30% del mercato, ci sarà un restante 70% rappresentato da auto
ibride, fuel cell e a idrogeno. Di conseguenza, i motori a scoppio
continueranno ad avere un ruolo importante anche in futuro e
spetterà ai consumatori scegliere la miglior soluzione per le loro
esigenze: "Penso che debbano essere i clienti a decidere, non le
normative o la politica". Del resto, il dirigente giapponese ha
ribadito la limitata attrattività delle auto a batteria a livello
globale, sottolineando ancora una volta un dato incontrovertibile:
un miliardo di persone vive ancora senza elettricità e non può
neanche avvicinarsi a mezzi non solo costosi, ma dipendenti dalla
presenza di un'infrastruttura di ricarica. "Forniamo veicoli anche a
queste persone, quindi la sola opzione delle Bev non può garantire i
trasporti a tutti. Ecco perché cerco di avere una varietà di
opzioni".
Le critiche. Nel suo discorso, Toyoda è tornato sulle critiche
mosse alla Toyota per i ritardi nello sviluppo di modelli Bev,
quantomeno rispetto alla concorrenza, insistendo, anche in questo
caso, su un concetto non nuovo. Infatti, il manager ha ripetuto come
sia giusto per l'azienda giapponese concentrarsi su tecnologie
alternative, ma ha ammesso anche la difficoltà di "combattere da
soli". A tal proposito, ha
lanciato l'allarme sulla possibilità che le banche chiudano i
rubinetti del credito ad aziende ancora impegnate nella produzione
di motori a combustione.
IL CLIMA E' CAMBIATO E YAKY SE NE VA :
Altro che l’Italia, Stellantis
guarda al Marocco. A dirlo in un’intervista sul Messaggero è Carlo
Calenda: “Sono in possesso di una lettera che Stellantis ha inviato
ai fornitori italiani, decantando le opportunità di spostare gli
investimenti in Marocco, dove il gruppo di Elkann è già presente in
maniera massiccia. Oltre alla lettera, hanno inviato un dépliant del
governo marocchino, che esalta le facilitazioni per l'industria
dell'automotive in quel paese. La fuga dall'Italia continua sempre
di più”.
Il Foglio ha potuto visionare la missiva con la quale il gruppo
invita [...] i suoi fornitori italiani a una due giorni d’incontri
in un hotel di Rabat, il 9 e il 10 novembre scorsi. [...] Stellantis
[...] studia come spostare alcune attività a sud, questione di costi
più bassi (il Marocco ha 150 mila laureati l’anno ma un salario
minimo di 280 dollari al mese) e integrazione della produzione.
Durante il primo giorno gli invitati hanno potuto prima assistere
alla presentazione delle attività di Stellantis in Marocco, poi
partecipare a una cena cocktail di networking.
Mentre il secondo giorno […] era previsto un tour nell’impianto
Stellantis di Kenitra (dove Peugeot produceva già dal 2015), con
navette a ogni ora tra le 7.45 del mattino e l’una del pomeriggio,
e, nella stessa fascia oraria, incontri business to business tra
fornitori e i dirigenti di Stellantis che si occupano dell’acquisto
di materie prime e semilavorati.
Alla missiva con l’invito a Rabat […] è stato allegato anche un
dépliant del governo marocchino dal titolo “Morocco now, invest and
export”. Il documento, 21 pagine, contiene tre capitoli.
Nel primo sono indicati i fondamentali dell’economia marocchina […],
nel secondo il peso dell’industria dell’automotive, in particolare
con gli investimenti di Renault e ovviamente di Stellantis […] che
raggiunge quasi un milione di veicoli assemblati ogni anno (450 mila
per quattro modelli, principalmente Peugeot, ma dal 2023 c’è anche
la Fiat Topolino).
“L’obiettivo oggi – è dichiarato nel documento – è raggiungere un
alto tasso di integrazione”. Ovvero portare in Marocco non solo
l’assemblaggio, ma un pezzo più vasto di catena produttiva. Con una
meta finale: arrivare a una produzione di 1,5 milioni di veicoli e
alla piena decarbonizzazione della produzione attraverso l’uso delle
energie rinnovabili locali.
L’ultimo capitolo […] parla degli incentivi e degli aiuti statali
per chi è disposto a investire nel paese nordafricano. Tra le varie
informazioni si parla dell’assenza di restrizioni per i non
residenti negli investimenti in aziende marocchine, nessun costo per
lo spostamento di profitti e capitali dal Marocco e l’accordo di
protezione degli investimenti stranieri che riguarda sessanta paesi,
tra i quali ovviamente anche l’Italia. […
Giorgia Meloni torna a parlare di Stellantise
dell'industria automobilistica italiana a neanche due giorni dagli attacchicontro
il gruppo automobilistico. "Noi vogliamo, come sempre, difendere
l'interesse nazionale e instaurare un rapporto equilibrato con
Stellantis. Il ministro Urso ha incontrato più volte le persone in
questione per difendere la produzione in Italia, i livelli
occupazionali e tutto l'indotto dell'automotive", ha affermato il
presidente del consiglio, durante un question time alla Camera. "Con
questo scopo è stato sottoscritto un protocollo d'intesa tra il
Ministero delle Imprese e del made in Italy e l'associazione della
filiera dell'automotive, è stato istituito un tavolo permanente di
sviluppo del settore – al quale partecipano tutti i soggetti
istituzionali e produttivi, che si relazionano anche con Stellantis
– e per questo ancora abbiamo previsto degli incentivi, come l'ecobonus
per sostenere la domanda e misure di sostegno per attrarre nuovi
investitori e nuovi costruttori".
Protocolli e incentivi. Inoltre, "abbiamo modificato le norme,
da una parte incentivando chi torna a produrre in Italia e,
dall'altra, scoraggiando chi delocalizza, che dovrà restituire ogni
beneficio o agevolazione pubblica ricevuta negli ultimi dieci anni.
Vogliamo, cioè, tornare a produrre in Italia almeno un milione di
veicoli l'anno con chi vuole investire davvero nella storica
eccellenza italiana. Ciò significa anche che, se si vuole vendere
un'auto sul mercato mondiale pubblicizzandola come 'gioiello
italiano', allora quell'auto dev'essere prodotta in Italia. Questa è
un'altra questione che intendiamo porre, perché con l'attuale
governo queste sono le regole, e valgono per tutti", ha proseguito
Meloni, rispondendo all'interrogazione del deputato di Azione,
Matteo Richetti, "Iniziative volte a garantire la continuità
produttiva e occupazionale presso gli stabilimenti italiani di
Stellantis e di Magneti Marelli, nell'ambito di un piano di rilancio
del comparto automobilistico".
Un altro attacco. Il presidente del consiglio non ha comunque
mancato l'occasione di lanciare un'altra bordata. "Il gruppo Fiat e
i marchi italiani collegati – ha affermato – rappresentano una parte
importante della storia industriale nazionale e un patrimonio che
merita la massima attenzione, e questo credo significhi avere anche
il coraggio di criticare le scelte del management, come lo
spostamento della sede fiscale all'estero, ol'operazione
di presunta fusione tra FCA e il gruppo francese PSA che
celava in realtà un'acquisizione da parte francese dello storico
gruppo italiano tanto che oggi nel cda di Stellantis siede un
rappresentante del governo francese, e non è un caso se le scelte
industriali del gruppo tengano conto molto più delle istanze
francesi. In Italia siamo passati da oltre un milione
di auto prodotte nel 2017 a 700mila nel 2022. In Italia sono andati
persi oltre 7 mila posti di lavoro".
La replica di Richetti. "La questione Stellantis – ha quindi
replicato il deputato – non è un elemento di puntiglio verso
un'azienda, una proprietà o un organo di informazione. Qui siamo di
fronte al fatto che, a fronte di garanzie ricevute con vincoli
precisi, un'azienda non ha mantenuto poi gli impegni presi. Negli
ultimi mesi Carlo Calenda è stato abbastanza isolato nel tentare di
porre un tema che non è contro qualcuno, ma riguarda la manifattura
e l'industria italiana. Io spero che diventi priorità di tutte le
forze politiche". "Ricordo – ha aggiunto – le garanzie date su
Magneti Marelli, che sono state poi disattese e Magneti
Marelli è stata venduta fuori dai confini europei. E allora,
se ci occupiamo seriamente dei lavoratori e delle imprese italiani
questa è una cosa che ci riguarda tutti, perché riguarda la
produzione dell'auto in Italia. Noi nel 2017, al netto di chi era il
proprietario dell'azienda FCA, producevamo oltre un milione di
veicoli, nel 2022 siamo arrivati a 685.000, con un calo
dell'occupazione del 30%. E questo – ha concluso – è un problema
della politica, non di una parte della politica"
ERRORI STRATEGICI :
Ma le aziende del food sfidano il ministro
lorenzo cresci
Voci isolate, singole dichiarazioni, poi diventate un coro unanime.
Un documento, da inviare a Bruxelles. Così Unione Italiana Food, che
rappresenta le imprese del cibo aderenti a Confindustria (550
aziende, 51 miliardi di fatturato, 100 mila dipendenti), si è
schierata contro la legge del ministro Francesco Lollobrigida, che
proibisce la produzione di carne coltivata, mirando allo stralcio
della parte sul meat sounding, emanazione dell'ex ministro
all'Agricoltura Gianmarco Centinaio, ma con grande spinta di
Coldiretti. Bocche cucite in Viale del Poggio Fiorito, a Roma, dove
ha sede Unionfood: «Quel che avevamo da dire lo abbiamo detto, è
pubblico in un documento condiviso. Niente di più». E se dal
presidente Paolo Barilla ai suoi vice nessuno parla, le loro
posizioni sono note e mirano proprio alla politica di Coldiretti e
del suo presidente Ettore Prandini. In particolare, chiedendo lo
stralcio del meat sounding, provvedimento che vieta l'uso di parole
come "bistecca veggie" o "hamburger di ceci" perché - sostengono
Coldiretti, il ministro e l'ex ministro - richiamano a prodotti
tradizionalmente di origine animale e quindi confondono il
consumatore». Chi è confuso, però, sostengono gli imprenditori, è il
fronte Coldiretti-governo, che ha mescolato il tema della carne
coltivata con quello dei prodotti a base vegetale. Tanto che, fanno
osservare, si considera la presa di posizione «spiazzante e
ingiusta». E questo perché i temi della produzione sono assai
distanti tra loro: da una parte si parla di ricerca e
sperimentazione di carne coltivata in laboratorio, dall'altra di
nomi commerciali di prodotti che hanno origine vegetale e utilizzano
(anche) alimenti della tradizione agricola italiana. Industrie
differenti, finite in un calderone unico. Sonia Malaspina,
presidente del Gruppo Prodotti a base vegetale di Unionfood, poche
settimane fa dichiarava che «una scelta simile rischia soltanto di
disorientare il consumatore» che oggi ha chiare le etichette,
invece.
Se il malcontento stava covando - nel mezzo c'è finita anche una
lite Unionfood-Coldiretti sui prezzi della pasta - ora è esploso.
Con tempi che si spiegano così: il ddl carne coltivata è stato
pubblicato in Gazzetta ufficiale il 1° dicembre, per entrare in
vigore il 16 dicembre. Per essere però anche sospeso (almeno tre
mesi) in attesa della Commissione Ue chiamata a dare un giudizio sul
provvedimento complessivo. Lo scontro, dopo mesi di messaggi
trasversali e incontri andati male (come quello del settembre scorso
tra Centinaio, firmatario con Giorgio Maria Bergese della parte che
oggi gli industriali chiedono di stralciare e Unionfood stessa) non
ha portato a nulla. Quindi, l'attacco.
Farmaci
I numeri chiave
La guida: non andare oltre la data consigliata con anticonvulsivi,
anticoagulanti e ormoni tiroidei
il trucco della scadenza
Paolo Russo
roma
Siamo grandi consumatori di pillole, soprattutto dopo una certa età,
tanto che un ultra sessantacinquenne su 10 ne manda giù più di 10 al
giorno. Ma le usiamo male in circa il 40% dei casi perché
interrompiamo le terapie prima del dovuto oppure qua e là ci
scordiamo di prenderle. In più una pasticca su dieci finisce nel
cestino perché le industrie che le producono continuano a vendere
confezioni o troppo «large» o eccessivamente «smart» rispetto ai
giorni di terapia necessari.
Uno spreco che in tutto ci costa intorno ai 2 miliardi l'anno. Che
potrebbero ridursi all'osso se qualcuno andasse a spulciare lo
studio condotto su oltre tremila lotti di farmaci dalla Food and
drug administration americana (Fda), la versione a stelle e strisce
della nostra Aifa, che svela come il 95% di quella marea di scatole
e scatolette scadute che ingombrano i nostri armadietti dei
medicinali funzionino ancora benissimo anche dopo oltre un anno.
Anzi, nel 25% dei casi rimangono attivi anche oltre i quattro anni.
Il che non significa che d'ora in avanti potremo usare pasticche e
sciroppi scaduti come fossero caramelle. Perché la loro efficacia
oltre i termini di scadenza dipende sempre dal fatto che siano stati
ben conservati, mentre alcuni prodotti non vanno assolutamente
utilizzati oltre la data di scadenza.
Il che equivale a dire che per non sbagliare è sempre meglio sentire
prima un medico. Il quale vi dirà che oltre la scadenza non si può
andare nel caso di anticonvulsivi, anticoagulanti, ormoni tiroidei,
contraccettivi e la teofillina, utilizzata contro numerose malattie
respiratorie. Altri medicinali che sarà bene non conservare oltre il
dovuto sono tutti quelli a formulazione liquida, come sciroppi,
colliri o fiale iniettabili. Si tratta di prodotti meno stabili
rispetto alle composizioni solide, oltre che maggiormente sensibili
alle alte temperature. A volte le alterazioni sono visibili a occhio
nudo, altre volte no, per cui meglio non utilizzarli quando scaduti,
anche perché posso provocare persino shock anafilattici. Ma fatte le
debite eccezioni in ben oltre 9 casi su 10 compresse e capsule
funzionano bene dopo un anno dalla loro data di scadenza, in diversi
casi anche oltre, certifica sempre lo studio della Fda. Che
solitamente non fa sconti all'industria del farmaco, la quale
evidentemente quei limiti temporali all'uso dei suoi prodotti li
fissa con una buona dose di arbitrarietà, funzionale più ai suoi già
scintillanti bilanci che alla tutela dei pazienti.
Prima di tutto va specificato che quelle date di scadenza non
stabiliscono l'inefficacia del prodotto o la sua dannosità, ma
soltanto la cosiddetta «stabilità garantita», ossia la capacità del
principio attivo di mantenere le stesse capacità terapeutiche. E da
questo punto di vista l'indagine della Fda americana ha stabilito
che in più del 95% dei casi i medicinali testati «sono risultati in
possesso del loro principio attivo con prolungato effetto ad agire»
anche dopo la data di scadenza. Insomma funzionavano benissimo.
L'88% dei lotti di farmaci accumulati nei magazzini - quelli in
buone condizioni dopo 4 anni - sono poi risultati essere ancora in
ottime condizioni in media 66 mesi dopo, ossia 5 anni e mezzo oltre
la loro scadenza. Va ancora meglio per la popolarissima aspirina,
visto che l'acido acetilsalicilico che la compone ha dimostrato di
conservare tutte le sue proprietà anche dopo 10 anni.
Per allungare la vita ai medicinali, oltre che a noi stessi, è
comunque necessario che i prodotti siano ben conservati. «Le
modalità di conservazione dei farmaci sono generalmente indicate nel
foglietto Illustrativo del medicinale», spiega un vademecum della
Società italiana di farmacologia. «Tuttavia, se non specificato, la
regola generale prevede che i medicinali siano conservati in un
luogo fresco e asciutto a una temperatura inferiore ai 25°C, lontano
da fonti di calore (termosifoni, stufe), dall'esposizione diretta ai
raggi solari e dall'umidità. Inoltre, è fortemente raccomandato di
conservare sempre i medicinali nelle confezioni originali con il
loro foglietto illustrativo e di segnare la data di apertura nel
caso di medicinali multi-dose, come ad esempio i colliri», spiegano
sempre i farmacologi. Ma niente panico se si assume una pasticca già
scaduta, purché ben conservata. Per evitare lo spreco miliardario
dei farmaci scaduti sulla carta ma perfettamente funzionanti
servirebbe però che qualcuno, tra chi regolamenta il mercato di
pillole e sciroppi, andasse a verificare se quelle date riportate
nelle scatolette non siano un po' troppo ravvicinate. Magari solo
per vendere di più.
Dispositivi Gps per localizzare chi è affetto da demenza senile
Le persone che convivono con forme di demenza senile, una volta
uscite di casa, possono anche dimenticare la strada del ritorno.
Vagano per ore e sono momenti di angoscia sia per loro sia per le
famiglie. Adesso, grazie ad un piccolo dispositivo Gps, sarà
possibile rintracciarle. «Non perdiamoci di vista» è il progetto
condiviso fra il Comune di Pinerolo e la Diaconia valdese che prende
il via oggi, ecco un altro passo in avanti in quel percorso iniziato
nel 2017 nell'ambito del programma «Dementhia Friendly». Spiega Lara
Pezzano, l'assessora alla Politiche sociali del Comune: «Si devono
aumentare nei cittadini le conoscenze di questa malattia ma anche
fare ricorso alla tecnologia». Si chiama Opplà il piccolo
dispositivo che le persone dovranno tenere in tasca. Il
trasmettitore Gps manderà sempre un segnale per rilevare la
posizione e in caso di caduta farà scattare un segnale d'allarme che
arriverà su uno smartphone o un tablet di un parente. Solo a
Pinerolo e su richiesta dei familiari la localizzazione potrà
arrivare alla centrale operativa della polizia locale. Aggiunge
Marcello Galetti, della Diaconia Valdese di Luserna: «Nel nostro
territorio l'Asl stima 1.500 le persone con demenza, il servizio
costa 40 euro al mese».
24.01.24
SCRIVE GRISERI : PR FIAT DAL 1998 QUANDO FECE L'INTERVISTA AD
EDOARDO AGNELLI CHE FIRMO LA SUA CONDANNA A MORTE . INFATTI DAL
MANIFESTO PASSO A REPUBBLICA ED A LA STAMPA :
Nuovo attacco di Giorgia Meloni a Stellantis: «Fa gli interessi dei
francesi». Da Torino rispondono con le cifre della produzione degli
stabilimenti italiani e con la percentuale di auto che quegli
stabilimenti esportano all'estero «migliorando la bilancia
commerciale». Uno scontro durissimo nei toni anche se in questi casi
spesso la baruffa precede un'intesa. Lo ha detto ieri la stessa
Meloni parlando al Question Time della Camera: «Il governo vuole
difendere l'interesse nazionale e instaurare un rapporto equilibrato
con Stellantis per difendere la produzione e i livelli
occupazionali. Vogliamo tornare a produrre in Italia almeno un
milione di auto all'anno».
L'obiettivo del governo non è molto chiaro. Se si intende che in un
anno vengano prodotte in tutta Italia un milione di auto, il
traguardo è vicino. Sommando le 752 mila di Stellantis con quelle di
Lamborghini e Dr, si superano le 800 mila vetture. Difficile pensare
che tutta la manovra del governo miri ad aumentare di 60 auto al
giorno la produzione dei singoli stabilimenti. Sarebbe un fatto
certamente positivo ma non in grado di garantire maggiore
occupazione o difendere la produzione più di quanto avvenga oggi.
Diverso è se dal calcolo vengono tolti i veicoli commerciali
prodotti nello stabilimento Sevel di Atessa, quello visitato due
giorni fa dall'ad del gruppo Carlos Tavares, che nel 2023 ha visto
uscire dalle linee 230 mila veicoli. In quel caso l'attuale
produzione di auto in Italia sarebbe di circa mezzo milione di pezzi
e l'obiettivo del governo sarebbe dunque di raddoppiarla.
Non sono calcoli fini a se stessi. Da quei numeri dipendono la
strategia del governo e quella di Stellantis. Meloni ha ripetuto
ieri la polemica sulla francesizzazione del gruppo «le cui scelte
industriali tengono maggiormente in considerazione le istanze di
Parigi rispetto a quelle italiane». Un portavoce di Stellantis ha
ricordato ieri i numeri della produzione in Italia e il fatto che
«il 63 per cento dei veicoli prodotti sia destinato
all'esportazione», dunque produca in vantaggio per i conti della
Penisola. Stellantis, dicono a Torino, «è fortemente impegnata in
Italia dove ha investito diversi miliardi di euro in nuovi prodotti
e siti produttivi».
Basterà tutto questo a rassicurare il governo e in sindacati?
Probabilmente no. Ci sono stabilimenti "scarichi" come si dice in
gergo, che potrebbero produrre molto di più. Il caso più evidente è
quello di Mirafiori dove nel 2023 le auto prodotte sono state 85.000
in gran parte 500 elettriche. Cifre molto basse che rischiano di non
garantire le numerose aziende dell'indotto che lavorano a lato
dell'assemblaggio finale. Perché le fabbriche d'auto non sono
cattedrali isolate ma il punto di approdo di una vastissima rete di
aziende medio piccole.
È possibile spingere Stellantis a raddoppiare la sua produzione di
automobili in Italia? Sarebbe molto difficile anche se il governo
italiano fosse in consiglio di amministrazione. Ieri Meloni ha
lamentato che «nel cda siede un membro del governo francese». Questo
accade perché al momento della fusione il gruppo francese Psa aveva
all'interno rappresentanti del governo di Parigi, come è sempre
avvenuto. Perché Fca non aveva un membro del governo italiano in
Cda? Perché i vari governi di Roma si sono ben guardati dal farlo e
perché se lo avessero fatto i liberisti oggi alleati di Meloni e la
sinistra radicale oggi nel Pd sarebbero insorti all'unisono.
Stupirsi adesso di questa oggettiva disparità tra Roma e Parigi
nella stanza dei bottoni di Stellantis rischia di essere un puro
elemento di propaganda. La verità è che il gruppo di Tavares è
impegnato negli stabilimenti italiani ma non può da solo raddoppiare
la produzione di auto nella Penisola. Ed è vero che l'attuale
livello di produzione rischia di non essere sufficiente a garantire
tutto l'indotto dell'automotive. Ecco allora il passaggio chiave
dell'intervento della presidente del Consiglio ieri: «Vogliamo
tornare a produrre in Italia con chi vuole investire davvero sulla
storica eccellenza italiana». Il governo sta cercando produttori
aggiuntivi a Stellantis che vogliano insediarsi nella Penisola?
Magari sfruttando gli incontri dei prossimi mesi previsti dal
calendario del G7 che Roma presiederà fino al 31 dicembre? È una
possibilità. Forse più realistica di quella avanzata ieri da Meloni:
«Se si vuole vendere un'auto pubblicizzandola come un gioiello
italiano allora quell'auto deve essere prodotta in Italia». È stata
la stessa premier a smentire questa regola assistendo, nel dicembre
scorso, all'annuncio del leader serbo Vucic che ha approfittato
della visita della collega italiana per dire che la Panda elettrica
verrà prodotta nel suo Paese. Il criterio, del resto, è scivoloso: a
Melfi non dovrebbero più produrre Jeep Renegade e Compass. Ed è
dubbio che i suv Lamborghini (marchio italiano ma gruppo tedesco)
potrebbero continuare ad essere costruiti in Emilia. Perché l'auto,
prodotto globale per antonomasia, sfugge al sovranismo della
lamiera.
COSA DICONO GLI ELETTORI DI SPERANZA ? I partiti di
opposizione incalzano la giunta. La Regione replica, annunciando la
volontà, e le risorse, per migliorare il migliorabile. Tirare in
ballo la campagna elettorale sarebbe semplicistico. Perchè se è vero
che da una parte e dall'altra cominciano le esibizioni muscolari, è
altrettanto vero che le liste di attesa in Sanità continuano ad
essere un problema.
Il tema, sempre aperto, è rilanciato dal vicecapogruppo di Alleanza
Verdi Sinistra alla Camera, Marco Grimaldi, e da Silvana Accossato,
capogruppo di Liberi Uguali Verdi in Consiglio regionale. Parlano di
«Purgatorio». Probabilmente eccessivo. Di certo chi oggi tenta di
prenotare nel pubblico in molti casi deve mettere in conto tempo,
chilometri, spese.
Colonscopia: posto solo a settembre a Verduno. Visita dermatologica:
a marzo, ma solo a Castelnuovo Scrivia. Radiografia della colonna:
una radiografia della colonna: a gennaio del 2025 al Mauriziano
oppure a giugno di quest'anno ma a Rivoli. Ecodoppler dei tronchi
sovraortici: a dicembre alle Molinette. Ecografia dei tessuti molli:
prima disponibilità di una prenotazione per ottobre 2024 presso le
strutture pubbliche di Ivrea o Cuorgnè.
«Parliamo di visite specialistiche e di eventuali diagnosi e cure
che hanno bisogno di grande tempestività - protestano Grimaldi e
Accossato dopo avere snocciolato qualche caso -. Diverse le
segnalazioni di cittadini che, avendo bisogno di prenotare un esame
diagnostico, ricevono come risposta dal CUP (Centro Unico di
Prenotazione) una prima disponibilità a 12 mesi in poliambulatori
anche a distanza di 60 chilometri dalla loro abitazione». Ce n'è per
il governo e per la Regione, che non nega il problema ma rivendica
quanto è stato fatto e quanto ci si prepara a fare per colmare il
gap: un obiettivo, a scavalco, di Azienda Sanitaria Zero e della
direzione della Sanità, anche con il concorso dei privati.
«Il piano straordinario punta a recuperare le prescrizioni più
urgenti - U, B e D – su cui si sono concentrati gli sforzi, perché
si tratta di prestazioni tempo-dipendenti». Se si confrontano i
primi 11 mesi dell'anno, aggiungono dalla Regione, nel 2018 le
prestazioni ambulatoriali di questo tipo erano state 1.081.744, nel
2019 1.144.304 e nel 2023 sono state 1.535.868, con tempi di attesa
sostanzialmente invariati. «Ma non basta - si ammette
preventivamente -. Nei prossimi mesi lo sforzo sarà concentrato in
maniera specifica sulle P, le prestazioni programmabili. Oltre ai 14
mila slot per esami e prestazioni aggiuntive da effettuare il sabato
e la domenica, è stato chiesto al neo direttore di Azienda Zero
(ndr: Adriano Leli) di preparare un nuovo piano straordinario,
finanziato con 25 milioni di risorse regionali, proprio per ridurre
i tempi di attesa delle P». P come programmate, si è detto. E, ad
oggi, come pazienza. —
23.01.24
MEGLIO TARDI CHE MAI :
Senatore Calenda, la de-industrializzazione è una delle questioni
italiane più gravi. Non crede che si parli troppo poco della
responsabilità di alcuni gruppi economici nell'indebolimento della
nostra competitività?
«Io credo che questo discorso debba riguardare anzitutto Stellantis.
Quella di questo gruppo è una storia allucinante. Sia per le
dimensioni della vicenda sia per l'omertà della sinistra e del
sindacato».
Sta dicendo che l'ex Fiat e gli eredi Agnelli sono uno dei problemi
italiani?
«Dopo la morte di Sergio Marchionne, John Elkann ha cominciato a
vendere le attività, innanzitutto la Magneti Marelli. L'ha ceduta
durante il governo Conte a una società giapponese, super-indebitata,
di proprietà di un fondo. All'epoca, chiesi al governo d'intervenire
bloccando la vendita attraverso il golden power. Ma Conte decise di
non farlo». […]
«[…] All'epoca, Elkann diede assicurazioni sugli stabilimenti e sul
lavoro in Italia. Come abbiamo visto con la brutta fine della
fabbrica Magneti Marelli a Crevalcore, queste assicurazioni non
valgono nulla. Ma questo non è che il principio. La morale è
l'irresponsabilità di un capitalismo che usa l'Italia a proprio
piacimento. Anzi, è più di questo.
Durante il Conte 2, Fca riceve una garanzia pubblica di 6,3
miliardi, per consentire agli azionisti di pagarsi un dividendo in
Olanda da 3,9 miliardi di euro. E di fatto vendere la ex Fiat a
Peugeot. Questi sono capitalisti che si fanno gli affari loro. Se ne
infischiano dell'Italia e sono stati favoriti da una politica debole
e compiacente».
Ne fa le spese il Sistema Italia?
«Sì, basta guardare la situazione degli stabilimenti Stellantis
francesi rispetto a quelli italiani. Quelli francesi sono tutti
pronti per i motori elettrici, di quelli italiani soltanto uno è al
passo con i tempi. [...] Le fabbriche italiane, a cominciare da
Mirafiori, si vanno desertificando.
E Tavares viene a inaugurare a Mirafiori una linea di rottamazione,
spacciandola per economia circolare [...] . E ancora: la fabbrica di
Grugliasco […] è stata messa in vendita su Immobiliare.it. E
comunque, quello che voglio dire è che delle assicurazioni date da
John Elkann non rimane più niente.
[…] La triste realtà è che oggi quel gruppo produce in Italia il 30
per cento in meno rispetto all'epoca Marchionne. E i nuovi modelli,
spacciati per made in Italy, vengono fatti in Serbia».
Sta parlando di un caso di anti-italianità, di negazione degli
interessi nazionali?
«Di italiano la ex Fiat non ha più nulla. [...] L'Italia è diventata
per loro un mercato qualunque e chiedono ai governi soldi e
incentivi, per mantenere quel minimo di presenza a cui sono
arrivati. La vuole una notizia?».
Ma certo.
«Sono in possesso di una lettera che Stellantis ha inviato ai
fornitori italiani, decantando le opportunità di spostare gli
investimenti in Marocco […]. Oltre alla lettera, hanno inviato un
depliant del governo marocchino che esalta le facilitazioni per
l'industria dell'automotive in quel Paese. La fuga dall'Italia
continua sempre di più».
Perciò il ministro Urso vuole aprire le porte a un'altra industria
dell'auto?
«Mi auguro che accada. Purtroppo non è facile. Noi, come governo
Renzi, riuscimmo a far investire Lamborghini, gruppo Audi, nella
nuova linea dei suv […] e lo facemmo solo attraverso un grande
lavoro diplomatico e un pacchetto dedicato. Ma non bisogna dare
Stellantis per persa. Il governo deve il prima possibile incontrare
Tavares, anche perché mi pare che sia lui l'unico a decidere».
Non crede che l'opinione pubblica italiana non sia avvertita a
sufficienza della gravità della situazione?
«Certo che è così. La sinistra e la Cgil hanno smesso di parlare
della fuga della ex Fiat da quando gli Elkann hanno comprato
Repubblica, il principale giornale della sinistra. Maurizio Landini
è arrivato a fare un'intervista a quel quotidiano, parlando di crisi
dell'automotive senza mai nominare Stellantis che è l'unico
produttore italiano.
Da quando dico queste cose, il gruppo editoriale Gedi non mi ha più
fatto fare una singola intervista su uno dei loro giornali. Neanche
Berlusconi aveva mai silenziato in questa maniera gli avversari
politici sulle sue televisioni. Altro che conflitto d'interessi e
editto bulgaro!
Le voglio fare una facile previsione. Quando gli Elkann avranno
finito di dismettere le attività in Italia, venderanno Repubblica
che gli è servita solo per coprire "a sinistra" la fuga dal nostro
Paese».
Ma dove è finito il Landini che attaccava Marchionne?
«E' sparito. In quel periodo, la Fiat […] produceva il 30 per cento
in più di adesso e investiva massicciamente in Italia. Ma Landini se
la prendeva tutti i giorni con Marchionne […] . Oggi che il lavoro
in quel gruppo sta sparendo, Landini, diventato segretario generale
della Cgil, sembra non riuscire a pronunciare la parola Elkann.
Forse ha paura di venire bandito da Repubblica».
Ma perché, secondo lei, c'è un capitalismo che sta sempre dalla
parte sbagliata: dove non c'è l'Italia?
«Perché gli italiani, spesso, sono bravissimi imprenditori e pessimi
capitalisti. […] La vicenda Elkann ne è la dimostrazione».
Sta qui la nostra debolezza rispetto a Francia e Germania?
«[…] Di fatto, le imprese francesi vengono a comprare la manifattura
italiana, che resta leader nelle medie imprese. In alcuni casi, […]
combinano disastri. Disastri che, per quanto riguarda Stellantis,
sono coperti dalla sinistra, dal sindacato e dai governi
incompetenti come è stato quello dei 5 stelle».
MODELLO ITALIANO INTERPRETAZIONE VENETA:
Il progetto era stato ribattezzato
«Native Grapes Academy» e si era visto assegnare, in epoca pre-Covid,
un finanziamento dell'Agenzia esecutiva della Ue per i consumatori,
la salute, l'agricoltura e la sicurezza alimentare di circa 4
milioni di euro, l'80% del valore complessivo pari a 5 milioni.
Nelle intenzioni dei proponenti, avrebbe aiutato a rafforzare la
competitività del vino italiano fuori dall'Ue (Canada, Giappone e
Russia le frontiere da sedurre) con investimenti in promozione e
informazione. Ma per la procura europea, dietro c'era una truffa. O
meglio «illeciti accordi tra la cooperativa Uiv (Unione Italiana
Vini) e il soggetto esecutore del progetto europeo», ossia
Veronafiere, l'organizzatrice di Vinitaly, per consentire alla prima
«di vedersi riconosciuto un ingiusto profitto non contemplato dal
progetto», che prevedeva che il beneficiario avrebbe sostenuto «il
20% dei costi dell'attività oggetto dei sussidi, non maturando
quindi alcun guadagno». L'Unione Italiana Vini (Uiv) aveva scelto
Veronafiere come ente che avrebbe attuato il progetto e che avrebbe
dovuto spendere i 5 milioni. Un patto tra colossi a quanto pare non
trasparente, o almeno questa è l'ipotesi di accusa. E che qualcosa
non andasse in questo «accordo» se n'era reso conto per primo
l'avvocato torinese Alberto de Sanctis, all'epoca organismo di
vigilanza monocratico di Uiv. De Sanctis, sentito poi dalla Guardia
di Finanza, aveva sollevato diversi profili di criticità salvo poi
dimettersi a settembre 2020 per assenza di intervenuti cambi di
rotta. A ruota, lo avevano seguito i componenti del collegio
sindacale (i commercialisti Luigi Borgarello e Gianni Stra e
l'avvocato torinese Duilio Cortassa), che si erano opposti
all'approvazione dei bilanci 2021 e 2022 e, infine, lo stesso
presidente Ernesto Abbona, palesemente contrario, era stato
«accompagnato» alle dimissioni.
Uiv e Veronafiere (che nel frattempo ha modificato radicalmente il
management) tra pochi giorni (il 13 febbraio) si presenteranno in
aula a Verona nella veste di imputati (come persone giuridiche).
Sono quattro invece le persone fisiche imputate di truffa aggravata
di fondi unionali in concorso: l'ex direttore generale di
Veronafiere Giovanni Mantovani, Paolo Castelletti, già ad e attuale
presidente della cooperativa Uiv; Alessio Aiani, direttore
finanziario di Uiv; Pietro Versace, consulente sia di Uiv sia di
Veronafiere spa.
Secondo i magistrati della procura europea Sergio Spadaro e Emma
Rizzato, che hanno coordinato l'inchiesta della Guardia di Finanza
di Milano, il sistema fraudolento sarebbe consistito «nella
pre-individuazione della società che avrebbe svolto il ruolo di «implementing
body», la quale si sarebbe poi agevolmente aggiudicata la successiva
procedura di selezione». Un'operazione di «mera facciata atta a
celare -si legge agli atti - all'organismo europeo una preesistente
situazione di conflitto di interessi in cui sarebbero versati il
soggetto percettore del finanziamento e l'esecutore stesso».
Inoltre, le due società hanno anche stipulato «un contratto di
servizi» denominato «Accordo Quadro» per l'accusa «simulato» perché
«apparentemente indipendente - si legge nella richiesta di rinvio a
giudizio - dal progetto, ma in realtà destinato a dissimulare la
retrocessione alla cooperativa di un importo pari al 35% del costo
ammissibile». Un modo - in sintesi - per far giungere a Uiv circa 2
milioni di euro fuori dalle stringenti direttive di quel progetto.
Così le due imprese avrebbero «indotto in errore» l'agenzia
dell'Unione Europea riguardo «l'effettiva esistenza di un nesso
strutturale e di un conflitto di interessi tra le parti, nonché
sulla reale destinazione dei fondi erogati».
Tutti gli imputati respingono le contestazioni, compreso Versace: il
suo legale Vittore d'Acquarone spiega come «l'accordo in ipotesi
d'accusa simulato riguardava la prestazione di beni e servizi che
nulla avevano a che fare con le attività oggetto del contributo
pubblico». Ma il 13 febbraio alcuni accusati potrebbero optare per
riti premiali (anche patteggiamenti). Il processo fa seguito alla
contestazione di danno erariale per 2 milioni fatta dalla Corte dei
Conti della Lombardia alla Uiv, sulla scorta delle contestazioni
della procura europea con contestuale sequestro preventivo. La
cooperativa ha prestato il consenso alla restituzione della cifra
all'Ue «pur non rendendo ammissioni di responsabilità»
BENE BRAVI: È un vero e proprio impero finanziario e
immobiliare del valore di 8 milioni di euro. Una tabaccheria, due
bar (uno nella piazza centrale di Volpiano; l'altro, il Nimbus Play
nel parco commerciale accanto al Bennet a Chivasso e che per pura
coincidenza si affaccia su via Peppino Impastato), due ristoranti,
uno – il Belmonte – aperto a pochi passi dal santuario di Valperga,
un altro il Lago Reale tra i comuni di Mappano e Caselle
(sequestrate solo le quote societarie). E ancora, l'hotel Vazzana a
Volpiano e una tabaccheria nel centro commerciale Bennet a Chivasso,
4 immobili, sei autovetture, alcune costose come una Volvo XC60 e
una Bmw, una moto Triumph Motorcycles limited e 19 rapporti
finanziari.
Un impero sconfinato, ma non giustificato quello che nelle scorse
ore la Direzione Investigativa Antimafia (Dia) di Torino ha
confiscato ai fratelli Mario e Giuseppe Vazzana, considerati 'ndranghetisti
di rango (quantomeno dal 1991) e che da decenni sono residenti a
Volpiano e Chivasso. La proposta della Dia è stata accolta dalla
Sezione misure di prevenzione del tribunale di Torino e presieduta
dal giudice Giorgio Gianetti.
I fratelli Vazzana sono stati di recente coinvolti e condannati
nell'operazione Platinum, indagine eseguita proprio dalla Dia
coordinata dal pm Valerio Longi che ha colpito, tra gli altri, il
braccio economico delle famiglie originarie di Platì dislocate
nell'area nord della provincia di Torino. A settembre Giuseppe e
Mario Vazzana erano stati condannati in tribunale a Ivrea per il
reato di associazione a delinquere di stampo mafioso: 6 anni e 8
mesi di reclusione il primo, 6 anni e 11 mesi il secondo.
Ora entrambi i fratelli sono stati raggiunti dall'applicazione della
misura personale della Sorveglianza Speciale di Pubblica Sicurezza,
con obbligo di soggiorno nel comune di residenza e divieto di
allontanarsi senza autorizzazione del giudice, per la durata di 5
anni.
Il patrimonio accumulato dai due imprenditori affiliati alla locale
'ndranghetista di Volpiano, è riconducibile – secondo i giudici -
all'impiego di capitali provenienti dalle attività illecite della
struttura criminale.
I fratelli Vazzana sarebbero legati alla potente enclave mafiosa
degli Agresta e avrebbero «posto sistematicamente a disposizione di
altri 'ndranghetisti alcune loro strutture per garantire ospitalità
riservata – non comunicata alla polizia – assumendo al contempo alle
dipendenze delle loro imprese boss e gregari dell'organizzazione»
allo scopo di farli uscire dal carcere. Ad esempio all'hotel Vazzana
ha lavorato per un periodo Luigi Marando figlio del narcos e capo
mafia (deceduto) Pasquale Marando. E sempre nel ristorante interno
era stato arruolato Antonio Agresta, considerato dal nipote Domenico
(collaboratore di giustizia) il capo della 'ndrangheta in Piemonte.
«Questa decisione - spiega il capocentro della Dia Tommaso Pastore -
conferma l'importanza del doppio binario nella lotta ai clan: alle
contestazioni penali sono partite in parallelo articolate indagini
patrimoniali.
PIU' FORESTALE PIU' CONTROLLI: Ad osservarla dalla piazza d
Orio Canavese la collina è completamente disboscata. Nel parco
dell'ex Preventorio dell'Asl To4 inserito tra i luoghi del Cuore
Fai, sono stati tagliati centinaia di alberi, alcuni anche secolari.
Ma le piante tagliate potrebbero essere molte di più: alcune sono
già state portate via, altre sono ancora accatastate lì nel parco in
attesa di essere utilizzate. Lo denuncia il circolo di Legambiente
«Pasquale Cavaliere» di Caluso.
La vicenda sta assumendo davvero i contorni di un mistero perché la
proprietà del parco dove sono stati tagliati gli alberi è dell'Inps,
che avrebbe da tempo affidato ad una ditta privata la manutenzione
del verde. Chi ha tagliato quelle piante? Erano malate? E
soprattutto chi le ha tagliate aveva l'autorizzazione? E anche chi
le ha portate via. Tutte domande alle quali i carabinieri Forestali
dovranno fornire una risposta. Militari che proprio ieri hanno
effettuato un ulteriore sopralluogo sulla collina spoglia per
verificare che il taglio sia avvenuto correttamente.
Ad essere preoccupata del taglio è anche la sindaca del paese alle
porte di Caluso, Sara Ponzetti: «Nessuno ci ha mai avvisato di quel
disboscamento. Certo è che a guardare la collina dal paese fa
impressione perché si tratta di un taglio importante e non vorrei ci
fosse anche un danno ambientale. Per questo motivo ho chiesto
l'intervento dei carabinieri già la scorsa settimana». Ed è attesa
nei prossimi giorni una relazione dettagliata dei militari.
Le piante tagliate erano, appunto, all'interno del parco dove ha
sede l'ex Preventorio di Orio, una struttura che veniva utilizzata
fino agli anni Ottanta per la cura delle malattie tubercolari nei
bambini. L'ex Preventorio è abbandonato dagli anni Novanta ed era
stato anche il castello dimora dei conti Sallier De la Tour,
famiglia che l'aveva acquistata nel 1833 e poi nel corso degli anni
è diventato un ospedale pediatrico. In tutto un'area che si estende
su una trentina di ettari.
L'ex Preventorio di Orio e il suo parco verde ritornano così al
centro della cronaca, dopo essere stati al centro dell'attenzione in
passato per vicende legate a presunti avvistamenti di fantasmi e
alle più recenti, e concrete, tasse non pagate dall'Asl To4. E ora
ci sarebbe il mistero di quel disboscamento. a. buc.
22.01.24
MELONI PARAVENTO ? Sconti
fiscali per il calcio e proroga del Superbonus per i condomini. Si
profila un altro scontro tra la maggioranza e il Tesoro in vista
dell'esame parlamentare di due decreti: il Milleproroghe e il
provvedimento sul 110% che a dicembre aveva recepito i ritocchi
rimasti fuori dalla legge di bilancio a vantaggio delle famiglie a
basso reddito. Le misure sul Superbonus erano arrivate a fine anno
dopo un lungo tira e molla tra il ministro Giancarlo Giorgetti e
Forza Italia. Proprio il partito guidato da Antonio Tajani torna in
pressing sia sul maxi incentivo edilizio, sia per ripristinare le
agevolazioni del decreto Crescita che consentono alle società
sportive che mettono sotto contratto atleti provenienti dall'estero
di avere le tasse sul loro ingaggio scontate del 50%.
In un emendamento depositato alla Camera al decreto Milleproroghe,
gli azzurri chiedono il ripristino fino al 2028 della possibilità
per i giocatori che vengono in Italia di usufruire di una fiscalità
di vantaggio come già accadeva con il vecchio decreto Crescita.
Quelle norme, però, nell'ambito del riordino della normativa sul
rientro dei cervelli, erano state cancellate per gli sportivi,
scatenando le proteste di tutto il mondo calcistico e anche del
ministro Andrea Abodi. Era stata la Lega, nel corso dell'ultimo
infuocato Consiglio dei ministri del 2023, a stoppare la proroga
degli "impatriati sportivi", con i ministri Salvini e Giorgetti in
prima fila contro una regola definita «immorale». Secondo il
deputato di Forza Italia Alessandro Cattaneo è sbagliato impostare
il dibattito sul calcio su questo piano: «E' un'industria che vale
miliardi e dà lavoro a migliaia di persone, non solo ai calciatori.
Negli ultimi anni il calcio ha vissuto una crisi e si è creato un
gap competitivo rispetto agli altri Paesi, perciò il ragionamento va
fatto sui numeri».
Protagonista delle trattative all'interno del centrodestra è il
senatore azzurro e patron della Lazio, Claudio Lotito: «Il decreto
Crescita porta vantaggi per lo Stato perché assicura incrementi di
gettito. Lukaku e Mourinho non sarebbero mai venuti a Roma senza lo
sconto fiscale sui loro stipendi e quindi non avrebbero pagato le
tasse in Italia». Lotito sostiene che questa misura «non si può
abolire dall'oggi al domani, noi di Forza Italia vigiliamo sul
buonsenso perché le cose siano fatte con equilibrio e con il
cervello».
Anche il gruppo di Noi Moderati ha presentato un emendamento simile,
proponendo però che i club destinino il 10% del beneficio ottenuto a
società dilettantistiche. Il ministro Giorgetti è intervenuto più
volte per sottolineare come le agevolazioni del decreto Crescita
abbiano un effetto distruttivo per il vivaio dei giovani calciatori
italiani, penalizzati dal fatto che il loro stipendio viene a
costare di più. Il tema è essenzialmente politico e se ne riparlerà
in commissione Finanze a Montecitorio da oggi pomeriggio.
Più delicata, invece, un'eventuale proroga del Superbonus, perché i
margini di finanza pubblica sono strettissimi. Il Tesoro sembra
irremovibile, ma domani è prevista una riunione. Fratelli d'Italia
ha già annunciato di aver ritirato gli emendamenti che danno un
salvagente di due o sei mesi per i condomini che al 31 dicembre 2023
sono al 70% dei lavori complessivi. La stessa proposta era stata
messa sul tavolo da Forza Italia a Natale e bocciata da Giorgetti.
In commissione alla Camera anche Pd e Movimento 5 stelle hanno
depositato proroghe analoghe del Superbonus, perciò l'esecutivo ha
bisogno di raggiungere un accordo con la maggioranza per non
rischiare sorprese.
Un altro problema il governo ce l'ha con le concessioni
idroelettriche: nel centrodestra diversi parlamentari spingono per
un rinvio delle gare. In questo caso a opporsi è il ministro
Raffaele Fitto che difende gli impegni presi con il Pnrr.
Nel gran calderone degli emendamenti dovrebbe invece ottenere il via
libera quello per il rifinanziamento della fondazione Ebri,
l'istituto di ricerca nato per volontà di Rita Levi Montalcini. Più
difficile che passi lo smart working per i lavoratori fragili della
pubblica amministrazione. Per questioni di spesa, infatti, nel
decreto Anticipi la modalità agile per questi lavoratori era stata
prevista solo nel settore privato.
LA SANGUISUGA E' VIVA E VEGETA : Taglieggiano disperati che
si ostinano a tener su la saracinesca o strangolano con bische e
prestiti. Si spaccano di cocaina. Scimmiottano il fraseggio. Si
mostrano tronfi nelle discoteche – Dom Perignon White gold edition
da 11mila euro - ma in fondo rimangono imitatori scadenti, pagliacci
violenti, insomma, tutto chiacchiere e gargarismi criminali. La
banda della Magliana, il gruppo che ha fatto inginocchiare Roma Urbe
per 15 anni di sangue, si sbiadisce negli almanacchi, finita la saga
nera, terminata la rappresentazione su pellicola del Freddo,
Renatino e il Libanese, rimane il ricordo di qualche ex che declina
la vita passata, ancora al presente.
Ne deve saper qualcosa Antonio Mancini, abruzzese trapiantato nel
quartiere romano di san Basilio, l'Accattone della batteria, elevato
a boss per poi diventare collaboratore di giustizia. Solleva
l'attenzione sul "gruppo Carminati", sostenendo che la banda è
ancora attiva e pericolosa. Ma davvero è così? «La banda della
Magliana non ha eredi – spiega Giovanni Melillo, procuratore
nazionale antimafia -, se al contrario oggi c'è un luogo dove
rilevare plasticamente la generale tendenza delle criminalità
organizzate a integrarsi, tra loro questa è proprio Roma». Insomma,
un tempo c'era il cartello della banda che univa Acilia, Testaccio e
appunto Magliana oggi le mafie si mescolano e fortificano: «Qui
operano mafie tradizionali come locali di ‘ndrangheta, proiezioni
affaristiche di camorra e Cosa Nostra – prosegue Melillo - ma anche
organizzazioni straniere, albanesi e cinesi che non gestiscono più
settori marginali del ciclo ma snodi cruciali».
«La Magliana? In attività, vediamo epigoni e reduci riciclati in
altre attività – spiega Otello Lupacchini, giudice istruttore di
diversi processi sul gruppo – ma parlare di banda della Magliana
sopravvissuta è un'idiozia. Qualcuno può averne riciclato
reputazione criminale, carica di violenza ma non è la vecchia banda
che aveva una sua specificità e, soprattutto, una collocazione
socio-politica senza uguali».
In effetti, la tesi fotografa la parabola di Salvatore Nicitra, ex
boss proprio della banda finito in manette nel 2020, insieme a 38
sodali, come nuovo "re di Roma nord". Negli anni della Magliana era
una figura secondaria, nel 1993 un pentito storico come Maurizio
Abbatino, lo descriveva così: «Siciliano, con trascorsi di
rapinatore, venne anch'egli "arruolato" nella banda per la
conduzione di circoli privati, per la commercializzazione della
droga nella zona di Primavalle, per la sua capacità di gestire il
gioco». Si era fatto amico dei grandi capi della Magliana, come
Franco Giuseppucci per diventare referente di Enrico De Pedis poi
finita la banda, tra una detenzione e l'altra, Nicitra è
sopravvissuto, cresciuto per quarant'anni a slot e crimine sempre in
penombra sino a diventare appunto il monarca a Roma nord. Con
opulenza e sfarzi, mega villa, piscina circondata da statue, insomma
cafonate da far invidia ai Casamonica che del pacchiano detengono
incontrastati la palma d'oro: «Io sono un boss, metto macchinette e
slot machine dove voglio – si vantava tronfio al telefono - Su tutta
Roma». Certo, a Nicitra sequestrano beni per 13 milioni di euro ma
siamo sempre comunque lontani dai tesori della Magliana, sia in
denaro (con i depositi segreti allo Ior, la banca vaticana) sia in
relazioni, Nicitra avvicina agenti di commissariato, la Magliana
s'intrecciava con i segreti e i poteri del Paese.
Oggi il gruppo più numeroso della banda è finito sotto due metri di
terra, gente ammazzata o morta per anzianità. A iniziare proprio da
Giuseppucci, il boss vicino a Nicitra, a fondatori come Nicolino
Selis, a delinquenti come Edoardo Toscano e Gianni Girlando. Più
interessanti le figure decedute in circostanze inquietanti e poco
definite.
Come Danilo Abbruciati, detto Er Camaleonte, il 27 aprile 1982 salì
a Milano per uccidere il ragioniere Roberto Rosone, braccio destro
di Roberto Calvi del banco Ambrosiano, il banchiere dei segreti,
quello che chiedeva allo stesso Rosone "sigle di solidarietà" sui
fidi concessi senza garanzie a personaggi come Flavio Carboni.
«Quella mattina uscii di casa - raccontò Rosone in una bolla
d'ingenuità -, vidi di fronte un uomo che indossava un cappotto di
cammello stupendo e quindi mi avvicinai per apprezzarlo meglio, ma
lui si girò per spararmi». La pistola si inceppò, Abbruciati riuscì
solo a gambizzare il povero ragioniere, prima di essere freddato da
una misteriosa guardia giurata. Prima dell'attentato, Abbruciati era
passato in via san Barnaba, dove tuttora ha sede l'Ordine equestre
del santo Sepolcro di Gerusalemme. Il motivo è rimasto sconosciuto,
ma è facile immaginare che non dovesse incontrare qualcuno per
parlare della beneficenza che l'ordine storicamente compie.
Famoso al grande pubblico è invece Renatino De Pedis, detto
"bambolotto" per eleganza e cura nell'abbigliamento, a capo del
gruppo dei testaccini, morto incensurato, ammazzato in sella a un
motorino dietro Campo dei Fiori nel 1990. Amico del rettore della
basilica di sant'Apollinare, don Pietro Vergari, De Pedis venne
sepolto nella cripta della stessa chiesa dov'era scomparsa Emanuela
Orlandi, spalancando la porta delle indagini a una ridda di ipotesi
rimaste tuttora purtroppo con il finale segnato da un punto
interrogativo. «Gli omicidi di Abbruciati e De Pedis – prosegue
Lupacchini – fanno parte delle cosiddette "morti con la coda",
ovvero malviventi della Magliana uccisi per motivi incongrui,
malviventi che avevano a che fare tutti con i misteri del nostro
paese a iniziare dal sequestro di Aldo Moro». Erano dei ricattatori?
«Sicuramente quelli che non hanno collaborato con la giustizia
-ipotizza Lupacchini -, soprattutto nel gruppo dei testaccini, sanno
qualcosa che non hanno raccontato, ma chi cercava di operare ricatti
è morto ammazzato».
Diversi per rimanere in vita o per crisi di coscienza, hanno invece
scelto la strada della collaborazione, come lo stesso Accattone,
come Fulvio Lucioli, detto er Sorcio che dava gli assalti ai treni
o, per salire di livello, Abbatino, Fabiola Moretti, Vittorio
Carnovale, detto er Coniglio, cognato di Toscano e amico del
fondatore Selis. Tutti i pentiti si sono rifatti una vita, conducono
un'esistenza normale senza riapparire nelle cronache criminali, né
sono oggetto di indagini. Vivono sotto falsa identità, in località
segrete lontane da Roma. C'è chi ha scritto qualche libro, chi vive
di piccoli lavoretti. Ma anche qui emergono le eccezioni, a iniziare
dalla stessa Moretti, 68 anni, ex compagna dell'Accattone, arrestata
nell'estate del 2022 per nove anni di cumulo pene da scontare.
Conosciuta al grande pubblico per aver ispirato il personaggio di
Donatella Caviati in Romanzo Criminale, la zarina Moretti è accusata
di gestire lo spaccio nella Scampia della capitale, a Roma sud. Con
un gruppo di complici venivano organizzate le piazze. Ma della
vecchia Magliana troviamo solo l'abitudine dei nomignoli, e allora
nelle intercettazioni ambientali era tutto un Er Faina, Tonino,
Testa lucida, Gianni l'albanese, Bestione, Chicco, Chicca, Celletto,
Nefertari, Licco, Er Ciuppa.
Già nel 2019 la Cassazione aveva sbriciolato il mondo di mezzo di
Massimo Carminati, detto Il Cecato, altro esponente di spicco della
banda della Magliana, ex terrorista dei Nar, con collegamenti attivi
nell'estrema destra, tratteggiato dalle investigazioni del
procuratore Giuseppe Pignatone e da Michele Prestipino come
associazione mafiosa. "Mafia capitale" non è mafia. Le ragnatele di
Carminati tra affari minacce sub appalti e burocrazia
doppiogiochista non rientrano nelle tipologie strutturate di cosa
nostra, 'ndrangheta e camorra ma si tratta di sodalizi, banditismo.
Del resto, bisognava forse capire il contrappasso già dieci anni fa
quando, in una tragicomica telefonata al call center di un operatore
telefonico, innervosito per il ritardo nell'allacciamento, proprio
l'ex boss sbottava, come un disgraziato qualunque: «Oh senti,
ascolta a me, io mi chiamo Massimo Carminati, segnatelo sto' nome,
capito? Segnatelo: Carminati...Io sono quello che abita là, se mi
venite a fare l'impianto bene, se non venite non me ne frega un c…
di niente, hai capito? Massimo Carminati, segnatelo, così vai su
internet e vedi chi sono io? Capito? Segnate sto' nome, così sai che
cazzo sono io! Se non mi attaccate il telefono entro domani, poi
vengo a cercare te». Ai tempi d'oro Carminati non aveva certo
bisogno di farsi riconoscere. Oggi è indicato tra i frequentatori
del bar Pontisso a Roma, in zona Prati, cappuccio cornetto e due
chiacchiere. Ma a far rimbalzare il cognome in questi giorni è
soprattutto il figlio Andrea, assai attivo nella capitale e fino
all'ottobre 2022 socio di Fabio Pileri, a sua volta legato a Tommaso
Verdini.
È passato mezzo secolo, oggi «Roma è un unicum – prosegue Melillo,
procuratore nazionale Antimafia - il territorio della città è
gigantesco e spiega la co-presenza di modelli diversi con una
concentrazione di rischi eterogenei. Senza dimenticare le piccole
mafie: prima si nascondevano, oggi si mostrano, promuovono concerti
di piazza, matrimoni, battesimi perché hanno bisogno di consenso
sociale quartiere per quartiere».
Ma c'è di peggio, perché tutto questo avviene proprio nella capitale
delle istituzioni, della politica e dovrebbe preoccupare ancor di
più. «Le mafie si muovono con modelli, sistemi di relazioni e
complessità...», chiosa Melillo. Ci sarebbe quindi da interrogarsi
sull'allarme sociale che la situazione dovrebbe destare ma il
procuratore nazionale la gira la questione all'opinione pubblica:
«questa è una domanda che lascio ai lettori». Ma la risposta è sotto
gli occhi di tutti.
21.01.24
ASSALTO LEGALIZZATO ALLA DILIGENZA :
Uno spoils system profondo,
sistematico, quasi vendicativo nei confronti di una burocrazia vista
come un ostacolo alle riforme. È il bottino del governo di Giorgia
Meloni, nei ministeri come a Palazzo Chigi. Bottino, peraltro, è
proprio la traduzione letterale dell'inglese "spoil", il sistema
introdotto vent'anni fa dalla riforma Bassanini che consente
all'esecutivo di sostituire funzionari pubblici apicali con persone
di fiducia.
«Non è solo una necessità momentanea – spiega un autorevole
esponente della maggioranza sotto anonimato – quel che vogliamo fare
è intervenire nei gangli del deep state per condizionare anche le
scelte dell'amministrazione pubblica in futuro, quando a governare
ci sarà qualcun altro. La sinistra l'ha fatto per decenni, ora tocca
a noi». Un meccanismo denunciato da Sabino Cassese sul "Corriere
della Sera", che in un editoriale uscito giovedì spiegava come il
governo non si sia concentrato sul ricambio dei dirigenti apicali,
ma stia allungando le mani sui «livelli dirigenziali inferiori».
Questo a scapito della terzietà della pubblica amministrazione oltre
che dell'equilibrio di bilancio, ma anche a danno del buon
funzionamento dell'amministrazione, perché la fedeltà non sempre va
a braccetto con la competenza.
L'ex ministra della Pa, la deputata del Pd Marianna Madia, invoca
«una riforma della dirigenza che consenta percorsi di carriera
meritocratici e non automatici, e con una maggiore autonomia dalla
politica. Noi ci avevamo provato con il governo Renzi – ricorda – ma
la riforma fu bloccata dalla Consulta».
Il professor Roberto Perotti, docente della Bocconi e consigliere
dell'allora premier Matteo Renzi, sostiene che «gli alti dirigenti
pubblici italiani siano ancora tra i più pagati in Europa,
nonostante il tetto al trattamento economico che non può superare i
240 mila euro annui».
Detto ciò, lo spoils system «lo fanno tutti», prosegue Perotti,
«quello del governo Meloni appare più evidente perché gli ultimi
esecutivi avevano una componente di centrosinistra e quindi una
buona parte dei funzionari veniva di volta in volta confermata. I
governi precedenti erano molto simili, perciò avevano meno bisogno
di fare lo spoil system. È normale che ci sia stato un cambiamento
così radicale».
Con Fratelli d'Italia nelle stanze del potere, però, la decadenza
delle figure tecniche è stata strutturale. Basta vedere le nomine a
Palazzo Chigi, dove la presidente Meloni ha sostituito 18 dirigenti
su 20.
Difficile quantificare oggi quanto la sostituzione dei burocrati e
la loro moltiplicazione possa impattare sui costi della politica.
Quel che invece emerge dai numeri, dopo anni di dibattiti sul taglio
delle spese dei palazzi, è che la politica ha sempre lo stesso
costo, indipendentemente da misure e riforme votate a furor di
popolo. Un caso emblematico è rappresentato dal referendum sul
taglio dei parlamentari, battaglia storica del Movimento 5 stelle su
cui tutti i partiti si sono allineati. Ebbene, le spese di
Montecitorio continuano ad attestarsi intorno al miliardo di euro: i
costi complessivi con 400 deputati non sono cambiati rispetto a
quando gli onorevoli erano 630. Il consuntivo del 2022 stabilisce
per la Camera una spesa di 960 milioni di euro mentre il bilancio di
previsione del 2023 si attesta sui 971 milioni di euro. La dotazione
nel triennio rimane invariata, cambiano alcune voci, alcune si
gonfiano, altre si riducono. Se il taglio di un terzo dei
parlamentari fa risparmiare 60 milioni di euro tra indennità e
rimborsi, aumentano le spese legate all'inflazione, alle bollette e
alla dinamica previdenziale. Stesso discorso per Palazzo Madama,
dove i senatori sono passati da 315 a 200. Il rendiconto 2022 del
Senato segna spese per 487 milioni, il bilancio previsionale del
2023 stanzia 575 milioni. Da Palazzo Madama fanno notare che il
budget è sempre più alto e che il confronto andrà fatto sul
rendiconto 2023 per capire l'impatto del taglio dei parlamentari, ma
quel che interessa osservare in questo caso è che le spese delle due
Camere restano comunque stabili, indipendentemente dal numero di
onorevoli e senatori.
PAGA PANTALONE : Fi rilancia gli sconti fiscali ai giocatori
"Il calcio un settore economico di peso"
Forza Italia prova a far rientrare dalla finestra del Milleproroghe
gli sconti fiscali ai calciatori previsti dal vecchio decreto
Crescita del governo gialloverde e poi usciti dalla porta della
manovra. Tra i 1.300 emendamenti ce n'è infatti anche uno degli
azzurri che punta a sgravi fiscali per i calciatori che rientrano in
Italia, un tema che era, tra l'altro era già previsto in alcune
bozze del decreto. «Proveremo ad affrontare un'emergenza che
riguarda i trattamenti fiscali, ma è necessario fare un ragionamento
più sistemico, affrontando i temi fiscali e infrastrutturali in
maniera ampia e non più estemporanea – ha detto Alessandro Cattaneo,
deputato di Forza Italia e responsabile dei Dipartimenti del partito
–. Ricordiamo che il calcio è un importante settore economico che
genera ricchezza e occupa migliaia di persone».
DEMAGOGIA ELETTORALE: Pressing bipartisan per ripescare il
110% "Proroghe per gli alluvionati e i disabili"
sandra riccio
Si riapre la partita del Superbonus al 110%. L'occasione è la
conversione alla Camera del decreto Salva-Spese. In questo contesto
sono spuntati numerosi emendamenti bipartisan e altri presentati dai
partiti di maggioranza che, in varie forme, chiedono un salvagente
per le migliaia di famiglie e imprese che rischiano di venir
affossate dai cambiamenti decisi dal governo Meloni sul maxi
incentivo. Le richieste vanno da una mini-proroga per i condomini,
all'innalzamento del tetto di reddito per gli aiuti alle famiglie,
fino al mantenimento delle detrazioni al 110% per chi ha figli
disabili. A spingere sulla riapertura della partita non è solo
l'opposizione. A dar forza alle domande è in particolare Forza
Italia che da mesi insiste per una riapertura dei termini. Le stesse
richieste sono arrivate a più riprese anche da Ance, la più grande
associazione di costruttori, oltre che dall'Associazione Esodati del
Superbonus che raccoglie le famiglie in difficoltà a causa delle
tante modifiche introdotte.
Più nel dettaglio, Partito democratico, Fratelli d'Italia e il
gruppo misto hanno presentato tre emendamenti identici per prorogare
la detrazione al 110% per i condomini che al 31 dicembre 2023 hanno
effettuato lavori «per almeno il 70% dell'intervento complessivo».
La norma riguarda le abitazioni che hanno iniziato i lavori sia nel
2022 che nel 2023 ed estende la detrazione del 110% «fino al
sessantesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della
legge di conversione» del decreto. Altri tre emendamenti identici,
presentati sempre da Pd, FdI e Misto, chiedono di alzare da 15 mila
a 25 mila il tetto del reddito per beficiare del contributo
riservato ai redditi bassi per le spese sostenute tra gennaio e
ottobre 2024.
Gli emendamenti presentati arrivano anche in aiuto dei territori
toscani colpiti dalle recenti alluvioni: una proroga di sei mesi
delle detrazioni al 110% o al 90% è stata presentata da FI. La
proposta di modifica chiede che le detrazioni per le quali è stata
esercitata l'opzione della cessione o dello sconto in fattura
continuino ad «applicarsi nella misura del 110% prevista per il
2022, comprese le deroghe, e del 90% previsto per il 2023», nei
territori colpiti delle avversità atmosferiche di eccezionale
intensità verificatesi nei mesi di ottobre e di novembre 2023, «per
le spese sostenute fino al 30 giugno 2024». La Lega va anche oltre:
prevedere il Superbonus pieno, ancora al 110%, fino al 2025 nei
territori colpiti dalle alluvioni del 2022 e 2023 e nei quali è
stato dichiarato lo stato di emergenza.
Ci sono poi richieste che riguardano i nuclei familiari con disabili
a carico. Tra chi è rimasto impigliato nei tanti cambiamenti che ha
visto il Superbonus ci sono anche casi con figli con gravi
difficoltà di salute. Con lo stop della cessione del credito e le
nuove norme si sono ritrovati con i cantieri in casa, un affitto da
pagare e tanti debiti da saldare. La proposta, in un emendamento di
FdI, è di intervenire in questa direzione e chiede di prevedere la
detrazione al 110%, con un tetto di spesa, per le famiglie con
figlio disabile grave fino a fine 2025. La proposta di modifica, a
prima firma Congedo, chiede di riconoscere il Superbonus pieno e
«fino alla soglia massima di 150.000 euro», ai nuclei con figli con
disabilità grave, residenti nella prima abitazione che non hanno
beneficiato delle agevolazioni Superbonus nel 2022 e 2023, «per le
spese sostenute fino al 31 dicembre 2025 destinate all'efficientamento
energetico, tecnologico e per una maggiore fruibilità della prima
casa a vantaggio delle persone con disabilità fisica, sensoriale e
mentale».
LINCENZA D'UCCIDERE Scudo penale per un anno, arriva l'ok
all'emendamento
Per i camici bianchi anche la pensione (volontaria) a 72 anni
È arrivato con un emendamento di maggioranza al decreto "milleproroghe"
lo scudo penale che per un anno proteggerà i medici dalle cause
penali per colpa lieve ma anche da quelle per errori gravi quando si
lavora in condizioni di difficoltà per carenza di personale. Anche
se per gli assistiti resta sempre la possibilità di ricorre al
processo civile per ottenere il risarcimento. Di fatto una
riproposizione della norma varata per decreto nel 2021 in piena
emergenza pandemica, che considerando i vuoti in pianta organica
presenti un po' ovunque, renderà di fatto perseguibile solo il dolo.
Tanto per capire, davanti al giudice finirà il medico che per
guadagno impianta una protesi quando non dovrebbe, ma non il
chirurgo che dimentica la garza nell'addome del paziente. Ma la vera
novità è la possibilità per i medici di restare al lavoro fino a 72
anni, anziché 70. L'emendamento era stato osteggiato dai sindacati
medici, che lo avevano in prima battuta definito «un regalo a non
più di un migliaio di baroni universitari». Gli stessi
rappresentanti dei camici bianchi accendono ora la luce verde alla
nuova versione, che prolunga si di due anni l'età del pensionamento,
pur se sempre su base volontaria. Ma toglie a chi deciderà di
restare in servizio i galloni di Primario. In pratica i medici ultra
settantenni faranno da tutor ai giovani specializzandi immessi in
corsia a fare assistenza, così come potranno continuare a seguire i
pazienti, ma senza più impartire ordini in reparto. Una norma che
non servirà a risolvere il problema della carenza di personale, ma
che almeno non sarà di ostacolo alla carriera dei giovani.
20.01.24
Diecimila dollari per la fuga da Gaza "Hamas e l'Egitto vogliono
tangenti"
gerusalemme
Per loro «non contiamo nulla. La nostra vita non vale niente. A meno
che non siamo in grado di pagare loro la tangente per uscire». Walid
sta cercando di trovare 10 mila dollari per pagare la «tassa di
coordinamento» ad Hamas ed egiziani e uscire. È l'unica possibilità
che ha di salvarsi. Il nome è di copertura, per ragioni di
sicurezza. Abitava a Nord della Striscia, è fuggito prima al centro
e da due settimane è a Rafah. Insieme a tanti, troppi. Ha provato ad
affittare una casa, ma i prezzi sono aumentati in maniera
esponenziale. Da qui la scelta: pagare per avere un tetto o per
uscire. I suoi amici e parenti all'estero lo stanno aiutando a
racimolare i soldi.
In guerra la libertà ha un prezzo e si salva chi ha più soldi.
Sembra questa l'amara verità che emerge dalle macerie e dal quel che
resta della Striscia di Gaza. Secondo le Nazioni Unite, oltre l'85
per cento della popolazione di Gaza è sfollata. La maggior parte
delle persone ha dovuto lasciare le loro case, nella maggior parte
andate distrutte dai bombardamenti, e sono stipate nella città
meridionale di Rafah, al confine con l'Egitto. Sperando di trovare
il modo di uscire. Le pagine Facebook che offrono notizie dal valico
di Rafah sono piene di post di palestinesi che chiedono aiuto per
essere inseriti nelle varie liste.
Ognuno mette in campo quello che può, quello che ha. Chi ha parenti
in Europa o negli Stati Uniti cerca, facendo appello alle varie
rappresentanze diplomatiche, di avvalersi di questa parentela per
essere inserito nelle liste di evacuazione. Pochi riescono. I
privilegiati che escono in maniera "legale" sono davvero in pochi.
Molti peraltro non hanno documenti validi, o non li hanno affatto,
perché andati persi nei bombardamenti o nella fretta di lasciare la
casa.
Le richieste alle sedi diplomatiche sono tante. Una sorta di
coordinamento tra il Cogat, il reparto dell'esercito israeliano che
si occupa dei Territori palestinesi, Hamas e l'Egitto. I consolati
presentano le liste, queste tre entità, per ragioni diverse, le
falciano. Hamas per esempio non permette l'uscita ai giovani; per il
Cogat possono solo i parenti stretti (mariti, moglie figli, neanche
genitori) ma solo di cittadini palestinesi con doppio passaporto.
Gli egiziani, non vogliono nessuno, obbligano al soggiorno massimo
nel loro paese per 72 ore, finiti quali i gazawi devono partire. Per
cui una volta che si ottiene il permesso, ci si presenta a Rafah.
Usciti, un funzionario del Paese straniero di cui è cittadino il
parente che ha fatto domanda attende all'esterno, accompagnando poi
il gazawi a Il Cairo da dove, dopo aver messo il visto sul
passaporto (valido solo per il paese del parente) lo portano in
aeroporto. E se non hanno i documenti? Non se ne fa nulla. Si tratta
di migliaia di richieste delle quali solo una minima parte va a buon
fine necessitando controlli a monte, coordinamento delle varie
autorità coinvolte.
In questo quadro a dir poco desolante si inserisce lo sfruttamento.
Da Gaza arrivano testimonianze secondo le quali i palestinesi che
cercano disperatamente di lasciare la Striscia senza parenti
all'estero, hanno la possibilità di farlo, pagando tangenti che
superano anche i 10.000 dollari, a intermediari per aiutarli a
lasciare il territorio attraverso l'Egitto. Le famose "tasse di
coordinamento" per i gazawi sono sempre esistite con gli egiziani e
Hamas. Ma stavolta sono diventate particolarmente onerose. Come gli
affitti delle poche case in piedi, che si lasciano a non meno di
3000 dollari l'una. Pochi però hanno disponibilità delle somme
necessarie tanto che sono partite, da parte dei parenti all'estero o
di associazioni che operano a tutela dei palestinesi, anche campagne
di crowdfunding per raccogliere fondi.
«Una volta che hai soldi – ci dice Ahmed (altro nome di fantasia) -
si viene messi in contatto con intermediari, mentre i pagamenti
vengono effettuati in contanti, a volte tramite persone con sede in
Europa e negli Stati Uniti. Stanno mercanteggiando sul nostro
dolore. I soldi li prendono gli egiziani e hamas, come sempre». A
volte i soldi aumentano in corso d'opera. «Un mediatore – spiega
Mohammed – prima mi ha chiesto 10mila dollari, poi ha aumentato la
sua richiesta a 13mila, quando sono cominciate a uscire queste
notizie. Più gente vuole mangiarci e speculare. I miei parenti
americani e in Germania stano cercando di raccogliere soldi.
Pagheranno una parte su un conto turco e un'altra su uno egiziano.
Siamo disposti a tutto pur di scappare».
Ma c'è pure chi, nonostante abbia le possibilità, non si muove.
Salim è un imprenditore conosciuto, fa affari con tutto il mondo.
Lavora nel campo dei preziosi. Sotto la sua abitazione ha un bunker
con diversi oggetti, che non vuole lasciare. «Rappresentano la mia
vita, sono la storia della mia famiglia. Non posso neanche portarli
con me. Una volta arrivato a Rafah, sia quelli di Hamas di qua che
gli Egiziani di là se li dividerebbero. La nostra vita non ha valore
per loro, valiamo solo come fonte di guadagni facili».
19.01.24
Le coste italiane sventrate dai balneari un disastro per l'ambiente
e per l'economia
Mario Tozzi
I connotati paradossali della vicenda delle concessioni demaniali
delle spiagge italiane sono già ampiamente noti, mentre sembrano
sottovalutati gli aspetti ambientali che, a guardar bene, sono
quelli davvero essenziali. E che riguardano la tutela e la
conservazione delle spiagge che sono patrimonio inalienabile di
ciascun italiano. Che non solo non sono state garantite dai
concessionari, ma sono state addirittura ignorate e disattese.
Soprattutto le costruzioni non removibili, in cemento e mattoni,
messe in opera dai concessionari nei decenni. Varrà la pena di
ricordare che l'articolo 1161 del Codice della Navigazione parla di
«esclusione del diritto collettivo d'uso … in modo da impedire la
fruibilità… o da comprimerne in maniera significativa l'uso…» e che,
in questo contesto, nessuna costruzione è legittima sulle spiagge
demaniali.
Sarebbe stato il caso di approfittare della direttiva europea non
solo e non tanto per censire i chilometri di spiaggia italiani
liberi da concessioni, ma soprattutto per censire quante e quali
costruzioni non removibili sono state erette sul patrimonio di tutti
quanti noi per favorire il guadagno di pochissimi. Ma anche il
censimento delle spiagge si è rivelata una simpatica buffonata: se
devo censire un bene comune dovrei appellarmi agli organismi
preposti e, in campo ambientale, in Italia, per fortuna, ce ne è uno
davvero autorevole che è l'Ispra, per non dire di Cnr, Università,
istituti oceanografici e marini, osservatori geofisici. E poi ci
sarebbe il buon senso, che indica che non puoi considerare tutta la
linea di costa della penisola e delle isole, ma devi censire le
spiagge, tenendo però fuori le aree marine protette, i tratti non
balneabili, le spiagge abbandonate, quelle dove sorgono le città,
per un totale di tratti di costa bassa e sabbiosa non disponibili in
concessione a priori di circa il 30% (sottostimando) o meno.
Non stupisce che né l'una né l'altro abbiano guidato il censimento
governativo, che nella "Relazione sullo stato di avanzamento dei
lavori del tavolo tecnico consultivo" sulle concessioni è arrivato a
stimare il totale delle linee di costa in 11.172,794 metri. Una
cifra così precisa che fa presumere che tutte le coste italiane
siano difese da un perimetro di cemento, perché, se fossero davvero
naturali, nessuno potrebbe conteggiarle in maniera esatta, visto che
sono in grado di variare di un centinaio di chilometri in pochissimi
anni. E, in extremis, a cercare di propalare l'idea che si possano
dare in concessione anche le coste rocciose, prefigurando scenari
ambientali da incubo, prima che impossibili, perché ciò
significherebbe coprire letteralmente di infrastrutture tubulari,
metalliche e di legno, fissate, rocce e scogliere (cosa che già
accade dovunque si tentano queste sciagurate strade).
Un risultato fantastico, un allungamento delle spiagge senza
precedenti, visto che tutti sappiamo che l'Italia ha circa 8.000
chilometri di spiaggia: come hanno fatto a diventare oltre 11.000?
Ci sono riusciti grazie agli stessi balneari che erano ben
rappresentati al tavolo tecnico, in cui non hanno avuto alcuna voce
in capitolo scienziati e ricercatori degli istituti sopra
menzionati. Così risulterebbe che solo il 19% delle spiagge è
attualmente dato in concessione nel nostro Paese, quando i dati
reali ammontano al 69%, una discrepanza che fa tutta la differenza
del mondo: nel primo caso non c'è alcun bisogno di applicare la
direttiva europea, perché la risorsa non è scarsa, nel secondo
bisogna applicarla immediatamente, perché altrimenti la consumiamo
tutta.
Fortunatamente la Ue ha già smascherato la presa in giro che è stata
messa in piedi e ricordato che c'è già una procedura di infrazione
in atto, che ricadrà sulle spalle di tutti noi, che quelle spiagge
le vorremmo e le vogliamo libere perché sono di tutti. Per questa
ragione propongo un manifesto per la liberazione delle spiagge
patrie che si articola nei seguenti punti:
1. Tutte le coste italiane sono patrimonio inalienabile dello Stato
e non possono essere privatizzate
2. Il 60% delle spiagge deve essere, tornare o restare libero
3. Il restante 40% può essere gestito in concessione demaniale dai
Comuni che possono attrezzarle e metterle a disposizione a prezzi
calmierati. I servizi sono gratuiti. Come accade in Francia, Spagna,
Grecia e Portogallo
4. Una parte di quel 40% residuo può essere data in concessione ai
privati che possono attrezzarla a canoni consistenti con il valore e
la scarsezza del bene, con garanzie ambientali rigorose e con gare
rinnovate su tempi brevi. A tutt'oggi, a fronte di 100 milioni circa
di canoni riscossi, il fatturato dei quasi 13.000 concessionari
balneari è di 30 mmiliardi di euro (ammesso che non ci siano entrate
non dichiarate). Stabilimenti e lidi devono garantire l'accesso
libero alla battigia. Portarsi cibo e bevande in quei contesti deve
essere consentito
5. Nessuna struttura permanente (cemento, mattoni o acciaio) può
essere imposta sul demanio costiero. Cabine, chioschi, spogliatoi,
ristoranti e quanto altro devono essere rimovibili. Eventuali
strutture permanenti già presenti vanno abbattute a spese di chi le
ha costruite. Il reato di abusivismo sulle linee di costa non è
sanabile da alcun condono statale. Per troppo tempo i concessionari
si sono sentiti padroni di un bene che è di tutti e hanno costruito
dove non avrebbero dovuto, arrivando a risultati clamorosi, come il
"lungomuro di Ostia" o gli scempi adriatici
6. Da novembre a marzo nessuna struttura, neanche rimovibile, può
persistere sulle spiagge e i litorali vanno sgombrati a ogni
stagione.
Così una nazione tutela il proprio patrimonio inalienabile e ne fa
attrazione culturale, paesaggistica, ambientale e turistica (e
economica) collettiva in nome di un bene comune che non può essere
la sommatoria di singoli interessi corporativi. Sottrarre alla
speculazione le coste è motivo di soddisfazione per tutti gli
italiani, garantirne la libera fruizione e tutelarne le
caratteristiche fisiche sono un obbligo di chi amministra. Per
fortuna già molti concessionari si comportano così, qui non ci si
rivolge a loro, ma a tutti gli altri. E a chi finge di non sentire.
Tommaso Caligari un ricercatore vero.
Niccolò Zancan
Novara L'idea migliore, fino a qui, la deve al nonno. «Nonno Sergio
era un meccanico. Produceva viti, minuterie, barre filettate.
Passava il tempo a lavorare. Anche quando era in pensione, stava
sempre nel suo garage-officina. E io con lui. Non c'era niente che
insieme non potessimo aggiustare».
Quando il nonno Sergio Caligari si è ammalato di Parkinson, il
nipote Tommaso ha parlato con i suoi dottori. Era molto sofferente,
troppo. A quello stadio della malattia non c'era più niente da fare:
non si poteva aggiustare. «Un medico mi ha spiegato che ci sono
degli indicatori precisi per fare la diagnosi nella fase iniziale,
quando ancora la malattia è curabile. In particolare, mi ha spiegato
che si può diagnosticare il Parkinson osservando la riduzione di
oscillazione degli arti superiori e anche un'asimmetria che non è
visibile a occhio nudo, ma c'è. Quella frase mi è rimasta in mente.
Dopo un mese ho iniziato a pensare al dispositivo "Parkinson
Detector"».
Tommaso Caligari, 17 anni, inventore da Cressa, Novara. Martedì sarà
premiato in Senato per il programma che permette la diagnosi precoce
del Parkinson. Ha già presentato il suo progetto anche all'Eucys di
Bruxelles. Insomma, l'idea era buona.
In cosa consiste il Parkinson Detector?
«Ho sviluppato un algoritmo. Ci sono due telecamere collegate al
computer. L'intelligenza artificiale legge i movimenti di una
persona senza bisogno di marcatori, senza bisogno di scanner o di
liquido di contrasto. Basta passare davanti alle telecamere in linea
retta. L'algoritmo rileva con precisione i movimenti di quella
persona. Angolo spalla. Angolo gomito. Lato destro, lato sinistro».
A quel punto?
«Parte l'elaborazione dei dati. Il confronto che l'intelligenza
artificiale riesce a fare con i casi di persone malate e con quelli
di persone sane».
Come ha verificato i risultati?
«Mi ha aiutato mio padre. Con lui siamo andati insieme
all'Associazione Parkinson di Arona. Abbiamo chiesto di poter fare
il test su undici pazienti. Poi l'ho replicato su persone non
malate. L'algoritmo funziona. Il bello di questo sistema è che costa
poco. Bastano pochi minuti. Non è invasivo. Può aiutare il medico a
fare la diagnosi».
Il nonno l'ha mai saputo?
«No, alla fine era molto stanco. Quando è stato ricoverato c'era il
Covid. Era un problema andarlo a trovare. Facevamo le videochiamate.
L'ultima volta che mio padre l'ha visto in ospedale, gli ha
raccontato che sarei andato negli Stati Uniti per un'altra
invenzione. Il nonno ha commentato: Orpo!».
Quanto ci hai messo a mettere a punto l'invenzione sul Parkinson?
«Un anno. Ho lavorato tutta l'estate».
Niente vacanze?
«Ero già andato in America, quell'anno lì. Ero già stato a Genova
per un concorso. Ero già stato a Milano. E poi io mi diverto di più
a casa mia, nel mio laboratorio in mansarda. Mi sono dedicato allo
sviluppo del sistema».
Condividi le idee?
«Con mio padre. Mi piace parlarne con lui, sentire cosa ne pensa.
Alle volte facciamo delle litigate amichevoli».
Breve campionario delle invenzioni?
«La prima: un mini go kart ricavato da un passeggino. Poi delle
torce con dei tappi di CocaCola. Alle elementari ho riprodotto il
sistema solare partendo da una lampadina a led».
Quando sono diventate esperimenti scientifici?
«Quando mi sono iscritto all'Omar di Novara. È un istituto tecnico
industriale. Il primo anno ho costruito una foglia artificiale che
converte l'anidride carbonica in metanolo. Poi ho fatto il progetto
«ContromaNO», per rilevare i veicoli in contromano in autostrada e
inviare l'allarme».
Cosa pensi dell'intelligenza artificiale?
«A parere mio, è una cosa meravigliosa. Ci aiuterà tantissimo. Ma va
gestita nel modo corretto, come qualsiasi cosa. Come le armi. Come
le bombe».
Stai già lavorando a un'idea nuova?
«Sì, mi piace moltissimo, riguarda sempre l'intelligenza artificiale
nell'ambito della ricerca medica. Ma non posso ancora raccontarla.
Devo presentarla entro il 2 febbraio».
Scuola e compiti, mansarda laboratorio, garage officina: quando
stacchi?
«È una passione. Mi diverto tantissimo. Soprattutto in estate:
quando posso lavorare in giardino, dove ho costruito l'impianto
fotovoltaico».
Piani scolastici?
«Il mio sogno è fare Ingegneria elettronica. Sto studiando i test di
ingresso. Sono in dubbio fra il Politecnico di Torino e quello di
Milano, ma la vita a Milano costa troppo».
E la vita sociale?
«A scuola ho trovato altri come me. Anche qui a Cressa dove abito,
1.500 abitanti, ho un amico del cuore. Insieme ci divertiamo a
costruire la qualunque».
Tipo?
«Pozzi. Ponti. Abbiamo le api nel bosco. Gestiamo qualche arnia. Ho
inventato un sistema di monitoraggio a distanza. Prima con una Sim,
ma costava troppo. Adesso con un'antenna piazzata sul tetto di casa.
Così riceviamo i dati: peso, umidità, temperatura dell'aria».
Fate il miele?
«Quest'anno non è stata la stagione migliore. Ma l'anno scorso
cinquanta barattoli d'acacia e cinquanta di castagno li abbiamo
regalati».
Quanto pensi al futuro?
«Ogni tanto. Ma non ho ancora un'idea precisa. Forse mi piacerebbe
aprire un'azienda dove progettare le mie idee, altre volte invece mi
vedo come un dipendente».
Secondo te, cos'è il talento?
«Domanda molto difficile. Non so se so rispondere. So che il talento
ha a che vedere con la passione, con la voglia di scoprire cose
nuove e di mettersi in gioco. Io ho tantissima ansia quando faccio i
concorsi, ma ci vado. In quei momenti penso di avere un po' di
talento. Perché la voglia batte la paura».
18.01.24
Padre Ibrahim Faltas: "A Gaza scuole chiuse e corpi per le strade"
L'allarme dei francescani "Il conflitto sfugge di mano"
Nel conflitto tra Israele e Hamas «spetta alla comunità
internazionale trovare una soluzione: tutti dicono "due popoli in
due Stati". Quando realizzare il progetto se non adesso, dopo tutti
questi morti e distruzione? Questo è il momento di fissare una data
e di arrivare alla pace". E se non faremo presto «il conflitto si
allargherà agli Stati circostanti e non solo. In parte sta già
accadendo. Il rischio è una terza guerra mondiale. All'Europa chiedo
di fare presto e di tutto per la pace, perché il vento della guerra
tira forte». Così padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di
Terra Santa a Gerusalemme, in un'intervista a Toscana Oggi. Il
francescano, a Firenze per alcuni incontri, sottolinea come Gaza sia
un «cimitero a cielo aperto» con «vittime ancora sotto le macerie» e
«corpi abbandonati per strada». Anche la situazione in Cisgiordania
non è migliore: «Ci sono scontri quotidiani in tutte le città».
Padre Faltas è direttore delle scuole della Custodia di Terra Santa
che dopo l'inizio del conflitto sono state chiuse per quindici
giorni. I ragazzi, racconta, «quando sono tornati in classe erano
cambiati. Segnati dalla guerra. Hanno perso il sorriso. C'era una
bambina di cinque anni che, quando è tornata in classe, ogni
mezz'ora voleva chiamare il padre al telefono perché temeva per la
sua vita». Il francescano è stato citato più volte nei discorsi di
Papa Francesco
PADRE E PADRONE DEL PD TORINESE : Mauro Laus l'intervista
" Il Pd è in ritardo per colpa di Gribaudo Doveva unire, ma infesta
il dialogo coi 5S "
paolo varetto
«A ottobre Chiara Gribaudo ha chiesto di sospendere le primarie,
sostenendo che sul suo nome sarebbero confluiti i 5 Stelle. Un
teorema sbagliato: doveva unire, invece è quella che divide di più.
Ora, mentre si lavora a un'alleanza anti Cirio, rilancia le
primarie. Così si infesta il dibattito». Mauro Laus, uomo forte del
Pd torinese e grande elettore del sindaco Lo Russo, attacca Chiara
Gribaudo, vicepresidente nazionale del Pd, che ha rilanciato la sua
candidatura per la Regione.
Onorevole Laus, il centrosinistra ha una bussola da tenere verso le
regionali?
«Il ripensamento di Gribaudo sulle primarie crea una situazione di
stallo. Ha ragione la capogruppo dei 5 Stelle Disabato: è
inopportuno che un potenziale candidato intervenga a ridosso
dell'incontro decisivo di domani. I posizionamenti dei singoli, in
una fase così delicata, infestano il terreno del confronto con tutte
le forze alternative alla destra meloniana».
Cosa vuol dire «infestare»?
«Siamo appesi a un filo e lei irrompe nel dibattito irrigidendo il
quadro. Una scelta improvvida e inopportuna».
Ma perché allora lo ha fatto?
«Che lei puntasse e continui a puntare alle Europee non è un segreto
per nessuno, e credo che tutto il partito dovrebbe sostenerla. Ma in
questo momento tanto delicato siamo a un bivio: o lotta di potere
dannosa e di posizionamento interno che non interessa nessuno o
prova di una classe dirigente responsabile».
E come si concretizza questa prova di responsabilità?
«Anche se ci sono state tensioni, bisogna fare quadrato e andare
tutti su di lei per le Europee».
Ma il suo candidato non è Giorgio Gori?
«Sì, ma si possono esprimere tre preferenze, e ben venga una donna
piemontese. Questa è la strada per uscire dallo stallo».
Gribaudo uscirà dalla competizione per la Regione?
«No, lei sarà comunque candidata, anche come consigliera semplice,
lo dicono le sue parole. E questo mentre tutto il partito dovrebbe
ringraziare il Tour Dem dei consiglieri regionali. Anche per questo,
e per rispetto delle altre delegazioni al tavolo delle trattative,
servirebbe più prudenza nelle esternazioni pubbliche».
Quale dovrebbe essere il comportamento da tenere?
«A Torino abbiamo un grande sindaco e la sua vittoria ci ha
consegnato un modello condiviso di partecipazione. Ripartiamo da
lì».
Eppure nel centrosinistra c'è chi dice che proprio Lo Russo, con la
sua concordia istituzionale con Cirio, danneggia la campagna
elettorale.
«La concordia è un dovere civico, qui non si parla di inciuci. Lo
Russo è il sindaco di tutti e lo stesso vale per Cirio nel ruolo di
governatore. A marcare le differenze devono essere i partiti».
E come deve portare avanti la campagna il Pd?
«Il Pd ha bisogno di concretezza, non possiamo contrapporre alla
politica degli annunci una politica degli slogan: fare come Gribaudo,
dare degli incapaci e degli ignoranti ai nostri colleghi di destra,
è un errore. Il nostro compito è proporre soluzioni alternative a
tutti gli elettori, compreso chi non vota. Se la butti in caciara,
non ne usciamo più».
Ma a sensazione sua, l'alleanza Pd-M5S si farà?
«Quando Gribaudo è intervenuta, si stava delineando la candidatura
verso Valle. L'intervento di Chiara è stato legittimo, ma dire prima
no alle primarie e poi cambiare idea a distanza di mesi crea solo
una situazione di stallo. Raggiungere un accordo con i 5 Stelle già
non è semplice in Piemonte, e allora che si lasci dignità al tavolo
delle trattative: non sono mica burattini».
Ma se Gribaudo sarà candidata di tutto il partito alle Europee,
Valle sarà candidato presidente anche con i 5 Stelle?
«Lo deciderà il tavolo, ma bisogna essere seri».
L'ipotesi che emerga un candidato terzo e alternativo, magari un
civico?
«Se il confronto sarà in grado di riannodare i fili, qualsiasi
soluzione che aumenti le possibilità di confronto con la destra
meloniana andrà valutata».
Senza alleanza la partita contro Cirio è persa in partenza?
«No, in politica la situazione è magmatica, quello che è certo oggi
può cambiare domani, sono troppe le variabili. Ma abbiamo poi la
certezza che sia Cirio il candidato? Anche Bardi in Basilicata
doveva essere blindato. Questa non è più la democrazia partitica di
15 anni fa, è cambiato il mondo».
Ma Elly Schlein, a cui Gribaudo è particolarmente vicina, ha un
ruolo sulle vicende piemontesi?
«Io non credo che Gribaudo parli a nome di Schlein. Sono due
soggetti diversi, con pensieri diversi e ruoli diversi. E comunque
questa è una partita che si deciderà qui, a livello territoriale».
Non trovate comunque che siate in ritardo con la campagna
elettorale?
«In grande ritardo. E di questo ci sono responsabilità enormi».
Di chi?
«Di chi ha creato questa situazione di stallo, in primis Gribaudo e
chi l'ha aiutata livello nazionale. Non certo di Daniele Valle».
Ma la sua vicenda giudiziaria la frena o pesa sul dibattito
politico?
«No. Per ragioni personali ho lasciato la guida del gruppo in
commissione lavoro. Ma chi mi stava vicino mi sta ancora più vicino.
Non mi frena, zero. Però dico una cosa: le sentenze si accettano, la
tortura psicologica no. E allora meglio evitare di dare il "la" a
chi crede ci siano responsabilità o consapevolezze».
Rear, nuovo corso al vertice Nel Cda
sotto inchiesta un banchiere e un magistrato Finisce il commissariamento
della coop di cui è socio il dem Laus Confermati 3 consiglieri su 5.
Rambaldi e Girolami i nuovi nomi
Corriere Torino18 Jan 2024Christian Benna
Il colosseo Rear ha vinto la gara per gestire il servizio di
biglietteria del Colosseo di Roma La vicenda Il commissario
governativo ha confermato 3 membri del cda su 5 Resta presidente
Tony Munafò
Riparte dall’ingresso in Cda di un uomo di banca, Vladimiro
Rambaldi, presidente di Torino Finanza ed ex manager Unicredit, e da
un magistrato, Giancarlo Girolami, già a capo del Tribunale di Asti,
il nuovo corso di Rear, la cooperativa di servizi museali da 40
milioni di ricavi e 1.600 dipendenti finita per 4 mesi in
commissariamento, fino al 15 gennaio, a seguito dell’inchiesta della
Procura di Torino per truffa e malversazione.
Riparte dall’ingresso in Cda di un uomo di banca, Vladimiro
Rambaldi, presidente di Torino Finanza ed ex manager Unicredit, e da
un magistrato, Giancarlo Girolami, già a capo del Tribunale di Asti,
il nuovo corso di Rear, la cooperativa di servizi museali da 40
milioni di ricavi e 1.600 dipendenti finita per 4 mesi in
commissariamento, fino al 15 gennaio, a seguito dell’inchiesta della
Procura di Torino per truffa e malversazione.
Nella sua ultima relazione ai soci della coop, il commissario
governativo Francesco Cappello, ha confermato 3 membri del cda su
cinque: Valeria Cardone, moglie del deputato Pd Mauro Laus, nonché
socio Rear e tra i sei indagati dalla Procura di Torino, il
presidente Tony Munafò e Omar Bochicchi. Entrano in Cda due nomi
nuovi: Vladimiro Rambaldi e Giancarlo Girolami.
Ai 342 soci presenti Cappelli ha illustrato la gestione del
commissariamento (i nuovi appalti vinti, come la biglietteria
all’accademia di Francia, quella del Colosseo e le prossime gare:
dal Museo dell’auto ai musei di Firenze) e anche i rilievi della
«due diligence» che sarà oggetto di esame della Procura di Torino.
Sotto la lente del Commissario sono stati rilevati investimenti in
attività che «occupano pochi o nessun socio» della cooperativa, come
il Camping Vallestretta di Bardonecchia, il Bar dei Bini e il Market
Agro. Situazioni, non considerate «illegittime» e che non
intaccherebbero la «condizione di mutualità prevalente della
cooperativa». Più delicata la questione dei finanziamenti in favore
di società non legate all’attività della coop ma ricollegabili agli
amministratori e allo stesso Mauro Laus. Come i finanziamenti alla 1
Ag, che possiede l’insegna Gransicily, circa 830 mila euro di fondi
erogati; Sapori Lucani; 101 mila euro; e Futura Investimenti, 550
mila euro. Per questi finanziamenti il Commissario ha rilevato,
oltre alla mancata evidenza della finalità strategica
dell’investimento, anche la «censurabilità dell’erogazione
infruttifera»; pertanto invita il prossimo Cda a recuperare queste
risorse. In proposito i vertici di Rear sostengono che questi
progetti hanno permesso di creare nuovi posti di lavoro e comunque
non pongono problemi di solidità dei conti e della liquidità. Altro
capitolo di accusa che la coop vorrebbe lasciarsi alle spalle è
quello relativo agli emolumenti ad personam e le assunzioni di
parenti dei soci. Il Commissario non ha riscontrato irregolarità dal
punto di vista fiscale, tuttavia suggerisce di adottare regolamenti
e policy per regolamentarne l’erogazione, incluso un codice etico e
un organismo di controllo. In sostanza si chiede più managerialità
per una coop che ha raggiunto dimensioni da media azienda, fornendo
servizi di vigilanza per grandi musei e istituzioni. Cappello ha
anche chiesto di adeguare il compenso degli amministratori, che era
rimasto fermo da 20 anni, aumentandolo di circa il 40%, pari a
140mila euro lordi. Il presidente Tony Munafò, riconfermato al
vertice di Rear, ha affermato: «Questi impegni, a sostegno del
processo di crescita, sono parte integrante dei nostri obiettivi di
miglioramento ,che perseguiamo peraltro da anni con dedizione e
percepiamo questi suggerimenti, che valuteremo con spirito
costruttivo, come un’opportunità per rafforzare la nostra
cooperativa e per consolidare la fiducia dei nostri soci».
Article Name:Rear, nuovo corso al vertice Nel Cda sotto inchiesta un
banchiere e un magistrato
Publication:Corriere Torino
Author:Christian Benna
17.01.24
Processo ai Casamonica La Cassazione: "È mafia"
Roma Il clan dei Casamonica è una struttura criminale di stampo
mafioso. È quanto ha sancito la Cassazione nell'ambito del
maxiprocesso a carico di una trentina di persone, tra cui anche i
vertici della famiglia. Proprio nei confronti di alcuni boss la
Suprema Corte ha anche riconosciuto l'aggravante della natura
«armata del sodalizio», disponendo quindi il processo di appello bis
per la rideterminazione della pena. Nei confronti di alcune
posizione minori è, invece, venuta meno l'aggravante di avere agito
nell'interesse del clan. La Cassazione ha inoltre confermato
l'esistenza di una associazione parallela dedita allo spaccio di
sostanze stupefacenti, con funzione agevolatrice della associazione
mafiosa. Regge quindi anche al vaglio della Suprema Corte l'impianto
accusatorio dei pm della Dda di piazzale Clodio poi ribadito nella
sentenza di secondo grado nel novembre del 2022
16.01.24
IL FINE DELLA PATRIMONIALE DELLA NUOVA LEADER DELLA SINISTRA :
Questo signore con
la faccia pallida, un ex autista di pullman, viene per le garze.
«Ogni mattina devo fare la medicazione. Ogni sera devo disinfettare
e cambiare la fasciatura una seconda volta. Non posso permettermi di
andare in farmacia. Sono quasi 300 euro al mese». Si guarda intorno,
abbassa il berretto sulla fronte. «Qui mi danno le garze gratis. E
io vengo ogni settimana. Mi hanno operato due volte, la prima nel
2015. È una brutta cosa, mi hanno detto. Non so quanto mi resta da
vivere».
Sono le tre di pomeriggio. C'è il sole e la coda si allunga.
Quartiere di Porta Palazzo, ambulatorio medico del Sermig. Una
dottoressa in camice bianco esce sulla porta e dice a alta voce:
«Per favore, mettetevi in coda. Un po' alla volta, vi prometto che
entrerete tutti».
Nella coda, dietro al signore delle garze, c'è un ragazzo bengalese
con il cappello di Just-eat. «Questo dente. Non sai che male. Sono
giorni che non riesco neppure a mangiare. Mi hanno detto che qui il
dentista non si paga». E dietro al fattorino che cerca sollievo a un
dolore che gli deforma il viso, c'è una signora incinta con un
figlio nel passeggino. Il bambino piange, non si sa perché. Ancora
dietro, ecco la signora Nadia R., 58 anni, madre di due figli
adulti, divorziata, lavoratrice povera: «Ho due contratti part time.
Uno da operatrice scolastica, l'altro in un'impresa di pulizie dove
lavoro da più di trent'anni. Io ho sempre lavorato, questo è il
fatto. Ma cinque anni fa, dopo il divorzio, mi sono ritrovata in
difficoltà per tutto. Ho un tumore benigno alla testa. È un periodo
che non sono proprio al top. Devo risparmiare. Non riesco più a
pagare l'affitto e le bollette: per me venire qui a prendere gratis
gli antidolorifici è fondamentale».
Questo posto è una frontiera dentro a Torino. Da qui si vede bene
quello che sta succedendo. «Quando nel 1989 abbiamo aperto il nostro
ambulatorio avevamo due medici volontari, oggi ne abbiamo cento»,
dice Ernesto Olivero. È lui l'inventore di questa città
dell'accoglienza. Scuole, laboratori, posti letto per chi non sa
dove andare a dormire. Il presidio medico era nato come ambulatorio
per i senzatetto e per i migranti appena arrivati in città. «Ma noi
non abbiamo mai fatto distinzione, non abbiamo mai detto che
qualcuno poteva entrare e qualcun altro no» ci tiene a precisare
Olivero. Fatto sta che all'inizio il 98% dei pazienti era di origine
magrebina. Adesso non più. A poco a poco, sono arrivati anche gli
italiani poveri e impoveriti. Sempre di più: pensionati,
disoccupati, giovani genitori. «Quello che è successo dopo la
pandemia è sotto gli occhi di tutti», dice la dottoressa Maria Pia
Bronzino. «Le liste d'attesa si sono allungate all'inverosimile,
anche per gli esami più urgenti. Ora la sanità pubblica è meno
pubblica di prima. Nel senso che chi ha i soldi taglia le code e
accede al servizio, ma chi quei soldi non li ha spesso rimane senza
cure».
Esempi. «Un signore è arrivato da noi senza essere riuscito a farsi
fare un'ecografia. Mal di pancia, dimagrimento repentino. Abbiamo
scoperto un tumore in fase avanzata con metastasi. Lo abbiamo
indirizzato in ospedale per fare una risonanza magnetica, ma
gliel'hanno programmata tre mesi dopo. Dopo un mese è tornato da
noi, camminava a stento. Era un uomo solo, viveva al dormitorio.
Siamo riusciti a farlo ricoverare in ospedale. È morto due giorni
dopo».
La dottoressa Bronzino è la responsabile dell'ambulatorio. Organizza
il lavoro dei cento medici volontari che si alternano per garantire
il servizio. «Le più richieste sono le cure odontoiatriche e le
visite oculistiche, poi facciamo visite ginecologiche e fisiatriche
che nella sanità pubblica ormai hanno tempi di attesa troppo lunghi.
Arrivano persone che fanno fatica a pagare il ticket da 36 euro. Se
vai all'Asl a fare un impianto, ti chiedono di pagare i materiali.
Se hai bisogno di un fisioterapista, può capitare che ti facciano
aspettare sei mesi».
È questa la frontiera. Qui è dove finisce la Costituzione e inizia
la nuova Italia che ti cura o non ti cura in base al reddito. Qui è
dove si cerca di porre un argine contro questa ingiustizia. Sempre
qui è dove la coda si allunga ogni giorno: 90 mila persone sono
passate in questi anni all'ambulatorio del Sermig. Non è privato,
non è pubblico. Si basa sull'invenzione del fondatore, sul lavoro
sociale e sul volontariato di medici che scelgono di devolvere un
po' del loro tempo per chi sta male. Che paradosso. «Abbiamo anche
dei medici in pensione, che trovano un senso e delle motivazioni per
continuare a esercitare la professione».
La coda si allunga. Fra poco tocca alla signora Nadia. «Che momento
triste. Ormai è chiaro: lo Stato se ne frega di quelli come noi. Io
non mi vergogno di essere in coda, non ho sbagliato niente. Però, lo
dico sinceramente, non mi aspettavo che sarebbe finita così».
HA RAGIONE : Intervista televisiva con Alan Friedman in Washington
Files su Sky
Schlein critica Netanyahu "Finché c'è lui niente pace"
Elly Schlein dice che non ci sarà una pace duratura nel Medio
Oriente finché resta al potere in Israele il Primo Ministro Benyamin
Netanyahu. «Ne dubito fortemente», ha detto la segretaria del Pd in
una intervista con Aln Friedman per la trasmissione "Washington
Files" in onda ieri sera su Sky. «Credo che dobbiamo trovare gli
interlocutori con cui ricostruire un necessario percorso per la pace
in Medio Oriente, verso la soluzione dei due popoli, due Stati.
Innanzitutto chiediamo immediatamente un cessate il fuoco per
liberare tutti gli ostaggi ancora tenuti da Hamas».
Quindi che cosa deve fare Israele per garantire che non riaccadrà un
altro 7 ottobre? «Intanto servirebbe appunto subito un cessate il
fuoco», ripete: «La strategia del governo Netanyahu, in questo
momento, non sembra minimamente interessata». E come pensa Elly
Schlein di ottenere un cessato al fuoco se neppure Joe Biden riesce?
La Casa Bianca in queste ore ha fatto capire che Biden è arrabbiato
con Netanyahu perché non riesce a fargli vedere ragione. E
Netanyahu, per la sua sopravvivenza politica, deve rimanere primo
ministro, e quindi non vuole finire la guerra per quel motivo. «È un
problema suo: qui stiamo parlando della violazione costante del
diritto internazionale. È in corso un massacro di civili a Gaza e la
popolazione palestinese non è Hamas. Sono due cose diverse. Hamas è
un'organizzazione terroristica, va senz'altro fermata. Ma il costo
non possono essere più di 20.000 morti tra i civili».
ANCHE QUESTA VOLTA GLI USA HANNO RAGIONE: Ucraina, il dossier
segreto dell'esercito tedesco "Putin attaccherà un Paese della Nato
nel 2025"
jacopo iacoboni
Ieri a Mosca è apparso un cartellone pubblicitario elettorale con la
faccia di Putin e, sotto, la scritta perturbante: «I confini della
Russia non finiscono da nessuna parte». Proprio in quelle ore un
documento delle forze armate tedesche, leakato alla Bild e ad altri
reporter europei, mostrava che la Germania ha iniziato a prepararsi
per un attacco diretto di Vladimir Putin alla Nato nell'estate del
2025. Non una previsione, ma un "worst case scenario", il peggior
scenario possibile, non più impossibile.
Il cuore dell'attacco della Russia alla Nato sarebbe il tentativo di
conquistare il "Suwalki corridor", il corridoio Suwalki, quella
striscia di terra polacca che congiunge Kaliningrad – l'exclave
russa da tempo dotata, nel silenzio complice dei pacifisti e nel
disinteresse, per lunghi anni, delle opinioni pubbliche europee – di
missili Iskander con testate nucleari, e la Bielorussia del
dittatore vassallo di Putin, Alexandr Lukashenko.
Anche se vengono omessi i dettagli sugli spostamenti di truppe, per
non compromettere la sicurezza degli eventuali movimenti, il
documento spiega anche per quale motivo le intelligence polacche e
lituane stiano intensificando in questi giorni gli incontri proprio
sul dossier-Suwalki, come una fonte di intelligence occidentale
conferma a La Stampa: il 12 gennaio il ministro degli Esteri
lituano, Gabrielius Landsbergis, ha incontrato nella città di Trakai
il suo omologo polacco, Radoslaw Sikorski, e la fonte ci dice che i
due Paesi di frontiera della Nato stanno per sperimentare nuove
forme più agili di collaborazione proprio avendo come principale
oggetto la protezione del corridoio Suwalki.
Il testo del Ministero della Difesa tedesco descrive come potrebbero
svilupparsi gli eventi che potrebbero portare allo scoppio della
guerra nell'estate del 2025. A febbraio 2024 la Russia avvia
un'altra ondata di mobilitazione e richiama nelle forze armate altre
200 mila persone per lanciare un'offensiva di primavera in Ucraina
che, a causa dell'indebolimento dell'assistenza occidentale, e delle
divisioni interne all'Europa e agli Stati Uniti, ha successo e
conquista alcuni importanti nuovi territori.
Il vero e proprio attacco russo alla Nato comincerebbe a luglio
2025, in due fasi. La prima, celata, prevede guerra ibrida (nella
quale in realtà già ampiamente siamo) e attacchi informatici,
diretti soprattutto ai Paesi baltici, per provocare divisione e
rivolta al loro interno. Mosca farebbe leva sui russi in Lettonia,
Estonia e Lituania per suscitare scontri di piazza e rivolte che
userà come pretesto per far scattare nella tarda estate (settembre
2024) delle «esercitazioni su larga scala Zapad-2024».
Ai movimenti di truppe – esercitazioni che sono in realtà, sulla
falsariga di quanto già avvenuto con l'Ucraina, una vera e propria
preparazione alla guerra – prenderanno parte inizialmente 50 mila
soldati essenzialmente in Bielorussia (diventato uno dei teatri
operativi del nuovo Gruppo Wagner post Prigozhin, embeddato nel
ministero della Difesa russo).
A ottobre 2024 Mosca schiererà altri missili Iskander a Kaliningrad,
e altre truppe nell'area. Prima per mettere sotto pressione il
corridoio Suwalki, che collega Kaliningrad con la Bielorussia, poi,
nel dicembre 2024 verrà provocato un conflitto di confine – con
disordini e numerose vittime – e si cercheranno pretesti.
La Bundeswehr ipotizza che dopo il conflitto nel corridoio di
Suwalki la Russia convocherà una riunione straordinaria del
Consiglio di Sicurezza dell'Onu e accuserà a specchio l'Occidente di
stare per attaccare in Russia. Nel gennaio 2025 in una riunione
straordinaria del Consiglio della Nato Polonia e Paesi baltici
riferiranno drammaticamente la situazione, ma faticheranno ancora a
essere creduti.
Nel marzo 2025 la Russia schiererà altre truppe verso i Paesi
baltici (in primis Lituania), e arriverà ad avere, solo in
territorio bielorusso, due divisioni corazzate e una divisione
fucilieri motorizzati. In tutto, 70 mila soldati.
Solo nel maggio 2025 la Nato si muoverebbe formalmente, spostando
per prevenire un attacco a Suwalki circa 300 mila soldati. La
Bundeswehr scrive che di questi, 30 mila sarebbero soldati tedeschi.
Un portavoce del Ministero della Difesa tedesco, a cui la Bild ha
chiesto un commento, ha solo spiegato che «considerare diversi
scenari, anche se estremamente improbabili, fa parte dell'attività
militare quotidiana». Ma già a novembre la Dgap (German Council on
Foreign Relations) aveva pubblicato un report che sosteneva che i
Paesi europei della Nato hanno solo dai sei ai dieci anni per
prepararsi a una guerra con la Russia.
Dmitry Peskov, il portavoce di Putin, ieri in tarda mattinata ha
definito il testo «una bufala, quindi preferirei non commentare».
L'ultima volta che l'ha fatto, nel gennaio 2022, due settimane dopo
la Russia ha invaso l'Ucraina. —
15.01.24
LA BONTA' DI DIO : Il miracolo di Lorenzo salvato in un vicolo
"Pronti ad adottarlo"
gianni giacomino
«Ma io posso adottarlo? Perché se me lo chiedono lo faccio senza
problemi, eh. Gli metto il mio cognome Laforet e lo tiro su con mia
moglie Letizia come abbiamo fatto con gli altri tre figli che
abbiamo, Alen di 30 anni, Seyla di 25 e Casey di 15. Purtroppo, non
penso che sia così semplice ottenere un'adozione, con tutta la
burocrazia che c'è di mezzo. Comunque io ci sono». Paolo Laforet è
reduce da una notte insonne. Ha pensato e ripensato a sabato sera
quando, intorno alle 19, suo figlio ha spalancato la porta di casa
urlando: «Fuori c'è un bimbo, c'è un bimbo in una borsa della
spesa». Laforet e la moglie Letizia sono corsi in strada e, accanto
al bidone per la raccolta dell'immondizia, hanno visto quel fagotto
dal quale più che un pianto proveniva un lamento e sbucavano due
piedini. Qualcuno lo aveva lasciato poco prima adagiandolo in un
vecchio vicolo che taglia il paese di Villanova Canavese, ad una
trentina di chilometri da Torino. Nel buio e nel gelo.
«L'abbiamo raccolto e portato in casa, aveva ancora la placenta
attaccata stava cominciando a diventare viola, il suo più di un
pianto sembrava un lamento - ricorda Laforet, un escavatorista di 49
anni di etnia sinti -. Meno male che ce ne siamo accorti subito e lo
abbiamo scaldato un po' con la coperta termica che usiamo per i
gatti. È stato il destino, io ci credo. Qualcuno più in alto di noi
ha voluto che in quel momento uscisse dal portone Casey e sentisse
il lamento. Questione di dieci minuti, un quarto d'ora e il bimbo
sarebbe morto anche perché la temperatura era sullo zero o
addirittura un grado sotto».
Un'ambulanza del 118 scortata dai carabinieri del nucleo radiomobile
di Venaria ha poi trasportato il neonato all'ospedale di Cirié, dove
il personale del reparto di Pediatria ha deciso di chiamarlo
Lorenzo. «Pesa tre chili e tre etti, è lungo 51 centimetri e gode di
ottima salute - dice con un pizzico di emozione il dottor Giovanni
Agriesti, responsabile della Neonatologia -. Ma poteva andare
davvero molto peggio se fosse rimasto al freddo ancora per un po'».
Lorenzo è in incubatrice e piange come tutti i neonati. Resterà in
ospedale a Cirié fino a quando il Tribunale non deciderà per
l'adozione o, più probabilmente per l'affidamento temporaneo. Se la
madre dovesse cambiare idea, ha tempo dieci giorni per riconoscerlo.
«Spero davvero che la mamma o chi per essa si metta una mano sulla
coscienza, cambi idea e si presenti per riprendere il piccolo -
continua Laforet -. Per noi sinti piemontesi i bambini, le mogli e
figli sono le uniche cose che contano, sono sacri. Io e mia moglie
siamo sposati da quando avevamo 16 anni e la nostra famiglia è la
nostra vita». Poi china la testa e sospira: «Certo che una donna che
fa un gesto simile o è molto giovane e non ne ha coscienza, oppure è
stata costretta e non aveva altra soluzione. Sarebbe opportuno
capire la sua situazione. Perché non si deve giudicare quando non si
conoscono le vite degli altri. E spero anche che questo bambino
abbia tanta salute e viva a lungo».
Intanto continuano le indagini per cercare di risalire a chi si è
disfatto del neonato. Per gli investigatori, coordinati dal pm della
procura di Ivrea Elena Parato, non dovrebbe arrivare da molto
distante. Perché, sempre secondo gli inquirenti, chi l'ha fatto
conosce bene il territorio e, soprattutto quella stradina in mezzo
ai vecchi cortili. Non si esclude che possa essere una minorenne.
Da diverse ore i carabinieri stanno visionando i filmati girati da
alcune telecamere che sorvegliano la zona e gli ingressi del piccolo
centro. Basta un numero di targa per indirizzare le indagini. Ma i
militari sono impegnati anche a setacciare i tabulati telefonici per
capire se ci sono stati «movimenti anomali» di qualche apparecchio
cellulare. Nel caso si risalisse al responsabile, si configurano i
reati di tentato infanticidio per la madre oppure tentato omicidio
se l'ha abbandonato qualcun altro
LA CATTIVERIA UMANA : L'impresario suicida dopo il flop a teatro
Il festival organizzato a fine novembre al teatro Pirandello di
Agrigento era stato un flop, per questo era stato sbertucciato i
social e non aveva retto. Alberto Re, 78 anni, aveva deciso di
spararsi un colpo in testa. Era morto il giorno dopo in ospedale. A
stravolgere la sua esistenza era stato l'odio social causato dallo
scarso successo dell'evento organizzato nella cittadina siciliana.
Alla serata inaugurale riservata ai partecipanti non si era
presentato nessuno. —
Trovata morta la pizzaiola criticata per la recensione in difesa di
disabili e gay
ANDREA SIRAVO
LODI
Le due saracinesche della pizzeria Le Vignole si sono abbassate nel
tardo pomeriggio e non si sono più riaperte per servire i clienti
della domenica sera. Una chiusura inevitabile quando è arrivata la
conferma che il corpo della donna trovata intorno alle due di
pomeriggio dai carabinieri nel fiume Lambro all'altezza del ponte di
viale dell'Autonomia a Sant'Angelo Lodigiano era quello di Giovanna
Pedretti.
Dal mattino di ieri i militari dell'Arma del comando provinciale di
Lodi la stavano cercando dopo che nella caserma del piccolo Comune
al confine con il Pavese si erano presentati i famigliari della
ristoratrice per denunciarne la scomparsa.
Della cinquantanovenne, finita nei giorni scorsi al centro di un
caso mediatico per una recensione omofoba e contro i disabili
lasciata da un cliente su Google, non si avevano più notizie da
sabato sera. Pedretti aveva lavorato come sempre nella pizzeria
assieme al marito Nello e alla figlia. Dopo la chiusura, però, era
rientrata a casa. Quando ieri mattina nessuno riusciva a mettersi in
contatto con lei è scattato l'allarme. In poche ore i carabinieri
hanno trovato la sua Fiat Panda parcheggiata in una strada sterrata
poco prima dell'imbocco del ponte di ferro. In acqua il corpo di
Pedretti, recuperato dai sommozzatori dei vigili del fuoco.
Pochi dubbi tra gli inquirenti che si sia trattato di un gesto
volontario, anche se non è stato trovato nessun messaggio d'addio.
Nessuna avvisaglia era stata percepita anche da chi la conosceva
bene. Da una prima analisi della scena setacciata dalla sezione
Rilievi dell'Arma non emerge il coinvolgimento di altre persone. La
procura di Lodi, diretta dal procuratore reggente Maurizio Romanelli,
ha comunque aperto un fascicolo per fare tutti gli accertamenti su
una vicenda dai contorni chiaroscuri. Nelle quarantotto ore
precedenti, Pedretti era passata da essere osannata eroina social a
vittima della gogna degli odiatori del web. «Mi hanno messo a
mangiare di fianco a dei gay. Non mi sono accorto subito perché sono
stati composti, e il ragazzo in carrozzina mangiava con difficoltà.
Mi spiaceva, ma non mi sono sentito a mio agio. Peccato perché la
pizza era eccellente e il dolce ottimo, ma non andrò più», aveva
scritto un cliente. Una recensione che per Pedretti meritava una
risposta: «Il nostro locale è aperto a tutti e i requisiti che
chiediamo ai nostri ospiti sono l'educazione e il rispetto verso
ognuno. Le sue parole di disprezzo verso ospiti che non mi sembra vi
abbiano importunato mi sembrano una cattiveria gratuita e alquanto
sgradevole». E ancora: «A fronte di queste bassezze umane e di
pessimo gusto... credo che il nostro locale non faccia per lei. Non
selezioniamo i nostri clienti in base all'orientamento sessuale e
men che meno sulla disabilità. Le chiedo gentilmente di non tornare
da noi a meno che non ritrovi in sé i requisiti umani che nel suo
atteggiamento sono mancati».
A sollevare i primi sospetti sulla veridicità della vicenda era
intervenuto, tra i primi, Lorenzo Biagiarelli, esperto di cucina e
compagno di Selvaggia Lucarelli. Era stata la giornalista a
rilanciare parlando di «un'operazione di marketing spacciata per
eroica difesa di gay e disabili».
E con la morte della ristoratrice, la Lega ha polemizzato con
Selvaggia Lucarelli seppure senza nominarla: «La lezione degli
ultimi giorni che arriva dalla sinistra e dai suoi giornalisti: si
possono attaccare un ragazzo mutilato da uno squalo, una pizzaiola
sospettata di una recensione fake. A sinistra non cambieranno mai:
spietati con i deboli e con gli avversari, servili con gli amici.
Vergogna».—
NON SE LI PORTERANNO NELLA TOMBA :
l'1% dei paperoni possiede il 59% dei
titoli in circolazione
Oxfam: un mondo sempre più ineguale 5 super-ricchi raddoppiano il
capitale
DALL'INVIATO A DAVOS
Sempre più ricchi, sempre più lontani dal resto del mondo, costretto
a soffrire per gli effetti della pandemia e delle due guerre, in
Ucraina e in Medio Oriente. Mentre il World economic forum di Davos
sta per entrare nel vivo, la ong Oxfam mette in evidenza quanto sia
sempre più diseguale il mondo del 2024. Tra il marzo 2020 e lo
scorso novembre, i cinque uomini più ricchi al mondo, ovvero Elon
Musk, Bernard Arnault, Jeff Bezos, Larry Ellison e Warren Buffett,
hanno più che raddoppiato le proprie fortune - da 405 a 869 miliardi
di dollari - a un ritmo di 14 milioni di dollari all'ora. Inoltre,
«l'1% più ricco del mondo possiede il 59% di tutti i titoli
finanziari». Una concentrazione, secondo Oxfam, senza precedenti.
Nella cittadina svizzera dove i potenti del mondo faranno il punto
sulle sfide globali, emerge un quadro sempre più drammatico di
povertà, disuguaglianze, crisi sociali e ricchezza estrema, quasi
inimmaginabile. «Disuguaglianza: il potere al servizio di pochi», il
nuovo rapporto pubblicato da Oxfam a corollario dell'evento di Davos,
traccia una mappa con tantissime luci e poche ombre. Tra marzo 2020
e novembre 2023, la ricchezza dei miliardari è cresciuta di 3.300
miliardi di dollari in termini reali (+34%), secondo il rapporto. E
il tasso di crescita è stato tre volte superiore a quello
dell'inflazione. Di contro, tra il 2019 e il 2022 la ricchezza
complessiva del 60% più povero dell'umanità (quasi 4,8 miliardi di
persone) ha visto un calo dello 0,2% in termini reali (-20 miliardi
di dollari). Una discrepanza che non sembra conoscere freni.
I POLITICI ITALIANI NON RISPETTANO I LORO ELETTORI
Anche in Europa la salute sta diventando un
lusso e chi non può permetterselo non si cura o si impoverisce. A
dirlo è un nuovo studio condotto dall'Oms su 40 Paesi europei, che
mostra come per decine di milioni di cittadini del vecchio
continente la salute sia ormai sinonimo di difficoltà finanziarie.
In tutti i Paesi esaminati il 20% più povero delle famiglie sostiene
almeno il 40% delle spese sanitare «catastrofiche», percentuale che
sale a oltre il 70% in Paesi come Croazia, Repubblica Ceca, Francia,
Ungheria, Irlanda, Lussemburgo, Montenegro, Serbia, Slovacchia,
Svezia, Svizzera, Turchia e Ucraina. Il tasso di spesa sanitaria
catastrofica varia in tutto il continente, ma la situazione è più
critica in Armenia, Bulgaria, Georgia, Lettonia, Lituania e Ucraina,
dove oltre il 14% delle famiglie deve affrontare il problema.
«A causa dell'inaccessibilità dei trattamenti, le famiglie
svantaggiate hanno maggiori probabilità di ritardare il ricorso a
cure mediche professionali, il che significa che potrebbero dover
ricorrere a servizi di emergenza costosi per far fronte a condizioni
aggravate», sottolinea il report dell'Oms. La stessa Organizzazione
mondiale della sanità sottolinea inoltre che «nei 40 Paesi studiati,
le famiglie più svantaggiate hanno maggiori probabilità di essere
costrette ad effettuare spese mediche che intaccano il loro budget».
E se l'Europa sta messa male, l'Italia va ancora peggio. In termini
percentuali di famiglie che hanno dovuto sostenere spese sanitarie
catastrofiche siamo penultimi con il 9,44%: peggio di noi sta solo
il Portogallo (10,64), mentre distanti sono Spagna (1,59%), Francia
(2,07), Gran Bretagna (1,47), Germania (2,43) e Svezia (1,62%
LICENZA DI UCCIDERE : In arrivo lo scudo penale per i medici
Il ministro Schillaci: "Tempi maturi"
Scudo penale e innalzamento volontario dell'età pensionabile da 70 a
72 anni per i medici. Le due misure saranno molto probabilmente
previste con emendamenti al Milleproroghe. Ma se i camici bianchi
ribadiscono la necessità della depenalizzazione («Siamo tra i pochi
Paesi al mondo a non averlo fatto - così Pierino Di Silverio,
segretario Anaao Assomed -, nonostante il fatto che su oltre 35.000
cause giudiziarie contro medici e strutture sanitarie presentate
ogni anno in Italia, oltre il 95% si concluda con un nulla a
procedere»), si dicono però pronti a dare battaglia anche ricorrendo
«a un nuovo sciopero» sul tema pensioni. Dal canto suo, il ministro
della Salute Orazio Schillaci ha sottolineato che «i tempi sono
maturi per intraprendere la via della depenalizzazione dell'atto
medico, a esclusione del dolo, mantenendo la responsabilità civile».
—
ANCHE LA MELONI PUO' SBAGLIARE TANTO LEI NON PAGA:
È ben più di un colpo di spugna. Il combinato disposto abrogazione
dell'abuso d'ufficio e riscrittura del traffico di influenze
illecite - contenuto nell'articolo 1 del Ddl Nordio, votato dalla
maggioranza con l'ausilio di Italia Viva - è purtroppo l'ennesimo
esempio della cultura autoritaria del governo Meloni, che taglia le
unghie ai poteri di controllo e di garanzia e conferisce alla
pubblica amministrazione un potere quasi sovrano, e insindacabile,
nei confronti del cittadino-suddito, abbandonato di fronte a
vessazioni, favoritismi, prevaricazioni. Un arretramento dello stato
di diritto. Non solo cadranno processi in corso e condanne
definitive ma grazie alla presunta riforma diventeranno leciti
comportamenti odiosi, anche rispetto all'integrità della pubblica
amministrazione, la cui discrezionalità dev'essere orientata alla
tutela dell'interesse pubblico, non di quello privato. Un segnale
devastante. Con buona pace della questione morale.
L'uno-due delle destre di governo si è consumato la scorsa settimana
in commissione Giustizia al Senato, che nei prossimi giorni
licenzierà il provvedimento per l'aula. L'abrogazione dell'abuso
viaggia insieme alla riscrittura del reato di traffico di influenze
illecite, introdotto nel 2012 dalla legge Severino n. 190, sotto la
spinta delle Convenzioni internazionali sulla corruzione firmate
dall'Italia. La mediazione illecita, o traffico di influenze, è una
condotta considerata prodromica rispetto alla corruzione vera e
propria. Gli intermediari in fatti corruttivi, più volgarmente detti
"faccendieri" o "facilitatori", sono un fenomeno internazionale:
l'Università di Stanford ha rivelato che oltre il 90% delle tangenti
pagate nell'ambito di transazioni economiche internazionali è stato
veicolato proprio da intermediari.
La nostra mediazione illecita, però, fin dall'inizio è risultata
troppo generica, tanto più in mancanza di una legge sulle lobbies, e
difatti è stata "tipizzata" dalla Cassazione, secondo cui il reato
sussiste quando la condotta del faccendiere è rivolta alla
commissione di un reato, quasi sempre l'abuso d'ufficio. Che ora,
però, viene abrogato. Scompare e fa scomparire così tutti i processi
e le condanne basate su quello schema. Non sarà più reato pagare una
persona affinché "spinga" su un magistrato per ottenere una
decisione piuttosto che un'altra, visto che quest'ultima condotta
non è più punita come abuso. Diventerebbe lecito anche il pagamento
di danaro a chi promette una raccomandazione al componente di una
commissione di un concorso, con cui può spendere rapporti personali
pregressi, per far risultare vincitore il suo "cliente".
Non soddisfatti di questo risultato, si è voluto comunque riscrivere
il reato, cambiandone a tal punto i connotati da prefigurare un
ulteriore e più ampio colpo di spugna, di cui beneficeranno anche
nomi "eccellenti" (già circolano quelli di Gianni Alemanno e di Luca
Palamara).
Ma governo e maggioranza non fanno una piega.
Nel caso dell'abuso d'ufficio, la cancellazione di quel che resta
del reato dopo le precedenti scarnificazioni è stata giustificata in
nome di un diritto penale liberale, mentre è vero esattamente il
contrario: chi sostiene l'abrogazione è dalla parte del diritto
penale autoritario perché alzare una barriera di immunità intorno al
pubblico ufficiale equivale a violare il principio di uguaglianza. A
sottolinearlo è un professore ultra garantista di diritto penale,
avvocato e accademico dei Lincei, Tullio Padovani, ricordandoci che
l'abuso è entrato negli ordinamenti europei con la rivoluzione
francese ed è figlio del diritto penale liberale, per cui creare una
zona franca di discrezionalità insindacabile ci fa tornare a uno
stadio che precede, appunto, lo stato di diritto.
Anche un altro giurista, avvocato e professore di diritto penale,
Massimo Donini, parla di "scelta autoritaria" e considera "una
bufala giornalistica e politica" la narrazione secondo cui l'abuso
d'ufficio riguarderebbe solo i sindaci e quindi sarebbe imposto
dalla loro "paura della firma" anche per ridare slancio
all'economia.
Da una ricerca sulle sentenze di Cassazione è emerso che i sindaci
non sono affatto il bersaglio privilegiato del presunto accanimento
dei magistrati: le sentenze che li riguardano sono di poco più
numerose (82) di quelle riguardanti altre cariche elettive
(presidenti di regione o di provincia, consiglieri comunali o
assessori: 72) ma di molto inferiori a quelle che hanno come
protagonisti dei tecnici (dirigenti di uffici di enti territoriali,
medici, professori universitari…: 176). Pensiamo al detenuto
arbitrariamente e intenzionalmente escluso dall'ora d'aria, dalle
visite dei parenti o al quale viene impedito l'esercizio di un suo
diritto (senza violare l'articolo 608 del Codice penale); al
professore universitario che fa entrare in ruolo solo i suoi allievi
mediocri sottovalutando abusivamente candidati più meritevoli; al
primario ospedaliero che demansiona un aiuto medico perché non
dirotta alcuni pazienti verso la sua clinica privata… La casistica è
immensa. Ed è singolare che non si spenda una sola parola sulla
gravità del reato e sul suo effetto deterrente. Di fronte alle
accuse di panpenalismo, il liberale Nordio continua a giustificarsi
dicendo che sono segnali di attenzione che lo Stato deve mandare ai
cittadini. Ma quale segnale viene mandato con la cancellazione
dell'abuso d'ufficio, se non quello di abbandonare il cittadino alle
angherie dei detentori del potere pubblico? Silenzio.
Muti e sordi, anche rispetto agli impegni internazionali. Se si
tratta di colletti bianchi, bisogna sbianchettare i reati, partendo
dall'abuso, "ferma restando la possibilità – è la concessione messa
a verbale dalla presidente della commissione Giustizia Giulia
Bongiorno – di valutare in prospettiva futura specifici interventi
additivi volti a sanzionare, con formulazioni circoscritte e
precise, condotte meritevoli di pena in forza di eventuali
indicazioni di matrice euro-unitaria che dovessero sopravvenire".
Fuori dal giuridichese: se sarà necessario colmare lacune
interverremo con nuove norme tipizzate. Ma perché, allora, non farlo
subito, contemporaneamente all'abrogazione dell'abuso? È evidente
che se la "riforma Nordio" resterà in vigore anche un solo giorno,
tanto basterà a fare tabula rasa dei procedimenti in corso e delle
condanne passate in giudicato.
Lo stesso effetto si produrrà con la riscrittura del traffico di
influenze illecite, che ne ha ristretto il perimetro: "l'utilità"
concessa per la mediazione dev'essere solo economica, i soldi devono
essere destinati anche al pubblico ufficiale, e chi paga deve essere
certo (dolo specifico) che una parte dei soldi andrà al pubblico
ufficiale. Tutto questo è quasi impossibile da provare perché non
sempre nel traffico di influenze c'è passaggio di soldi ma spesso
solo di favori (viaggi, vacanze, e altri benefici) e non a caso
anche l'Europa parla semplicemente di utilità.
I tanti rischi di questa "riforma" sono stati illustrati al Senato
anche da magistrati esperti nel contrasto alla corruzione, tra cui
Raffaele Cantone, Procuratore a Perugia. Che ha avvertito: l'effetto
del Ddl Nordio sarà di rendere condotte odiose non solo penalmente
irrilevanti ma addirittura pienamente lecite. Chiunque potrà
raccomandare i propri protetti per ottenere una sentenza favorevole
o la vittoria in un concorso pubblico. Bel colpo per chi si erge a
tutore della legalità. —
"Propaganda mascherata da cultura Chiocci ora riferisca alla
Vigilanza"
«Con il servizio del Tg1 su una manifestazione organizzata dal
movimento Gioventù nazionale, definita non politica ed elevata a
evento patriottico culturale, la Rai ha toccato il fondo» attaccano
i parlamentari dem in commissione di vigilanza Rai. «Dopo gli
allontanamenti selettivi di autorevoli professionisti, dopo il
crollo degli ascolti, dopo la messa in mora di un serio piano di
investimenti per il rilancio del servizio pubblico - si legge nella
nota dei democratici -, siamo adesso alla bassa propaganda
mascherata da servizi culturali. Il direttore Chiocci venga a
spiegare in vigilanza Rai se ha cambiato ruolo e se è diventato il
portavoce dei movimenti giovanili di destra che hanno sede in via
della Scrofa. La misura è colma: chiediamo l'immediata audizione di
Chiocci», direttore del Tg1. «Inaccettabile l'atteggiamento del Pd -
contrattacca il deputato di Fratelli d'Italia Gianluca Caramanna -.
È il solito atteggiamento di chi reclama la libertà di espressione,
ma poi si permette di voler condizionare la linea editoriale del
Tg». «Non consentiremo che una segreteria di partito, quella del Pd,
possa pensare di condizionare il sommario del Tg1 o di qualsiasi
altra testata Rai», afferma in una nota UniRai, sindacato dei liberi
giornalisti Rai.
il sondaggio kpmg
L'industria globale punta sull'ibrido
I dirigenti delle case automobilistiche sono meno certi del successo
della transizione all'elettrico, si investe di più sugli ibridi.
Sono i dati dell'annuale sondaggio Kpmg. La fiducia "totale" - in
Europa - nel passaggio ai motori completamente elettrici è scesa,
rispetto a un anno fa, dal 31% al 24%. Negli Stati Uniti dal 48% al
43% in Giappone dal 32% al 10%. In Cina invece questo dato è salito
dal 28% al 36%.
creata dal movimento per la vita A Torino una sola culla per
la vita "Nell'emergenza si può trovare aiuto"
A Torino c'è una sola culla per la vita. È in via Andreis 18, nel
retro del Sermig, e da oltre dieci anni è una certezza per le donne
che scelgono di non tenere il proprio figlio. Qui possono lasciarlo
in anonimato al caldo e al sicuro, pronto a essere abbracciato da
qualcuno che se ne prenda cura. Realizzata dall'associazione
Movimento per la vita, finora la culla non è mai stata utilizzata. È
riscaldata, si chiude dopo aver deposto il bimbo ed è collegata via
radio al 118. «Dobbiamo far correre la voce, anche tra le persone
più fragili, che esiste questa estrema possibilità - dice Valter
Boero, presidente dell'associazione -. Tutti sperano che le mamme
possano tenere il proprio figlio, ma nel caso in cui scegliessero di
non farlo, devono sapere che esiste un posto dove possono lasciarlo
al sicuro». c
14.01.24
UN DONO DI DIO MA
LA CHIESA DOV'E'? Un
neonato, poche ore di vita, il cordone ombelicale ancora attaccato
alla placenta, è stato gettato in un cassonetto dell'immondizia a
Villanova Canavese, alle porte di Torino. Un passante ieri
pomeriggio ha sentito dei lamenti, si è avvicinato, ha aperto con
cautela il portellone, "pensavo a un animale, ma animale è la
persona che lo ha sbattuto lì" racconta ancora sconvolto l'uomo. Ha
49 anni, abita in un caseggiato poco lontano. "Ma si rende conto?
Fuori ci saranno stati un grado o due sotto lo zero: quanto avrebbe
resistito il piccolo?".
Ha afferrato lo smarphone, ha chiamato il 112, incerto se
raccogliere quell'esserino e stringerlo a sé per dagli calore, e
tutto il suo amore. Ma alla fine ha deciso di non strafare, "ho
avuto troppa paura di fargli involontariamente del male". Sono
arrivati i carabinieri del nucleo radiomobile di Venaria, è arrivata
l'ambulanza. Mani esperte hanno preso il neonato, lo hanno
appoggiato con cura su una lettiga in cui pareva ancora più piccolo
di quanto non sia. Non c'è stata la necessità di correre: "In questi
casi - raccontano i sanitari - la cosa più importante è procedere
con calma, e l'ambulanza attrezzata serve proprio a quello". Lo
hanno portato all'ospedale più vicino, che si trova a Cirié. Qui, è
stato visitato dai medici che hanno detto poche cose, le sole che al
momento rappresentano l'identità del piccolo: è un maschio,
carnagione chiara, sui tre chili e, cosa ancora più importante, sta
bene. Un miracolo. Chi può aver fatto una cosa simile? Quanta cieca
disperazione ci vuole per gettare un neonato come ci si libera del
sacchetto dell'immondizia? I carabinieri hanno avvisato il comando
di Torino, sono arrivate squadre di esperti. Si cerca una mamma,
forse una coppia, chi può dirlo? Il passante che lo ha salvato è
stato accompagnato in caserma per firmare il verbale, ma più di
quello che ha raccontato non sa. Ha già fatto tutto quello che
doveva fare, che se ne vada a casa adesso. Fuori fa sempre più
freddo, le auto parcheggiate cominciano ad essere bianche
dell'umidità che gela. In giro non c'è anima viva.
La loro notte, i carabinieri la passeranno alla ricerca di una
traccia, magari del fermo immagine di una telecamera di sicurezza.
Cinque mesi fa c'era stato un caso analogo a Taranto. Un bambino
vicino a un cassonetto, salvato da una donna a spasso con il cane.
La madre, alla fine, era stata rintracciata. Le cronache non dicono
più che fine abbiano fatto.
SALA AL SERVIZIO DEGLI USA: Chi si ricorda di Julian Assange?
Dal nostro recente passato riemerge la storia scandalosa -
scandalosa, comunque la si pensi - di questo giornalista
australiano, fondatore nel 2006 di Wikileaks, e autore nel 2010
della più clamorosa fuga di notizie (i "leaks"), la pubblicazione di
quasi mezzo milione di documenti riservati del governo americano a
proposito delle operazioni militari in Iraq e in Afghanistan fra il
2004 e il 2010. Quei documenti rivelarono una serie di condotte che
non è esagerato definire repellenti da parte di militari americani
al fronte. Ed essenzialmente per questo motivo Assange è in un
carcere di massima sicurezza inglese da quattro anni e mezzo, in una
cella di 3 metri per 2, in isolamento per 23 ore al giorno e senza
la possibilità di vedere la luce del sole neanche nell'ora d'aria;
non è stato condannato, e nemmeno processato, è in attesa di essere
estradato negli Stati Uniti; fatto questo che avverrà senza indugio
dopo l'udienza dell'Alta Corte del prossimo 20 febbraio che deve
decidere sull'appello finale dei difensori. Lo attende una condanna
per spionaggio di 175 anni, ma probabilmente la morte molto prima
secondo i legali che lo assistono e che parlano di condizioni di
salute drammatiche. Ha compiuto 52 anni il 3 luglio scorso.
Una storia segnata, insomma; e anche sostanzialmente archiviata per
l'opinione pubblica. E invece se ci fossimo sbagliati? Se Julian
Assange fosse invece "un martire della libertà di stampa" e tutta
questa fosse "una grande persecuzione", come recita il libro di Nils
Meltzer, relatore per le Nazioni Unite sulla tortura, che ha
analizzato la vicenda? La richiesta di guardare le cose da un altro
punto di vista - che sfida apertamente gli Stati Uniti e il Regno
Unito - viene dall'Italia, anzi da alcune delle più importanti città
italiane, che stanno concedendo ad Assange la cittadinanza onoraria.
Parliamo di Roma, la prima capitale al mondo a mobilitarsi per
Assange; di Napoli, la città che ospita la base della Sesta Flotta
degli Stati Uniti; di Reggio Emilia, dove nacque il tricolore; di
Bari, capoluogo di una regione strategica per la Nato. Nessuno di
questi atti, presi singolarmente, può cambiare il finale della
storia, ma visti tutti assieme, dal punto di vista simbolico, sono
un segnale potente.
Ce ne sono altre, di città: sono molte decine quelle che hanno preso
questa strada clamorosa. Alcune sono molto piccole, come Lucera, 33
mila abitanti in provincia di Foggia, che il luglio 2022 è stato il
primo comune ad approvare la proposta, senza voti contrari, di un
esponente del partito comunista locale. Secondo il sito del comitato
"Free Assange Italia", da quel momento in poi si sono si sono
mobilitate Pinerolo, Marcellinara, Pescara, Castelnuovo Cilento,
Passignano sul Trasimeno, Catania, Monterotondo, Montegabbione,
Chiusi, Campobasso, Castelfranco Emilia, Ferrara, Modena, Savona,
Strambinello e Vicovaro. La prossima dovrebbe essere Bologna, dove
una richiesta di cittadinanza onoraria è arrivata sul tavolo del
sindaco Matteo Lepore che ci ha ragionato su un po' e ha deciso di
lasciare libertà di voto al consiglio comunale.
Vedremo come andrà, comunque è già una valanga. Che è iniziata con
un passo falso a Milano. Era il maggio del 2022, subito dopo la
decisione della corte di Westminster di concedere l'estradizione; e
il consiglio comunale si trovò ad esaminare la proposta dei
consiglieri comunali dei Verdi. Erano a favore anche i due esponenti
della lista del sindaco Giuseppe Sala ma il partito democratico
allora assunse una posizione netta e che non ha più ribadito in
nessun altro caso: no alla cittadinanza e nessuna opposizione
all'estradizione, «perché uno Stato ha il diritto di secretare i
documenti». Un esponente di Italia Viva disse addirittura che
Assange «aveva messo a rischio la democrazia liberale», e la
cittadinanza onoraria non passò.
Da lì però qualcosa è cambiato. Ai comitati per Assange si sono
associati affiancati gli esponenti di Articolo 21, l'associazione
che si batte per la libertà di espressione sancita dall'articolo 21
della Costituzione; la Federazione della Stampa, che ha organizzato
manifestazioni e convegni; e l'Ordine dei giornalisti che gli ha
assegnato la tessera onoraria. Insomma Julian Assange è un
giornalista italiano. Uno di noi. Allora la macchina per le
cittadinanze onorarie si è rimessa in moto con una capillarità che
nessuno aveva previsto. Spesso sono stati i consiglieri comunali dei
5 Stelle a prendere l'iniziativa, ma a Napoli, per esempio, è stato
determinante anche l'impegno dell'ex sindaco Antonio Bassolino. Il
giorno del voto c'era la moglie di Assange, Stella Moris, a
festeggiare il fatto, incredibile, che il marito adesso condivide la
cittadinanza onoraria di Napoli con gli ex presidenti Scalfaro e
Ciampi, con il Napoli di Spalletti che ha vinto l'ultimo scudetto e
con Diego Armando Maradona, ovviamente.
Poi è stata la volta di Reggio Emilia e qui il sindaco Pd Luca
Vecchi racconta che c'è stata una vasta mobilitazione popolare che è
arrivata in consiglio comunale; e che lui stesso ha voluto
rifletterci bene, perché Reggio Emilia ha una lunga tradizione in
difesa dei diritti civili, la cittadinanza onoraria è stata data ai
premi Nobel per la Pace Lech Walesa e Desmond Tutu, a Roberto
Saviano e al popolo curdo (e a Zucchero); e proprio per questo,
dice, ha deciso per il sì assieme al partito democratico locale. A
Roma la cosa è stata più complicata: la proposta è stata avanzata
dall'ex sindaca Virginia Raggi, ma per mesi il pd locale ha preso
tempo. Ci sono voluti il lavorio diplomatico di Vincenzo Vita
(articolo 21) e una manifestazione in Campidoglio dove prese la
parola fra gli altri l'attrice Laura Morante, per cambiare le cose.
La mozione in Campidoglio è passata ad ottobre; domani si vota in
commissione; prima del 20 febbraio, data della fatidica decisione
dell'Alta Corte britannica, ci sarà il voto finale dell'Aula. Da
quel giorno Assange condividerà la cittadinanza onoraria di Roma con
l'ex presidente Giorgio Napolitano, la senatrice a vita Liliana
Segre e il premio Oscar Paolo Sorrentino.
Potrà mai essere un reietto un uomo così? E se fosse davvero la
vittima di una persecuzione? Chi potrà salvarlo? Qualcuno dice: papa
Francesco, che qualche mese fa, il 30 giugno, ha ricevuto in
Vaticano, in udienza privata, la moglie Stella Moris e i due figli.
«Il pontefice capisce che Julian sta soffrendo ed è preoccupato»
disse lei dopo. Qualcosa può ancora succedere.
Voto di scambio con le cosche "Rosso nel solco di Nevio Coral"
giuseppe legato
«Il monitoraggio investigativo restituisce la prova certa di un
soggetto politico, Roberto Rosso, che giammai ha disdegnato di
assumere condotte evocative di continuità con l'operato di soggetti
politici quantomeno contigui alla criminalità organizzata (si
riporti in tal senso la formidabile evidenza costituita
dall'assunzione della segretaria Raffaella Furnari, già segretaria
della nuora di Nevio Coral dimostrativa – al di là della pacifica
estraneità della Furnari - dell'assoluta disponibilità del prevenuto
a porsi in un solco di prosecuzione di un modus operandi proprio di
politici coinvolti nel processo Minotauro».
L'accostamento tra l'ex assessore regionale già di Fdi, condannato a
4 anni e 4 mesi per voto di scambio politico mafioso con la
‘ndrangheta e l'ex sindaco di Leini amico di boss e picciotti che ha
già scontato la sua pena a 8 anni per concorso esterno, è nero su
bianco nella motivazioni di sentenza firmate dalla Corte d'Appello
di Torino (Prima sezione penale, presidente Mario Amato) e divenute
pubbliche da alcune ore. «Roberto Rosso – si legge nel corpo della
pronuncia che ha confermato l'impianto accusatorio del pm Paolo Toso
e le indagini del Gico della Guardia di Finanza - era a conoscenza
dello spessore di Garcea e Viterbo (due boss delle cosche già
condannati in separato giudizio ndr) e ha di fatto costretto la sua
amica a interfacciarsi coi due procacciatori di voti dopo essere
stato edotto di quali soggetti si trattasse senza voler operare
alcuna distinzione tra gli interlocutori affidabili e quelli non,
accettando incondizionatamente le proposte di sostegno elettorale».
Non si comprenderebbe altrimenti «la ragione per la quale Rosso –
scrivono i giudici - abbia scelto di avvalersi di Garcea e Viterbo
sprovvisti di competenze e referenze preferendoli all'affidabile De
Bellis collaboratore della sua amica e se l'attività delegata ai due
fosse stata meramente esecutiva non si comprenderebbe ancora –
insistono i togati - l'esosa entità del corrispettivo loro
accordato, 15 mila euro peraltro a stretto giro, appena dieci
giorni, prima della tornata elettorale allorché le concrete
possibilità di intervento erano esigue». Per la Corte «è logicamente
evidente che il valore aggiunto portato dai due procacciatori
riposasse proprio sulla loro appartenenza alla ‘ndrangheta
meritevole di una remunerazione di tale portata evocativa di
risultati elettorali appetibili. Il fatto - ancora - che Rosso abbia
pagato in nero per ragione di esaurimento del budget non è
credibile. Si è trattato di un pagamento preordinato pur in presenza
di una capienza elevata». L'avvocato Giorgio Piazzese, legale
dell'ex assessore regionale controbatte: «Rosso sa di non avere
concluso un patto elettorale con la 'ndrangheta. La sentenza
fornisce una motivazione sulla consapevolezza della caratura
criminale dei suoi interlocutori, ma negli atti del processo vi sono
diverse possibili ricostruzioni logiche alternative. Quindi esiste
un dubbio logico e ragionevole. Tutto ciò si risolve in una
questione di diritto che potrà essere certamente affrontata in
Cassazione». —
13.01.24
gli houthi governano sanaa dal 2015
Chi sono i "Partigiani di Dio" yemeniti sostenuti dall'Iran e nemici
di Israele Gli Houthi prendono il nome dalla famiglia che ha fondato il
movimento negli anni Novanta. Negli anni 2000 l'organizzazione
armata si è definita Partigiani di Dio o Gioventù credente. Il
movimento ha incarnato il malcontento di una folta schiera della
popolazione, soprattutto sciita, tanto da ergersi a "salvatore dello
Yemen", oltre a definirsi «il vero e unico bastione anti-qaedista»
sul territorio. La milizia rivoluzionaria è stata creata dallo
sceicco Hussein Baddreddin Al-Houthi. Nel gennaio 2015 gli Houthi
hanno circondato il palazzo presidenziale prendendo il controllo
della capitale. Gli Houthi hanno uno stretto legame con gli
Ayatollah iraniani, appartengono allo Zaydismo, ramificazione sciita
presente in Yemen. Una fonte significativa di armi deriva dalle
scorte dell'ex governo yemenita, acquisite dall'Unione Sovietica. Ma
l'Iran è fonte cruciale di tecnologia missilistica avanzata per gli
Houthi.
PETROLIO E GAS CONTINUANO A CONDIZIONARCI:
Il Mar Rosso è diventato zona di guerra, molte navi evitano il
transito dal Canale di Suez, e le conseguenze già si fanno sentire
sul costo dei noli, perché girare attorno all'Africa richiede più
tempo e più carburante; inoltre (fatto raramente citato) fa
rincarare i cosiddetti Eu Ets, che sono una specie di tassa sulle
emissioni di CO2. E dato che tutto, alla fine, si scarica sui prezzi
dei prodotti pagati dai consumatori, il rischio è che l'inflazione
rialzi la testa, e che i tagli dei tassi da parte delle banche
centrali vengano rinviati. L'esito sarebbero più inflazione e meno
crescita economica, cioè il contrario di quello che si prevedeva nel
2024.
Lo scenario peggiore, tuttavia, non è scontato, e Cesare d'Amico,
titolare dell'omonimo gruppo navale e vicepresidente degli armatori
di Confindustria, dice a La Stampa che è meglio non affrettare le
conclusioni: «I costi dei noli sono sempre saliti o scesi, a seguito
di normali oscillazioni di mercato, senza che questo avesse un
impatto immediato sull'inflazione. Per adesso, eventuali aumenti dei
prezzi al consumo sarebbero soltanto speculativi».
Anche Augusto Cosulich, proprietario del gruppo genovese di shipping,
contattato al telefono invita a circoscrivere il problema:
«L'impatto sull'aumento di costi di trasporto c'è, ma è calcolabile
e prevedibile, e continuerebbe a esserlo anche se la crisi si
protraesse. I noli costavano 1500 euro per ogni container da 40
piedi, ora sono balzati, sulle rotte attorno all'Africa, a 6 mila
euro, e questo è male, ma è controllabile. Non si tratta di una
crisi dalle conseguenza imprevedibili come quella dell'Ucraina»,
quando il gas balzò da 15 a 340 euro per MWh e avrebbe potuto fare
anche peggio.
Comunque, basta poco per allontanare l'obiettivo di inflazione al 2%
che convincerebbe i banchieri centrali a tagliare i tassi.
I dati certi sul traffico navale sembrano preludere a una chiusura
di fatto del Canale di Suez. Il Kiel Institute for the World Economy
segnala che il numero dei transiti è crollato del 60 per cento, da
500.000 container al giorno a 200.000.
Che conseguenze ha questo sul commercio globale? Notevoli, benché
non enormi. Da Suez passa il 12% delle merci. Da quando sono
cominciati gli attacchi degli Houti, dice ancora l'istituto di Kiel,
il traffico marittimo mondiale è diminuito dell'1,3%. Tuttavia ci
sono due postille: quel -1,3% può dipendere dagli attacchi dei
terroristi, ma anche da altre cause (ad esempio, potrebbe essere
sintomo di un'incipiente recessione internazionale). Inoltre, per
l'Italia l'impatto rischia di essere molto maggiore, visto che la
nostra quota di import e di export che transita da Suez è vicina al
40%.
Inoltre il nostro Paese subirebbe un ulteriore colpo dalla chiusura
del Canale: i nostri porti vedrebbero crollare il traffico e il giro
d'affari. Una curiosità di giornata: la società Db Group di
Montebelluna ha riattivato una linea di collegamenti ferroviari con
la Cina predisponendo due treni speciali da 50 vagoni che partiranno
il 31 gennaio; l'operazione verrà replicata nelle settimane
successive. Il viaggio avrà una durata di 25 giorni e oltre al Mar
Rosso taglierà fuori anche il continente africano.
Conti in tasca agli operatori: Augusto Cosulich dice a La Stampa che
«ogni nave portacontainer che circumnaviga l'Africa anziché
transitare da Suez ci costa 4 o 5 milioni di euro in più». Gli
chiediamo di commentare la notizia che il produttore americano di
auto elettriche Tesla sospende la produzione per sopravvenute
difficoltà di approvvigionamento, e in particolare gli chiediamo se
corrisponde all'esperienza del gruppo Cosulich che sia in atto un
fenomeno di de-globalizzazione, a causa delle reti di fornitura che
al tempo del Covid si sono mostrate vulnerabili. Risponde: «Sì,
notiamo diverse aziende che accorciano le reti, e spostano la
produzione dalla Cina alla Polonia o alla Turchia».
Questo prescinde dall'attuale crisi nel Mar Rosso, la cui storia è
ancora da scrivere.
TANTO VA SUA SUA PREPOTENZA AL LARGO CHE CI LASCIA LO ZAMPINO:
Il Rutilio Manetti che Vittorio Sgarbi giura essere un
inedito di sua proprietà è ora è nelle mani dei carabinieri.
Toccherà a loro procedere ai necessari «riscontri scientifici» per
valutare se il sottosegretario dice il vero o se invece il dipinto è
quello trafugato nel 2013 dal castello di Buriasco e riapparso,
modificato, nella mani del critico d'arte.
I carabinieri del Nucleo tutela patrimonio hanno sequestrato ieri il
quadro attribuito al pittore del Seicento senese Manetti, al centro
dell'inchiesta che vede il sottosegretario alla Cultura Sgarbi
indagato per riciclaggio di beni culturali. «Ho consegnato
spontaneamente l'opera perché siano fatte tutte le verifiche del
caso – dice lui – a partire dalle misure del dipinto rispetto alla
cornice di quello rubato. Sono assolutamente sereno. Il sequestro è
un atto dovuto. Non ho nulla da temere».
Della vicenda si occupa la procura di Macerata che qualche giorno fa
ha aperto un fascicolo a carico del critico d'arte. Ieri
l'accelerazione e il sequestro. Si tratta, scrivono i carabinieri,
di «un quadro del 1600 di grosse dimensioni raffigurante "un giudice
che condanna un uomo dal viso venerando dal profilo di San Pietro"
di autore ignoto ricordante i pittori Solimena e il Cavallino,
provento di furto avvenuto presso il castello di Buriasco ai danni
della proprietaria Margherita Buzio e denunciato il 14 febbraio ai
carabinieri di Vigone, in provincia di Torino, "in concorso con
persone allo stato ignote"» .
Secondo i pm Sgarbi avrebbe successivamente alterato il quadro, con
«operazioni finalizzate ad ostacolarne la provenienza delittuosa,
facendovi inserire in alto a sinistra della tela una torcia,
attribuendo l'opera al pittore senese Rutilio Manetti dal titolo "La
cattura di San Pietro" ed affermando altresì la titolarità del
quadro asseritamente rinvenuto all'interno di un immobile acquistato
dalla fondazione Cavallini-Sgarbi».
Una ricostruzione che il sottosegretario contesta. «Mi difenderò con
ogni mezzo con chi specula sulla vicenda e chi se ne rende
complice», promette. Sgarbi afferma di aver trovato per caso il
quadro, piegato in due e occultato in un sottoscala di una villa da
lui acquistata nel viterbese. Sostiene inoltre di averlo fatto
restaurare e dalla pulizia sarebbe meglio emersa una fiaccolanell'angolo
in alto a sinistra che lo distinguerebbe dal dipinto trafugato dal
castello di Buriasco.
Un'opera che poi venne presentata come un inedito di Rutilio Manetti
ed esposta a Lucca nel 2021, nella mostra curata da Sgarbi dal
titolo "I pittori della luce". Il critico ha più volte ribadito che
il quadro di Rutilio Manetti è suo e che «la fiaccola c'è sempre
stata», mentre quello rubato a Buriasco «è una brutta copia».
La Procura maceratese, guidata da Giovanni Fabrizio Narbone, ha
delegato al Comando carabinieri Tutela patrimonio culturale di Roma
«l'esecuzione di perquisizioni domiciliari con contestuale notifica
della posizione di indagato a carico» di Sgarbi per il sequestro del
dipinto. Il quadro è stato rinvenuto nei magazzini di Ro Ferrarese,
in provincia di Ferrara, nella disponibilità della Fondazione
Cavallini-Sgarbi, unitamente ad una copia in 3D, fatta eseguire da
un laboratorio di Correggio, in provincia di Reggio Emilia.
Le operazioni dei carabinieri del Nucleo tutela patrimonio artistico
sono state estese anche alle case romane e marchigiane. Quest'ultima
si trova a San Severino Marche nel Maceratese, cittadina di cui
Sgarbi fu sindaco nel 1992 e dove dichiara il proprio domicilio,
circostanza che ha fatto scattare la competenza sul caso dei
magistrati maceratesi a cui la Procura di Imperia aveva subito
inviato gli atti ricevuti dai carabinieri dopo l'avvio dell'indagine
a seguito anche di un'inchiesta congiunta del Fatto Quotidiano e di
Report. Oltre al dipinto i militari hanno sequestrato anche
documenti che potrebbero rivelarsi utili all'inchiesta come
computer, carte e telefonini.
POTEVAMO E POSSIAMO FORMARE GLI OCCUPABILI DEL EX REDDITO DI
CITTADINANZA: «Wir bauen für ihre Gesundheit». Costruiamo per
la vostra salute. Il cantiere viaggia spedito. Costi permettendo –
sono già lievitati di un terzo rispetto alle previsioni – l'ospedale
sarà pronto fra quattro anni: quasi 400 posti letto, sale operatorie
all'avanguardia, centinaia di posti di lavoro.
Briga è un delizioso paese nel cantone Vallese: il confine italiano
dista venti chilometri, è un crocevia logistico – la città d'approdo
per chi esce dal traforo del Sempione – e turistico, ma ha appena 12
mila abitanti e appare difficile capire perché proprio lì, anziché
nel cuore del cantone, la Svizzera abbia deciso di investire per
rifare completamente e ampliare un polo sanitario. Ma se la scelta è
caduta proprio a ridosso del confine una ragione c'è e dovrebbe
allarmarci: servono infermieri. E li si prenderà dall'Italia.
Nell'ultimo anno il Piemonte ne ha persi oltre 400. «Cancellati
dall'albo, tanti sono andati a lavorare all'estero», racconta
Francesco Coppolella, coordinatore regionale del NurSind, uno dei
sindacati di categoria, «stremati da condizioni inaccettabili e
attirati da stipendi che l'Italia si sogna». Una buona parte ha
attraversato proprio il Sempione, svuotando gli ospedali di Verbania
e Domodossola. Tanti fanno i frontalieri: si lavora di là con
stipendio doppio (o triplo) ma poi si torna a casa dove vivere costa
meno della metà.
Annalisa Deregibus abita a Premosello, fra Verbania e Domodossola,
ha trent'anni e per farsi assumere dal sistema sanitario italiano ha
fatto la precaria per tre anni. Ha superato tre concorsi: «Prima a
Domodossola, vicino a casa. Per avere il tempo indeterminato mi sono
trasferita a Varese, in pronto soccorso pediatrico. Quindi Novara.
Nel 2020 sono riuscita a tornare a Domodossola. Dopo tutta questa
fatica non pensavo di dovermi trasferire un'altra volta». E invece
da qualche mese lavora a Locarno. «Ho mandato il curriculum, mi
hanno chiamata dopo una settimana: in un colpo solo mi hanno
riconosciuto tre scatti d'anzianità; in Italia avevo colleghi con
vent'anni alle spalle e nemmeno uno scatto». Lavorando 20 ore a
settimana guadagna 2.400 euro rispetto ai 1.700 del suo tempo pieno
in Italia, con le notti, i riposi saltati, le ferie impossibili.
«Era diventato pericoloso: qui ho venti minuti per fare un prelievo,
in pronto soccorso inserivo dieci canule. Non ci fermavamo mai. Ora
ho due weekend liberi al mese, le ferie garantite. A me dispiace,
l'Italia mi ha formata in maniera straordinaria. Ma non si può
trattare così chi si sbatte. La gente pensa che ce ne andiamo per i
soldi ma non sa che per noi è una sconfitta terribile».
I frontalieri della sanità hanno quasi tutti meno di trent'anni,
spesso hanno abbandonato la prima linea, i pronto soccorso, e si
portano dietro un profondo senso di sconfitta. Aurora Buratti ha 25
anni, abita a Intra e da giugno lavora in una casa per anziani in
valle Ticino. Anche lei è fuggita dal pronto soccorso di
Domodossola: «Era diventato insostenibile dal punto di vista fisico
e psicologico. Lavoravo a dieci minuti da casa; adesso devo guidare
110 chilometri al giorno per un impiego meno soddisfacente. Mi rendo
conto di sacrificare la mia professionalità, ma non me la sentivo
più».
Difficile resistere quando da una parte ti costringono a turni
massacranti e a saltare ferie e riposi per 1.800 euro al mese e
dall'altra ti lasciano decidere quanto lavorare (part-time, tempo
pieno, al 70%, all'80%). Anche Lorenzo Ricci, 28 anni, dal reparto
di urgenza di Domodossola è finito alla Clinica Hildebrand di
Brissago, uno dei principali centri di riabilitazione svizzeri. «Un
giorno mi chiama un responsabile. Gli ho detto di no». E lui? «Mi ha
chiesto se davvero stavo rinunciando a 5 mila euro al mese, il
triplo del mio stipendio». Anche a lui è rimasto l'amaro: «Amavo il
mio vecchio lavoro. E poi gli infermieri svizzeri sono diplomati;
noi abbiamo la laurea e competenze maggiori. L'attaccamento alla
professione che vedevo in Italia è raro. Però qui ti valorizzano. E
ogni minuto in più viene pagato; per chi come me ha regalato ore
alle Asl ha dell'incredibile».
Anche Lorenzo, come Annalisa e Aurora, ha lasciato l'Italia
nell'ultimo anno, con effetti che nelle aree di confine cominciano a
pesare in maniera devastante. Per avere un'idea dell'impatto su chi
è rimasto basta ascoltare Filippo Garboli, infermiere in pronto
soccorso a Verbania. «Nell'ultimo mese, quando abbiamo fatto i
turni, mancavano 8 colleghi rispetto al fabbisogno, senza
considerare eventuali malattie o assenze. A inizio dicembre in dieci
giorni ho fatto quattro turni di notte. Quando sei a casa chiamano
per chiedere se puoi andare prima, quando il turno è finito ti fermi
ancora». «Se a livello di contratti non cambia qualcosa diventa
difficile pensare di continuare a fare questo lavoro», spiega Franca
Carrabba, infermiera e delegata della Cgil. «Facciamo turni
massacranti, non riesci più ad avere una vita. I servizi sono tutti
a contingente minimo: basta che un collega si ammali e il turno è
scoperto. Si fanno più notti, più pomeriggi. Ma in queste condizioni
le conseguenze sulla sicurezza sono inevitabili».
Secondo il Nursing Up, uno dei sindacati degli infermieri, all'Asl
del Vco manca il 10% dei 750 infermieri in pianta organica. «E con
l'ospedale di Briga la situazione peggiorerà», sostiene Milena
Germano, referente per quest'angolo di Piemonte. «Già se ne vanno
senza dare il preavviso, figuriamoci quando ci sarà un posto a venti
minuti di navetta che offre condizioni di lavoro e salario
imparagonabili». E chi resta? Rientri, turni allungati,
straordinari. «I medici almeno hanno un riconoscimento economico e
sociale. Noi siamo ancora considerati quelli che lavano le padelle.
Come fai a trattenere le persone? Siamo sempre meno e lavoriamo di
più: anziché 5-6 pazienti alla volta te ne trovi più del doppio. Ci
sono colleghi in malattia da due mesi con diagnosi di burnout».
Mancano anche i dottori. In questo caso la Svizzera c'entra poco ma
le aree periferiche sono poco attrattive. Si ricorre ai gettonisti
«ma così spesso oltre a fare il nostro dobbiamo sopperire alle
lacune di dottori totalmente inesperti». La direttrice generale
dell'Asl Vco si chiama Chiara Serpieri. È una manager che parla
chiaro, senza infingimenti. «Quest'anno abbiamo coperto appena la
metà degli oltre 40 posti del corso di laurea in Infermieristica,
senza contare che tra chi si diplomerà un buon 50% cercherà lavoro
altrove». La sua Asl ha 2 mila dipendenti: 350 sono medici, 1.200
professionisti sanitari, il resto tecnici e amministrativi. «È
evidente che gli infermieri sono le gambe della sanità pubblica
anche se tanta professionalità a volte non viene nemmeno
riconosciuta. Facciamo miracoli, ma ci sono troppi vincoli: offriamo
forme di lavoro rigide, senza agibilità personali, ed economicamente
inadeguate. Se consideriamo responsabilità, rilevanza sociale e
trattamento economico il bilancio per chi fa l'infermiere non è
soddisfacente». Serpieri è stata tra i primi direttori generali a
bussare in Regione per chiedere di riconoscere indennità aggiuntive
ai lavoratori di confine, un po' come sta facendo la Valle d'Aosta,
che in via sperimentale dà 400 euro netti al mese in più agli
infermieri. In Piemonte la risposta è stata negativa. «Ho trovato
grande sensibilità sul tema ma le regole e i vincoli di bilancio non
lo consentono. Eppure se vogliamo che le persone acquisiscano una
professionalità, la mantengano e la spendano nel pubblico, dobbiamo
ripensare i livelli economici e le rigidità del sistema. Perché uno
dovrebbe restare se può fare lo stesso mestiere altrove con carichi
di lavoro inferiori, meno vincoli e stipendi più alti? Non siamo
competitivi con il privato, tantomeno con l'estero».
Roberto Faracchio ne è la prova vivente. Trentenne, da Salerno -
dove è nato - si è trasferito dopo aver vinto un concorso
all'ospedale di Verbania. «In pronto soccorso eravamo un bel gruppo.
Si lavorava tanto ma fino all'esplosione del Covid tutto sommato
bene. Dopo è cambiato tutto». Anche lui fa il frontaliero: lavora a
Locarno, in pronto soccorso. «Già vivo lontano da casa, lavorare
tanto e soprattutto male non aveva senso. Mi facevo carico di cose
non di mia competenza, correvo rischi per me e per i pazienti di cui
dovevo occuparmi». A Locarno fa i suoi turni e non solo: «Mi pagano
la formazione. Anzi, mi spingono a farla. A Verbania invece dava
fastidio che andassimo in università perché non potevano richiamarci
in servizio».
I costi per il nuovo ospedale di Briga e per quello di Sion, il
capoluogo del Vallese, sono già cresciuti da 462 a 580 milioni di
franchi svizzeri, oltre 600 milioni di euro. Eppure nessuno ha
intenzione di fermarsi. Anzi, la ricerca del personale è già in
corso. «Niente concorsi, basta un colloquio. Ci sono agenzie
specializzate ma soprattutto c'è il passaparola», spiega Milena
Germano. «Vuol dire che chi è già di là chiamerà i suoi ex colleghi
e i nostri ospedali si svuoteranno ancora di più». Annalisa
Deregibus non ha dubbi: «Sarà un altro esodo».
Costruiamo per la tua salute, è il motto degli svizzeri. E alla
nostra, ci pensa qualcuno?
CAPO DEL PD TORINESE ? : Il commissario mandato dal ministero
lascia la cooperativa dopo 120 giorni. Ora la nomina dei nuovi
vertici
Caso Rear, la perizia in procura "Privilegi a Laus e ai suoi
parenti"
irene famà
Una gestione spavalda e familistica dei fondi della cooperativa Rear.
È quando sarebbe emerso dalla perizia disposta dal commissario
nominato dal Ministero delle imprese e made in Italy sulle attività
di gestione della multiservizi da parte del cda. La due diligence,
questo il termine tecnico, è stata acquisita dalla procura, che ha
aperto un fascicolo per truffa e malversazione.
A quanto si apprende, dagli accertamenti sarebbero spuntate
operazioni di investimento e finanziamento in altre società che
nulla avrebbero a che fare con le finalità statutarie della Rear.
Non solo. Al centro della perizia anche l'attribuzione di
superminimi al deputato Pd Mauro Laus, ex presidente e tra i soci
più in vista della Rear, e ad alcuni suoi familiari, che nella
cooperativa hanno ricoperto ruoli di spicco. E stipendi aumentati
solo ad alcuni lavoratori senza seguire le disposizioni del
regolamento interno.
Le indagini prendono il via nella primavera scorsa, quando la
Guardia di finanza si presenta negli uffici della Rear, della
Regione, di cui Laus è stato presidente del Consiglio dal 2014 al
2018, e del Forte di Bard in Valle d'Aosta, dove la coop gestisce
l'appalto per l'attività di presidio e accoglienza dei visitatori.
Gli investigatori acquisiscono registri contabili, contratti,
bilanci. Sei gli indagati, tra cui il deputato Laus e i suoi
fedelissimi, già collaboratori nella cooperativa: la presidente del
Consiglio comunale Maria Grazia Grippo e l'assessore ai Grandi
Eventi Mimmo Carretta.
A inizio settembre 2023, la Rear viene commissariata. E gli
ispettori del ministero delle Imprese del made in Italy chiedono di
«verificare la correttezza e l'esistenza dei presupposti oggettivi
per il riconoscimento, solo in capo ad alcuni lavoratori, delle
integrazioni salariali», di «provvedere a ripristinare la
democraticità interna».
Ora il commissario se ne va. E dalla cooperativa tirano le somme di
questi 120 giorni di gestione commissariale: 128 nuovi soci ammessi
(che passano da 1.542 a 1.670), commesse firmate per un valore di 10
milioni di euro. Non solo. Tra le gare d'appalto aggiudicate, oltre
alla Reggia di Venaria, c'è anche il servizio di biglietteria ed
accoglienza al Colosseo a Roma.
Il 10 gennaio, il commissario governativo, a conclusione del suo
incarico, ha convocato un'assemblea per il rinnovo delle cariche e
per fornire indicazioni sulle possibili aree di intervento. Insomma,
linee guida per svolgere un buon lavoro.
Al quinto piano del Palagiustizia, sul tavolo del pubblico ministero
Alessandro Aghemo, è invece arrivata la due diligence. I rilievi
sollevato andranno a integrare il materiale di indagine e gli
accertamenti ancora in corso da parte degli investigatori della
finanza su altri possibili filoni.
12.01.24
Nuovi sviluppi nell'indagine
anti-dumping avviata dalla Commissione europea sulle auto
elettriche di produzione cinese: secondo indiscrezioni della
Reuters, nelle prossime settimane i funzionari di Bruxelles
avrebbero in programma di condurre delle ispezioni presso le sedi
centrali della Byd, della Geely e della Saic. L'iniziativa non
dovrebbe, invece, coinvolgere BMW, Renault e Tesla, ossia marchi
occidentali che producono in Cina alcune alcune elettriche
commercializzate in Europa (BMW iX3, Dacia Spring e Model 3).
L'indagine. L'inchiesta, lanciata ufficialmentelo
scorso ottobre e della durata di almeno 13 mesi, intende
accertare se le elettriche di origine cinese stiano o meno
beneficiando di un sostegno pubblico contrario alle regole
internazionali sulla concorrenza. L'iniziativa europea è stata già
fortemente criticata da Pechino, così come dalle stesse Case: la
Geely, per esempio, garantisce di aver sempre rispettato le regole e
i principi di una concorrenza leale sul mercato globale. Ora, i
funzionari avrebbero intenzione di verificare dal vivo le risposte
che i costruttori hanno dato al questionario ricevuto lo scorso
autunno. Le ispezioni, che dovrebbero concludersi entro l'11 aprile,
rappresentano solo di una parte della complessa procedura
investigativa e probabilmente coinvolgeranno altri costruttori
cinesi presenti in Europa, come la Great Wal
BASTA QUESTO PER CAMBIARE PAESE :
E così c'è tanta voglia di "omissis", nella maggioranza di
destra-centro. I nomi eccellenti andranno sbianchettati dagli atti
delle indagini per tutelare la loro privacy, in quanto «terzi non
indagati». Il principio ha sicuramente una sua dignità. Ma quante
cose di interesse pubblico non avremmo mai saputo! Non si sarebbe
potuto scoprire, ad esempio, che Luca Palamara, allora leader di una
corrente di magistrati, nell'estate del 2018 incitava a dare addosso
a Matteo Salvini: «Mi dispiace dover dire - gli scriveva un collega
- che non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando». E Palamara,
in lapidaria risposta: «Ora Salvini va attaccato».
Ecco, dato che qui l'indagato è Palamara e Salvini no, in futuro
ogni riferimento al non indagato dovrà essere cancellato. E noi
avremmo totalmente ignorato questo "sentiment" dei magistrati verso
chi all'epoca era ministro dell'Interno. E non si dica che fu un
aiutino delle toghe rosse al leghista.
Per restare al circuito Palamara, con questa nuova legge non avremmo
saputo nulla neanche della presenza degli onorevoli renzianissimi
Luca Lotti e Cosimo Ferri alla riunione clandestina dell'hotel
Champagne, dove si concordavano strategie e alleanze per decidere i
capi di importanti procure. Lotti e Ferri non sono indagati. Non
hanno commesso reato alcuno, partecipando a quella seratina. Ma chi
può sostenere che non c'è un interesse pubblico a sapere come si
nomina davvero un capo di procura?
Se fossimo già in stagione di omissis, non avremmo saputo nemmeno
che cosa si pensava nel giro più stretto di Renzi quando quegli
s'intestardì per correre a Washington e presenziare a una cerimonia
in memoria di Bob Kennedy. Ne scrisse infatti l'indagato Alberto
Bianchi, presidente della fondazione Open, del giro più stretto:
«134.900 euro???! Ma ha perso la testa?». I centotrentraquattromila
euro servivano ad affittare un aereo privato e per venirne a capo,
Renzi chiese a destra e a manca. Quanto spese in dettaglio, lo
sappiamo dalla chat di un indagato.
Anche Renzi, successivamente, forse anche per questo Whatsapp
dell'avvocato Bianchi, finì indagato. Poi l'inchiesta sulla
fondazione Open è sostanzialmente naufragata, la Corte
costituzionale ha stabilito che nei suoi confronti ci sono state
forzature inammissibili, ma questa è un'altra storia. Qui si parla
delle sfaccettature di certe inchieste che rivelano i comportamenti
non commendevoli dei politici, anche se non sono propriamente reati.
La recentissima inchiesta sui Verdini, padre e figlio, lobbisti
borderline, ha svelato una familiarità inattesa con il
sottosegretario leghista Federico Freni. Non è indagato; il suo
nome, in futuro, non potrà e non dovrà comparire dagli atti. Sarà
sbianchettato e guai se qualcosa sfugge alla polizia giudiziaria
oppure al pubblico ministero. Eppure a noi resta qualche domanda sul
ruolo del sottosegretario. È normale che i Verdini gli diano nel
corso di una cena una lista di funzionari Anas, chi promuovere a
incarichi di responsabilità, chi allontanarne? Normale che il
sottosegretario abbia il desiderio di partecipare con la sua signora
alla Prima della Scala, edizione 2021, ne parli con Tommaso Verdini,
e quello si scateni per trovargli gli agognati tagliandi? Si legge
su un brogliaccio di intercettazioni, a cura dei carabinieri:
«Verdini Tommaso chiama Zelli Gianluca (amministratore delegato di
una società di somministrazione lavoro, non indagato, ndr) per
chiedergli di acquistare dei biglietti per la Prima della Scala per
Freni Federico (...) Verdini precisa che la segreteria di Federico
non era riuscita a trovare i biglietti. Zelli, subito disponibile,
afferma di provvedere all'acquisto».
Lasciamo perdere che poi Verdini si vanti di avergli trovato dei
biglietti che valgono 15mila euro. Sono rodomontate. Ad averli
voluti comprare via Internet, perché ancora si trovavano, si
pagavano 3mila euro l'uno. A Zelli, poi, non costarono proprio nulla
perché la sua società affitta un palco alla Scala per tutto l'anno e
figurarsi se non uscivano due poltrone per un sottosegretario
all'Economia. Però è il segno di una grande familiarità con i
faccendieri che manovravano in ambito Anas e Ferrovie... Non un
reato. Ma tutto bene lo stesso?
In fondo, questa è la dannazione dei "facilitatori": gli eccessi di
familiarità, che poi finiscono nelle loro telefonate. Era il 2018,
sembra un secolo fa. Francesco Paolo Arata, che era il consulente di
Salvini per l'energia, e aveva le mani in pasta con l'eolico, si
vantava con il figlio di avere piazzato il suo amicone Armando Siri
come sottosegretario alle Infrastrutture. Ne aveva parlato con
Gianni Letta e con il cardinale Burke, ma non era abbastanza. Così
diceva, il 23 maggio 2018: «Gli ho detto che deve fare il
viceministro con la delega all'energia, lui lo ha chiesto a Salvini
e Salvini ha chiamato anche casa nostra ieri». Niente, di tutto
questo non sapremo mai più niente.
SATANA RUSSO : L'amore dei russi
benestanti per il made in Italy è celebre: dagli yacht alla moda,
dalle ville in Sardegna e a Forte dei Marmi al prosecco, perfino le
sanzioni internazionali e la proclamazione dell'Italia come "Paese
ostile" da parte del Cremlino non ha impedito ai ricchi e ai famosi
di Mosca di continuare a desiderarli. Anzi, con la svolta verso i
"valori tradizionali" del conservatorismo religioso, è stata aperta
anche una nuova voce nelle importazioni russe dall'Italia. Il largo
pubblico se ne è accorto quando Mikhail Danilov, proprietario di
diversi locali notturni nella capitale russa, si è presentato
davanti alle telecamere per donare al parroco di una chiesa del
centro di Mosca le reliquie di san Nicola, vantandosi di averle
«comprate in Vaticano». Un'affermazione bizzarra, anche perché il
patriarcato di Mosca, convinto sostenitore della guerra in Ucraina,
negli ultimi anni ha rotto o diradato i contatti perfino con molti
confratelli ortodossi, e la retorica dell'eccezionalismo della
"Santa Rus" che sfida l'Occidente corrotto sembra contraddire lo
"shopping di reliquie" in Vaticano. Ma Danilov sembrava molto
convinto, e anche il sacerdote Mikhail Gulyaev - responsabile della
chiesa dell'icona della Madre di Dio del segno, che gode di un
rapporto privilegiato con il Cremlino - non sembra avere perplessità
rispetto a una reliquia «comprata» in Italia, con tanto di
«certificato di autenticità».
Con il prezioso dono, l'imprenditore voleva ingraziarsi nientemeno
che il Cremlino, e salvare il suo night club Mutabor, diventato un
mese fa il teatro dell'"Almost naked party". Il festino "quasi nudo"
ha attirato decine di star dello spettacolo insieme a numerosissimi
esponenti del grande business moscovita, vestiti in abiti a effetto
"nudo" o vistosa lingerie (tra i marchi prediletti, molti italiani,
in particolare Dolce&Gabbana). Tra le celebrità che più hanno fatto
scandalo, il rapper Vacio, vestito con soltanto un calzino firmato
Balenciaga, indossato non sul piede), e la blogger Nastya Ivleeva,
che sfoggiava su quella che ha definito «la scollatura posteriore»
una collana di diamanti con uno smeraldo gigantesco, vantandosi che
costava 230 mila euro. Pochi giorni dopo, l'ira del Cremlino si è
abbattuta sulle star "quasi nude". Vacio è in carcere, e
probabilmente dovrà scegliere tra l'incriminazione per «propaganda
Lgbt» (in un video altri ospiti mimano un atto di sesso orale con
lui, senza togliere però il calzino) e l'invio al fronte ucraino.
Ivleeva passa le giornate in tribunale. Altre superstar sono state
censurate dai concertoni di Capodanno, indagate dalla guardia di
finanza e scaricate dagli sponsor. I social si sono riempiti di
celebrità struccate, dimesse e con le guance rigate dalle lacrime,
che chiedono perdono e versano cospicue donazioni in beneficenza,
preferibilmente legata alla guerra in Ucraina: gira voce che tutte
le star "quasi nude" dovranno espiare andando a esibirsi per le
truppe russe nei territori ucraini invasi.
Secondo l'agenzia Bloomberg, dietro alla improvvisa svolta moralista
c'è Vladimir Putin in persona. Per salvare il club dello scandalo,
il suo proprietario ha quindi tirato fuori l'artiglieria pesante: la
reliquia del santo che ha ispirato Babbo Natale. Non ha funzionato:
il Mutabor è stato chiuso dal tribunale per aver servito della
«birra avariata». E ora, l'imprenditore rischia di trovarsi in uno
scandalo ancora più imbarazzante: alcuni giornalisti e blogger non
si sono limitati a ironizzare sulle reliquie «comprate in Vaticano»,
ma si sono presi la briga di ingrandire il "certificato di
autenticità" che le accompagnava. Per scoprire che il documento, in
latino, è stato emesso dalla diocesi di Novara, a firma del
subdiacono Franco Cerruti, nel 2018. Una inchiesta di Radio Liberty
ha permesso di individuare almeno altre quattro reliquie provenienti
da Novara e certificate dallo stesso esperto: la cintura della
Madonna, donata da un imprenditore e deputato di Russia Unita alla
cattedrale di Kazan di Pietroburgo, i resti di san Spiridone, donati
alla diocesi di Oryol da un altro imprenditore, proprietario di un
mercato moscovita, le reliquie di Fede, Speranza e Carità e la loro
madre Sofia, donate dal vescovo di Tikhvin a un convento
pietroburghese, e un cofanetto con resti di 18 santi nella chiesa di
san Giovanni Battista a Yukki.
Sulle origini dichiarate delle reliquie, la confusione è massima: la
cintura viene dichiarata proveniente dal Monte Athos, la diocesi di
Oryol sostiene di aver ricevuto san Spiridone da «Navarra in Spagna»
(avendo le idee poco chiare su dove si trovi Novara), e la badessa
pietroburhese sostiene in un'intervista che il reliquario sia venuto
dalla Francia. L'antiquario pietroburghese Ivan Boldyrev ha
raccontato al canale Telegram "Teleghi i memasy" di possedere
reliquie autenticate da Cerruti, e di credere che passassero da
Novara perché «c'era un deposito di reliquari da monasteri
dismessi». Nell'immaginario degli acquirenti russi, una sorta di
outlet, dove invece delle collezioni fuori stagione delle griffe si
possono comprare frammenti di santi a prezzi scontati, con i quali
ingraziarsi i potenti russi. Se non fosse per un piccolo
particolare: Franco Cerruti non lavora più nella diocesi di Novara
dal 2015, e quindi il giallo non riguarda soltanto la provenienza
delle reliquie, ma anche dei "certificati di autenticità", con i
quali posare davanti alle telecamere.
SPALLE AL MURO I TRAFFICANTI DI COCAINA:
Per più di due decenni, prima a Locri, poi a Reggio Calabria e
ancora a Catanzaro ha intuito prima di altri magistrati la
dimensione internazionale del traffico di droga e che per combattere
le rotte mondiali della cocaina bisognava andare in Sudamerica. A
parlare con gli investigatori, intessere rapporti, aprire canali
diretti.
Ha studiato così i cartelli colombiani, poi i messicani di Sinaloa,
del golfo e i Los Zetas, i brasiliani del Pcc di San Paolo, gli
ecuadoregni. Che parlavano solo con gli affidabili broker della
‘ndrangheta a cui lui dava la caccia dall'Aspromonte al mondo.
Nicola Gratteri, procuratore di Napoli, è un libro aperto sul mondo
dell'oro bianco, business che ha mandato in tilt l'Ecuador con una
rivolta armata figlia della protervia antistato dei narcos,
diventato – da qualche tempo – il crocevia di immensi transiti di
cocaina dai porti di Guayaquil e di San Pablo de Manta: 700
tonnellate all'anno.
La sua analisi è una sentenza: «Prima dell'avvento dell'attuale
presidente le carceri erano fuori controllo. I boss delle varie
organizzazioni criminali uscivano e entravano quando volevano. Ora
qualcosa sta cambiando. Il caos di questi giorni è legato a un
cambiamento di passo che prevede l'estradizione dei detenuti
stranieri e il trasferimento dei boss del narcotraffico nelle
carceri di massima sicurezza». In definitiva: «I boss locali temono
che l'Ecuador possa aprirsi sempre di più alla collaborazione con
gli americani, rischiando anche l'estradizione negli Stati Uniti».
Procuratore, perché questo caos e perché in Ecuador?
«L'Ecuador è il terzo Paese al mondo per sequestri di cocaina, dopo
Colombia e Stati Uniti. È incuneato tra Colombia e Perù e dai tempi
dei cartelli colombiani garantisce la spedizione di ingenti partite
di cocaina destinate al Nord America e all'Europa».
Ci accorgiamo adesso che l'Ecuador era una polveriera
narcos-dipendente solo perché ci sono morti eccellenti e un caos
fuori controllo?
«Succede spesso così, ma su questo Paese hanno messo gli occhi un
po' tutti: dai cartelli messicani alle gang albanesi e alla stessa
‘ndrangheta».
Quando a livello investigativo avete "scoperto" l'importanza
dell'Ecuador nello scacchiere del traffico mondiale di cocaina?
«Negli ultimi cinque-sei anni abbiamo notato un numero maggiore di
carichi sequestrati in Italia provenienti da lì e un'attenzione
particolare da parte di clan albanesi che sono andati a vivere nella
zona portuale di Guayaquil. All'inizio c'è stato anche qualche boss
albanese ucciso proprio in quel Paese. Ma a contendersi l'Ecuador da
almeno dieci-quindici anni sono i cartelli messicani».
Con chi abbiamo a che fare dal punto di vista criminale?
«Con gente che prima viveva di espedienti, furti, omicidi su
commissione ed estorsioni e oggi gestisce patrimoni enormi, grazie
alla cocaina che viene raffinata in Ecuador e spedita in Nord
America e in Europa».
Quali oggi i cartelli dominanti in quel Paese?
«Nel decreto del presidente Noboa sono stati elencati 21 gruppi
criminali, ma fondamentalmente quelli più influenti sono due: i
Choneros e i Lobos, rispettivamente legati al cartello di Sinaloa e
a quello di Jalisco».
Si può parlare di economia narcos-dipendente?
«C'è un indotto che ruota attorno al narcotraffico, ma la maggior
parte dei profitti vengono investiti nelle economie più ricche».
Ecuador, Paese di smistamento o anche di produzione?
«Ci sono laboratori per la raffinazione, ma fondamentalmente è uno
snodo internazionale per il traffico di cocaina».
Cercando di disegnare una griglia dei maggiori attori mondiali del
narcotraffico quali sono i Paesi che detengono questo mercato?
«La cocaina viene prevalentemente prodotta in Colombia, Bolivia e
Perù, ma a distribuirla in Nord America sono i cartelli messicani.
Il mercato europeo è molto fluido con la ‘ndrangheta che mantiene
contatti importanti in quasi tutti i paesi dell'America Latina. La
forza emergente è quella albanese».
Perché?
«Garantisce la consegna a domicilio in Italia e in Europa di ingenti
carichi di cocaina a chi non vuole sporcarsi le mani. Si è assunta i
rischi della spedizione. Ed è radicata in tantissimi Paesi».
Quali sono i porti sudamericani più utilizzati per far partire i
carichi verso l'Europa e il resto del mondo?
«Quelli brasiliani, soprattutto quello di Santos, ma anche quelli
ecuadoriani. Si spedisce anche dall'Argentina».
Vede situazioni che possono degenerare come in Ecuador e su quei
presupposti?
«L'America Latina è una polveriera. Tutto può succedere. Bisogna non
concedere spazio ai cartelli della droga che gestiscono enormi
patrimoni e sono in grado di corrompere, politici, funzionari,
giudici e poliziotti. Oggi uno dei principali quotidiani
dell'Ecuador riportava alcuni passaggi dell'intervista rilasciata
dal presidente a una radio di Quito, in cui si minacciava il pugno
di ferro contro giudici e procuratori scoperti ad aiutare le
organizzazioni criminali che sono state equiparate alla stregua di
organizzazioni terroristiche».
Altre mafie si affacciano per candidarsi come interlocutori per i
narcos sudamericani?
«Terrei un occhio aperto sul Primeiro Comando da Capital. È
un'organizzazione brasiliana presente anche in Ecuador che è in
continua espansione».
È ancora la ‘ndrangheta il principale interlocutore dei narcos anche
ecuadoriani?
«Assolutamente e con le maggiori organizzazioni criminali del
luogo».
Cosa Nostra resta sullo sfondo?
«La mafia siciliana ha ripreso i contatti con i produttori di droga
dopo il delirio stragista dei Corleonesi. Non è ancor tornata ai
fasti del traffico di eroina, ma alcuni recenti sequestri di cocaina
in Sicilia fanno pensare a una ripresa dei vecchi rapporti. La
‘ndrangheta spesso acquista anche per loro e per la camorra».
Ancora 139 gli ostaggi tenuti nelle prigioni
Assalti armati in diretta tv, guardie carcerarie e poliziotti presi
in ostaggio, città blindate, scuole e negozi chiusi: l'Ecuador è
precipitato in un conflitto armato interno con gruppi di
narcotrafficanti che in quattro giorni ha già provocato almeno 13
morti e decine di feriti. E mentre è ancora in vigore lo stato di
emergenza, tre agenti di polizia, rapiti da «presunti terroristi»
sono stati rilasciati vivi nel settore di Valencia, nella parte
centro-occidentale del Paese. Le Forze armate comunicano di aver
ucciso 5 criminali, di averne arrestati 329 e di aver liberato 41
ostaggi. Sono però 139 le persone ancora in ostaggio in almeno
cinque prigioni (a Cuenca, Azogues, Napo, Ambato e Latacunga),
comprese guardie e personale amministrativo, dove i reclusi si sono
ribellati come protesta contro la dura politica che il presidente
Daniel Noboa vuole implementare nel sistema carcerario. Secondo il
Servizio penitenziario (Snai), «nessun ostaggio è stato
assassinato». Per quanto riguarda le oltre 300 persone arrestate, il
comandante dell'Esercito, Nelson Proaño, ha indicato che la maggior
parte di loro appartiene alle gang Tiguerones, Lobos e Choneros.
Questi gruppi, insieme ad altri, sono stati dichiarati «terroristi
ed entità non statali belligeranti che costituiscono obiettivi
militari», sulla base del decreto 111 firmato dal capo dello Stato,
dove si riconosce che l'Ecuador affronta «un conflitto armato
interno».
Un gruppo di circa venti criminali, presunti responsabili degli
attacchi, ha chiesto intanto scusa alla popolazione in un video:
«Chiediamo scusa per i disordini, soprattutto a voi poveri, che
siete i più colpiti». Nel messaggio viene attaccato il capo dello
Stato, descritto come «un ragazzo ricco con il suo ego da
supereroe».
FRANCIA UN PAESE ETERODIRETTO: Poche modifiche ma ben mirate
quelle che il presidente Emmanuel Macron ha portato nella nuova
squadra di governo, annunciata ieri sera nell'ambito di un rimpasto
atteso da giorni. Nessuna rivoluzione, più che altro un riassetto
con qualche sorpresa all'interno di una strategia sempre più
incentrata sul macronismo.
Tra queste c'è la nomina a ministro degli Esteri di Stéphane
Séjourné, eurodeputato e presidente dell'eurogruppo Renew, che in
passato ha avuto una relazione con il neo-premier Gabriel Attal,
nominato nei giorni scorsi dal presidente Emmanuel Macron. Come il
suo ex compagno, con il quale ha avuto un'unione civile portata
avanti sempre con il massimo della discrezione, Séjourné fa parte
della più ristretta cerchia dei macroniani. Fino a pochi giorni fa
in odore di candidatura alle prossime elezioni europee, il nuovo
titolare del Quai d'Orsay prende il posto della diplomatica
Catherine Colonna, che non è mai riuscita ad incidere durante il suo
incarico.
Tra le novità c'è anche il ritorno di Rachida Dati, guardasigilli
durante la presidenza Sarkozy, che è andata alla guida della Cultura
al posto di Rima Abdul Malak. Una nomina, quest'ultima, del tutto
inattesa, soprattutto perché Dati, fino a ieri presidente del
settimo arrondissement di Parigi, è sotto inchiesta per corruzione e
traffico di influenze. La sarkozista, conosciuta per il suo
carattere determinato e combattivo, è sospettata di aver esercitato
un'attività da lobbista presso il Parlamento europeo per conto della
Renault quando il gruppo era guidato da Carlos Ghosn. Essere sotto
inchiesta «non è una condanna», ha sottolineato in serata Attal a
Tf1, subito dopo che il partito dei Repubblicani ne ha annunciato
l'espulsione.
Per il resto, l'equilibrio della squadra dell'esecutivo resta
immutato, con molte conferme nei principali dicasteri: Gérald
Darmanin resta agli Interni, così come Bruno Le Maire all'Economia,
Eric Dupond-Moretti alla Giustizia, Sébastien Lecornu alla Difesa e
Marc Fesneau all'Agricoltura. Per Amélie Oudéa-Castéra, già titolare
dello Sport e dei Giochi olimpici e paralimpici, è stato creato un
super-ministero che include anche l'Istruzione, fino a pochi giorni
fa guidata da Attal. Olivier Veran viene invece sostituito per
l'incarico di portavoce del governo dalla 38enne Prisca Thevenot,
altro astro nascente della sfera macroniana. Olivier Dussopt, dopo
aver guidato la tanto contestata riforma delle pensioni e aver
partecipato alla legge sull'immigrazione, lascia il posto alla
chirachiana Catherine Vautrin.
Un governo di «sobrietà», ha commentato il primo ministro. «Quello
che voglio è azione, azione, azione», ha poi affermato, confermando
l'impegno di Macron nel taglio delle tasse per le classi medie. Per
l'ultima parte del suo mandato, che terminerà nel 2027, Macron
preferisce non correre rischi affidandosi a soliti nomi. L'arrivo di
Dati e di Vautrin sposta ancora più a destra il timone, anche se il
premier rifiuta questa lettura: «Non sono qui per chiedere ai miei
ministri di vuotare le tasche e mostrarmi la carta del loro
partito». Ma la sinistra ha ironizzato parlando di un governo «Sarkozy
IV» visto che ben otto ministri vengono dalla droite. La parità di
genere, poi, è perfettamente rispettata con sette uomini e sette
donne, anche se a queste ultime non sono andati molti ministeri di
peso.
Con questa nuova équipe Macron si presenterà alla partita delle
prossime elezioni europee di giugno, dove il Rassemblement National
di Marine Le Pen viene dato come grande favorito nei sondaggi,
grazie soprattutto al candidato 28enne Jordan Bardella. Sarà lui il
principale rivale del nuovo capo del governo nei prossimi mesi,
durante i quali si annuncia una sfida ricalcata su quelle già viste
in passato tra il presidente e la sua storica rivale di estrema
destra.
NON SAREBBE MEGLIO PROTEGGERLE INVECE CHE ELIMINARLE COME AVVIENE
PER LE NUOVE STAZIONI ? È ferma da due anni la scala mobile
Sud della stazione della metropolitana «Paradiso», la penultima a
Ovest (sulle ventitré della linea 1) prima del capolinea di Fermi,
lungo corso Francia, nel comune di Collegno ma a due passi dal
quartiere Pozzo Strada. Si tratta di uno dei due impianti presenti a
quella fermata, andato in tilt a dicembre del 2021 per un guasto
elettrico e, da allora, mai ripartito. Un disservizio che obbliga i
passeggeri del metrò, compresi quelli con bagagli pesanti,
passeggini o problemi di deambulazione, a utilizzare la scala in
pietra, da quarantuno scalini, per salire o scendere a piedi su quel
lato della stazione. L'alternativa è sfruttare l'altra scala mobile,
quella Nord, che però sbuca sul controviale opposto di corso
Francia, asse ad altissimo scorrimento (e le prime strisce pedonali,
una volta su, sono a cento metri di distanza). Due soluzioni
tutt'altro che comode tanto che l'altro giorno anche un nostro
lettore, Claudio Bertolotti, si è lamentato del disservizio su
Specchio dei tempi, .
E dire che Gtt, la scorsa primavera, aveva dato per imminente la
ripartenza dell'impianto. «La scala mobile sarà riattivata il 19
giugno» era scritto sui cartelli affissi a suo tempo sui muri della
stazione metro. Una deadline disattesa, come già accaduto più di una
volta in questi due anni abbondanti. Il ripristino tarda ad
arrivare, spiegano dall'azienda, per diversi motivi. In prima
battuta, nel 2022, a impedire la manutenzione era stata la
difficoltà nel reperire i pezzi di ricambio, poi arrivati in ritardo
(a causa della guerra in Ucraina). Poi, quando la riparazione
meccanica era stata completata, la scala non è ripartita per un
errore nella programmazione della centralina elettrica da parte
della ditta costruttrice. Successivamente, quando anche l'ultimo
ostacolo sembrava superato, è scaduto il contratto dell'impresa che,
per Gtt, si occupava delle manutenzioni. Lo scorso giugno, con la
nuova ditta, la scala mobile non aveva superato l'ultimo collaudo a
causa di un guasto alla catena di trazione, in seguito al quale si
erano danneggiati diversi gradini. In quell'occasione era emersa la
necessità di reperire ulteriori ricambi, allora non disponibili.
La ripartenza dell'impianto, assicurano oggi da Gtt, è comunque
imminente. Un mese o poco più: tanto, spiegano dall'azienda,
dovranno pazientare i passeggeri del metrò. I nuovi gradini, nelle
scorse settimane, sono stati consegnati alla ditta incaricata. Quel
che manca è la catena di trazione, che arriverà entro la fine di
questo mese di gennaio. Subito dopo partirà l'intervento di
manutenzione, che l'azienda conta di ultimare nelle prime due
settimane di febbraio. —
11.01.24
Caso Sgarbi, la proprietaria della tela "Le orme nella neve ed era
sparita" ANTONIO GIAIMO
buriasco (torino)
Margherita Buzio scosta di poco le tende bianche della finestra del
piccolo alloggio al pian terreno che confina con il castello di
Buriasco (Torino), il maniero di sua proprietà dove nel febbraio del
2013 venne rubato un quadro, attribuito a Rutilio Manetti, che ora
vede coinvolto in una vicenda giudiziaria il sottosegretario alla
Cultura Vittorio Sgarbi.
La castellana è una donna anziana a cui il clamore della vicenda,
portata alla luce da un'inchiesta giornalistica condotta da Report e
dal Fatto Quotidiano, ha lacerato la tranquilla routine. «Vorrei un
poco di riservatezza», dice con un filo di voce. Tiene le distanze
dall'inchiesta giornalistica - secondo la quale il quadro rubato, La
cattura di San Pietro, sarebbe lo stesso ora nelle mani di Sgarbi ma
con un dettaglio diverso, una candela - e da quella della
magistratura e si limita a dire: «Spero di poter riavere il mio bel
quadro, visto anche il suo valore». La pensava diversamente il 14
febbraio 2013 quando ai carabinieri, a cui si era rivolta per
denunciare il furto, aveva dichiarato che le avevano rubato la
riproduzione di un quadro il cui originale si sarebbe dovuto trovare
in Vaticano. «Un'opera danneggiata da dei buchi in un angolo». E
quando le avevano chiesto a quanto potesse ammontare il danno, aveva
fatto mettere a verbale che lo stimava in 15.000 euro e che si
trattava di una copia realizzata da un autore della scuola del
pittore Francesco Solimena, o forse di Bernardo Cavallino. Un enigma
che impone una soluzione: il quadro rubato è quello ora in possesso
di Sgarbi (che ribadisce: «nessun mistero, le tele sono due») o sono
appunto due versioni distinte?
Margherita Buzio ha chiari i ricordi di quel mattino di febbraio
quando, dopo aver visto delle orme nella neve, era entrata nel
castello ed era entrata nel castello, dove si era accorta che
l'opera era stata rubata, tagliata malamente dalla cornice. «Al suo
posto c'era una tela plastificata sulla quale avevano stampato una
riproduzione del quadro. Chissà, forse pensavano che non me ne sarei
accorta, ma era stata fissata con dei punti come quelli che usano i
tappezzieri». Per entrare i ladri avevano tagliato una catena che
chiudeva un accesso secondario. La cornice era rimasta appesa al
muro, anche perché, viste le dimensioni di due metri e mezzo di lato
per oltre due di altezza, sarebbe stata difficile da trasportare.
«Un bel quadro - aveva spiegato la donna ai carabinieri - che
rappresenta un giudice che condanna un uomo».
I carabinieri del Tpc, il nucleo che si occupa della tutela del
patrimonio culturale, nei giorni scorsi sono tornati a Buriasco,
hanno sentito la donna e hanno preso in custodia sia la cornice e
sia un pezzetto della tela originale che era stato tagliato nella
notte e dimenticato dai ladri. Gli inquirenti hanno riletto la sua
vecchia denuncia in cui parlava degli incontri che aveva avuto al
castello con possibili nuovi gestori, e fra questi aveva anche
conosciuto Paolo Bocedi (ora presidente dell'associazione antiracket
Sos Italia libera), collaboratore e amico di Sgarbi, che le aveva
chiesto se quel grande quadro fosse in vendita. La risposta di Buzio
era stata chiara: «Il quadro l'avrei ceduto con il castello».
NUOVO METRO SENZA SCALE MOBILI : ASSURDO !
Per il secondo anno
consecutivo la metropolitana sospenderà il servizio per l'intero
mese di agosto. E gli orari serali ridotti continueranno almeno fino
al primo semestre del 2025, quando (si spera) verrà inaugurato il
troncone di 3,5 chilometri con le stazioni Certosa, Collegno Centro,
Villaggio Leumann e Cascine Vica. Lo stop estivo servirà per
proseguire con la migrazione del vecchio sistema di controllo e
segnalamento analogico Val al più moderno Cbtc digitale. Ma solo al
termine delle operazioni si potrà capire quando l'ultimo segmento
della linea 1 potrà entrare in esercizio. Nel frattempo, l'augurio è
che il governo apra finalmente il bando per finanziare il trasporto
rapido urbano per l'acquisto di 12 treni aggiuntivi, necessari a
coprire le nuove percorrenze senza dover aumentare il tempo di
attesa in banchina. InfraTo, la società che si occupa della gestione
infrastrutturale del trasporto pubblico locale torinese, abbandonerà
i convogli Siemens scelti nel 2006 (e nel frattempo usciti di
produzione) per quelli prodotti dalla Alstom di Savigliano per la
municipalità di Lille in Francia.
Bernardino Chiaia, presidente e amministratore delegato di InfraTo
oltre che commissario per la realizzazione della linea 2, ha dovuto
ammettere i ritardi di circa un anno che hanno condizionato i
cantieri per lo scavo delle quattro nuove stazioni, costate oltre
380 milioni di euro. «A causa della pandemia e dei rincari
energetici e delle materie prime dovuti alla guerra in Ucraina – ha
spiegato alle commissioni Trasporti e Servizi pubblici del Comune,
presiedute dai dem Antonio Ledda e Angelo Catanzaro – abbiamo dovuto
fronteggiare aumenti anche del 40%. Ora confidiamo di sfruttare la
flessione dei costi, soprattutto per quanto riguarda l'acciaio».
Alla fermata Certosa sono già state sistemate le porte automatiche
di accesso ai treni, prodotte dalla torinese Opla. Nei prossimi
mesi, il cantiere procederà anche al recupero dell'ex acciaieria
Mandelli, rudere che da decenni rappresenta un vuoto urbano per la
cintura Ovest. Questa sarà anche l'unica delle nuove stazioni con
scale mobili: le altre tre verranno servite da un sistema di doppi
ascensori, funzionando anche da sottopassaggio pedonale per chi
dovrà attraversare corso Francia. «Investimenti per il territorio e
motore di sviluppo» ha commentato il sindaco di Collegno Francesco
Casciano. «Per noi un banco di prova in vista dell'avvio della linea
2 – ha aggiunto il professor Chiaia – che ha dimostrato la
resilienza dei territori a fronte di interventi impattanti. Qualche
disagio per Torino Nord ci sarà, ma credo che corso Giulio Cesare
potrà superarli come ha fatto corso Francia». «A impensierirci – ha
aggiunto l'assessora comunale alla Mobilità Chiara Foglietta – è
soprattutto la fase che interesserà il centro cittadino, dove
procederemo anche con la pedonalizzazione di via Roma».
Cascine Vica potrebbe comunque non essere il capolinea ovest della
linea 1. Un progetto di fattibilità tecnico-urbanistico è già stato
redatto per valutare lo scavo di ulteriori 2,5 chilometri di
gallerie con altre due fermate per raggiungere Rivoli. Certo,
restano da trovare i fondi. Soldi che invece sono garantiti per
l'avvio della linea 2 partendo da Barriera di Milano. Dopo l'estate,
quando i convogli riprenderanno a circolare tra i capolinea di
Bengasi e Fermi, InfraTo confida di opzionare il materiale rotabile
della nuova infrastruttura. La scelta dovrebbe ancora orientarsi
verso treni a guida automatica, per quanto con una tecnologia ben
più all'avanguardia di quella del 2006.
10.01.24
TANTO VA LA GATTA AL LARGO CHE CI LASCIA LO ZAMPINO :
Il mistero di una candela e di un quadro
rubato. L'accusa di riciclaggio di beni culturali. La richiesta
delle opposizioni di revocargli le deleghe e buttarlo fuori dal
governo. Vittorio Sgarbi è indagato per una vicenda che inizia più
di 10 anni fa, con il furto di un dipinto caravaggesco del '600 dal
castello di Buriasco, in Piemonte. L'opera intitolata La cattura di
San Pietro, di Rutilio Manetti, secondo la ricostruzione fatta nelle
inchieste del Fatto quotidiano e di Report sarebbe poi riapparsa nel
2021, esposta in una mostra a Lucca e presentata come un "inedito"
di proprietà di Sgarbi. In effetti, diverso dall'originale, perché
sullo sfondo compare una candela accesa, attaccata al muro, che
sarebbe stata aggiunta (o fatta riemergere) in un secondo momento.
Un ritocco confermato ai giornalisti autori dell'inchiesta dal
restauratore di fiducia di Sgarbi, Gianfranco Mingardi, a cui
l'opera sarebbe stata consegnata da un amico e collaboratore del
critico d'arte poche settimane dopo il furto.
Il sottosegretario alla Cultura racconta un'altra storia, nega che
si tratti dello stesso dipinto, sostiene che quella trafugata fosse
una copia e che la tela in suo possesso sia stata trovata
casualmente nella sua villa di Viterbo, acquistata dalla madre nel
2000. «Io non ho ricevuto nessun avviso d'indagine. Né saprei come
essere indagato per un furto che non ho commesso - spiega -. C'è
stata una palese violazione del segreto istruttorio, l'unico reato
di cui ci sia evidenza». Gli atti di indagine dei carabinieri del
Nucleo tutela patrimonio culturale sono stati trasmessi alla procura
di Macerata per competenza, perché Sgarbi ha scelto come domicilio
San Severino Marche, di cui è stato sindaco nel 1992. In base agli
sviluppi, potrebbe rischiare accuse anche più pesanti: dalla
contraffazione alla ricettazione di opere d'arte, fino alla truffa.
Ma per le opposizioni quello che è emerso è già sufficiente per
invocare un suo passo indietro. «Sgarbi, dopo essere stato segnalato
all'Antitrust per vari affari e consulenze, adesso è indagato per la
vicenda di un quadro rubato - attacca il presidente M5s Giuseppe
Conte -. È compatibile con l'immagine dell'Italia e del governo
italiano? Ma in che mani siamo?». E il capogruppo 5 stelle alla
Camera, Francesco Silvestri, fa sapere che chiederà che venga «calendarizzata
con urgenza la mozione di revoca che abbiamo già presentato ad
ottobre, ora integrata a seguito dei ben noti sviluppi». Per Irene
Manzi, capogruppo Pd in commissione Cultura a Montecitorio, siamo di
fronte ad «accuse molto gravi che, se confermate, si sommano a una
situazione già compromettente per un responsabile delle istituzioni.
Basta tentennamenti, Meloni e Sangiuliano smettano di proteggere
Sgarbi». Ma il ministro della Cultura, che pure vive da separato in
casa con il suo sottosegretario, alza le mani: «Non faccio il
magistrato - dice alla Rai -. Se la magistratura arriverà a una
conclusione ne prenderemo atto, ma i processi si fanno nei
tribunali».
PROTEZIONE DAL SISTEMA :Liquidazione giudiziale per Ki Group,
una delle società della galassia bio che in passato è stata gestita
anche dalla ministra del Turismo Daniela Santanchè. Una volta si
sarebbe parlato di fallimento, ma la sostanza non cambia: entro tre
giorni la società dovrà depositare i bilanci e tutte le scritture
contabili e fiscali. Così come non cambia il fatto che la
liquidazione potrebbe presto aprire nuovi fronti giudiziari per la
senatrice, già sotto inchiesta a Milano per falso in bilancio e
bancarotta per la gestione del gruppo editoriale Visibilia (e
coinvolta pure nel filone sulla presunta truffa ai danni dello Stato
per il ricorso alla cassa integrazione a zero ore di alcuni
dipendenti durante la pandemia).
Dopo alcune settimane di riflessione i giudici del tribunale
fallimentare di Milano hanno sciolto la riserva, accogliendo la
richiesta della procura guidata da Marcello Viola e bocciando
l'ammissione al concordato semplificato richiesto dalla srl. Quello
che, fin dall'inizio di questa vicenda, aveva richiesto l'avvocato
Davide Carbone, rappresentante di vari ex dipendenti, tutti poi già
liquidati prima di questa fase. Il giudice delegato Francesco
Pipicelli con i colleghi Macchi e Sergio Rossetti ha fissato
l'incontro con i creditori per l'esame dello stato passivo il 7
maggio prossimo, mentre è stato nominato curatore Carlo Pagliughi. A
lui spetterà il compito di redigere l'inventario dei beni e
ricostruire la situazione della società. Di guardare dentro i
cassetti, insomma.
Nelle ventidue pagine con cui argomentano la loro sentenza, i
giudici chiariscono che Ki Group srl è in «uno stato di definitiva
incapacità» di «fare fronte regolarmente alle proprie obbligazioni»,
non ha «più credito di terzi e mezzi finanziari propri» e ha un
«passivo esposto in ambito concordatario di oltre 8,6 milioni di
euro». Ki Group, per salvarsi, puntava su almeno 1,5 milioni di euro
che sarebbero dovuti arrivare dalla capogruppo Bioera. Società che
nel frattempo, però, è impegnata a sua volta in un tentativo di
salvataggio e ha chiesto di accedere alla procedura di composizione
negoziata della crisi. «Le conseguenze dell'ingresso di Bioera spa
in composizione negoziata - si legge ancora nella sentenza - sono
particolarmente rilevanti nel presente giudizio in quanto comportano
prioritariamente la necessità per Bioera spa di affrontare la
propria crisi a beneficio del proprio ceto creditorio (...) con
riflesso inevitabile di attuale ed insuperabile incertezza sulla
sostenibilità del risanamento di altra società», ossia di Ki Group.
Altri due dettagli importanti. Il primo: fino a poco tempo fa Canio
Mazzaro, ex compagno di Santanchè, risultava ricoprire il ruolo di
«responsabile delle relazioni con gli investitori» di Bioera. Il
secondo: nel corso dell'udienza davanti al tribunale fallimentare,
che si è svolta a dicembre, era emerso che i soldi per pagare i
debiti con i lavoratori di Ki Group li avrebbe messi lo stesso
Mazzaro, il cui nome però in queste settimane è scomparso sia dalla
governance di Ki Group che da quella di Bioera.
La decisione del tribunale fallimentare, a questo punto, oltre ad
avere ricadute dirette sui creditori e sugli attuali vertici di Ki
Group, spalanca le porte alla possibilità che i pm milanesi
contestino l'accusa di bancarotta, in concorso, anche a chi in
passato ha fatto parte degli organi di gestione della società. E
dunque alla stessa Santanchè. Che, tra le altre cose, è stata anche
presidente di Bioera. Con tutte le conseguenze politiche del caso.
«Mi sono dimessa nel 2020, la questione non mi riguarda - ribadisce
lei a La Stampa -. Il caso Ki Group è molto diverso da quello di
Visibilia, dove ero ad. L'unico bilancio di Ki Group firmato da me
risale al 2019, chi dice altre cose mente sapendo di mentire, e lo
fa solo per screditarmi. L'ho ripetuto anche in Senato. Mi spiace
per il padre di mio figlio, ma ora gli organi competenti si
occuperanno della questione e i dipendenti riceveranno quanto spetta
loro. E questo, invece, non può che farmi piacere».
ILLUSIONISTA TEMERARIO E SPAVALDO : Vittorio Sgarbi
"La tela è mia, quella rubata è una copia Il ministro è il primo ad
avercela con me"
Antonio bravetti
Roma
Il quadro di Rutilio Manetti «è mio» e «la fiaccola c'è sempre
stata», quello rubato nel castello di Buriasco «è una brutta copia».
Vittorio Sgarbi dice di aver incaricato un esperto per dimostrare
«l'integrità» del suo dipinto e che tra quelli che ce l'hanno con
lui «il primo è Sangiuliano».
È indagato per furto e riciclaggio di beni culturali?
«Non ho ricevuto nessun avviso di garanzia. È un continuo
stalkeraggio, delatori che raccontano storie inverosimili».
Le inchieste del Fatto Quotidiano e di Report sono circostanziate.
«Sono diventati il ricettacolo di tutti quelli che hanno qualcosa da
dire contro di me. Il primo è Sangiuliano».
Ah.
«È lui che ha preso la documentazione anonima spedita da un mio ex
collaboratore e l'ha inviata all'Antitrust. Io ho fatto un lavoro
paziente di ricostruzione di tutte quelle cose che fa anche lui e
l'ho mandato all'Antitrust: conferenze, presentazioni, qualcuna
pagata».
Anche Sangiuliano fa delle conferenze pagate?
«Se comprano i suoi libri è come se lo pagassero».
Lei ha detto conferenze pagate, però.
«Non credo che nessuno lo paghi. Per essere pagati occorre avere un
credito».
Lo ha sentito in questi giorni?
«Non lo sento dal 23 ottobre, quando mi chiamò per dirmi che ero
l'unico che si poteva occupare della Garisenda».
Passiamo oltre. L'Antitrust, o meglio l'Agcm, si pronuncerà entro
metà febbraio. Si dimetterà se le darà torto?
«Se si pronuncia per la mia incompatibilità io dovrò prendere atto
che possano dimettermi. Ma credo che dalla documentazione che ho
presentato si evince che tutto era regolare: uno che parla e
racconta l'arte non può essere incompatibile col ruolo di
sottosegretario alla Cultura. C'è una sola persona competente al
ministero e quello sono io».
I Cinquestelle chiedono la revoca da sottosegretario.
«Sono passati da Grillo a Conte, si può capire la loro decadenza. Da
uno che faceva un caos infernale a un poverino».
La sua Cattura di San Pietro attribuita a Rutilio Manetti è quella
rubata dal castello di Buriasco nel 2013?
«No. Alla proprietaria hanno rubato una copia di pessima qualità.
L'ho vista anni prima nel castello, in mezzo a decine di altre
copie».
Sicuro?
«Anche nella denuncia che ha fatto la signora c'è scritto
"riproduzione dell'originale che si trova in Vaticano raffigurante
un giudice che condanna un uomo dal volto di San Paolo". È chiaro
che quella era una copia, tenuta come una tenda davanti alla cucina.
Ha elementi diversi dal mio quadro».
Quali?
«Il mio dipinto ha una fiaccola bellissima che illumina
meravigliosamente una colonna. Ho incaricato un esperto di
dimostrarne l'integrità, Maurizio Seracini».
Dove ha trovato il quadro?
«A Viterbo, in una villa che ho acquistato: villa Maidalchina. Un
giorno sono andato lì con un signore che doveva mettere a posto il
bagno e mentre sposto dei mattoni nell'intercapedine di una scala
trovo una tela piegata in due che apro e riconosco subito un Manetti».
Un miracolo.
«È un'attribuzione mia, confortata dal fatto che in quella villa è
citato un quadro con San Pietro in un inventario del 1649».
Però l'ex proprietario dice che la villa era un rudere, privo di
oggetti di valore.
«Non c'era niente dentro che lui conoscesse o ritenesse importante,
era un'officina meccanica. Ma c'erano dentro almeno 15 porte del
Seicento, affreschi, cornici. Il quadro era occultato».
Poi?
«L'ho portato al restauratore Gianfranco Mingardi nel 2010-2011,
poco dopo averlo trovato».
Che interventi ha fatto?
«Ha fatto solo della velinatura. Non l'ha pulito fino in fondo, ha
fatto un restauro sbagliato, non ha trovato la fiaccola. L'ho dovuto
fare pulire da un altro restauratore. Lui si lamentava che non lo
pagavo: la sua è una forma di estorsione indiretta».
L'ha pagato?
«Dopo 5 anni, quando si è reso conto che non aveva fatto niente di
utile, mi ha mandato una richiesta di 211 mila euro per 40 opere, ma
per il Manetti non mi ha chiesto nulla. Zero».
Poi?
«C'era una parte opaca da pulire. L'ho dato a un restauratore romano
e poi a una di Padova. Mi è costato circa 5 mila euro. Poi l'abbiamo
esposto a Lucca, per la mostra Pittori della luce e ora è a Ferrara,
a casa mia».
Quanto vale?
«Forse 50-60mila euro, non è un pittore che ha mai fatto grandi
cifre. Potrei donarlo a questo punto per togliermi questa rottura».
09.01.24
YAKY E TAVARES NON CI SARANNO :
Tutti a Milano per incontrare
Mario Draghi. I vertici delle principali aziende europee, secondo
quanto apprende il Corriere della Sera, vedranno l’ex premier ed ex
presidente della Bce mercoledì 10 gennaio. L’incontro, a quanto
risulta, si svolgerà nel palazzo della Banca d’Italia in pieno
centro.
L’incontro sarebbe stato sollecitato dall’Ert, l’European Round
Table of Industry, l’organizzazione che raccoglie 59 presidenti o
amministratori delegati di altrettante multinazionali. Il gruppo è
presieduto da Jean-Francois Boxmeer, presidente della britannica
Vodafone. Tra le aziende associate figurano, tra le altre: le
francesi L’Oréal, Michelin, Total, Saint Gobain; le tedesche E.on,
Basf, Deutsche Telekom, Siemens, Mercedes, Bmw, Merck; la
britanniche Bp e Gsk; le multinazionali con più sedi europee come
Arcelor Mittal, Shell, Rio Tinto, Unilever, Airbus; le svedesi
Ericcson e AstraZeneca; le svizzere Abb e Nestlè. La lista delle
italiane comprende l’Eni, rappresentata dall’amministratore delegato
Claudio Descalzi; la Cir,
presieduta da Rodolfo De Benedetti, Techint, con il
presidente Gianfelice Rocca.
Non sono state diffuse informazioni ufficiali sulla formula e i
contenuti della riunione. Ma chiaramente è legata al nuovo incarico
che la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha
affidato a Draghi, il 13 settembre 2023: preparare un rapporto sulla
«competitività
dell’industria europea», indicando anche possibili strategie per
tenere il passo di Cina e Stati Uniti.
L’iniziativa dell’European Round Table si incrocia con le
indiscrezioni su un possibile ruolo politico di Draghi a livello
continentale, come numero uno della Commissione europea o, più
verosimilmente, come presidente del Consiglio europeo. Di norma una
delegazione della Ert incontra i leader dei Paesi che stanno per
assumere la guida semestrale dell’Unione europea.
Vedremo se il passaggio a Milano di così tanti manager di primo
piano sarà l’occasione per incontri anche con ministri o
rappresentanti del governo Meloni.
RISCHI ELETTORALI USA : Dei nomi che compaiono tra i soggetti
ripresi nei video a luci rosse in possesso di Jeffrey Epstein è
quello di Donald Trump a fare più rumore. Non solo perché tutto ciò
che riguarda il tycoon viene amplificato dalla grancassa mediatica
che lo marca ogni giorno con perseveranza e che lui agevola per via
della sua scomposta esuberanza. Ma anche perché la vicenda arriva a
una manciata di giorni dall'inizio delle presidenziali Usa 2024 con
le primarie repubblicane in Iowa che Trump vuole blindare per
agevolare la sua cavalcata verso la nomination. Al netto delle grane
che gli capitano quotidianamente, giudiziarie, politiche e a luci
rosse. Come quella di ieri secondo cui Epstein sarebbe stato in
possesso di registrazioni video di rapporti sessuali tra una donna e
alcuni suoi amici di alto profilo, tra cui Trump, appunto, ma anche
Bill Clinton, il principe Andrea e il magnate britannico Richard
Branson.
La rivelazione giunge con la pubblicazione dell'ultima tranche di
documenti legati alle inchieste sul finanziere 66enne travolto dallo
scandalo sessuale che lo ha visto accusato di abusi, sfruttamento
della prostituzione e traffico di minori. Epstein è stato trovato
morto il 10 agosto 2019 dopo essersi presumibilmente impiccato nella
cella del Metropolitan Correctional Center di Manhattan, dove era
recluso in attesa del processo. Le carte svelano le dichiarazioni
rilasciate da Sarah Ransome, una delle sue accusatrici, secondo la
quale Trump avrebbe avuto «relazioni sessuali» con una delle sue
amiche nell'abitazione del finanziere a New York «in occasioni
regolari». In una serie di e-mail del 2016, la donna afferma anche
di avere copie delle registrazioni a luci rosse fatte da Epstein
all'insaputa di alcuni vip che frequentava, tra cui appunto il
tycoon, l'ex presidente americano Clinton e il fratello di re Carlo.
L'amica scrive in uno dei messaggi, «mi confidò la sua casuale
"amicizia" con Donald. Trump aveva un debole per la ragazza e lei mi
ha raccontato di come continuava a dire quanto gli piacessero i suoi
"capezzoli sodi"». «So anche che aveva regolarmente rapporti
sessuali con Trump nella villa di Jeffrey a New York», prosegue.
Trump non ha voluto commentare la vicenda, almeno sino alla serata
di ieri, rimanendo concentrato sull'Iowa, dove punta ad una vittoria
a tappeto che secondo i consiglieri gli darebbe uno slancio cruciale
verso la nomination. Anche se il tycoon è sempre riuscito a superare
indenne gli scandali sessuali, l'affare dei video hard potrebbe
muovere qualche coscienza specie tra l'elettorato della destra
religiosa. Ancor di più perché si inserisce in una vicenda fosca e
meschina che si allarga anche al reato di pedofilia e riguarda
diversi nomi illustri del jet set Usa. Se il racconto fosse fondato,
troverebbe riscontro quanto rivelato da un precedente faldone di
documenti sugli obiettivi reali del traffico di adolescenti
orchestrato dal finanziere insieme alla compagna: offrire minorenni
a «numerosi eminenti politici americani, manager, capitani
d'industria, presidenti stranieri, un noto primo ministro e altri
leader mondiali», allo scopo di «ingraziarseli» per la sua attività
finanziaria ma anche «per ottenere potenziali informazioni
ricattatorie». Come? Facendosi raccontare dall'adolescente i
dettagli degli incontri sessuali, oppure filmandoli, come sostiene
Ransome.
I 17 documenti diffusi ieri - per un totale di 327 pagine - si
aggiungono alla montagna di informazioni emerse negli ultimi giorni
sulla rete di ricchi e potenti di Epstein. Tra loro il principe
Andrea, che «trascorse settimane» nella sua villa a Palm Beach, in
Florida, dove il reale caduto in disgrazia avrebbe ricevuto massaggi
«quotidiani». Una ragazza, identificata solo come Jane Doe 3, ha
anche accusato il Duca di York di aver preso parte ad un'«orgia» con
ragazze minorenni durante uno dei suoi soggiorni nell'isola privata
di Epstein ai Caraibi, quella che poi si è rivelata essere per molte
ragazze la prigione dorata di St. James.
MISSIONE IMPOSSIBILE : Lanci di sonde
robotizzate da vari Stati del pianeta, missioni con astronauti e
persino i primi turisti lontano dalla Terra. È ancora la Luna la
grande protagonista dell'esplorazione spaziale nel 2024, anno che si
concluderà con la prima missione di astronauti 52 anni dopo l'ultimo
allunaggio Apollo.
Il grande ritorno verso il satellite, a differenza della sfida
Usa-Urss degli Anni 60, è contrassegnato da molti protagonisti. E
soprattutto dalle compagnie private, come dimostra la prima missione
dell'anno, iniziata con il brivido: un nuovo razzo vettore, il
Vulcan Centaur, ha lanciato ieri da Cape Canaveral un modulo di
atterraggio lunare chiamato Peregrine, realizzato da Astrobotic. Il
lancio è andato bene, ma poi le comunicazioni si sono interrotte
dopo che la batteria si è scaricata a causa di un'anomalia al
sistema di puntamento del Sole. Si sospetta un problema di
propulsione, il che renderebbe molto difficile un allunaggio
morbido. In ogni caso la missione è anche simbolica: sul secondo
stadio del razzo vi è una piccola capsula che contiene le spoglie di
alcuni attori di Star Trek, oltre a campioni di Dna di alcuni ex
presidenti americani. Il sito di allunaggio (previsto il 23
febbraio) è la regione Sinus Viscositatis, una zona nell'emisfero
Nord, sulla faccia a noi visibile del satellite, a forte interesse
geologico: lo scopo principale è trasportare sei diversi esperimenti
scientifici della Nasa, che ha notevolmente contribuito ai
finanziamenti.
Come sempre un po' nell'ombra ma confermando l'intenzione di inviare
astronauti sulla Luna entro il 2030, anche la Cina vuole nuovamente
a stupire dopo le tre missioni degli ultimi 10 anni, tra cui Chang'e
4 – funzionante dal 2018 –, la prima sulla superficie del satellite
a noi nascosta. E ora prepara per il 2024 la Chang'e 6, destinata a
recuperare campioni sempre dal lato a noi non visibile e a portarli
sulla Terra. I campioni sono considerati di tale interesse che
persino la Nasa collaborerà con i cinesi. In programma per il 2028
c'è anche la prima circumnavigazione lunare con i «taikonauti».
Equivalente della missione Artemis 2 che la Nasa lancerà a novembre.
E i turisti lunari? Per loro è previsto un viaggio di andata e
ritorno. L'interrogativo però è d'obbligo, perché bisognerà
attendere gli esiti dei test (almeno 4 dopo i flop del 2023)
previsti quest'anno per il razzo Super Heavy di Space X. La
compagnia di Elon Musk comunque punta – per dicembre - all'invio
verso la Luna della sua astronave Starship, con a bordo il gruppo di
otto artisti invitati dal miliardario giapponese Y?saku Maezawa per
dearMoon, il nome della missione. Comunque sia, il traffico sulla
Luna si intensificherà da febbraio, con il tentativo di allunaggio
della sonda giapponese Slim, lanciata a settembre. E sempre in
febbraio un'altra sonda di un'azienda privata verrà lanciata da
SpaceX: è il modulo automatico di allunaggio Nova C di Intuitive
Machines con a bordo diversi payload commerciali. Un successivo
lancio, in primavera, porterà sulla Luna altri carichi scientifici
sempre della stessa azienda statunitense.
Le ultime settimane del 2024 saranno intense. A novembre è prevista
una nuova missione di Astrobotic, che trasporterà sulla Luna il
rover Viper della Nasa (realizzato in collaborazione con la Thales
Alenia space), alla ricerca di ghiaccio nel cratere Nobile al Polo
Sud. L'attenzione globale, però, sarà su Artemis 2, che si prevede
porterà a Cape Canaveral 700 mila visitatori: i numeri delle
storiche Apollo e del primo lancio dello Space Shuttle. È la
missione che riporterà astronauti verso la Luna e ritorno per la
prima volta dopo l'Apollo 17, del dicembre 1972. L'allunaggio non è
previsto, ma spinti dal potente Space Launch System e a bordo della
capsula Orion, vi saranno 4 astronauti. Per 10 giorni, il comandante
Reid Wiseman, il pilota Victor Glover e la specialista di missione
Christina Koch, tutti e tre della Nasa, insieme con lo specialista
Jeremy Hansen dell'agenzia spaziale canadese (Csa), si inseriranno
in orbita cislunare e arriveranno a una distanza dalla Terra mai
raggiunta da un essere umano, superando il record di oltre 400 mila
chilometri dell'Apollo 13.
Il primo allunaggio invece, con Artemis 3, resta fissato a fine 2025
ma quasi certamente slitterà. Si attendono i progressi
dell'astronave Starship di SpaceX: in caso contrario la Nasa guarda
a un piano B, con i moduli progettati da Blue Origin e Dynetics.
L'astronave Starship in versione lunare è alta 45 metri, gli
astronauti non potranno più scendere sulla Luna con una scala: ecco
perché è stato già realizzato (e testato) una sorta di ascensore,
grazie a cui l'uomo potrebbe tornare sulla Luna. Il 2024 aiuterà a
capire quanto è vicino quel momento.
MENEFREGHISMO : Sei su sei. È un en-plein al contrario quello
che si registra, da cinque giorni, alla stazione di Porta Nuova. Nel
principale scalo ferroviario di Torino, infatti, sono fuori servizio
tutti gli impianti che porterebbero sotto terra, verso i convogli
della metropolitana (e viceversa). Sono bloccate le quattro scale
mobili, due nell'atrio principale e due sulla banchina esterna,
lungo corso Vittorio Emanuele II, e lo stesso vale per i due
ascensori, entrambi all'ingresso. Un problema dettato in alcuni casi
da guasti e in altri da manutenzioni in corso, che incidono sulla
qualità del servizio del trasporto pubblico della città. Per i
passeggeri di treni e metrò, che abbiano un bagaglio pesante o siano
alle prese con problemi di deambulazione, non c'è infatti
alternativa alle scale in pietra.
Ad accorgersene, giovedì 4 gennaio, è stato Roberto Demichelis,
segretario dello Spi Cgil di San Salvario, il sindacato dei
pensionati del quartiere. È stato lui, dopo essere sceso ai binari
di Porta Nuova, a trovare la strada sbarrata verso i convogli del
metrò. Non ha perso tempo e ha scattato due foto agli impianti
fermi, che ha poi postato sui social, accompagnandole con una
richiesta precisa: farli ripartire al più presto.
I sei impianti sono fermi per motivi diversi. Le due scale mobili
nell'atrio, gestite da Rfi, sono in manutenzione da giovedì. Per
loro una data di riattivazione non è stata fissata, ma i lavori non
dovrebbero durare più di qualche settimana. Quando ripartiranno,
saranno subito rimessi in funzione anche i due ascensori, a loro
volta nell'atrio, sempre in capo a Rfi. Il loro blocco, infatti, non
è dovuto a un guasto, ma al fermo delle scale stesse: nell'interdire
al pubblico, al piano interrato, l'accesso a queste ultime, i
tecnici di Rfi hanno chiuso anche l'area che porta agli ascensori,
che si trova di fronte ad esse.
Sono invece ferme per problemi tecnici le due scale mobili esterne,
in capo a Gtt. Quella sul lato Ovest è bloccata dal 20 ottobre per
un guasto all'albero motore, quella sul lato Est dall'inizio di
quest'anno per un problema alla catena del motore. Gtt conta di
riattivare la prima la prossima settimana.
08.01.24
ANDRANNO IN PARADISO: A
Natale è arrivata una ragazza nigeriana. Camminava per strada
assieme al figlio di quattro anni. Erano stati respinti. Scaricati
al confine. Lei teneva in mano il foglio della polizia francese: «Refus
d'entrée».
«La cosa che mi fa più arrabbiare è che Maryam ha creduto a un
maledetto passeur. Ha pagato 150 euro per lei e 150 euro per il
figlio. Tutti i soldi che le restavano. E per cosa? Quello li ha
caricati su un treno alla stazione di Ventimiglia. "Sicuro",
ripeteva. "Sicuro, arriverete in Francia". Ma tutti sappiamo cosa
succede su quei treni».
Adesso Maryam è qui. Il figlio gioca con l'asinello preso dal
presepe. Hanno un piatto di pasta in tavola. Perché c'è una casa sul
confine Nord-Ovest italiano dove finiscono i respinti e dove si
fermano i viaggiatori del mondo. È la casa di due pensionati
italiani, che hanno ospitato più di 600 migranti negli ultimi
quattro anni. «Quando, alla fine di luglio del 2020, la giunta di
centrodestra ha chiuso l'unica struttura di accoglienza che c'era
ancora a Ventimiglia, il Campo Roja, vedevamo questi ragazzi e
queste ragazze sulle strade. Non è stata una decisione solenne, la
nostra. È andata così. Forse perché ci siamo conosciuti negli scout,
e quando sei scout lo sei per tutta la vita».
Lei si chiama Loredana Crivellari, è un'infermiera in pensione. Nata
a Vercelli da un padre veneto e da una madre emiliana. «Tutte le
storie degli esseri umani sono storie di migranti», dice. E infatti,
lui si chiama Filippo Lombardo, è un artigiano edile di Reggio
Calabria arrivato a Ventimiglia per cercare lavoro. Si sono comprati
questa casa sul crinale della città vecchia con quarant'anni di
sacrifici. Adesso è aperta a tutti. E loro due, insieme, sono quelli
del furgoncino rosso.
«Ci dividiamo i compiti. Filippo va con il furgone quando sappiamo
che ci sono delle donne o delle famiglie in mezzo alla strada. Lui
ha denunciato molti passeur, conosce tutti. È andato anche dai
carabinieri a spiegare quello che stiamo facendo. Io sono più brava
con l'accoglienza, qui a casa». C'è il camino acceso. Maryam ha
bisogno di dormire un po'. Il figlio guarda fuori dalla finestra.
«In queste ultime settimane la frontiera francese è diventata
invalicabile», dicono Loredana Crivellari e Filippo Lombardo. «Hanno
messo i droni. Hanno chiuso i sentieri di montagna. Hanno mandato
moltissimi agenti. Quando sali sul treno a Ventimiglia, ti fanno
scendere alla stazione di Menton Garavan. La prima. Così è successo
a Maryam con il suo bambino: una notte nel container, il foglio di
via. E poi li hanno lasciati in un punto in cui avrebbero dovuto
camminare per 12 chilometri». Loro, i pensionati scout, stanno lì:
in quel pezzo di frontiera dove gli Stati si rimpallano uomini,
donne e bambini.
«Il primo si chiamava Hussain. Era un ragazzo tunisino. Lo abbiamo
trovato malconcio, era stato picchiato. Siamo sempre rimasti in
contatto. Era un pescatore di Sfax, adesso è un operaio
specializzato in pareti di cartongesso ad Amsterdam».
Non hanno mai avuto paura. Anzi, capita il contrario. «Quando tu
avvicini queste donne che sono state violentate e imprigionate in
Libia, donne in viaggio da anni, donne che hanno attraversato il
mare, senti tutta la loro preoccupazione. Non si fidano più di
nessuno. E se tu offri un letto o del cibo, loro pensano: cosa
vorranno in cambio?». La terza cosa che offrono Loredana Crivellari
e Filippo Lombardo forse è la più preziosa di tutte: consigli per
non diventare vittime della frontiera.
Qui a Ventimiglia ci sono stati feriti e morti di tutti i tipi:
folgorati in galleria, precipitati da un sentiero, impazziti di
alcol e crack al ventesimo respingimento, colpiti alla testa da
poliziotti francesi durante un tentativo. «Adesso, diciamo a tutti
di non tentare neppure. Sono altre le via da fare, in questo
momento. Lo abbiamo detto anche a Maryam».
La gente ti guarda in modo strano se lasci aperte le porte di casa.
«Non ce ne siamo mai dovuti pentire», dice la signora Crivellari.
«Nessuno ha mai portato via un solo euro. Certe ragazze hanno usato
i miei profumi del bagno, questo sì. Ma le capisco».
Un caffè caldo sul tavolo, pioggia alla finestra. Altri respinti
sulla strada della frontiera. Arriva il messaggio vocale di un
ragazzo pakistano che era stato qui nel 2023: «Per favore, sta
arrivando mio fratello Ghulam. Per favore andate a prenderlo alla
stazione, aiutatelo come avete fatto con me».
«Questa è la cosa più bella. I rapporti che restano nel tempo.
Vedere le facce cambiate. Nulla rende più stanchi di questa assurda
guerra della frontiera. Alla fine, riescono a passare quasi tutti. E
quando sono passati, scrivono per ringraziare e mandano una foto».
Come fate con le lingue diverse? «C'è un linguaggio comune che
supera i problemi. L'argomento è universale. È una cosa che
definisco magica. Ci siamo sempre capiti con tutti, anche con i
curdi che non conoscono neppure una parola di inglese». E fra voi,
come avete fatto? Avete mai litigato? «No, abbiamo un po' discusso
per certi casi che ci hanno messo alle corde, persone un po' ostiche
che ci hanno abbastanza sfinito o perché avevano troppo pretese o
perché era difficile gestire la situazione. Alle volte l'afflusso è
massiccio, anche trenta persone in una settimana. Ma litigi, mai.
Perché io e Filippo siamo d'accordo su quello che facciamo e ognuno
di noi apprezza le capacità dell'altro».
In questa casa sulla frontiera i migranti hanno cucinato i loro
piatti preferiti. Hanno pregato. Hanno aiutato con le pulizie. Hanno
fatto il carico di legna. Hanno ripreso fiducia e forza. «All'inizio
lavoravamo ancora, lasciavamo la casa a loro».
Così va ai due pensionati del furgone rosso. E seppure il finale
della storia si addica poco a questi tempi odiosi, eccolo nelle
parole della signora Crivellari: «In questi anni abbiamo capito che
aiutare gli altri è bellissimo, ti cura l'anima. Questa è la
verità».
COPPI IL MIGLIOR AVVOCATO PENALISTA ITALIANO: «Chi ha ucciso
Simonetta Cesaroni è un mostro. Solo un mostro può aver fatto
scempio del suo corpo in modo così atroce. Ma quel mostro, signori
della corte, non è Raniero Busco». Con queste parole si aprì
l'arringa del professor Franco Coppi in corte di Assise, il 26
aprile 2012, che portò all'assoluzione dell'ex fidanzato di
Simonetta Cesaroni. Una storia senza fine, quella del delitto di via
Poma, che è tornata alla ribalta tre giorni fa quando i carabinieri
hanno chiesto alla Procura di indagare Mario Vanacore, il figlio del
portiere dello stabile.
Professor Coppi, nel 2012 disse anche "Non so se il mostro è ancora
vivo, probabilmente sta spiando questo processo come un pipistrello
sinistro. Continuerà ad uccidere Simonetta ogni giorno fin quando
non sarà scoperto". Sta per succedere?
«Il tipo di delitto dà l'idea che a commetterlo sia stato qualcuno
che non stava molto bene con la testa. Capisco l'ansia della
famiglia di conoscere la verità, ma il tempo non giova alle indagini
e più il tempo passa più eventuali prove, di qualsiasi tipo,
svaniscono o si perdono del tutto. Con una ricostruzione dei fatti a
30 anni e la maggior parte dei testimoni che non ci sono più, credo
che il tentativo non possa avere grande successo. Mi chiedo anzi, se
non sia il caso di tornare sul tema della prescrittibilità anche per
i reati come l'omicidio. È vero che è il più grave di tutti i reati
ma ha senso continuare ad aprire indagini dopo 30 anni o non è
invece più "sensato" e apprezzabile, anche in termini di
amministrazione della giustizia, chiudere la partita quando dopo un
certo numero di anni si capisce di non riuscire a raggiungere la
verità? ».
A meno di non avere la prova della "pistola fumante".
«Ma non mi sembra il caso di via Poma, né di molti altri "cold
case". Anche se capisco, ripeto, le ragioni della famiglia della
vittima. Ma con questo ragionamento tutte le persone che in qualche
modo hanno gravitato intorno a via Poma e a Simonetta potrebbero
essere sottoposte a indagine da un momento all'altro».
Quindi c'è anche un problema di garanzie?
«Certo».
Lei ha difeso Raniero Busco, anche in quel caso l'inchiesta fu
riaperta dopo 20 anni "scordandosi" in giudizio una perizia
fondamentale come quella fatta all'epoca dal direttore dell'Istituto
di medicina legale Angelo Fiori secondo cui sulla scena del crimine
c'era il sangue della vittima e di un'altra persona che non era però
Busco.
«E c'era anche il problema del morso che sarebbe stato inferto da
Busco alla Cesaroni e che non corrispondeva alla dentatura di Busco.
Ci fu molta superficialità all'inizio nella valutazione delle
prove».
Ora nel mirino degli inquirenti è finito Mario Vanacore, figlio di
Pietro, a lungo sospettato a sua volta e morto in circostanze mai
chiarite.
«Bisognerebbe conoscere gli atti, ma se il pubblico ministero stesso
chiede l'archiviazione significa che ci troviamo di fronte al nulla,
perché se ci fosse uno spiraglio di prove avrebbe deciso
diversamente. L'accusa ritiene che non ci siano elementi che
giustifichino indagini. Probabilmente non si andrà oltre, ma intanto
si sta consumando il più pericoloso dei processi».
Quello mediatico? Il mostro sbattuto in prima pagina?
«Certo nome, cognome, foto. È una cosa inaccettabile perché ci sarà
sempre qualcuno convinto che potrebbe essere lui e che spiegherà
tutti i comportamenti del padre come volti a proteggere il figlio».
Quando lei si occupò del caso di via Poma, difendendo Busco, si era
fatto un'idea alternativa?
«No, anche perché io in genere quando affronto un processo mi
preoccupo solo di vedere se l'accusa nei confronti dell'assistito è
fondata o meno. Non ho mai cercato di difendere andando a cercare
piste alternative. Se fosse necessario probabilmente lo farei, ma
non mi è mai capitato».
La premier Giorgia Meloni ha parlato del caso di Beniamino Zuncheddu,
scarcerato dopo 32 anni di ingiusta detenzione e in attesa della
sentenza della Corte d'appello penale di Roma sul giudizio di
revisione. Quanto è frequente dalla sua esperienza l'errore
giudiziario?
«Non è infrequente che persone innocenti siano raggiunte da misure
cautelari e poi alla fine assolte. Questo è tutto sommato
fisiologico, la tragedia è quando vengono condannati in via
definitiva degli innocenti, come nel caso del pastore sardo».
Lei cita sempre il caso di Sabrina Misseri e di sua madre Cosima.
Lei è convinto della loro innocenza nonostante l'ergastolo a cui
sono state condannate?
«È il mio dramma. Si per me sono innocenti e non so come urlare la
loro innocenza. L'idea di morire senza essere riuscito ad aiutarle è
una angoscia che mi accompagna giorno per giorno».
QUANTI TOSSICI DECIDONO NELLE AZIENDE ?
Elon Musk e i suoi sostenitori offrono diverse spiegazioni per le
sue opinioni controverse, i discorsi senza filtri e le buffonate
provocatorie. Sono un'espressione della sua creatività. O il
risultato delle sue problematiche mentali. Oppure sono il risultato
dello stress o della mancanza di sonno.
Negli ultimi anni, alcuni dirigenti e membri del consiglio di
amministrazione delle sue aziende e altre persone vicine al
miliardario hanno sviluppato la persistente preoccupazione che ci
sia un'altra componente che guida il suo comportamento: l'uso di
droghe.
E temono che tale utilizzo da parte dell'amministratore delegato di
Tesla e SpaceX possa avere conseguenze importanti non solo per la
sua salute, ma anche per le sei aziende e i miliardi di asset che
supervisiona. A spiegarlo sono persone che hanno familiarità con
Musk e le società che controlla.
La persona più ricca del mondo ha fatto uso di Lsd, cocaina, ecstasy
e funghi psichedelici, spesso in occasione di feste private in giro
per il mondo, dove gli invitati firmano accordi di non divulgazione
o rinunciano ai loro telefoni per entrare, secondo le persone che
hanno assistito al suo uso di droghe e altre che ne sono a
conoscenza. Musk ha già fumato marijuana in pubblico e ha dichiarato
di avere una prescrizione per la ketamina, una sostanza
psichedelica.
Nel 2018, per esempio, Musk ha assunto diverse pastiglie di acido
durante una festa da lui stesso organizzata a Los Angeles. L'anno
successivo ha festeggiato con i cosiddetti "funghi magici" durante
una serata in Messico. Nel 2021 ha assunto ketamina a scopo
ricreativo con il fratello, Kimbal Musk, a Miami durante una festa
in casa durante un appuntamento legato alla kermesse Art Basel.
Inoltre, ha assunto droghe illegali con l'attuale membro del
consiglio di amministrazione di SpaceX ed ex Tesla, Steve Jurvetson.
Persone vicine a Musk, che ora ha 52 anni, hanno dichiarato che il
suo consumo di droghe è continuo, soprattutto quello di ketamina, e
che temono che possa causare una crisi significativa per la sua
salute personale. Anche se non dovesse accadere, potrebbe
danneggiare le sue attività.
L'uso illegale di droghe costituirebbe probabilmente una violazione
delle politiche federali che potrebbe mettere a rischio i contratti
governativi di SpaceX, del valore di miliardi di dollari. La figura
professionale di Musk è intrecciata in modo indissolubile al valore
delle sue aziende, e così si potrebbero mettere a rischio circa
1.000 miliardi di dollari di asset detenuti dagli investitori, e
quindi decine di migliaia di posti di lavoro e gran parte del
programma spaziale statunitense.
SpaceX è l'unica azienda statunitense attualmente autorizzata a
trasportare gli astronauti della Nasa da e verso la Stazione
Spaziale Internazionale. Il Pentagono, nel frattempo, ha
intensificato gli acquisti di razzi SpaceX negli ultimi anni e la
compagnia sta anche cercando di sviluppare l'attività di vendita di
servizi satellitari alle agenzie di sicurezza nazionale.
Una ex direttrice di Tesla, Linda Johnson Rice, si è sentita così
frustrata dal comportamento instabile di Musk e dalle sue
preoccupazioni per il consumo di droghe che non si è candidata per
la rielezione nel board della società di auto elettriche nel 2019,
secondo quanto riferito da soggetti vicino al dossier. A esplicita
domanda, Musk non ha risposto alle richieste di commento.
Uno degli avvocati del miliardario di origine sudafricana, Alex
Spiro, ha dichiarato che Musk viene sottoposto «regolarmente e
casualmente a test antidroga presso SpaceX e non ha mai fallito un
test». Spiro, che ha detto di rappresentare Tesla, ha aggiunto, in
risposta a domande dettagliate, che «ci sono altri fatti falsi» in
questo articolo, ma non ha fornito dettagli a riguardo.
Le persone che circondano Musk si sono abituate da tempo al suo
comportamento scostante. Alcuni dirigenti di SpaceX che hanno
lavorato a lungo con lui, tuttavia, hanno notato un cambiamento
durante un evento aziendale alla fine del 2017.
Centinaia di dipendenti di SpaceX si sono riuniti intorno al
controllo della missione presso la sede della società missilistica a
Hawthorne, in California, in attesa di Musk, che è arrivato con
quasi un'ora di ritardo (...).
Quando finalmente è salito sul palco, Musk è stato a tratti
stranamente incomprensibile. Secondo i dirigenti presenti, ha
farfugliato per circa 15 minuti e si è riferito ripetutamente al
prototipo Big Falcon Rocket di SpaceX, noto come BFR, ovvero "Big
F-ing Rocket". Il presidente di SpaceX, Gwynne Shotwell, è
intervenuto e ha ripreso la riunione non senza imbarazzo.
Non è stato possibile avere contezza se Musk fosse sotto l'effetto
di alcool quel giorno. Ma dopo la riunione, i dirigenti di SpaceX
hanno parlato in privato delle loro preoccupazioni che Musk fosse
sotto l'influenza di droghe. Uno di loro ha descritto l'evento come
«insensato», «squinternato» e «ridicolo». Spiro ha definito la
descrizione dell'incidente di SpaceX «falsa, come confermato da
innumerevoli persone che erano presenti». Ha inoltre rifiutato di
approfondire cosa fosse falso nello specifico o di descrivere le
innumerevoli persone.
Poi, nel 2018, secondo persone che hanno familiarità con il
comportamento di Musk, un altro incidente sembra segnare un punto di
svolta per lui, dimostrando che l'uso di droghe potrebbe avere
conseguenze per le sue attività. Quell'anno, Musk ha avuto problemi
con la Nasa per aver fumato marijuana durante il Joe Rogan Show,
sollevando alcuni dubbi sull'impatto commerciale della condotta di
Musk e facendo sì che i dipendenti di SpaceX venissero sottoposti a
test antidroga a campione.
Oltre a violare i contratti federali, qualsiasi tipo di uso illegale
di droghe violerebbe le politiche aziendali sia di SpaceX sia di
Tesla e solleverebbe dubbi sul ruolo esecutivo di Musk nella Tesla,
quotata in Borsa, dove il consiglio di amministrazione ha il dovere
di supervisionare la gestione nei confronti degli azionisti.
(...) Parte del problema che gli amministratori hanno affrontato nel
corso degli anni è se l'uso di droghe da parte di Musk sia da
attribuire al suo comportamento insolito, o se si tratti di
qualcos'altro, come la sua costante privazione del sonno, di cui ha
spesso parlato sui media.
Musk supervisiona sei società, tra cui la piattaforma di social
media X, l'ex Twitter, la sua impresa di tunneling, The Boring Co.,
la sua start-up di impianti cerebrali, Neuralink, e una nuova
società di intelligenza artificiale, xAI. La sua vita professionale
si intreccia con quella personale in un modo insolito anche per
altri amministratori delegati.
Per quanto riguarda Tesla e SpaceX, ha dichiarato di dormire
regolarmente in ufficio. Non solo. Spesso manda e-mail ai
luogotenenti dell'azienda nel cuore della notte e organizza riunioni
di lavoro a mezzanotte. Ha dichiarato di lavorare quasi
ininterrottamente. «Vacanza è una parola forte», ha detto nella
testimonianza in tribunale del 2022. «Per me è un'e-mail non vista».
In una nuova biografia autorizzata di Musk, l'autore Walter Isaacson
ha descritto la «modalità demoniaca» di Musk: il magnate, scrive
Isaacson, entrava in uno stato di intensa furia e si scagliava
spesso contro dipendenti e dirigenti. Nel libro di Isaacson, Musk
viene citato per aver detto: «Non mi piace affatto fare uso di
droghe illegali».
(...)Nel 2023, il Wall Street Journal ha riportato che Elon Musk
assume microdosi di ketamina per la depressione e ne assume anche
dosi massicce durante le feste. Dopo la pubblicazione dell'articolo,
Musk ha twittato che la ketamina è un modo migliore per affrontare
la depressione rispetto agli antidepressivi ampiamente prescritti
che «zombificano» le persone.
(...) In Tesla l'attuale presidente del Board, Robyn Denholm e gli
altri dirigenti si sono spesso riuniti in modo informale con il
fratello Kimbal per sapere se Elon dormisse abbastanza, e anche se
non facevano domande specifiche sull'uso di sostante, quello era
percepito come vero. (...) Rice, che non si è ricandidata per le
rielezione nel 2019, ha sollevato più volte l'argomento e le sue
preoccupazioni durante le conversazioni con gli altri membri del cda.
Senza ottenere risposte.
MANCA MARELLA CARACCIOLO IN AGNELLI: Nella luce e nelle ombre
dei grandi uomini, nei loro successi, nelle loro crisi, nelle loro
incoerenze. Eppure talmente forti da prendersi la scena e restare
impresse nella mente. Il cinema sui maschi, fatto dai maschi, non
può prescindere da una realtà che brilla nitida: inquadrare al
meglio le biografie di personaggi celebri significa quasi sempre
metterne a fuoco il rapporto con il femminile, con quelle mogli, o
amanti o fidanzate, dal ruolo cruciale che hanno plasmato le
personalità dei loro compagni. Nei film più importanti della
stagione, compresi quelli in corsa per gli Oscar, la tendenza è
prevalente, un segno distintivo che appare in tanti titoli, tutti
concentrati su un'immagine virile che viene fuori a tutto tondo solo
grazie a quella della donna che l'affianca. Gli esempi sono
eclatanti e non sarà un caso se, per assistere a una vicenda in cui
il divo dal talento sfavillante è sullo sfondo e l'amore della sua
vita in primo piano, bisognerà aspettare l'uscita di Priscilla,
diretto, guarda un po', da una donna, Sofia Coppola, e totalmente
sorretto dalla prova di Cailee Spaeny, Coppa Volpi a Venezia, già in
odore di candidatura ai prossimi Oscar.
Nel biopic Maestro dedicato al musicista e direttore d'orchestra
Leonard Bernstein, il regista e protagonista Bradley Cooper affronta
di petto il tema dell'omosessualità di lui, coniugata, per tutta la
vita, con l'amore potente, indistruttibile, nutrito per la moglie
Felicia Montealegre: «Volevo che al centro del film ci fossero loro
due - ha spiegato Cooper - così da mostrare la verità sul loro
matrimonio. Si potrebbe dedicare un film intero solo
all'esplorazione della fluidità sessuale di Leonard, ma sarebbe
stato un altro film. Mi interessava, invece, descrivere il legame
con Felicia, perché penso che quello fosse la base di tutto. Come
poteva essere vivere in una struttura familiare eterosessuale, pur
sapendo le verità dell'uno e dell'altra?».
Essere insostituibili non significa avallare, cancellare se stesse,
farsi da parte. Vincono la tenacia e anche la disperazione. Il
faccia a faccia in cui Penelope Cruz affronta, con vestaglia e
pistola in mano, il marito Enzo Ferrari (Adam Driver) è uno dei
momenti alti del film che Michael Mann ha dedicato al leggendario
ex-pilota, dirigente sportivo e imprenditore. Il racconto si
sviluppa intorno al rapporto dilaniante con la moglie tradita Laura,
cui Ferrari resterà, nonostante tutto, legato per sempre. Nel
monumentale Oppenheimer di Christopher Nolan succede che le donne
siano presenze/assenze fondamentali, un po' incubo, un po' sogno, in
linea con un'abitudine che rifletterebbe la difficoltà del regista
nel ritrarre il femminile. Stavolta, però, sia la moglie Katherine
(Emily Blunt) che l'amante di gioventù Jean Tatlock (Florence Pugh),
impongono, con i loro diversi profili, un cambio di prospettiva, una
resa dei conti cui nemmeno l'inventore della bomba atomica può
sfuggire: «Mi è piaciuto - ha confessato Blunt - interpretare un
personaggio femminile che non vuole piacere ad ogni costo, che non è
amata da tutti e che, anzi, mostra un carattere scomodo». Con lei,
nei giorni dell'isolamento a Los Alamos, l'Oppenheimer interpretato
da Cillian Murphy divide eccessi, alcol e sigarette, un menage
lontanissimo dallo stereotipo Anni 50.
Per Ridley Scott la scelta di raccontare l'epopea di Napoleone
Bonaparte (Joaquin Phoenix) puntando l'obiettivo sulla moglie
Giuseppina (Vanessa Kirby) risponde alla voglia di ritrarre un
condottiero egotico, indebolito dal culto di sé stesso e capace di
essere autentico solo sul campo di battaglia e nelle stanze in cui
può lasciarsi andare alla passione per l'avvenente compagna, la
bella creola, come veniva definita a corte, cui fu costretto a
rinunciare in nome di un erede che non arrivò: «Giuseppina era
un'outsider - ha osservato Kirby - proprio come Napoleone, si
capivano profondamente, si identificavano l'uno nell'altra». Senza
Giuseppina, l'imperatore non avrebbe potuto vincere e perdere le sue
guerre, sul letto morte le sue ultime parole furono per la prima,
adorata, moglie. Anche nel cinema dei prossimi mesi accanto a ogni
grande uomo, non più dietro come si diceva un tempo, c'è sempre una
grande donna. È questa la novità.
ECCO PERCHE' BISOGNA FERMARE L'INCENERITORE CHE UCCIDE CON LE
NANOPOLVERI : Secondo la legge regionale per la gestione dei
rifiuti esiste ancora una quantità notevole di scarti che giustifica
la realizzazione di un secondo inceneritore in Piemonte. In quel
testo, però, non vengono indicati siti e nemmeno se esistano
soluzioni alternative al termovalorizzatore che siano praticabili
dal punto di vista economico, ambientale ma anche di impatto
sociale. Il compito è stato affidato ad un'autorità d'ambito che
sarà guidata da Paolo Foietta, attuale presidente della conferenza
intergovernativa della Torino-Lione e che nei primi anni Duemila
come dirigente della provincia di Torino avviò l'iter per la
costruzione dell'inceneritore del Gerbido.
Foietta la prima mossa tocca a lei. Che cosa farà?
«Oggi, a differenza di allora, in Piemonte non c'è una situazione di
emergenza e questo permetterà di lavorare con più serenità. Ma deve
essere chiaro a Consorzi, Provincie, Città Metropolitana e ai
Comuni, con amministrazioni spesso politicamente disomogenee, che
senza uno spirito di condivisione e sostegno, analogo a quello di
vent'anni fa, non si andrà da nessuna parte».
E quindi? Quale sarà la sua strategia?
«Per prima cosa studieremo ed ascolteremo le esigenze dei consorzi e
delle amministrazioni locali. Non ci saranno scelte imposte
dall'alto ma imposteremo un percorso che dovrà portare, entro la
fine dell'anno, alla proposta da sottoporre ai diversi attori
istituzionali»
Cosa ci sarà nella proposta?
«Sarà individuato il come, il quando e in quale forma dare
attuazione alla legge regionale. E in quella proposta – che non sarà
blindata ma metterà sul tavolo i possibili scenari di gestione - ci
saranno anche le regole per garantire un controllo a livello locale
sulla sicurezza dell'impianto e le compensazioni economiche».
Ma c'è davvero bisogno di un secondo inceneritore?
«Secondo i dati del piano regionale rifiuti e bonifiche aree
inquinate ci sono 143 mila tonnellate di scarti, 150 mila tonnellate
di rifiuti speciali e 9000 di carattere sanitario che potrebbero
finire nel termovalorizzatore. Questo scenario tiene conto della
necessità di raggiungere a livello regionale almeno l'82% di
raccolta differenziata e di ridurre la produzione dei rifiuti urbani
a livello regionale a meno di 2 milioni di tonnellate entro il
2035».
Trm, la società che gestisce l'inceneritore di Torino ha messo a
punto un piano industriale che prevede la costruzione di una quarta
linea nel 2028. Può essere questa la soluzione del problema?
«È una delle ipotesi che dovrà essere valutata tenendo conto delle
necessità di tutta la regione. Secondo il piano regionale un secondo
impianto potrebbe anche essere localizzato nel quadrante nord-est
oppure nel quadrante sud est. Ci lavoreremo insieme ai territori».
Dunque, ci sono tre opzioni in campo?
«Nessuna decisione, lo ripeto, è stata ancora presa. L'Autorità
dovrà anche tener conto della realtà e della grande varietà di
soluzioni per lo smaltimento presenti a livello regionale: si va
dalle discariche alla termovalorizzazione, al trattamento ed al
successivo conferimento ai cementifici oppure ad impianti di altre
regioni. Il nostro lavoro dovrà tener conto di questa situazione
cercando di coordinare e razionalizzare le diverse soluzioni così
come di uniformare le tariffe».
Ci sono alternative?
«Esistono diverse tecnologie: impianti di trattamento meccanico
biologico che riducono il volume e la quantità del rifiuto,
biodigestori per produrre biogas e compost. Alla fine di questi
processi resta però una certa quantità di materia da smaltire in
discarica o al termovalorizzatore. Sono soluzioni efficienti in
genere per piccoli impianti e non credo compatibili con le quantità
di smaltimento residuo previste dalla Regione».
07.01.24
QUALCUNO PUO' AVER UCCISO Epstein ? Durante un'udienza
su cauzione nel luglio 2019, il team legale dell'ex finanziere
Jeffrey Epstein ha dichiarato che il loro cliente aveva un
patrimonio di oltre 550 milioni di dollari.
Il 66enne tycoon stava affrontando una serie di gravi accuse di
traffico sessuale in un caso che ha attirato l'attenzione del mondo
a causa delle potenziali ramificazioni con alcuni personaggi
pubblici di altissimo profilo, tra i quali Bill Clinton, Donald
Trump, il principe Andrea, Stephen Hawking, Michael Jackson, Noemi
Campbell, David Copperfield.
Tra le numerose domande importanti sul suo comportamento, sui suoi
amici e sul suo destino ce n'era una che era centrale nella bizzarra
vita di Epstein: da dove venivano tutti quei soldi?
Contrariamente a quanto alcuni potrebbero pensare, conosciamo la
risposta. Ma un mistero monumentale nella storia della sua fortuna
rimane ancora oggi irrisolto.
Secondo la maggior parte dei resoconti, Epstein era felice di
raccontare la sua storia alle persone con cui faceva affari. Nato da
una famiglia della classe media a Coney Island, New York City, nel
gennaio 1953, dopo aver abbandonato il college, trovò lavoro come
insegnante di matematica alla Dalton School della città.
Si dice che la sua passione per l'argomento abbia attirato
l'attenzione di Alan "Ace" Greenberg, padre di uno dei suoi studenti
e amministratore delegato della banca di investimenti Bear Stearns,
che gli disse che era sprecato nell'insegnamento e che avrebbe
dovuto lavorare a Wall Street. .
Nel 1976, Epstein iniziò a lavorare presso la banca d’affari Bear
Stearns. Salì rapidamente di grado – grazie alle sue abilità
matematiche, secondo quanto riferito – e nel giro di quattro anni
era divenne un socio accomandante. Ma l’anno successivo venne
licenziato.
Alcuni media suggeriscono che fosse semplicemente desideroso di
avviare la propria impresa, ma un'indagine del Wall Street Journal
ha scoperto che era stato licenziato dopo essere stato accusato di
aver assegnato azioni a qualcuno che si credeva fosse la sua
ragazza, oltre ad altre infrazioni.
Epstein finì presto per avviare la propria attività di gestione
patrimoniale: J. Epstein and Co. (in seguito ribattezzata Financial
Trust Co.), che iniziò ad operare nel 1982. È qui che entra in gioco
il mistero. Quasi immediatamente, questo finanziere di livello
relativamente medio ha gestito con successo la propria azienda con
una regola straordinariamente ardita: non avrebbe accettato un
cliente con un valore inferiore a 1 miliardo di dollari.
Secondo un articolo del 2002 apparso sul New York Magazine, Epstein
iniziò subito a raccogliere clienti. Uno in particolare, arrivato
tra la metà e la fine degli anni Ottanta, gli avrebbe cambiato la
vita.
Les Wexner è il gigante commerciale dietro L Brands, che un tempo
gestiva rivenditori tra cui Victoria's Secret e Abercrombie & Fitch,
che assunse Epstein come gestore patrimoniale quando la sua fortuna
stava aumentando vertiginosamente.
Negli anni successivi, il rapporto tra i due divenne insolitamente
stretto. Lungi dal limitarsi a fornire consulenza sugli
investimenti, Epstein ottenne la procura, conferendogli il controllo
assoluto sulla ricchezza di Wexner e portandolo persino a scrivere
l'accordo prematrimoniale del suo cliente prima del suo matrimonio.
Il Wall Street Journal ha scoperto che Epstein ha guadagnato circa
200 milioni di dollari dal suo lavoro per Wexner in un periodo di
circa 20 anni. Negli anni '90 e 2000, secondo quanto riferito,
avrebbe guadagnato altri milioni inserendosi in vari importanti
affari per alcune delle persone più ricche del mondo e le più grandi
istituzioni finanziarie.
Tutto ha iniziato a disintegrarsi intorno al 2007, quando ha
raggiunto un accordo con i pubblici ministeri federali e si è
dichiarato colpevole di adescamento e procacciamento di una minore
per la prostituzione, scontando infine 13 mesi in un programma di
rilascio dal lavoro.
Wexner interruppe il rapporto con Epstein, così come la banca JP
Morgan con la quale era stato pesantemente coinvolto per diversi
anni. Tuttavia, 12 anni dopo, se la passava ancora abbastanza bene
da consentire ai suoi avvocati di dichiarare beni per più di mezzo
miliardo di dollari, comprese quattro case e due isole. Il mese
successivo a quella dichiarazione, Epstein era morto.
06.01.24
Piccoli azionisti contro multinazionali Record di campagne dei fondi
attivisti
Chiara Saraceno
Un anno fa l'organizzazione non profit Oxfam titolò il suo rapporto
annuale sulle disuguaglianze economiche nel mondo "La sopravvivenza
dei ricchi". Esso infatti segnalava come, in un periodo
caratterizzato da un susseguirsi e accavallarsi di crisi e
incertezze forse senza precedenti, che provocavano un netto
peggioramento nelle condizioni di vita di milioni di persone nel
mondo, i più ricchi avevano aumentato la loro ricchezza e i profitti
delle corporazioni avevano raggiunto livelli da record, con
conseguente esplosione delle disuguaglianze a livello mondiale, tra
Paesi e all'interno di ciascun Paese. In particolare, l'1% più ricco
della popolazione mondiale si era appropriato di quasi due terzi di
tutta la nuova ricchezza, per quasi il doppio del valore andato
invece al 99% del resto della popolazione. In compenso, solo il 4%
delle imposte deriva dalla tassazione della ricchezza e la metà dei
miliardari ha la propria residenza in Paesi in cui l'eredità non è
tassata.
In attesa del nuovo rapporto Oxfam, dati dell'Osservatorio
JobPricing commentati ieri su questo giornale da Marianna Filandri
suggeriscono che il lungo trend nell'aumento delle disuguaglianze
documentato da Oxfam negli ultimi anni, sta proseguendo. Come hanno
argomentato ormai da diversi anni molti studiosi – da Atkinson a
Picketty, da Mazzuccato a Franzini, Granaglia, Raitano, per fare
solo alcuni nomi – i meccanismi che sottostanno a questo fenomeno
non sono solo e neppure prevalentemente quelli alla base delle
disuguaglianze cento anni fa, ovvero l'origine sociale e il capitale
ereditato.
Il reddito da lavoro è oggi centrale nella produzione della
ricchezza. È un dato positivo, nella misura in cui lega la ricchezza
all'impegno e alle capacità individuali. Ma, mentre la possibilità
di sviluppare le proprie capacità e farle riconoscere continua,
specie in Italia, ad essere in larga misura dipendente dall'origine
sociale e da ciò che questa permette di acquisire in termini di
istruzione, capitale umano e sociale, trasformazioni nel sistema
economico e modalità di accesso e remunerazione delle posizioni
apicali hanno trasformato queste ultime, in molti casi, in vere
posizioni di rendita. Si è privilegiato in modo sproporzionato il
profitto e la rendita rispetto al lavoro.
Segmenti strategici del tessuto produttivo si sono concentrati in
poche mani: i nuovi settori tecnologici sono stati protetti dalle
prolungate tutele previste nelle norme sui brevetti. Molti governi
hanno accettato la pressione delle grandi compagnie ad abbassare le
tasse, arrivando a competere tra loro in operazioni di fiscal
dumping. Molte aziende sono state acquisite da società finanziarie,
poco interessate alla produzione in quanto tale, bensì ai vantaggi
finanziari che possono derivare da scorporamenti e dismissioni. I
settori della vecchia economia in concorrenza con le produzioni dei
Paesi di nuova industrializzazione sono stati favoriti dalle
politiche dell'offerta, ottenendo la flessibilità al ribasso nelle
retribuzioni e negli oneri per il finanziamento della protezione
sociale della forza lavoro meno qualificata.
In questo contesto, come ricordava ieri Filandri, si è sviluppato
per i top manager un sistema retributivo basato sui profitti
riservati ai (grandi) azionisti, non sui risultati in termini di
qualità e competitività del prodotto. Un sistema che protegge
persino dall'insuccesso, con buonuscite molto generose, e che
difende i propri privilegi controllando strettamente chi può entrare
nella cerchia dei fortunati e muoversi con disinvoltura da una
posizione all'altra, sia nel privato sia nel pubblico e tra l'uno e
l'altro. Meccanismi in cui il merito, quando c'è, conta solo in
piccola parte e certo non abbastanza per giustificare sia l'enorme
sproporzione tra i redditi dei grandi dirigenti e quelli dei
lavoratori medi, sia la generosa protezione in caso di
allontanamento, protezione anch'essa lontana anni luce di quella
concessa a chi non fa parte di questa élite, tanto più se povero, la
cui meritevolezza è invece puntigliosamente verificata. Anche per
questo le posizioni apicali nelle grandi imprese private o
partecipate, nelle banche e nelle fondazioni sono diventate oggetto
di contesa e scambio politici.
A fronte di queste disuguaglianze inaccettabili opporsi
all'introduzione di un salario minimo decente legale appare quanto
meno arrogante. Ma occorre avere il coraggio di provare a
contrastare i meccanismi che producono le disuguaglianze denunciate
da Oxfam e dall'Osservatorio JobPricing. Le proposte non mancano,
dall'introduzione di un'imposta del 5% su tutte le grandi ricchezze
a livello mondiale, a una ragionevole tassazione dell'eredità, al
contenimento dei compensi diretti e indiretti dei grandi manager,
alla rottura di posizioni monopolistiche. Molte di queste proposte
hanno senso e possibile efficacia solo se basate su un consenso e
un'azione a livello internazionale. Esse sono state al centro di
molte iniziative della campagna per le ultime elezioni europee da
parte delle forze progressiste, che avevano proprio nel contrasto
alle disuguaglianze uno dei punti principali della propria agenda.
Quale sia l'agenda di queste forze per le prossime elezioni e il
futuro dell'Unione ancora non è dato sapere. —
05.01.24
GLI EPULONI SERVITI DALLA DIGOS CHE NOI PAGHIAMO:
Un manager guadagna più di un
impiegato e di un operaio. Nessuno si scandalizza di questo.
Percepiamo infatti sia giusto che chi ha studiato più a lungo,
assume maggiori responsabilità e magari lavora anche più ore sia
retribuito maggiormente. La questione spinosa è però quanto possa
essere retribuito in più. Due volte? Cinque volte? Dieci volte? In
realtà le cifre in questione sono molto più alte. Gli amministratori
delegati e i super dirigenti arrivano infatti a oltre trecento volte
il salario del lavoratore medio. È questa la metafora del cosiddetto
Fat cat, gatto grasso, immagine parodizzata dell'avidità
capitalistica di cui si discute in questi giorni. Da un lato, ci
sono infatti i magri salari dei dipendenti pagati poche decine di
euro all'ora - a meno di non essere magrissimi se si trovano nella
condizione di basso salario quando non arrivano ai 9 euro all'ora.
Dall'altro lato ci sono presidenti, amministratori, top manager
particolarmente pasciuti con compensi sotto forma di stipendi,
bonus, opzioni sulle azioni che raggiungono retribuzioni
stratosferiche.
Addirittura, da qualche anno c'è la consuetudine di denunciare la
data del Fat cat day come giorno nell'anno nel quale i grandi
manager arrivano a percepire il corrispettivo di quando guadagnano
in media i lavoratori alle loro dipendenze. Si tratta di un semplice
calcolo proposto da diversi centri studi in Europa sul rapporto tra
le retribuzioni più elevate e quelle medie. Per intenderci se lo
stipendio annuo di un dirigente è il doppio di quello degli
impiegati, allora dal 1 gennaio al 30 giugno il primo avrebbe
guadagnato quanto i secondi in dodici mesi. In Italia - secondo i
calcoli dell'Osservatorio JobPricing – questo traguardo si è
raggiunto dopo solo sei giorni da inizio anno.
Questo rende immediatamente comprensibile a tutti la grande distanza
nelle retribuzioni tra chi amministra e chi esegue con conseguenze
rilevanti sulla distribuzione delle risorse economiche della
società.
La disparità di compensi contribuisce infatti marcatamente alla
riproduzione delle disuguaglianze: i ricchi sono sempre più ricchi e
distanti dai poveri che hanno sempre meno. Un dato emblematico è il
livello di disuguaglianza globale che è tornato ai livelli di circa
un secolo fa. Anche nel nostro paese, secondo i dati Banca di
Italia, la disuguaglianza nei redditi dei lavoratori misurata
dall'indice di Gini è aumentata contribuendo all'immagine del gatto
grasso. Tuttavia, non è sempre stato così e sebbene i dirigenti
abbiano sempre avuto retribuzioni più elevate in passato queste
erano più contenute. Fino agli anni Ottanta dello scorso secolo in
Italia la retribuzione tra gli stipendi dei dirigenti e degli operai
non superava il rapporto di venti a uno. Negli Stati Uniti, paese
più diseguale del nostro, questo rapporto saliva a poco oltre trenta
a uno. Successivamente in tutti i paesi occidentali dagli anni
Novanta in poi gli aumenti delle retribuzioni dei dirigenti hanno
superato di gran lunga gli aumenti degli altri lavoratori.
La crisi economica e finanziaria globale del 2008 ha poi
ulteriormente aggravato la situazione. Si è infatti inaugurato un
lungo periodo di austerità e difficoltà economiche per la maggior
parte della popolazione che non ha interessato gli stipendi di molti
amministratori e dirigenti, i cui compensi hanno continuato ad
aumentare a un ritmo senza precedenti. In sostanza i sacrifici
richiesti alla parte più consistente dei lavoratori non sono stati
estesi ai componenti dei consigli di amministrazione delle aziende e
ai grandi manager.
Ma non solo. Sempre più lo stipendio di chi è ai vertici è slegato
dalla capacità di aumentare o migliorare la produzione di un bene o
servizio. Conta piuttosto – anche se rimane una sproporzione
rispetto al successo - la capacità di far crescere ad ogni costo il
valore in borsa dell'impresa, perseguendo esclusivamente l'obiettivo
del profitto economico della società.
Anche di questo però sempre meno ci scandalizziamo. Si è presa
coscienza del fatto che, in molti casi, l'entità dei compensi e la
concomitante disuguaglianza - con il malessere ad essa associata -
sono moralmente e politicamente indifendibili. E se anche la parità
salariale all'interno delle aziende è irraggiungibile sia perché
impraticabile sia perché inefficiente, almeno una limitazione a
stipendi elevatissimi e bonus enormi è auspicabile. E se proprio non
si vuole limitare i redditi più alti che almeno si intervenga su
quelli più bassi. L'introduzione di un salario minimo legale in
Italia certamente sarebbe un primo passo.
YAKY FLOP : Cala ancora la produzione a Mirafiori Anche la 500 bev
non ha i volumi sperati
Nel 2023 la produzione di Stellantis è aumentata per il secondo anno
consecutivo, grazie al positivo andamento degli stabilimenti di
Pomigliano (+30%) e di Atessa (+12%), ma per raggiungere l'obiettivo
di un milione di veicoli all'anno (auto+commerciali) manca un terzo
degli attuali volumi. Per questo «è necessario rilanciare le
produzioni di Cassino (-11,3%) e Mirafiori (-9,3%) con nuovi
modelli». Lo dice il Report della Fim Cisl, presentato dal
segretario nazionale Ferdinando Uliano e dal segretario generale
della Fim torinese Rocco Cutrì. Nel 2023 sono state prodotte, tra
auto e veicoli commerciali, 751,384 unità.
Mirafiori è uno degli stabilimenti in maggiore sofferenza. Nel 2023
sono state prodotte 85.940 auto, con una flessione del 9,3% sul
2022. Le Maserati sono un quinto di quelle del 2017. La Fim, quindi,
chiede che «non si temporeggi sul lancio produttivo della nuova
Quattroporte berlina e che, oltre alla 500 elettrica e ai modelli
Maserati, venga assegnato un altro modello sulla piattaforma
full-electric con potenzialità di volumi importanti e non di
nicchia».
Il peso maggiore dei volumi a Mirafiori continua a essere
determinato dalla produzione della 500 bev che si ferma a 77.260
unità, allo stesso livello del 2022 (77.500). Dato non positivo,
visto che l'andamento nel primo semestre 2023 aveva fatto sperare si
arrivasse oltre le 90.000 unità. Hanno inciso le giornate di cassa
integrazione che dal mese di ottobre hanno coinvolto anche i 1200
operai della 500e.
Dall'inizio anno sono state circa 20 le giornate di fermo produttivo
a cui si sono aggiunte 11 giornate di chiusura collettiva. Ma
l'azienda rassicura sottolineando che l'andamento è stato
influenzato dai ritardi in Italia sugli incentivi all'acquisto delle
auto sostenibili e alla mancanza delle infrastrutture di ricarica. I
nuovi incentivi annunciati dal ministro Urso, quindi, dovrebbero
dare una spinta alla vendita e alla produzione di 500e. Dimezzati,
invece, i volumi dei cinque modelli Maserati (8.680, -49%). Verso la
fine del primo trimestre del 2023 sono partite le produzioni delle
Maserati Gran Turismo (Gt) e Gran Cabrio (Gc). A inizio 2024
verranno inoltre prodotte le nuove versioni Folgore full-electric di
GranTurismo e poi di Gran Cabrio. Nonostante questo, conclude Uliano,
«non si satura la produzione della linea».
PETRONZI TRASLOCA A MESSINA ?
QUIZ-FLASH! - COME MAI, CON L'ARRIVO DEL 2024, FORSE LA CITTÀ DI
MILANO AVRÀ UN NUOVO QUESTORE AL POSTO DI GIUSEPPE PETRONZI? (AIUTINO/1:
LE POLEMICHE SULLA SICUREZZA DELLA METROPOLI LOMBARDA NON C'ENTRANO
NIENTE - AIUTINO/2: I QUESTORI NON HANNO UNA SCADENZA PRECISA..
05.01.24
VERDINI PIGLIA TUTTO: Non
c'è solo l'Italia nel mirino della "cricca" degli appalti Verdini,
ma anche l'estero. All'attenzione del Nucleo Patrimonio economico e
Finanza delle Fiamme gialle, a cui la procura di Roma coordinata da
Francesco Lo Voi ha affidato le indagini, ci sono alcuni subappalti
con Fs in altri Paesi Ue dove il gruppo Ferrovie dello Stato (che
controlla anche l'Anas, altro territorio d'azione della cricca) è
presente. Un'opportunità considerevole per fare soldi vincendo gli
appalti grazie ai "favori" di funzionari compiacenti.
L'inchiesta – che vede indagati, tra gli altri, l'ex senatore Denis
Verdini, il figlio Tommaso e il suo socio Fabio Pileri – va avanti
portando alla luce nuovi dettagli su quel sistema illecito di
corruzione che vede coinvolta la Inver, società di lobbying gestita
proprio da Verdini jr e Pileri.
Fs e Anas erano, secondo la pubblica accusa, il terreno in cui
intervenire per ottenere gli appoggi da dare ai clienti della Inver.
Nell'informativa della Guardia di Finanza si legge che Tommaso
Verdini, intercettato, definisce il suo ruolo per un incontro tra un
dirigente di Ferrovie dello Stato come Massimo Bruno e il ministro
dei Trasporti e delle Infrastrutture Matteo Salvini (fidanzato con
la sorella di Tommaso, ndr): «Senza aver un caz. .. stiamo ottenendo
dei posti. E i posti che stiamo ottenendo sono tutti posti che
otteniamo per i rapporti che abbiamo con i dirigenti, con gli
amministratori...».Stava millantando? A onor di cronaca, non risulta
alcun coinvolgimento del leader della Lega, che anzi, stanco di
essere tirato in ballo, annuncia querele.
Le indagini, intanto, proseguono per far luce su lotti in dieci
regioni con offerte pilotate assicurate da Inver, a cominciare dal
risanamento di diverse gallerie per un importo complessivo di 180
milioni di euro. E a una sola società, il Consorzio Stabile Aurora
dell'imprenditore Angelo Ciccotto, sarebbero state garantite gare
per quasi 108 milioni di euro.
Gli appalti andavano dal Friuli alla Sardegna e hanno visto
coinvolto anche l'ex parlamentare Vito Bonsignore, oggi,
imprenditore (anch'egli indagato come l'ex ad di Anas Massimo
Simonini) che con la sua Sarc si era aggiudicato la Ragusa-Reggio
Calabria. Secondo gli inquirenti Fabio Pileri si dava un gran da
fare per riuscire a concludere affari e per questo avrebbe voluto
guadagnare di più ma temeva il giudizio di Denis Verdini.
Intercettato, mentre parla con Tommaso, «manifesta il suo interesse
all'aspetto economico ma dice: «Io a Denis non so' capace a dirgli
de no!». Intanto si attivava per muovere i giusti "ganci politici".
Tanto che dichiarava: «Io so come si muove il fante, perché io con
la politica ci parlo, Roma è piccola anche se è grossa».
Iran, l'Isis rivendica la strage Blinken frena l'escalation "Più
aiuti verso la Striscia"
Nello Del Gatto
GERUSALEMME
L'Isis, con un post su Telegram, ha rivendicato il duplice attentato
che mercoledì a Kerman in Iran ha causato 84 morti.
Nell'immediatezza dei fatti, contro Stati Uniti e Israele aveva
puntato il dito il capo della magistratura iraniana, Gholamhossein
Ejei, per poi, attraverso l'account X, accusare ieri lo Stato
Islamico.
Secondo le informazioni dell'agenzia iraniana Irna, l'attentato,
compiuto nei pressi della tomba del generale iraniano Qassem
Soleimani, ucciso nel 2020 in un attacco americano, è stato
realizzato, almeno nella prima esplosione, da un attentatore
suicida. Fonti di intelligence riferiscono che le modalità
dell'attentato ricalcano quelle dell'attacco che il 26 agosto del
2021 fu portato dall'Isis-K all'aeroporto Karzai di Kabul, mentre si
ritiravano le truppe americane e della Nato, facendo 180 vittime.
È stato invece sepolto all'esterno del campo profughi di Shatila,
Saleh Al-Arouri, il numero due di Hamas ucciso in un attacco
presumibilmente israeliano martedì nel sobborgo di Dahiyeh a Beirut.
Ad uccidere l'ex cofondatore delle brigate al-Qassam, non è stato un
drone, ma sei missili "intelligenti" che hanno perforato dall'alto
il palazzo nel quale si trovava l'uomo e sono esplosi al piano dove
si trovavano gli uffici di Hamas. Uffici che non erano mai più stati
usati dopo il 7 ottobre, anche perché Al Arouri aveva viaggiato tra
Turchia e Qatar, e giusto martedì si era recato lì per partecipare
ad alcuni incontri. Un migliaio ai funerali suoi e dei suoi sodali
uccisi, dove sono sventolate le bandiere di Hamas e del Jihad
islamico. Dal Libano sono stati esplosi diversi colpi contro i
kibbutz di Manara, Misgav Am e Metula, dove è stata colpita una
casa; di risposta l'esercito ha centrato diverse postazioni di
Hezbollah. Il gruppo libanese ha detto di aver ucciso soldati
israeliani, ma non c'è conferma dell'esercito, che invece parla di
nove miliziani uccisi.
A Gaza i combattimenti sono sempre molto intensi, soprattutto ad
al-Meghazi, al-Bureji e a Khan Yunis. Qui l'esercito dice di aver
ucciso molti combattenti di Hamas e danneggiato in modo
significativo il loro comando. Il capo della Brigata israeliana
Kiryatiha ha dichiarato che in questa area di operazioni «non
esistono infrastrutture innocue», visto che l'esercito trova
miliziani in quasi tutte le case, negli ospedali e nelle scuole. In
Cisgiordania è durato oltre 40 ore il raid dell'esercito nel campo
profughi di Nur Sham, nei pressi di Tulkarem, dove in una scuola
dell'Unrwa, sono stati trovati gli esplosivi. Oltre 30 i fermati che
portano a più di 2600 gli arresti nei raid nei Territori dall'inizio
della guerra.
L'esercito americano ha ucciso a Baghdad il leader di Harakat al
Nujaba, la dodicesima brigata, parte dell'Iraqi Popular Mobilization
Forces, accusato di attacchi contro le forze statunitensi nel paese.
Abou Taqwa Al-Saidi è stato colpito da un drone che ha lanciato
quattro razzi contro il veicolo sul quale viaggiava con un altro.
Intanto, Abdel-Malik Al Houthi, leader dell'omonimo gruppo yemenita,
ha detto che l'attacco americano di domenica scorsa, nel quale sono
morti dieci miliziani, è «un atto criminale» che non resterà senza
risposte. Dall'inizio della guerra a Gaza, dallo Yemen il gruppo ha
lanciato oltre 25 attacchi contro navi che attraversano il Mar
Rosso, l'ultimo ieri attraverso lo stretto di Bab al-Manda. Navi da
guerra americane e una coalizione di altri Paesi cercano di
proteggere il traffico marittimo nella zona, che ha subito un brusco
calo a causa degli attacchi degli Houthi.
Ed è partito ieri il segretario di Stato americano, Antony Blinken,
per la sua nuova visita in Medio Oriente dall'attacco di Hamas del 7
ottobre. Avrà incontri in Israele, Qatar e Turchia tra gli altri
Paesi.
Israele, intanto, ha nominato l'avvocato inglese Malcom Shaw come
suo rappresentante dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia
dell'Aia che giovedì e venerdì prossimi ascolterà la denuncia per
genocidio presentata contro il Paese ebraico dal Sudafrica. —
TRUMP IL SUPER CORROTTO : Iran, l'Isis rivendica la strage Blinken
frena l'escalation "Più aiuti verso la Striscia"
L'Isis, con un post su Telegram, ha rivendicato il duplice attentato
che mercoledì a Kerman in Iran ha causato 84 morti.
Nell'immediatezza dei fatti, contro Stati Uniti e Israele aveva
puntato il dito il capo della magistratura iraniana, Gholamhossein
Ejei, per poi, attraverso l'account X, accusare ieri lo Stato
Islamico.
Secondo le informazioni dell'agenzia iraniana Irna, l'attentato,
compiuto nei pressi della tomba del generale iraniano Qassem
Soleimani, ucciso nel 2020 in un attacco americano, è stato
realizzato, almeno nella prima esplosione, da un attentatore
suicida. Fonti di intelligence riferiscono che le modalità
dell'attentato ricalcano quelle dell'attacco che il 26 agosto del
2021 fu portato dall'Isis-K all'aeroporto Karzai di Kabul, mentre si
ritiravano le truppe americane e della Nato, facendo 180 vittime.
È stato invece sepolto all'esterno del campo profughi di Shatila,
Saleh Al-Arouri, il numero due di Hamas ucciso in un attacco
presumibilmente israeliano martedì nel sobborgo di Dahiyeh a Beirut.
Ad uccidere l'ex cofondatore delle brigate al-Qassam, non è stato un
drone, ma sei missili "intelligenti" che hanno perforato dall'alto
il palazzo nel quale si trovava l'uomo e sono esplosi al piano dove
si trovavano gli uffici di Hamas. Uffici che non erano mai più stati
usati dopo il 7 ottobre, anche perché Al Arouri aveva viaggiato tra
Turchia e Qatar, e giusto martedì si era recato lì per partecipare
ad alcuni incontri. Un migliaio ai funerali suoi e dei suoi sodali
uccisi, dove sono sventolate le bandiere di Hamas e del Jihad
islamico. Dal Libano sono stati esplosi diversi colpi contro i
kibbutz di Manara, Misgav Am e Metula, dove è stata colpita una
casa; di risposta l'esercito ha centrato diverse postazioni di
Hezbollah. Il gruppo libanese ha detto di aver ucciso soldati
israeliani, ma non c'è conferma dell'esercito, che invece parla di
nove miliziani uccisi.
A Gaza i combattimenti sono sempre molto intensi, soprattutto ad
al-Meghazi, al-Bureji e a Khan Yunis. Qui l'esercito dice di aver
ucciso molti combattenti di Hamas e danneggiato in modo
significativo il loro comando. Il capo della Brigata israeliana
Kiryatiha ha dichiarato che in questa area di operazioni «non
esistono infrastrutture innocue», visto che l'esercito trova
miliziani in quasi tutte le case, negli ospedali e nelle scuole. In
Cisgiordania è durato oltre 40 ore il raid dell'esercito nel campo
profughi di Nur Sham, nei pressi di Tulkarem, dove in una scuola
dell'Unrwa, sono stati trovati gli esplosivi. Oltre 30 i fermati che
portano a più di 2600 gli arresti nei raid nei Territori dall'inizio
della guerra.
L'esercito americano ha ucciso a Baghdad il leader di Harakat al
Nujaba, la dodicesima brigata, parte dell'Iraqi Popular Mobilization
Forces, accusato di attacchi contro le forze statunitensi nel paese.
Abou Taqwa Al-Saidi è stato colpito da un drone che ha lanciato
quattro razzi contro il veicolo sul quale viaggiava con un altro.
Intanto, Abdel-Malik Al Houthi, leader dell'omonimo gruppo yemenita,
ha detto che l'attacco americano di domenica scorsa, nel quale sono
morti dieci miliziani, è «un atto criminale» che non resterà senza
risposte. Dall'inizio della guerra a Gaza, dallo Yemen il gruppo ha
lanciato oltre 25 attacchi contro navi che attraversano il Mar
Rosso, l'ultimo ieri attraverso lo stretto di Bab al-Manda. Navi da
guerra americane e una coalizione di altri Paesi cercano di
proteggere il traffico marittimo nella zona, che ha subito un brusco
calo a causa degli attacchi degli Houthi.
Ed è partito ieri il segretario di Stato americano, Antony Blinken,
per la sua nuova visita in Medio Oriente dall'attacco di Hamas del 7
ottobre. Avrà incontri in Israele, Qatar e Turchia tra gli altri
Paesi.
Israele, intanto, ha nominato l'avvocato inglese Malcom Shaw come
suo rappresentante dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia
dell'Aia che giovedì e venerdì prossimi ascolterà la denuncia per
genocidio presentata contro il Paese ebraico dal Sudafrica. —
UNA STORIA DI BADANTE DELL'EST :Iran, l'Isis
rivendica la strage Blinken frena l'escalation "Più aiuti verso la
Striscia"
Nello Del Gatto
GERUSALEMME
L'Isis, con un post su Telegram, ha rivendicato il duplice attentato
che mercoledì a Kerman in Iran ha causato 84 morti.
Nell'immediatezza dei fatti, contro Stati Uniti e Israele aveva
puntato il dito il capo della magistratura iraniana, Gholamhossein
Ejei, per poi, attraverso l'account X, accusare ieri lo Stato
Islamico.
Secondo le informazioni dell'agenzia iraniana Irna, l'attentato,
compiuto nei pressi della tomba del generale iraniano Qassem
Soleimani, ucciso nel 2020 in un attacco americano, è stato
realizzato, almeno nella prima esplosione, da un attentatore
suicida. Fonti di intelligence riferiscono che le modalità
dell'attentato ricalcano quelle dell'attacco che il 26 agosto del
2021 fu portato dall'Isis-K all'aeroporto Karzai di Kabul, mentre si
ritiravano le truppe americane e della Nato, facendo 180 vittime.
È stato invece sepolto all'esterno del campo profughi di Shatila,
Saleh Al-Arouri, il numero due di Hamas ucciso in un attacco
presumibilmente israeliano martedì nel sobborgo di Dahiyeh a Beirut.
Ad uccidere l'ex cofondatore delle brigate al-Qassam, non è stato un
drone, ma sei missili "intelligenti" che hanno perforato dall'alto
il palazzo nel quale si trovava l'uomo e sono esplosi al piano dove
si trovavano gli uffici di Hamas. Uffici che non erano mai più stati
usati dopo il 7 ottobre, anche perché Al Arouri aveva viaggiato tra
Turchia e Qatar, e giusto martedì si era recato lì per partecipare
ad alcuni incontri. Un migliaio ai funerali suoi e dei suoi sodali
uccisi, dove sono sventolate le bandiere di Hamas e del Jihad
islamico. Dal Libano sono stati esplosi diversi colpi contro i
kibbutz di Manara, Misgav Am e Metula, dove è stata colpita una
casa; di risposta l'esercito ha centrato diverse postazioni di
Hezbollah. Il gruppo libanese ha detto di aver ucciso soldati
israeliani, ma non c'è conferma dell'esercito, che invece parla di
nove miliziani uccisi.
A Gaza i combattimenti sono sempre molto intensi, soprattutto ad
al-Meghazi, al-Bureji e a Khan Yunis. Qui l'esercito dice di aver
ucciso molti combattenti di Hamas e danneggiato in modo
significativo il loro comando. Il capo della Brigata israeliana
Kiryatiha ha dichiarato che in questa area di operazioni «non
esistono infrastrutture innocue», visto che l'esercito trova
miliziani in quasi tutte le case, negli ospedali e nelle scuole. In
Cisgiordania è durato oltre 40 ore il raid dell'esercito nel campo
profughi di Nur Sham, nei pressi di Tulkarem, dove in una scuola
dell'Unrwa, sono stati trovati gli esplosivi. Oltre 30 i fermati che
portano a più di 2600 gli arresti nei raid nei Territori dall'inizio
della guerra.
L'esercito americano ha ucciso a Baghdad il leader di Harakat al
Nujaba, la dodicesima brigata, parte dell'Iraqi Popular Mobilization
Forces, accusato di attacchi contro le forze statunitensi nel paese.
Abou Taqwa Al-Saidi è stato colpito da un drone che ha lanciato
quattro razzi contro il veicolo sul quale viaggiava con un altro.
Intanto, Abdel-Malik Al Houthi, leader dell'omonimo gruppo yemenita,
ha detto che l'attacco americano di domenica scorsa, nel quale sono
morti dieci miliziani, è «un atto criminale» che non resterà senza
risposte. Dall'inizio della guerra a Gaza, dallo Yemen il gruppo ha
lanciato oltre 25 attacchi contro navi che attraversano il Mar
Rosso, l'ultimo ieri attraverso lo stretto di Bab al-Manda. Navi da
guerra americane e una coalizione di altri Paesi cercano di
proteggere il traffico marittimo nella zona, che ha subito un brusco
calo a causa degli attacchi degli Houthi.
Ed è partito ieri il segretario di Stato americano, Antony Blinken,
per la sua nuova visita in Medio Oriente dall'attacco di Hamas del 7
ottobre. Avrà incontri in Israele, Qatar e Turchia tra gli altri
Paesi.
Israele, intanto, ha nominato l'avvocato inglese Malcom Shaw come
suo rappresentante dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia
dell'Aia che giovedì e venerdì prossimi ascolterà la denuncia per
genocidio presentata contro il Paese ebraico dal Sudafrica.
UNA STORIA DI BADANTE DELL'EST : Sette anni in Romania. Quasi
sempre chiusa a casa della madre della sua badante, in un Paese
straniero del quale non conosceva la lingua, senza un cellulare per
chiamare in Italia. Un incubo per una pensionata di circa 80 anni di
Castagnole Lanze, terminato ieri, 4 gennaio, quando la polizia
giudiziaria della Procura di Asti ha arrestato la badante. È una
donna di 47 anni di origine romena: è accusata di circonvenzione di
incapace e autoriciclaggio.
La badante, con vari stratagemmi, era riuscita a sottrarre dai conti
correnti della vittima 317 mila euro, dei quali 149 mila reinvestiti
per l'acquisto di una tabaccheria nel Cuneese, affidata a parenti e
negli ultimi mesi messa in vendita dall'autrice del raggiro che
aveva iniziato a percepire il fiato sul collo degli investigatori.
La prima svolta nell'estate 2023, circa sei mesi fa, quando
l'anziana dopo sette anni è stata riportata dalla badante a
Castagnole. Un po' perché doveva curarsi, un po' anche perché la
madre era stufa di tenersi la "prigioniera", ormai spremuta
all'inverosimile.
La pensionata è tornata a vivere nella sua casa sulle colline tra il
Tanaro e le Langhe. Facendo due amare scoperte. La prima è che
l'abitazione era stata completamente ristrutturata, con i ricordi di
una vita scomparsi. La seconda, più grave, è che in una porzione si
erano trasferiti stabilmente alcuni familiari della badante.
Ovviamente senza pagare un regolare affitto.
Oltre a quanto accaduto in Romania, dunque, bisogna parlare anche di
furto di abitazione. L'anziana, però, malgrado i sette anni in
Romania ricordava ancora la strada per raggiungere la caserma dei
Carabinieri. E quindi, nonostante gli acciacchi e il controllo della
badante, in una giornata di caldo e sole si è presentata al nuovo
maresciallo. Che non la conosceva, ma ha ascoltato la sua storia:
aveva assunto l'inserviente nel 2014, per essere aiutata nelle
faccende di casa e per un aiuto al marito, gravemente malato.
L'uomo però nel 2015 era morto, e la badante aveva approfittato dei
primi cedimenti fisici e mentali della vedova per non andarsene
dall'abitazione. Anzi: grazie ad un notaio non particolarmente
diligente, anche se al momento non indagato, l'aveva convinta a
firmarle una procura generale a suo nome e una delega in banca ad
operare.
I carabinieri di Castagnole hanno messo tutto nero su bianco,
segnalando la vicenda in procura. I magistrati dapprima hanno
avvertito gli assistenti sociali del consorzio Cisa, che hanno fatto
visita alla vittima e avviato le pratiche per l'affidamento ad un
amministratore di sostegno.
L'anziana non ha figli o parenti prossimi ed era quindi ormai quasi
sola a Castagnole. Poi sono iniziati gli accertamenti contabili,
delegati alla polizia e alla Guardia di finanza. È emerso che la
badante, per non farsi scappare nulla aveva preparato per tempo
anche la fase del trapasso: si era fatta sottoscrivere una polizza
vita, a suo favore, per 120 mila euro e un testamento olografo nel
quale era nominata erede universale.
Tutto sequestrato. Secondo uno psichiatra, che ha compiuto un esame
su delega della procura, la pensionata già nel 2015 era
"suggestionabile" e vulnerabile a causa di una dipendenza affettiva
e timori di abbandono. Ora è caccia ai soldi, anche se una buona
parte è stata probabilmente già spesa e non verrà ritrovata. La
badante è agli arresti domiciliari. Il ritorno dell'anziana nelle
sue terre e la decisione di andare alla caserma dei Carabinieri è
stata determinante per chiudere la vicenda.
In bilico a 50 anni"Io, prof precario e pieno di debiti mia moglie
ha venduto anche l'auto"
Antonio Fiscarelli
Così su «La Stampa»
FILIPPO FIORINI
Nel «festosissimo centro fiorentino», come l'ha chiamato lui, il 24
dicembre, tra la paccottiglia per turisti e gli stessi turisti
stranieri che lo fermavano per chiedergli un selfie e sfotterlo,
oppure i manifestanti per la pace in Palestina che lo invitavano a
sfilare con loro, Antonio Fiscarelli si è travestito da Babbo
Natale. Il giorno dopo aveva un treno per Foggia, casa sua. «Abbiamo
preso il biglietto il 25 perché costava meno». Parla di sé, di sua
moglie e di suo figlio, che hanno traslocato a Firenze perché «lì
c'erano più posti nei concorsi pubblici». Il suo mestiere ce l'aveva
scritto addosso il giorno della Vigilia: «Da docente precario a
docente subprecario». Il secondo è un termine che si è inventato
personalmente, per definire un grado di declassamento professionale
ancor peggiore di quello che viveva l'anno scorso, il precariato,
appunto. Questa situazione la descrive come «penosa», visti i tre
mesi di stipendi arretrati che gli deve lo Stato, il fatto che sia
fuori di 1.350 euro con la banca e che abbia dovuto, martedì,
vendere la macchina della moglie in attesa di un bonifico che il
ministero ha promesso per giovedì della prossima. Ha 50 anni. Dice
di venire da un passato di militanza per gli ultimi e
paradossalmente di trovarsi ora a dover militare per sé stesso. Da
ottobre a oggi, quale supplente precario al liceo Porta Romana di
Sesto, ha percepito solo 700 euro di tredicesima.
Antonio, perché si è travestito da Babbo Natale?
«Per una finalità del tutto simbolica. La barba bianca poi ce l'ho
già di mio, quindi è stato facile. Però sentivo di dovermi
sbloccare, non ne potevo più. È da ottobre che non ricevo lo
stipendio».
Lei è un supplente?
«Sì, insegno filosofia nel più grande liceo artistico della Toscana,
il Porta Romana di Sesto Fiorentino. Ho sei classi e 150 ragazzi. La
mia è una materia che suscita empatia e gli studenti mi conoscono.
Si preoccupano e mi chiedono: prof, ma ha ricevuto lo stipendio? E
io continuo a ripetere di no. Ho ricevuto solo la tredicesima: 700
euro».
Quanto guadagna di solito?
«Attualmente ho un part-time, quindi sono 1.200-1.300 euro al mese.
In passato sono arrivato a prenderne fino a 2.800. Capisce che è
difficile organizzarsi anche a medio termine, quando non si sa su
quanto denaro poter contare? Parliamo di contratti che durano tre
mesi. È il quarto anno che vado avanti così e non resta che sperare
nel rinnovo. Ma è tutto il sistema del precariato nell'insegnamento
che è sbagliato. L'algoritmo che assegna le posizioni, per esempio,
dà i numeri. Le faccio un esempio: io risulto supplente per una
cattedra assegnata a me stesso, fino all'agosto scorso. Insomma,
come se fossi stato supplente di me stesso».
Lei è di Foggia, com'è finito a insegnare a Firenze?
«Io e mia moglie abbiamo un figlio piccolo. A Foggia non riuscivamo
a guadagnare abbastanza per campare. Siamo venuti qui proprio perché
c'erano più posti disponibili nella graduatoria degli insegnanti. Ma
ora siamo davanti alla prospettiva di dover tornare a casa».
Come avete fatto a tirare avanti in questo periodo?
«Il viaggio a Foggia per le feste natalizie l'abbiamo preso il 25
perché era il treno più economico in assoluto. Martedì abbiamo
venduto la macchina di mia moglie. A Firenze paghiamo 830 euro
d'affitto e 350 per l'asilo del bambino. Abbiamo 1.350 euro di
debiti. Una situazione penosa».
Che cosa spera di ottenere con la sua protesta?
«Spero che il governo, il ministo dell'Istruzione e del merito, si
facciano avanti in qualche modo per dire che cosa intendono fare con
noi docenti precari. Vorrei che dicessero che per l'anno prossimo la
questione degli stipendi arretrati e dell'algoritmo sarà risolta.
Chiedo apertamente l'abolizione di questo algoritmo o almeno un
perfezionamento che arrivi in qualche modo a seguire i criteri della
democrazia. Io ho 50 anni. Ho un passato di militanza in Puglia per
i diritti dei migranti, i braccianti agricoli, la tutela dei
bambini. Ora mi trovo a militare per me stesso».
La rete Epstein simona siri
new york
Ottocento pagine, una lista di nomi citati, anche se spesso solo di
passaggio, che potrebbe essere quella del Met Ball - Bill Clinton,
il principe Andrea, Donald Trump, Michael Jackson, David
Copperfield, il governatore del New Mexico Bill Richardson, il
miliardario gestore Glenn Dubin, lo scout di modelle Jean-Luc Brunel,
l'informatico Marvin Minsky. Molte conferme, ma nessuna rivelazione
bomba. Sono queste le conclusioni che si possono trarre dalla
visione dei documenti giudiziari resi pubblici mercoledì e che
riguardano Jeffrey Epstein, il finanziere amico delle star morto
suicida in prigione nel 2019, dove si trovava in attesa del processo
per traffico sessuale. I documenti fanno parte della causa intentata
nel 2015 da una delle vittime, Virginia Giuffre, contro Ghislaine
Maxwell, ex fidanzata e braccio destro di Epstein, quella che aveva
il ruolo di procurare per lui minorenni e che è attualmente in
carcere a New York, condannata nel 2021 a 20 anni per traffico di
minori.
Giuffre è una delle dozzine di donne che hanno fatto causa a
Epstein: reclutata a 17 anni a Mar-a-Lago come massaggiatrice, ha
affermato di essere stata costretta a fare sesso con uomini
nell'orbita sociale del finanziere, in particolare con il principe
Andrea (che nel 2022 ha patteggiato evitando di andare a processo).
Sebbene gran parte delle informazioni erano già note, è la prima
volta che questi documenti - depositati presso un tribunale -
vengono resi noti attraverso il sistema legale, permettendo di
leggere direttamente le testimonianze sotto giuramento di Maxwell e
Giuffre. Insieme a loro c'è anche la deposizione di Johanna Sjoberg,
un'altra giovane finita nel giro, che ha raccontato di essere stata
toccata sul seno dal principe Andrea e di aver incontrato una volta
Michel Jackson e David Copperfield, ma di non averlo mai
massaggiato, e di non aver mai incontrato Leonardo DiCaprio (con cui
Epstein si vantava di parlare spesso al telefono), Cate Blanchett,
Bruce Willis o Cameron Diaz.
Le persone nominate nei documenti includono molte delle accusatrici
di Epstein, membri del suo staff che hanno raccontato le loro storie
ai giornali scandalistici, testimoni al processo contro Maxwell,
persone menzionate di sfuggita ma non accusate di nulla di osceno e
persone che hanno indagato su Epstein, tra cui pubblici ministeri,
un giornalista e un detective. Clinton e Trump sono entrambi
presenti nel fascicolo, in parte perché Giuffre è stata interrogata
dagli avvocati di Maxwell circa le inesattezze di alcuni articoli di
giornale. Una storia, ad esempio, raccontava che Giuffre aveva
viaggiato in elicottero sia con Clinton che con Trump, con cui
avrebbe flirtato. Nella testimonianza di Giuffre nessuna di queste
cose è realmente accaduta, così come viene smentita la presenza di
Clinton sull'isola caraibica privata di Epstein, sede di molti degli
abusi. A ben vedere, infatti, i documenti sono più interessanti per
quello che negano che per quello che confermano. Chi si aspettava
una qualche rivelazione bomba su i due ex presidenti è rimasto
deluso: Clinton è oggetto di una discussione sulla credibilità di
una testimone, mentre il nome di Trump appare in un documento in cui
Epstein viene citato dicendo che avrebbe invitato l'allora magnate a
unirsi a lui in uno dei suoi casinò. In un altro documento, una
testimone afferma che non le è mai stato chiesto di avere rapporti
sessuali con Trump. Nella trascrizione di una deposizione del 2016
una vittima riporta queste parole di Epstein: «ha detto che a
Clinton piacciono giovani, riferendosi alle ragazze». In una mail di
Epstein a Maxwell del 2015, si fa riferimento alla infondatezza del
pettegolezzo circa un'orgia con minori cui avrebbe partecipato il
fisico Stephen Hawking, fotografato sull'isola nel 2006 in occasione
di una conferenza scientifica finanziata da Epstein sulla vicina
isola di St Thomas .
Chi manca del tutto è Jimmy Kimmel. Il giorno prima il giocatore di
football dei New York Jets Aaron Rodgers aveva detto che il nome del
presentatore sarebbe stato tra quelli rivelati. Kimmel, amico
personale del cuoco di Epstein, ha risposto di non aver mai
«incontrato, volato, visitato o avuto alcun contatto con Epstein, né
troverai il mio nome in nessuna "lista" diversa dalle sciocchezze
chiaramente fasulle che i pazzi dal cervello tenero come te non
sembrano distinguere dalla realtà». I due, ora, se la vedranno in
tribunale. —
04.01.24
04 gennaio 2024 ore 16:40
La Cassazione e il Tribunale di Milano riaprono la disputa sull'eredità
Agnelli dopo le inchieste di Report
Due sentenze riaprono la disputa sull’eredità di Gianni Agnelli.
Il gip di Milano ha disposto la riapertura delle indagini sulla
sparizione di 13 opere d’arte (tra cui capolavori assoluti di
artisti come Picasso e
Monet) dalle case dell’Avvocato dopo la morte di Marella Caracciolo.
Questo patrimonio artistico, come raccontato da Report, doveva
essere segnalato dal ministero della Cultura e portarlo senza
autorizzazione
fuori dall’Italia è un reato punibile con il carcere.
La Corte di Cassazione poi ha disposto che il Tribunale civile di
Torino motivi meglio il suo stop al processo sulla contesa tra
Margherita
Agnelli e i tre figli John, Lapo e Ginevra Elkann: i giudici
torinesi avevano deciso di attendere l’esito di tre procedimenti
analoghi in
Svizzera, la Cassazione ha chiesto di motivare maggiormente.
Nella causa davanti i giudici torinesi è in ballo un patrimonio
miliardario e il controllo della galassia societaria Agnelli, da
Stellantis a
Ferrari, la Juventus, fino ai quotidiani La Repubblica e La Stampa.
Si riapre quindi l’inchiesta della procura di Milano sulle opere
sparite della collezione di Gianni Agnelli.
Lo ha disposto lo scorso dicembre la giudice Lidia Castellucci, che
ha chiesto al pm Eugenio Fusco di proseguire le indagini sulla
scomparsa
di molte opere contese tra Margherita Agnelli e i figli John, Lapo e
Ginevra Elkann, dopo la morte dell’Avvocato e della moglie Marella
Caracciolo.
Si tratta di opere di inestimabile valore di Picasso, Bacon, Monet,
De Chirico, Balthus, Gérome e Balla: molte di queste - come
raccontato
negli scorsi mesi da Report - dovevano essere tutelate dal ministero
della Cultura con un vincolo, tracciandone la posizione e
l’eventuale
uscita dal territorio nazionale.
Per questo motivo, la giudice di Milano ha dato sei mesi ai
magistrati di verificare le movimentazioni dei quadri «consultando
tutte le banche
dati tenute presso i competenti uffici, compresi quella del
ministero della Cultura e la piattaforma Sistemi Uffici
Esportazione».
Proprio quello che aveva provato a fare Report la scorsa estate con
un accesso agli atti, senza successo al momento: i tre fratelli
Elkann
hanno fatto ricorso al Tar del Lazio, dopo che il ministero guidato
da Gennaro Sangiuliano aveva dato il via libera.
Il tribunale amministrativo ha dato però ragione agli eredi degli
Agnelli, dando maggiore risalto alle «ragioni di riservatezza e
sicurezza degli
Elkann» piuttosto che a «l’interesse pubblico».
Esportare opere d’arte sotto tutela o che dovrebbero esserlo senza
autorizzazione del ministero è un reato punibile con una pena da 1 a
4 anni,
una multa di 80mila euro, e la confisca dell’opera stessa: anche per
questo è importante conoscere la collocazione esatta delle opere e
se sono
ancora in Italia o meno, non solo per sapere del destino di un bene
tutelato dalla Costituzione, anche se di proprietà di un privato,
chiunque
esso sia.
Il gip ha poi chiesto al pm di domandare a due testimoni mai
sentite, le governanti di fiducia di Marella Caracciolo, se
ricordino le opere
d’arte presenti nelle case al momento dei traslochi.
Dalle testimonianze raccolte nell’inchiesta “Compra l’arte e mettila
da parte” di Manuele Bonaccorsi e Federico Marconi, “La melanconia
di
una strada” di Giorgio De Chirico sarebbe stata portata in Svizzera
nei giorni dei traslochi.
Ora spetterà alla procura di Milano fare ulteriore chiarezza sulla
vicenda.
La Corte di Cassazione, sempre a inizio dicembre, ha disposto che il
Tribunale di Torino motivi meglio le sue decisioni sulla contesa
ereditaria che vede coinvolti Margherita e i figli Elkann.
Al centro della disputa, come raccontato da Report nell’inchiesta
“La signora degli Agnelli”, c’è il controllo delle quote della
Dicembre:
società che a cascata controlla tutto l’impero creato da Gianni
Agnelli e ora guidato da John Elkann.
Sulla vicenda pesa la definizione della residenza abituale della
signora Caracciolo: sarebbe stata in Svizzera secondo i documenti,
ma la
ricostruzione e le testimonianza raccolte gettavano forti ombre su
questo.
Stabilire che l’eredità Agnelli-Caracciolo debba essere in Italia,
invece che in Svizzera, permetterebbe al nostro paese di intascare
centinaia
di milioni di euro di imposte di successione non pagate.
03.01.24
IL NUOVO
CODICE DELLA STRADA BY SALVINI INTERVERRA' ?
Carmagnola, La Loggia e Carignano incassano
oltre un milione all'anno ciascuno solo in multe Altrettanti finiscono
nelle casse di Città metropolitana, ma i sindaci non sono tutti
soddisfatti
Autovelox, una miniera d'oro per i comuni della provinciale
massimiliano rambaldi
La «via dell'oro», intesa come incasso da autovelox, coincide con la
provinciale 20 che da Moncalieri arriva fino a Carmagnola. Ogni anno,
tra i dispositivi di controllo di La Loggia, Carignano e Carmagnola,
Città Metropolitana incassa tra il milione e mezzo e i due milioni di
euro: ossia la metà dell'importo totale. L'altro 50% resta in cassa dei
Comuni. Certo c'è chi non paga e infatti in questi mesi sono partite
diverse cartelle esattoriali per recuperare il dovuto. Insomma, i soldi
prima o dopo arrivano e che finiscono tutti, almeno secondo normativa,
in progetti relativi alla sicurezza stradale. Ma c'è qualche sindaco che
non è molto soddisfatto di come quei soldi ritornino sul proprio
territorio.
Giorgio Albertino è il primo cittadino di Carignano. Il suo velox,
sistemato sulla provinciale proprio di fronte alla diramazione per
Villastellone, cuba un milioncino di euro all'anno. Altissima la
morosità: basti pensare che prima di Natale sono partite 4mila cartelle
per recuperare qualcosa come un milione e 700 mila euro di multe non
pagate da codice della strada, datate 2020. Il 95% sono di
quell'autovelox. Nel 2020 i verbali erano di gran lunga di più di quelli
di oggi su tutta la provinciale. Per fare un esempio, si è passati dai
33 mila casi registrati a Carmagnola nel 2020 ai 20 mila del 2022 e 7
mila nel primo semestre 2023. Quindi di soldi ne sono arrivati parecchi,
in generale.
Albertino da anni chiede la messa in sicurezza della provinciale 661
all'altezza di borgata Campagnino e della 122 che collega il suo Comune
a Villastellone: «Abbiamo proposto il progetto di due rotatorie, anche
con fondi nostri. Tutti i tentativi sono andati a vuoto, peccato: ci
piacerebbe che si prendesse consapevolezza dei nostri problemi di
sicurezza. Per la rotonda sulla 122 ci siamo sentiti rispondere che la
carreggiata era troppo piccola: ricordo che lì, nel tempo, non sono
mancati gli incidenti mortali». La strada in questione è più simile ad
una pista di decollo di aerei: oltre due chilometri e mezzo di
rettilineo secco e senza qualcosa che faccia rallentare. Bisogna
arrivare al ponte sul Po da una parte e al cavalcavia in prossimità
della provinciale 393 dall'altra, per moderare la velocità.
Anche a La Loggia il sindaco Domenico Romano aveva chiesto che il tratto
della provinciale 20 dopo la circonvallazione, nella porzione verso
Carignano, venisse messo in sicurezza dopo i gravi incidenti capitati.
Anche lì non si è fatto nulla. Il calo dei verbali lascia comunque
intendere che gli automobilisti sono più attenti. —
02.01.24
L'ASSALTO ALLA DILIGENZA NON CAMBIA :
Una mancia per tutti e tre, Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia.
Ma polverizzata, una “mancetta”: perché quest’anno le risorse
portate in dote dalla manovra sono state pochissime. I territori, la
linfa del consenso politico per i parlamentari, sono invece tanti. E
così i senatori della maggioranza (i deputati non hanno toccato
palla) non si sono scoraggiati. Al contrario hanno provato ad
accontentare il maggior numero possibile di richieste.
Che il lucchetto alla Finanziaria, voluto in origine dalla premier
Giorgia Meloni e dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti,
alla fine sia stato un po’ allentato era già emerso negli scorsi
giorni, quando sono comparse le prime “mancette” finanziate con i 60
milioni del “tesoretto” destinato proprio alle modifiche
parlamentari, veicolate dagli emendamenti dei relatori (alle
opposizioni sono andati 40 milioni, tutti impiegati in misure per la
lotta alla violenza contro le donne).
Ma ora che la manovra è legge, dopo il via libera definitivo di
Montecitorio, il quadro è completo: ha la forma di uno spin-off, di
una legge mancia in versione mini che è ben dettagliata negli ordini
del giorno accolti.
[…] In tutto, per la mancia tripartita, ci sono circa 20 milioni. Un
terzo, quindi, delle risorse che i partiti che sostengono il governo
avevano a disposizione. Sono 72, in tutto, le voci della mancia: 40
in capo a Forza Italia, 28 al Carroccio, 4 a Fratelli d’Italia. Non
per questo il partito della presidente del Consiglio ha avuto meno
soldi da spendere rispetto agli alleati, ma la tripartizione prende
in considerazione solo le micromisure.
Fuori da questo perimetro, FdI ha speso altri 30 milioni per
interventi destinati all’agricoltura e alla cultura, facendo
soprattutto felice uno dei ministri di partito: il titolare delle
Politiche agricole Francesco Lollobrigida. Mentre la Lega ha
concentrato circa 15 milioni sulla proroga di due mesi, fino a fine
febbraio, dell’Iva al 10% per le compravendite di pellet; gli
“azzurri” invece hanno incassato risorse di parte corrente e in
conto capitale, per micro investimenti, spalmate su più anni.
Il totale, sommando tutte le misure, fa circa 60 milioni. Ma dove
finiranno i circa 20 milioni fatti confluire nelle 72 mancette? Il
menù più stravagante è quello di FI. Soprattutto nella parte
riservata alla spesa “fresca”, quella di parte corrente.
A Osopio Sopra, cinquemila anime in provincia di Bergamo, gli spazi
per i dibattiti pubblici sono evidentemente troppo piccoli: per
questo l’anno prossimo arriveranno 200 mila euro per una struttura
polifunzionale dove si svolgeranno le riunioni del Consiglio
comunale e assemblee con i cittadini.
E a Fondi, in provincia di Latina, si va sulla fiducia per generiche
“attività di interesse culturali” che potranno contare su 800 mila
euro, in due tranche: la prima nel 2025, la seconda l’anno
successivo. Grande attenzione per la cittadina laziale perché potrà
spendere anche 400 mila euro per “la riqualificazione e la
realizzazione di aree verdi attrezzate ad uso pubblico”. […]
Lunga, la lista delle mancette della maggioranza. Ci sono 400 mila
euro per restaurare il Tempio Ossario di Bassano del Grappa, in
provincia di Vicenza, ma anche 200 mila euro per rifare gli
spogliatoi e i bagni pubblici del campo sportivo “Sante Tonello” di
Barbeano a Spilimbergo, in Friuli- Venezia Giulia. E 250 mila euro
per “interventi di omologazione e manutenzione straordinaria” per
due campi da baseball a Piacenza. Il lucchetto alla manovra si è
allentato ancora un po’.
IL BUON SENSO NON E' UMANO : Negli elenchi delle vittime di
capodanno non c'è Tornado, il cavallo irlandese che è morto
spaventato dai botti. Non c'è neanche la cagnolina rimasta soffocata
fra le maglie di una recinzione mentre scappava da quella bolgia di
scintille e spari che scoppiavano sulla sua testa. L'ha uccisa una
festa. Ma gli animali non fanno testo. Non c'è posto per loro dentro
ai numeri del Viminale che raccontano le cronache della guerra di
San Silvestro, una baldoria di fuochi e petardi che spaccano il
cielo della notte: 274 feriti, 64 minorenni, anche un bambino di sei
anni. Dodici sono dovuti all'uso di armi da fuoco e 262 ai
mortaretti. Quelli gravi sono 25 (nel 2023 erno 10). Una donna
morta, madre di due figli, presa alla testa da un colpo vagante. Il
55 per cento in più dell'anno scorso, quando negli ospedali finirono
in 180. Son aumentati pure gli incendi provocato dai fuochi
d'artificio: 703 contro 646. Ci sono proclami e divieti ogni volta,
ma nessuno ferma questa follia. Anche a Buttigliera Alta, alle porte
di Torino, ai piedi della Val di Susa, dove è morto Tornado, è
successa la stessa cosa. Carolina Verardo racconta che «da
mezzanotte qui in paese sembrava di essere in guerra. Nonostante
l'ordinanza comunale che vietava l'uso dei fuochi d'artificio,
queste esplosioni, questi rumori che spaccavano le orecchie, sono
continuati per almeno due ore. E dopo uno di questi botti, Tornado
si è imbizzarrito. Ha fatto un balzo, poi un altro, è caduto male e
si è rotto una gamba». Quando è arrivato il veterinario, ha fatto
come fanno nei film, gli ha guardato il dolore negli occhi, gli ha
accarezzato il collo e poi gli ha fatto una puntura per sedarlo. Ma
non c'era più niente da fare, ha detto rialzandosi sopra di lui. La
frattura era scomposta e non era curabile, bisognava sopprimerlo.
Tornado l'ha ucciso una festa. Ma lui è morto per non uccidere uno
dei due pony che gli erano accanto nella scuderia. Dentro al recinto
c'erano il cavallo irlandese, due pony e una maialina, gli animali
della fattoria nel bed & breakfast di Carolina Verardo, che durante
le vacanze portano a spasso i clienti sulle pendici e nei boschi
attorno. Nella notte di capodanno, dopo un po' che continuavano i
botti, Tornado ha cominciato ad agitarsi. Girava il muso, roteava
gli occhi e le narici gli fumavano come ciminiere. Ma quando ha
scrollato la testa e ha fatto uno scarto all'improvviso, come se
volesse saltare in alto o scalciare con gli zoccoli posteriori, ha
spostato il corpo cadendo male per terra, in un movimento illogico.
Invece non voleva colpire il pony che era accanto a lui. Gli animali
fanno cose che facciamo anche noi, ma che a volte ci dimentichiamo.
Tornado era un cavallo elegante, di pelo chiaro, che quando portava
in giro qualcuno avanzava sulle falde alle prime pendici della
montagna, rizzando le orecchie al volo improvviso di piccoli uccelli
invernali e tenendo alto il muso tra sbuffi di fiato. Doveva essere
un signore, a modo suo. Comunque, è morto così, proprio come un
signore.
La vertà è che non tutti si divertono a Capodanno. E Tornado non è
l'unica vittima di questo tipo. Secondo l'Associazione italiana di
difesa degli aninmali e dell'ambiente sono 400 i cani e i gatti
morti durante i festeggiamenti nel corso del 2023 e centinaia quelli
scappati di cui non si sa più nulla: «Si tratta di un dato peggiore
rispetto a quello dello scorso anno. La maggior parte di loro muore
di crepacuorea». Per Elisabetta Erba, etologa del Wwf, i numeri sono
anche assai più gravi: «Solo a capodanno in Italia muoiono 5mila
animali a causa dei botti». Non succede, comunque, solo in Italia.
Anche in Galles è morto un cavallo, che si chiamava Solo. Fiona
Hohmann ha raccontato che è stato preso dal panico quando ha sentito
i botti e s'è messo a correre come un pazzo lì intorno, tra i pioppi
raggruppati sull'ansa del fiume, con i rami ossuti che si stagliano
sullo sfondo e il vento freddo che scende dal Nord, fino a quando il
cuore si è fermato. Anche i botti erano finiti. Il suo vecchio cuore
non lo poteva sapere. E pure in Belgio una giumenta è morta di paura
per i fuochi di artificio, a Hoeselt, una provincia fiamminga del
Limburgo. Elke Vandersanden ha detto che odiava i botti, «perché per
loro è come se vivessero l'esperienza di trovarsi sotto un
bombardamento in tempo di guerra. Lo sapevamo che li pativa». E
allora l'hanno messa in una stalla e con un altro cavallo, il suo
compagno, che gli stava accanto nel disperato tentativo di
proteggerla. Il suo cuore non ha retto lo stesso. La foto che la
ritrae accasciata per terra, con lo stallone che si china su di lei
come se volesse darle l'ultimo bacio, è diventata virale e ha fatto
il giro del mondo. Se pensiamo di essere tanto diversi da loro, che
gli animali non abbiano i nostri sentimenti, forse, guardandola,
dovremmo ricrederci. E faremmo bene a ricrederci su un mucchio di
cose. Anche sulle feste a suon di botti. Magari servirebbe conoscere
qualche storia dei feriti, il ragazzo a Foggia di 17 anni che ha
perso una mano, come quello di 15 a Grosseto, il bambino di 6
ustionato. Siamo sicuri che non abbiano ragione i cavalli? Che
questa non è più una festa?
01.01.24
UN ESEMPIO CHE L'ITALIA NON SEGUE PER PERMETTERE DI RUBARE NELL
RICOSTRUZIONE DA TERREMOTI:
Una scossa forte, lunga, quasi interminabile. Poi un messaggio in
caratteri cubitali giallo fosforescente sulle televisioni accese sui
programmi di Capodanno: «Tsunami! Evacuare!». Subito il ricordo del
disastro di Fukushima dell'11 marzo 2011. E poi il pensiero alle
tante centrali nucleari ancora attive, sei con 22 reattori non
lontane dall'epicentro del terremoto. Il Giappone è entrato così nel
2024, tremando per il sisma di magnitudo 7.6 che ha scosso tutta
Honshu, la principale isola dell'arcipelago su cui si trova anche
Tokyo. La capitale dista circa 500 chilometri dall'epicentro, la
penisola di Noto sulla costa occidentale, ma anche lì gli edifici
hanno tremato.
Ma ieri, a notte fonda, la sensazione era quella dello scampato
pericolo. Tanto che viene da chiedersi come si sia riusciti a
reggere l'urto di un terremoto che ha causato la prima massima
allerta tsunami proprio da quel maledetto 11 marzo 2011. Il rischio
atteso era quello di onde alte fino a cinque metri, tanto da portare
all'allerta anche Russia, Corea del Nord e Corea del Sud. Per la
penisola di Noto era il terremoto più forte mai registrato dal 1885,
e l'allarme è scattato subito. «Le vostre vite sono importanti,
mettetevi al riparo», recitavano i messaggi trasmessi sulle tv. Il
servizio ferroviario di buona parte della costa occidentale veniva
interrotto, chiusi diversi rami autostradali. Oltre 32 mila
abitazioni restavano senza corrente. A circa 97 mila è stata
ordinata l'evacuazione. Migliaia hanno trascorso la notte in rifugi,
compresa una base militare dell'aeronautica. In tarda serata
l'allerta è stata abbassata di grado una prima volta, poi una
seconda con il rischio tsunami definito «ampiamente scongiurato». Le
onde più alte sono arrivate a soli 1,2 metri.
Ai residenti evacuati viene comunque chiesto di restare al riparo,
anche perché l'agenzia meteorologica prevede forti scosse di
assestamento nei prossimi giorni. Già ieri, poco prima della
mezzanotte, ce n'è stata una di magnitudo 4.2.
Non tutti troveranno la propria casa in piedi. A Wajima è esploso un
vasto incendio, decine di edifici crollano tra le fiamme. La polizia
accerta almeno sei morti, ma ci sarebbero altre persone ancora
intrappolate tra le macerie. Diversi i feriti, trasportati in
ospedale dopo essere caduti o essere stati colpiti da oggetti
vaganti. Il bilancio è per forza di cose ancora provvisorio, anche
perché ieri le operazioni di soccorso sono state ostacolate dal
buio. Circa mille soldati sono stati subito mandati nella prefettura
di Ishikawa, altri 8500 sono pronti a essere mobilitati. Sui social
sono centinaia i video che mostrano edifici crollati o persone
cercare di mettersi al riparo, rannicchiate nei supermercati o nelle
stazioni ferroviarie.
Il premier Fumio Kishida, memore delle conseguenze politiche del
disastro del 2011, è apparso più volte in tv per chiedere ai
giapponesi di mettersi al riparo e restare cauti. La preoccupazione
principale è quella legata alle centrali nucleari, anche perché il
terremoto giunge in un momento politicamente delicato. Nonostante la
forte opposizione agli impianti seguita al disastro che nel 2011
causò quasi 20 mila morti, il governo Kishida ha riaffermato
l'impegno sull'energia nucleare. Proprio la scorsa settimana è stato
revocato il blocco alla centrale Kashiwazaki-Kariwa, la centrale più
grande del mondo, non operativa negli ultimi 12 anni.
L'Autorità giapponese per la regolamentazione nucleare ha dichiarato
che non sono state segnalate irregolarità nelle centrali dislocate
lungo il mar del Giappone, compresi i cinque reattori attivi degli
impianti di Ohi e Takahama della Kansai Electric Power. L'impianto
Shika di Hokuriku, il più vicino all'epicentro, aveva già fermato i
suoi due reattori prima del sisma e non ha risentito del terremoto.
Quando comincia la seconda notte del 2024, il Giappone inizia a
sperare che sia stato "solo" un grande spavento.
Arbore
ha distrutto tutto"
I settant'anni della televisione sono, per Nino Frassica, un salto
nel passato. Un bel salto tra umori e sensazioni che non esistono
più, una sorta di suggestione alla Nuovo Cinema Paradiso, schermo
acceso, tante chiacchiere e risate. Anche qui lo scenario è
siciliano, paese piccolo, tutti ne parlano.
Frassica qual è il suo primo ricordo della tv?
«In paese mio zio era l'unico a possedere una televisione, dunque la
sera si andava tutti da lui, circa una trentina, quanti ne potevano
entrare. Mio zio però era tirchio e considerava il Carosello come
tempo perso, energia elettrica sprecata. Così si era fatto un
calcolo, spegneva dopo il tg e riaccendeva per la prima serata, era
diventato precisissimo».
E voi?
«Noi aspettavamo, io mi divertivo moltissimo soprattutto ai
commenti, perché non esisteva guardare un programma in silenzio. Si
parlava in dialetto, si interagiva con i protagonisti al di là dello
schermo, spesso partivano insulti. Come si stesse al teatro dei pupi
o al cinema».
Il suo primo ricordo da interno tv?
«"Quelli della notte". Prima la gavetta nelle tv private, ma lì
sentii di avere finalmente fatto il salto, la prima trasmissione
della Rai e ancora non sapevo che contemporaneamente stavamo
rivoluzionando il modo di concepire la televisione. Nasceva con noi
seduti sui divani, sera dopo sera, la modernità».
Come vi sentivate?
«Emozionati, mai preoccupati. Eravamo un gruppo, tutti amici, questo
ci aiutava moltissimo. Mettevamo su uno spettacolo molto diverso dal
classico varietà. Renzo Arbore sapeva fare squadra, notte dopo notte
dava corpo alla festa. Improvvisamente il presentatore paludato e le
vallette erano roba vecchia».
Un successo epocale...
«Arbore poi mi premiò con "Indietro Tutta" che questa volta non mi
vedeva in un contesto corale ma da protagonista, il bravo
presentatore. Abbiamo subito capito, anche questa volta, che
funzionava ma non era più un fenomeno a sé, Renzo aveva colpito
ancora una volta».
Le manca qualcosa di allora?
«I tempi giusti, quelli comodi che rimpiango. Allora ebbi questa
fortuna. Per i comici di oggi è complicato, se cedi per un attimo
sai che in agguato c'è il telecomando. Io mi sono adeguato, da Fabio
Fazio ci metto dentro settanta cose per non perdere mai il ritmo».
Non succede solo per i comici?
«Per noi è più dura. Prendiamo i talk. Cento ospiti a puntata
parlano pochi secondi e si cambia. È un nuovo linguaggio, veloce. I
primi a dare questo slancio furono quelli di Italia1, la tv dei
giovani. Arbore ci dava la possibilità di esprimerci e da musicista
aveva l'orecchio per capire quando sterzare. Chissà se oggi un
Walter Chiari avrebbe ancora la possibilità di far durare una
barzelletta 20 minuti».
E quale televisione ricorda con maggiore nostalgia?
«Mi piacevano molto i gialli, Maigret di Gino Cervi, Nero Wolf di
Tino Buazzelli, il Tenente Sheridan di Ubaldo Lay. Ma se le rivedi
adesso, sembrano telenovela brasiliane, lentissimi e con i mezzi
tecnici di allora. Adesso tutto è migliorato».
I difetti dei giorni nostri?
«Prendiamo i varietà, sono troppo lunghi. In quattro ore dilati, ti
accontenti pur di arrivare a coprire tutto il tempo a disposizione.
Bravissimo Fiorello che da uomo intelligente ha capito e fa della
brevità un altro valore della sua trasmissione. Purtroppo adesso
tutto è legato ai soldi e allo share. Se allunghi hai risparmiato
sulla seconda serata e se arrivi oltre la concorrenza, guadagni in
ascolti. Oramai tutte le tv fanno questo giochetto perché tutte
vogliono diventare generaliste».
Mercoledì è prevista una serata evento condotta da Carlo Conti, un
omaggio al mitico «Rischia Tutto». C'è anche lei giusto?
«Sì, ci sono tre coppie, io con Chiambretti, Loretta Goggi con Luca
Argentero e Venier-Matano. Senza spoilerare le posso dire che vinco
io».
Tra i personaggi della tv, chi le piace di più lasciando fuori
Arbore perché sarebbe una risposta scontata?
«Fazio perché studia molto oltre ad avere un talento naturale. Da
spettatore Mario Riva, Baudo. Ma quando arrivò Arbore si capì che
tutto era cambiato. Tortora, Corrado, Bongiorno erano bravissimi ma
non erano originali. Villaggio che insultava il pubblico lo era, i
surreali Cochi e Renato lo erano. E soppiantarono il quartetto d'oro
dei presentatori. La prevedibilità dei bravissimi non mi diverte.
Falqui era un grandissimo, i suoi show erano perfetti ma non
conosceva il fascino del disordine»
ESCLUSIONE COSTITUZIONE DI PARTE
CIVILE , COME AZIONISTA ATLANTIA, NEL PROCESSO A CARICO DI CASTELLUCCI
PER IL CROLLO DEL PONTE MORANDI
Diritti degli azionisti
La Direttiva
2007/36/EC stabilisce diritti minimi per gli azionisti delle societa'
quotate in Unione Europea. Tale Direttiva stabilisce all'Articolo 9 il
diritto degli azionisti a porre domande connesse ai punti all'ordine del
giorno dell'assemblea e a ricevere risposte dalle societa' ai quesiti
posti.
Considerando le
difficolta' che spesso si incontrano nel proporre domande e nel ricevere
risposte in tempo utile, in particolare per quanto riguarda gli
azionisti individuali impossibilitati a partecipare alla assemblea, e
considerando che talvolta vi e' poca chiarezza sulle modalita' da
seguire per porre domande alle societa',
Ritiene la
Commissione:
che il diritto
degli azionisti a formulare domande e ricevere risposte sia
adeguatamente garantito all'interno dell'Unione Europea?
che la
possibilita' di porre domande e ottenere risposte solo nel caso
l'azionista sia fisicamente presente nell'assemblea sia compatibile con
la Direttiva 2007/36/EC?
In che modo la Commissione ritiene che le societa' quotate debbano
definire e comunicare le modalita' per porre domande da parte degli
azionisti, in modo da assicurare che tale diritto sia rispettato
appieno? Sergio Cofferati
IL MIO LIBRO "L'USO
DELLA TABELLA MB nei CASI DI PIANI INDUSTRIALI: FIAT,
TELECOMITALIA ED ALTRI..." che doveva essere pubblicato da
LIBRAMI-NOVARA nel 2004, e' ora disponibile liberamente
Tweet to @marcobava
In data 3103.14 nel corso dell'assemblea Fiat il presidente J.Elkann
mi fa fatto allontanare dalla stessa dalla DIGOS impedendomi il voto
eccone la prova:
Sentenze
1)
IL 21.12.12 alle ore 09.00 nel TRIBUNALE TORINO
aula 80 C'E' STATA LA SENTENZA DI ASSOLUZIONE PER LA
QUERELA DELLA FIAT, PER QUANTO DETTO nell'ASSEMBLEA
FIAT 2008 .UN TENTATIVO DI IMBAVAGLIARMI, AL FINE DI VEDERE COME
DIFENDO I MIEI DIRITTI E DI TUTTI GLI AZIONISTI DI MINORANZA
NELLE ASSEMBLEE .
Mb
il 24.11.14 alle ore
1200 si tenuto al TRIBUNALE DI TORINO aula 50 ingresso 19 l'udienza
finale del mio processo d'appello in seguito alla querela di Fiat per
aver detto il 27.03.2008 all'assemblea FIAT che ritengo "Marchionne
un'illusionista temerario e spavaldo" e che "la sicurezza Fiat e'
responsabile della morte di Edoardo Agnelli per omessa vigilanza". In 1°
grado ero stato assolto anche in 2° e nuovamente sia FIAT che PG hanno
impugnato per ricorso in Cassazione che mi ha negato la libertà di
opinione con una sentenza del 14.09.15.
SOTTO POTETE TROVARE LA
DOCUMENTAZIONE
2) il 21
FEBBRAIO 2013 GS-GABETTI sono stati condannati per
agiotaggio informativo.
SENTENZA DELLA CASSAZIONE SULL'ERRORE DEL TRIBUNALE DI TORINO
NELL'ASSOLVERE GABETTI E GRANDE STEVENS
Come parti civili si erano costituite la Consob e due piccoli
azionisti, tra cuiMarco Bava,
noto per il suo attivismo in molte assemblee. "Non so...
SU INTERNET IL LIBRO DI GIGI MONCALVO SULL'OMICIDIO DI
EDOARDO AGNELLI
Edoardo, un Agnelli da dimenticare
Marco Bernardini non ha le prove del suicidio io ho molte prove
dell'omicidio che sono state illustrate in 5 libri di cui l'ultimo e'
l'ultimo di Puppo :
Sarà operativa dal 9
gennaio la nuova piattaforma per la risoluzione alternativa delle
controversie online messa in campo dalla Commissione europea. Gli
organismi di risoluzione alternativa delle controversie (Adr) notificati
dagli Stati membri potranno accreditarsi immediatamente, mentre
consumatori e professionisti potranno accedere alla piattaforma a
partire dal 15 febbraio 2016, all'indirizzo
Le telecomunicazioni sono un
asset strategico per la crescita e lo sviluppo sostenibile del Paese. La
disponibilità di una infrastruttura di telecomunicazioni performante è
determinante ai fini della competitività. È dunque essenziale essere
informati su quello che sta accadendo nel settore anche per capire in
che direzione sta andando il Paese.
Ecco una lista delle fonti più affidabili.
Mimit: il ministero per le Imprese e Made in Italy è diviso in sezioni.
La sezione “Comunicazioni” è organizzata in due sotto-sezioni: una
dedicata alla banda ultralarga dove è possibile accedere al catasto
delle infrastrutture e al portale bandaultralarga.italia.it dove è
possibile monitorare lo stato dei lavori. L’altra sezione è dedicata a
Internet con tutte le info relative all’Internet governance, la
sicurezza informatica, le autorizzazioni ai provider e la normativa
sull’accessibilità. Nella sezione Media disponibili gli ultimi annunci e
azioni del ministero per accelerare sulla diffusione della connettività
in Italia.
Infratel: la società di Invitalia è impegnata in interventi di
infrastrutturazione del Paese, per il superamento del digital divide e
l’abilitazione alla diffusione di servizi di connettività avanzati. Si
può accedere alla Data Room, lo spazio online progettato per condividere
i dati che sono alla base degli interventi di infrastrutturazione
digitale su tutto il territorio nazionale. Inoltre è presente il link al
portale del piano nazionale banda ultralarga per monitorare lo stato dei
lavori e aanche quello del progetto “Wifi Italia”.
Corecom: i Comitati regionali per le comunicazioni sono gli organi
funzionali di Agcom sul territorio. Sui portali regionali attività,
stato dell’arte sulla diffusione delle reti e ricerche.
FONTI ISTITUZIONALI EUROPEE E INTERNAZIONALI
Dg Connect: è la direzione della Commissione europea per le Reti di
comunicazione dove è possibile trovare tutto il programma di lavoro
della Commissione, i piani strategici e di gestione e infine le
relazioni annuali delle attività con i risultati e risorse utilizzate
dalla direzione anno per anno.
Etsi: lo European Telecommunications Standards Institute è un organismo
internazionale, indipendente e senza fini di lucro, responsabile della
definizione e dell’emissione di standard nel campo delle Tlc in Europa.
Tutti gli standard sono disponibili online.
Itu: l’International Communication Union è l’agenzia Onu per le
telecomunicazioni. Il portale istituzionale elenca e approfondisce le
azioni strategiche che l’ente sta mettendo in campo per ridurre il
digital divide in tutto il mondo e una serie di interviste ad esperti e
membri dell’Agenzia stessa sulle strategie da adottare per un mondo più
connesso.
LE ASSOCIAZIONI ITALIANE
Asstel: l’associazione che raccoglie le grandi telco italiane a
disposizione notizie sulle attività, le legislazioni di riferimento del
settore e lo stato dell’arte sul mondo del lavoro e sulle relazioni
industriali.
Aiip: l’associazione italiana internet provider raccoglie le telco medie
e piccole. Sul portale è possibile accedere ai contenuti sulle attività
dell’organizzazione e degli associati e sul ruolo delle Pmi del settore
per uno sviluppo sostenibile del settore.
Assoprovider: l’associazione rappresenta gli internet service provider.
Online sul portale una serie di contenuti su attività, legislazione e
strategie.
Quadrato della Radio: raccoglie manager, esperti e ricercatori che
“studiano” l’evoluzione delle Tlc in Italia e nel mondo. Sul sito
disponibili tutte le attività e le ricerche.
LE ASSOCIAZIONI INTERNAZIONALI
Etno: l’European Telecommunications Network Operators’ Association
raccoglie le telco europee. Il sito fornisce aggiornamenti sulle ultime
notizie e comunicati stampa relativi alle attività di Etno e
all’industria delle telecomunicazioni in generale nonché una serie di
documenti, rapporti e pubblicazioni su argomenti chiave per l’industria
delle telecomunicazioni.
Ecta: la European Competitive Telecommunications Association raccoglie
gli operatori alternativi, compresi gli Mnvo. Su sito le informazioni
sull’associazione, comprese le posizioni e le advocacy rispetto ai temi
che riguardano gli operatori concorrenti in Europa. Disponibili anche
report, analisi e informazioni sulle tendenze del settore.
Ftth Council Europe: è un’organizzazione senza scopo di lucro che
rappresenta gli operatori di rete a banda larga in fibra ottica in
Europa. Sul portale sono disponibili informazioni sui vantaggi della
tecnologia Ftth, report e analisi sugli impatti economici e sociali
della fibra su economia e società e risorse tecniche e informative per
aiutare le telco nella pianificazione e nella realizzazione di reti
Ftth.
Gsma: la Global System for Mobile Communications Association, è
un’organizzazione internazionale che rappresenta gli operatori di Tlc
mobili di tutto il mondo. Disponibili notizie e aggiornamenti sulle
ultime tendenze, innovazioni e sviluppi nel settore delle
telecomunicazioni mobili e anche analisi e studi di mercato. Online
anche risorse e best practice per gli operatori di telefonia mobile,
come linee guida operative, documenti tecnici, standard e regolamenti.
TESTATE E PORTALI ONLINE
CorCom: testata del Gruppo Digital360, è il più importante quotidiano
online italiano che si occupa di tematiche inerenti le Tlc. Sono
disponibili news, approfondimenti e interviste ai protagonisti del
settore che raccontano come sta evolvendo il mondo delle Tlc e l’impatto
su economia e società. Ogni giorno è inviata una newsletter con le
notizie più rilevanti.
Techflix360: è il nuovo centro di risorse del Gruppo Digital360. Un vero
e proprio “knowledge hub” sull’innovazione digitale e le
telecomunicazioni che consente di approfondire gli argomenti di
interesse attraverso white paper, webcast, eBook, infografiche, webinar.
Telecompaper: fornisce notizie, analisi, rapporti di settore e servizi
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emergenti, regolamentazione e molto altro.
l’H2 e’ una riserva di energia non e’ un vettore energetico visto che il
suo rapporto energetico e’ di 2 a 1? Per cui la produzione corretta di
H2 da stoccaggio e’ a km0 .
Vettore energetico significa trasportare l’energia come il gas la
trasporta dai giacimenti nei gas dotti.
H2 e’ una riserva di energia che viene prodotta e conservata in un luogo
definito in funzione dell’uso che se ne puo’ fare in una centrale
elettrica in termini di tempo oppure per l’auto in termini di spazio per
viaggiare . L’H2 e’ un trasporto mediato dell’elettricita’.
Alla base dell’H2 ci sono l’elettricità’ da fonte rinnovabile e l’acqua.
Si produce l’H2 perché dove c’e’ bisogno di energia non si può portare
con un filo elettrico. Per cui l’H2 e’ una riserva di energia che viene
prodotta e posizionata dove e quando serve. Per cui a H2 e non ha senso
produrre H2 con elettricità rinnovabile per poi tornare a produrre
elettricità. A questo punto ha molto più senso produrre elettricità,
prendere un filo elettrico e portare l’elettricità’ dove e quando serve.
Ci sono dei casi in cui l’elettricità’ non può essere portata con un
filo, come per l’autotrazione e quindi si usa l’H2 come riserva di
elettricità da usare in movimento senza un filo o una batteria. Quindi
con l’elettricità’ e l’acqua si produce l’H2 , che poi si libera
rilasciando elettricità con uno spostamento d’acqua dal luogo di
produzione dell’H2 a quello di utilizzo. In una centrale elettrica dove
l’H2 viene prodotto per costituire una riserva, quando l’H2 si
riutilizza anche l’acqua viene recuperata . Sia per l’autotrazione sia
per le centrali elettriche la produzione ottimale e’ a KM0 . Cioe’ il
distributore e la produzione di energia elettrica. Ecco perche’ non ha
senso H2MED.
PROGETTO ITH2 per;
1) un progetto nazionale integrato energia-clima PNIEC
2) PRODUZIONE DELLA TOYOTA PRIUS H2 A TORINO
Premessa: La produzione dell’H2 e’ quella di una infrastruttura che
produca energia rinnovabile con fotovoltaico che non consumi territorio
e con boe marine per produrre H2 a KM0 con idrogenatori.
OBIETTIVO : H2 KM0 e’ l’obiettivo finale in quanto il rapporto energico
fra la produzione ed il risultato e’ di 2 a 1. Significa che per
produrre 1 di H2 con idrogenatore occorre utilizzare 2 energia
elettrica. Per cui non hanno senso gli idrogenodotti per trasportare H2,
in quanto ha una convenienza produrre H2 dove viene utilizzato. Ecco
perche’ ha piu’ senso trasportare l’elettricità con elettrodotti, da
fonte rinnovabile per produrre H2 dove quando serve.
A COSA PUO’ SERVIRE L’H2 ?: 2 possono essere gli utilizzi dell’H2
1) Autotrazione
2) Produzione di energia elettrica quando le energie rinnovabili non
sono disponibili.
PROGETTI DI SVILUPPO: Sviluppando rapidamente una rete dell’H2 per
autotrazione attraverso la GDO ed AUTOGRILL si possono realizzare
pensiline fotovoltaiche per produrre energia elettrica per l’H2.
Con una base distributiva dell’H2 si creano le premesse ed un modello
europeo per la domanda di H2 e delle auto ad H2 per cui si può arrivare
a produrre negli stabilimenti Pininfarina la futura top dell’H2 : TOYOTA
PRIUS H2.
L’8 settembre 1943 a Modena
La sera dell’8 settembre 1943 il generale Matteo Negro presidia il
Palazzo ducale di Modena. I militari presenti sono troppo pochi per
tentare una difesa. Diversi sono impegnati nel campo estivo alle Piane
di Mocogno, agli ordini del colonnello Giovanni Duca.
Negro, tutt’altro che ostile ai
nazisti, decide di consegnarsi alle forze occupanti. In città
cerca di resistere soltanto un reparto del 6° reggimento di artiglieria,
che punta alcuni pezzi contro i nazisti. Poco dopo, tuttavia, il comando
ordina di desistere e la Wehrmacht trova via libera.
Il mattino del 9 settembre i modenesi si risvegliano sotto l’occupazione
nazista. La situazione è molto confusa, ma il cronista Adamo Pedrazzi
non teme che si scatenino particolari violenze. La città sembra ordinata
e piuttosto pronta ad abituarsi alla nuova situazione. Le cose sono però
molto diverse là dove la fame si fa sentire.
In vari luoghi della provincia i civili prendono d’assalto ammassi e
salumifici per evitare che le scorte finiscano nelle mani dei militari.
I più disperati cercano di accaparrarsi quel cibo che è sempre più raro.
Da qualche parte la foga è tale da generare veri e propri pericoli. A
Castelnuovo Rangone i nazisti intervengono con le armi mentre tante
persone cercano di portare via qualcosa dal salumificio Villani.
Passano alcuni giorni e la situazione diventa più chiara. I nazisti non
sembrano voler infierire con la violenza, ma
i fascisti della Repubblica
sociale italiana si mostrano subito determinati ad affermare la propria
autorità. Pretendono che le famiglie restituiscono il cibo prelevato
dagli ammassi e gli oggetti abbandonati dai militari in fuga. Non
vogliono che nessuno sgarri. Pur di evitare il tradimento del patto con
la Germania nazista, sono disposti a scatenare una guerra civile.
STRAGI DI STATO PER SPECULAZIONE
INTERNAZIONALE DA VACCINI
«Qual
è l’incidenza assoluta di ictus ischemico e attacco ischemico
transitorio dopo una vaccinazione bivalente COVID-19?».
A questa domanda hanno cercato di rispondere in uno studio pubblicato su
MedRxiv i ricercatori del Kaiser Permanente Katie Sharff, Thomas K Tandy,
Paul F Lewis ed Eric S Johnson che hanno rilevato ben 100mila casi di
ictus ischemico tra pazienti americani over 65 del Nord-Ovest vaccinati
con i sieri genici mRNA Pfizer o Moderna.
L’ischemia cerebrale è una condizione in cui il cervello non riceve
abbastanza sangue da soddisfare i suoi bisogni metabolici. La
conseguente carenza di ossigeno può portare alla morte del tessuto
cerebrale, e di conseguenza all’ictus ischemico. E’ pertanto una
patologia che mette in correlazione due note reazioni avverse dei sieri
genici Covid mRNA o mDNA: le patologie cardiovascolari e quelle
neurocerebrali, vergognosamente occultate dalla Pfizer nei suoi trial
clinici.
«Abbiamo condotto uno studio di coorte retrospettivo su
pazienti Kaiser Permanente Northwest (KPNW) di età pari o superiore a 18
anni che sono stati vaccinati con la formulazione Pfizer o Moderna del
vaccino bivalente COVID19 tra il 1 settembre 2022 e il 1 marzo 2023. I
pazienti sono stati inclusi nello studio studiare se fossero iscritti al
KP al momento della vaccinazione e durante il periodo di follow-up di 21
giorni. Abbiamo replicato la metodologia di analisi del ciclo rapido
Vaccine Safety Datalink (VSD) e cercato
possibili casi di ictus ischemico o TIA nei 21 giorni successivi alla
vaccinazione utilizzando i codici diagnostici ICD10CM sia nella
posizione primaria che in qualsiasi posizione».
E’ quanto si legge nell’Abstract della ricerca intitolata
“Rischio
di ictus ischemico dopo la vaccinazione di richiamo bivalente COVID-19
in un sistema sanitario integrato (Risk of Ischemic Stroke
after COVID-19 Bivalent Booster Vaccination in an Integrated Health
System)”.
«Abbiamo aspettato 90 giorni dalla fine del follow-up (21 marzo 2023)
per l’accumulo completo dei dati non KP prima di analizzare i dati per
tenere conto del ritardo nell’elaborazione delle richieste di
risarcimento assicurativo al di fuori dell’ospedale – proseguono i
ricercatori di Kaiser Permanente – Due medici hanno giudicato possibili
casi rivedendo le note cliniche nella cartella clinica elettronica. Le
analisi sono state stratificate per età pari o superiore a 65 anni per
consentire confronti con i VSD che hanno riferito alla riunione dell’Advisory
Committee on Immunization Practices (ACIP) l’incidenza di ictus
ischemico o TIA (incidenza riportata da VSD; 24,6 casi di ictus
ischemico o TIA per 100.000 pazienti vaccinato)».
I
risultati dello studio sono stati sconcertanti ed hanno confermato anche
la ricerca tedesca che per prima aveva segnalato la pericolosità dei
booster bivalenti che erano stati testati solo sui topi ma, nonostante
ciò, furono raccomandati dal Dipartimento della Salute USA e dal
Ministero della Salute italiano anche per i bambini.
«L’incidenza di ictus ischemico o TIA è stata di 34,3 per 100.000 (IC al
95%, da 17,7 a 59,9) nei pazienti di età pari o superiore a 65 anni che
hanno ricevuto il vaccino bivalente Pfizer, sulla base di un codice
diagnostico nella posizione primaria del pronto soccorso o dell’ospedale
scarico. L’incidenza è aumentata a 45,7 per 100.000 (IC 95% da 26,1 a
74,2) quando abbiamo ampliato la ricerca a una diagnosi in qualsiasi
posizione e non ci siamo pronunciati per la conferma. Tuttavia, la
maggior parte di queste diagnosi aggiuntive di ictus apparente o TIA
erano diagnosi di falsi positivi basate sul giudizio dei medici. La
stima dell’incidenza basata sulla posizione primaria concordava
strettamente con la stima dell’incidenza basata su qualsiasi posizione e
giudizio medico: 37,1 su 100.000 (IC 95% da 19,8 a 63,5). Il 79% dei
casi di ictus ischemico sono stati ricoverati in ospedali non di
proprietà del sistema di consegna integrato».
«Abbiamo identificato un aumento del 50% nell’incidenza di ictus
ischemico per 100.000 pazienti di età pari o superiore a 65 anni
vaccinati con il vaccino bivalente Pfizer, rispetto ai dati presentati
dal VSD. Il 79% dei casi di ictus ischemico sono stati ricoverati in
ospedali che non sono di proprietà del sistema di consegna integrato e
un ritardo nell’elaborazione delle richieste di risarcimento
assicurative esterne all’ospedale è stato probabilmente responsabile
della discrepanza nell’accertamento dei casi di ictus ischemico. Il
giudizio medico di tutti i casi in questo studio ha consentito stime
accurate dell’incidenza assoluta dell’ictus per 100.000 destinatari del
vaccino ed è utile nel calcolo del beneficio netto per le
raccomandazioni politiche e il processo decisionale condiviso».
«Poiché i vaccini COVID-19 caricano il corpo con il codice genetico per
la proteina trombogenica e letale Wuhan Spike, coloro che prendono un
vaccino sono vulnerabili a una catastrofe se vengono infettati da
SARS-CoV-2 dopo aver recentemente preso uno dei vaccini» il famoso
cardiologo americano Peter McCullough ha commentato così lo studio del
professor Fadi Nahab dei Dipartimenti di Neurologia e Pediatria della
Emory University a cui avevamo dedicato ampio risalto.
«Nahab e colleghi di Emory hanno analizzato un database statale di
destinatari del vaccino COVID-19. Circa 5 milioni di georgiani adulti
hanno ricevuto almeno un vaccino COVID-19 tra dicembre 2020 e marzo
2022: il 54% ha ricevuto BNT162b2, il 41% ha ricevuto mRNA-1273 e il 5%
ha ricevuto Ad26.COV2.S. Quelli con concomitante infezione da COVID-19
entro 21 giorni dalla vaccinazione avevano un aumentato rischio di ictus
ischemico (OR = 8,00, 95% CI: 4,18, 15,31) ed emorragico (OR = 5,23, 95%
CI: 1,11, 24,64)» scrive McCullough nel suo Substack citando l’abstract
dello studio.
«Questa analisi mostra uno dei tanti grandi pericoli presenti nello
sviluppo e nel lancio rapidi di un vaccino senza una sicurezza e un
monitoraggio dei dati sufficienti. L’ictus è un risultato devastante e
sembra che un gran numero di casi debilitanti avrebbe potuto essere
evitato se i vaccini COVID-19 fossero stati ritirati dal mercato nel
gennaio 2021 per eccesso di mortalità. I pazienti in questo studio
sarebbero stati risparmiati da ictus e disabilità» aggiunge il
cardiologo americano rilevando l’importanza dello studio.
Verissimo! Ma quanti ictus avrebbero potuto essere evitati se lo studio
fosse stato revisionato e pubblicato mesi fa sia sulla prestigiosa
rivista che poi su PUBMED, la libreria scientifica dell’Istituto
Nazionale della Salute americano (NIH) che l’ha ripreso?
Il 13 novembre, mi sono unito alla deputata statunitense Marjorie Taylor
Greene e a sette suoi colleghi repubblicani della Camera, in
un'audizione intitolata Injuries Caused by COVID-19 Vaccines, che
ha esplorato i potenziali collegamenti tra la vaccinazione COVID-19 e
gli eventi avversi tra cui miocardite, pericardite e coaguli di sangue.
, danni neurologici, arresto cardiaco, aborti spontanei, problemi di
fertilità e altro ancora. Il gruppo ha ascoltato le testimonianze sugli
eventi avversi dei vaccini da parte degli esperti medici Dr. Robert
Malone e Dr. Kimberly Biss e ha anche ascoltato l'avvocato Thomas Renz
che rappresentava gli informatori del Dipartimento della Difesa (DOD)
che hanno rivelato aumenti di diagnosi mediche tra i membri del servizio
registrati in un DOD Banca dati. Scopri di più in questo comunicato
stampa .
Il British Medical Journal ha accusato la
Food and Drug Administration, l’ente americano regolatore dei farmaci,
di aver occultato il risultato di un grande studio di farmacovigilanza
attiva, quindi non basato solo su segnalazioni individuali e gratuite a
database (EudraVigilance gestita da EMA nell’Unione Europea e VAERS da
CDC negli Stati Uniti), si è invece concentrato anche sul follow-up di
alcuni vaccinati.
La ricerca statistica denominata “Sorveglianza della sicurezza del
vaccino COVID-19 tra le persone anziane di età pari o superiore a 65
anni” è stata finalmente rilasciata dalla FDA e pubblicata il 1°
dicembre 2022 dalla rivista specializzata Journal of Vaccine and
Elsevier di Science Direct.
Il primo firmatario è Hui-Lee Wong,
Direttrice associata per l’innovazione e lo sviluppo dell’Ufficio di
biostatistica ed epidemiologia, Centro per la valutazione biologica
della Food and Drug Administration statunitense, Silver Spring, MD, USA.
Lo studio si concentra sui dati relativi a 30.712.101 persone anziane.
DOPO
I VACCINI 15 INCIDENTI DI BUS PER MALORI DEI CONDUCENTI
Piazzola sul Brenta (PD), Marzo 2022, “Malore dopo l’incidente a
Piazzola sul Brenta, grave un autista di bus. Il conducente 44enne ha
tamponato un autocarro. Dopo la telefonata a BusItalia si è accasciato
sul volante perdendo i sensi”;
Cesena, Dicembre 2022, “Cesena, malore mentre guida l’autobus: 9 auto
danneggiate”;
Trento, Aprile 2023, “Paura a Trento, l’autista ha un malore e il bus
esce di strada: il mezzo resta in bilico sul muretto del giardino di una
casa”;
La Spezia, Maggio 2022, “Malore improvviso per l’autista dello
scuolabus, mezzo fa un volo di venti metri”, Catania, Ottobre 2022,
“Catania: autista si sente male, bus si schianta”;
Limone Piemonte, Marzo 2023, “maestra interviene per malore autista”;
Sandrà di Castelnuovo del Garda (VR), “Verona, l’autista ha un malore:
il bus degli studenti esce di strada e finisce in un vigneto”
(conducente di soli 26 anni);
Alessandria, Aprile 2022, “Autista di pullman muore alla guida per un
malore”;
Settingiano (CZ), Luglio 2023, “Accosta ai primi sintomi: autista salva
passeggeri bus prima di morire di infarto”;
Venezia, Ottobre 2022, “Malore improvviso prima di prelevare una
scolaresca: Oscar Bonazza muore a 63 anni;
Roma, Dicembre 2022, “Roma, bus con 41 bimbi a bordo finisce fuori
strada per malore autista”;
Cittadella (PD), Gennaio 2023, “Autista di scuolabus muore alla guida
per un malore e centra un pullman a Cittadella. Il conducente aveva
appena lasciato gli alunni a scuola”;
Genova, Luglio 2023, “Autobus sbanda e colpisce le auto in sosta per un
malore dell’autista. L’autista è stato accompagnato al Pronto soccorso
un condizioni di media gravità”;
Cagliari, Maggio 2023, “Malore improvviso, l’autista perde il controllo
del bus, esce di strada e abbatte due semafori: strage sfiorata”;
Piacenza, Aprile 2023, “Autobus di linea contro un albero dopo il malore
dell’autista”… Il più curioso, guardacaso, è poi questo;
L’Aquila, Luglio 2023, “Troppo caldo a bordo del bus, autista
dell’Azienda mobilità aquilana (Ama) viene colpito da un malore”.
27.11.23
Su 326 autopsie di vaccinati morti «un totale
di 240 decessi (73,9%) sono stati giudicati in modo indipendente come
direttamente dovuti o a cui ha contribuito in modo significativo la
vaccinazione COVID-19».
A scriverlo nero su bianco è una ricerca pubblicata in pre-print (ovvero
ancora in attesa di revisione paritaria che potrebbe arrivare tra un
mese o tra due anni) dal sito Zenodo che non può essere ritenuta una
piattaforma poco affidabile in quanto è gestito dal CERN per OpenAIRE.
Zenodo è un archivio open access per le
pubblicazioni e i dati da parte dei ricercatori. Il suo nome deriva da
Zenodotos di Ephesos, il primo Direttore della grande biblioteca di
Alessandria che ha messo le basi per la costruzione della
biblioteconomia.
L’Organizzazione europea per la ricerca nucleare, comunemente conosciuta
con la sigla CERN, è il più grande laboratorio al mondo di fisica delle
particelle, posto al confine tra la Francia e la Svizzera, alla
periferia ovest della città di Ginevra, nel comune di Meyrin. La
convenzione che lo istituiva fu firmata il 29 settembre 1954 da 12 stati
membri mentre oggi ne fanno parte 23 più alcuni osservatori, compresi
stati extraeuropei.
OpenAIRE è un partenariato senza scopo di lucro di 50 organizzazioni,
fondato nel 2018 come entità giuridica greca, OpenAIRE A.M.K.E, per
garantire un’infrastruttura di comunicazione accademica aperta e
permanente a sostegno della ricerca europea.
Lo studio è stato presentato dal laureato in
science (BS) Nicolas Hulscher presso il Dipartimento di Epidemiologia
dell’Università del Michigan lo scorso venerdì 17 novembre 2023 durante
una “poster session”. In ambito accademico l’esposizione di un “poster”,
in un congresso o una conferenza con un focus accademico o
professionale, è la presentazione di informazioni di ricerca sotto forma
di poster cartaceo che i partecipanti alla conferenza possono
visualizzare.
Il giovane Hulsher è stato accreditato con un progetto approvato
denominato “Systematic Review of Autopsy Findings in Deaths after
COVID-19 Vaccination – Revisione sistematica dei risultati dell’autopsia
nei decessi dopo la vaccinazione COVID-19” in cui ha potuto fregiarsi di
mentor senior di fama mondiale soprattutto nell’ambito delle inchieste
sui danni da sieri genici mRNA o mDNA.
McCullough, che ha dato risalto all’evento
sul suo substack, è il noto cardiologo americano che per primo ha
denunciato i pericoli di miocarditi letali, confermati dagli studi FDA,
CDC e infine anche dall’EMA, mentre Makis è l’oncologo canadese che ha
scoperto il fenomeno del turbo-cancro.
Nei mesi scorsi lo studio era stato pubblicato anche dalla nota rivista
britannica The Lancet che però lo aveva ritirato dopo 24 ore perché
aveva scatenato – giustamente – una bufera sui media, sui social e di
conseguenza nella comunità scientifica internazionale.
presentazione ufficiale presso l’Università
de Michigan e dalla pubblicazione sul sito Zenodo gestito dal CERN.
D’altronde soltanto una volontà paranoica di censura potrebbe oscurarlo
essendo basato su una semplice analisi di documenti pubblicati sul più
importante archivio medico del mondo: la libreria PUBMED gestita dall’NIH,
ovvero l’Istituto Nazionale per la Salute del Governo USA.
«Il rapido sviluppo e l’ampia diffusione dei vaccini contro il COVID-19,
combinati con un elevato numero di segnalazioni di eventi avversi, hanno
portato a preoccupazioni sui possibili meccanismi di danno, tra cui la
distribuzione sistemica delle nanoparticelle lipidiche (LNP) e dell’mRNA,
il danno tissutale associato alle proteine spike, la trombogenicità,
disfunzione del sistema immunitario e cancerogenicità. Lo scopo di
questa revisione sistematica è indagare i possibili collegamenti causali
tra la somministrazione del vaccino COVID-19 e la morte utilizzando
autopsie e analisi post mortem».
Si legge nell’Abstract della ricerca che fa
riferimento a problematiche già certificate separatamente da altre
decine di studi come quello del biochimico italiano Gabriele
Segalla sulle nanoforme e sugli eccipienti tossici del siero genico
Comirnaty di Pfizer-Biontech autorizzato dall’European Medicines Agency
nonostante non potesse “non sapere della tossicità delle inoculazioni”.
«Abbiamo cercato tutti i rapporti autoptici e necroscopici pubblicati
relativi alla vaccinazione COVID-19 fino al 18 maggio 2023 – riferiscono
Hulsher et al. – Inizialmente abbiamo identificato 678 studi e, dopo lo
screening dei nostri criteri di inclusione, abbiamo incluso 44 documenti
che contenevano 325 casi di autopsia e un caso di necroscopia. Tre
medici hanno esaminato in modo indipendente tutti i decessi e hanno
determinato se la vaccinazione contro il COVID-19 fosse la causa diretta
o avesse contribuito in modo significativo alla morte».
«Il sistema di organi più implicato nella
morte associata al vaccino COVID-19 è stato il sistema cardiovascolare
(53%), seguito dal sistema ematologico (17%), dal sistema respiratorio
(8%) e da sistemi multipli di organi (7%). In 21 casi sono stati colpiti
tre o più apparati. Il tempo medio dalla vaccinazione alla morte è stato
di 14,3 giorni. La maggior parte dei decessi si è verificata entro una
settimana dall’ultima somministrazione del vaccino. Un totale di 240
decessi (73,9%) sono stati giudicati in modo indipendente come
direttamente dovuti o a cui ha contribuito in modo significativo la
vaccinazione COVID-19» si legge nello studio consultabile su Zenodo
(link a fondo pagina).
Ecco quindi le considerazioni finali dei ricercatori scientifici e
medici:
«La coerenza osservata tra i casi in questa revisione con eventi avversi
noti del vaccino COVID-19, i loro meccanismi e il relativo eccesso di
morte, insieme alla conferma dell’autopsia e alla decisione della morte
guidata dal medico, suggerisce che esiste un’alta probabilità di un
nesso causale tra COVID-19 vaccini e morte nella maggior parte dei casi.
Sono necessarie ulteriori indagini urgenti allo scopo di chiarire i
nostri risultati».
«Il sistema di organi più implicato nella
morte associata al vaccino COVID-19 è stato il sistema cardiovascolare
(53%), seguito dal sistema ematologico (17%), dal sistema respiratorio
(8%) e da sistemi multipli di organi (7%). In 21 casi sono stati colpiti
tre o più apparati. Il tempo medio dalla vaccinazione alla morte è stato
di 14,3 giorni. La maggior parte dei decessi si è verificata entro una
settimana dall’ultima somministrazione del vaccino. Un totale di 240
decessi (73,9%) sono stati giudicati in modo indipendente come
direttamente dovuti o a cui ha contribuito in modo significativo la
vaccinazione COVID-19» si legge nello studio consultabile su Zenodo
(link a fondo pagina).
Ecco quindi le considerazioni finali dei ricercatori scientifici e
medici:
«La coerenza osservata tra i casi in questa revisione con eventi avversi
noti del vaccino COVID-19, i loro meccanismi e il relativo eccesso di
morte, insieme alla conferma dell’autopsia e alla decisione della morte
guidata dal medico, suggerisce che esiste un’alta probabilità di un
nesso causale tra COVID-19 vaccini e morte nella maggior parte dei casi.
Sono necessarie ulteriori indagini urgenti allo scopo di chiarire i
nostri risultati».
La
ricerca pubblicata sul sito Zenodo gestito dal CERN – link al fondo
dell’articolo tra le fonti
Brevetto Moderna ammette i problemi di tumori
nel DNA da laboratorio
Bre
Leggiamo infatti nel brevetto dell’agosto 2019 sui vaccini
mRNA contro il virus parainfluenzale umano 3 (HPIV-3) quanto segue:
“L’iniezione diretta di DNA geneticamente modificato (ad esempio DNA
plasmidico nudo) in un ospite vivente fa sì che un piccolo numero delle
sue cellule producano direttamente un antigene, determinando una
risposta immunologica protettiva. Da questa tecnica, tuttavia, derivano
potenziali problemi, inclusa la possibilità di mutagenesi inserzionale,
che potrebbe portare all’attivazione di oncogeni o all’inibizione di
geni oncosoppressori”.
La soppressione del gene che contrasta lo sviluppo dei tumori
è proprio quel meccanismo che molti oncologi ritengono sia responsabile
delle forme anomale di turbo-cancro rilevate tra le persone vaccinate
coi sieri genici mRNA Covid
21.10.23
Giovedì Health Canada ha confermato la
presenza di contaminazione del DNA nei vaccini Pfizer COVID-19 e ha
anche confermato che Pfizer non ha rivelato la contaminazione
all’autorità sanitaria pubblica. La contaminazione del DNA include il
promotore e potenziatore Simian Virus 40 (SV40) che Pfizer non aveva
precedentemente rivelato e che secondo alcuni esperti rappresenta un
rischio di cancro a causa della potenziale integrazione con il genoma
umano.
Health Canada, l’autorità sanitaria pubblica del paese, ha dichiarato a
The Epoch Times che mentre Pfizer ha fornito le sequenze complete di DNA
del plasmide nel suo vaccino al momento della presentazione iniziale, il
produttore del vaccino “non ha identificato specificamente la sequenza
SV40”.
“Health Canada si aspetta che gli sponsor identifichino qualsiasi
sequenza di DNA biologicamente funzionale all’interno di un plasmide
(come un potenziatore SV40) al momento della presentazione”, ha
affermato.
L’ammissione di Health Canada è arrivata dopo che due scienziati, Kevin
McKernan e Phillip J. Buckhaults, Ph.D., hanno scoperto la presenza di
DNA plasmidico batterico nei vaccini mRNA COVID-19 a livelli
potenzialmente 18-70 volte superiori ai limiti stabiliti dagli Stati
Uniti. Food and Drug Administration (FDA) e Agenzia europea per i
medicinali. L’immunologo virale Dr. Byram Bridle dell’Università di
Guelph in Canada, commentando l’ammissione di Health Canada ha scritto
sul suo Substack: “Questa è un’ammissione di proporzioni epiche”.
Bridle ha anche scritto:
“Bisogna chiedersi perché la Pfizer non abbia voluto rivelare la
presenza di una sequenza di DNA biologicamente funzionale a un ente
regolatore sanitario. Alla Pfizer è stato richiesto di rivelare alle
agenzie di regolamentazione sanitaria tutte le sequenze bioattive nel
DNA plasmidico batterico utilizzato per produrre le loro
iniezioni.Bridle ha osservato che sono trascorsi “818 giorni in totale”
da quando l’Università di Guelph gli ha vietato di accedere al suo
ufficio e al suo laboratorio per aver tentato di condurre ricerche
simili, mentre altri ricercatori “sono stati al centro di attacchi da
parte di molti cosiddetti ‘esperti di disinformazione’, ” anche se
nessuno “è stato in grado di confutare le proprie scoperte”.
L’immunologa, biologa e biochimica Jessica Rose, Ph.D., ha dichiarato a
The Defender: “DNA residuo è stato trovato nei prodotti Pfizer e Moderna
– e soprattutto Pfizer -, in fiale più vecchie e più nuove, incluso il
monovalente per adulti XBB.1.5 [ vaccino].”
Rose ha affermato che ciò indica che tale contaminazione “è un problema
continuo”.
In osservazioni separate fatte mercoledì al programma “Good Morning CHD”
di CHD.TV, Rose ha detto che McKernan “ha anche esaminato il vaccino
Janssen [Johnson & Johnson] e ha scoperto DNA residuo a livelli molto
alti”. “Il DNA plasmidico viene utilizzato nella produzione di
vaccini mRNA e dovrebbe essere rimosso a un livello inferiore a una
soglia stabilita dalle agenzie di regolamentazione sanitaria prima che
il prodotto finale venga rilasciato per la distribuzione”, ha riferito
The Epoch Times.
La scoperta di McKernan ha reso “possibile per Health Canada confermare
la presenza del potenziatore sulla base della sequenza di DNA plasmidico
presentata da Pfizer rispetto alla sequenza del potenziatore SV40
pubblicata”, ha affermato Health Canada.
L’SV40 è spesso utilizzato nella terapia
genica per la sua capacità unica di trasportare geni alle cellule
bersaglio.
Nel processo di produzione del vaccino, l’SV40 “viene utilizzato come
potenziatore per guidare la trascrizione genetica”, ha scritto The Epoch
Times. McKernan il mese scorso “ha avvertito che la presenza di plasmidi
di DNA nei vaccini significa che potrebbero potenzialmente integrarsi
nel genoma umano”.
Descrivendo la ricerca di McKernan come “ineccepibile”, Kirsch ha
scritto sul suo Substack: “Il DNA dura per sempre e, se si integra nel
tuo genoma, produrrai il suo prodotto per sempre”.
“Ciò può far sì che la cellula appena
programmata si riproduca e produca mRNA con le risultanti proteine
spike per un tempo sconosciuto, potenzialmente per sempre e persino
per la generazione successiva”.
23.09.23
L'Asl
To5 l'aveva sospesa nel periodo Covid perché non vaccinata bloccando la
retribuzione, ora dovrà restituire stipendi e interessi Il tribunale dà ragione alla dipendente No Vax
massimiliano rambaldi
L'Asl To 5 l'aveva sospesa dal suo lavoro d'ufficio nel periodo Covid,
perché si era rifiutata di vaccinarsi interrompendole anche il pagamento
dello stipendio. Una volta rientrata, alla fine delle restrizioni
previste, la donna aveva fatto causa all'azienda sanitaria nonostante in
quel periodo ci fossero delle direttive ben chiare sull'obbligo
vaccinale. Dieci giorni fa la decisione, per certi versi inaspettata,
del tribunale del lavoro di Torino: con la sentenza 1552 i giudici hanno
infatti accolto il ricorso della dipendente, accertando e dichiarando
«l'illegittimità della sospensione dal servizio – si legge nel documento
pubblicato dall'azienda sanitaria di Chieri – condannando quindi l'Asl
To 5 a corrispondere alla dipendente il trattamento retributivo
richiesto, oltre agli interessi, rivalutazione e compensazione delle
spese di lite». In sostanza, secondo quel giudice, l'Asl non poteva
sospendere la donna dal posto di lavoro e men che meno negarle lo
stipendio. E ora, nell'immediato, dovrà pagarle tutto, interessi
compresi nonché le spese legali. Questo perché, nonostante l'azienda
sanitaria abbia già deciso di ricorrere in appello contro tale sentenza:
«in ragione della provvisoria esecutività della stessa – spiegano dalla
direzione nella medesima documentazione - pur non essendo passata in
giudicato, l'Asl è tenuta all'ottemperanza». Gli importi dovuti e i
giorni di sospensione della dipendente non sono stati resi noti.
La dipendente in questione lavora in ambito amministrativo e non è a
contatto con pazienti di un ospedale specifico. Ricordiamo tutti, però,
che il governo si era dimostrato estremamente rigoroso contro chi non
voleva ricevere il vaccino. In assenza di motivazioni valide (l'unica
accettata era una certificata grave patologia pregressa) la persona no
vax non poteva più esercitare la propria professione e, qualora fosse
stato possibile, doveva essere destinata a mansioni alternative. In caso
di impossibilità a spostamenti, sarebbe scattata l'immediata sospensione
non retribuita che poteva terminare solo una volta effettuata la
vaccinazione. Altrimenti il divieto di andare al lavoro sarebbe
continuato fino al completamento della campagna vaccinale. In sostanza
quello che è capitato nel caso in questione. La dipendente aveva però
deciso di intraprendere le vie legali perché pretendeva di essere
regolarmente pagata e di lavorare ugualmente, anche senza aver seguito
il percorso anti Covid. Presentando a sua difesa documentazioni che il
giudice del lavoro, a quanto pare, ha ritenuto valide. «La decisione e
la linea interpretativa del tribunale del lavoro non può essere
condivisa – spiegano dall'azienda sanitaria -, in quanto non è coerente
con il dispositivo contenuto nel decreto legge 172 del 2021, anche alla
luce del diverso orientamento espresso sul punto dalla Corte d'Appello
di Torino, sezione lavoro». Immediata quindi la decisione di ricorrere
in appello, affidando la questione ai legali di fiducia.
—
22.09.23
Testimonianza coraggiosa del dottor Phillip Buckhaults dell'Università
della Carolina del Sud.
I “vaccini” Covid non sono stati adeguatamente testati e i loro danni
non sono stati adeguatamente indagati. La FDA e il CDC devono ammettere
i propri fallimenti normativi ed essere onesti con il pubblico.
La Ricerca delle Università Australiane
basata su 253 Studi Internazionali
L’hanno pubblicata gli scienziati autraliani Peter I Parry dell’Unità
clinica di ricerca sulla salute dei bambini, Facoltà di Medicina,
Università del Queensland, South Brisbane, Australia, Astrid
Lefringhausen, Robyn Cosford e Julian Gillespie, Children’s Health
Defense (Capitolo Australia), Huskisson, Conny Turni, Ricerca
microbiologica, QAAFI (Queensland Alliance for Agriculture and Food
Innovation), Università del Queensland, St. Lucia, Christopher J. Neil,
Dipartimento di Medicina, Università di Melbourne, Melbourne, e Nicholas
J. Hudson, Scuola di Agricoltura e Scienze Alimentari, Università del
Queensland, Brisbane.
E’ un colossale lavoro di letteratura
scientifica basato su ben 253 studi nei quali vengono citati i più
significativi sulla tossicità della proteina Spike e dei vaccini che la
innesca nell’organismo attraverso i vettori mRNA. Vengono infatti
menzionati lavori sulle malattie autoimmuni della biofisica Stephanie
Seneff, scienziata del prestigioso MIT (Massachusetts Institute of
Technology) di Cambridge, del cardiologo americano Peter McCullough
(fonte 29 nello studio linkato a fondo pagina), quelli sui rischi di
tumori dell’oncologo britannico Angus Dalgleish (fonti 230-231), quelli
dell’esperto di genomica Kevin McKernan sulla replicazione cellulare dei
plasmidi di Dna Spike nel corpo umano (fonte 91), quelli della chimica
americana Alana F. Ogatache fu tra le prime a denunciare la pericolosità
dei sieri genici mRNA Moderna (fonte 52), ed ovviamente non poteva
mancare lo strepitoso e rivoluzionario del biochimico italiano Gabriele
Segalla sulle nanoparticelle tossiche del vaccino Comirnaty di
Pfizer-Biontech (fonte 61).
“Spikeopatia”: la proteina Spike del COVID-19
è patogena, sia dall’mRNA del virus che da quello del vaccino.
di Parry et al. – pubblicata in origine su Biomedicine (link allo studio
completo a fondo pagina)
La pandemia di COVID-19 ha causato molte malattie, molti decessi e
profondi disagi alla società. La produzione di vaccini “sicuri ed
efficaci” era un obiettivo chiave per la salute pubblica. Purtroppo,
tassi elevati senza precedenti di eventi avversi hanno messo in ombra i
benefici. Questa revisione narrativa in due parti presenta prove dei
danni diffusi dei nuovi vaccini anti-COVID-19 mRNA e adenovettoriali ed
è innovativa nel tentativo di fornire una panoramica approfondita dei
danni derivanti dalla nuova tecnologia nei vaccini che si basavano sulla
produzione di cellule umane di un antigene estraneo che presenta
evidenza di patogenicità.
Questo primo articolo esplora i dati
sottoposti a revisione paritaria in contrasto con la narrativa “sicura
ed efficace” collegata a queste nuove tecnologie. La patogenicità delle
proteine spike, denominata “spikeopatia”, derivante dal virus
SARS-CoV-2 o prodotta dai codici genetici del vaccino, simile a un
“virus sintetico”, è sempre più compresa in termini di biologia
molecolare e fisiopatologia.
La trasfezione farmacocinetica attraverso tessuti corporei distanti dal
sito di iniezione mediante nanoparticelle lipidiche o trasportatori di
vettori virali significa che la “spikeopatia” può colpire molti organi.
Le proprietà infiammatorie delle nanoparticelle utilizzate per
trasportare l’mRNA; N1-metilpseudouridina impiegata per prolungare la
funzione dell’mRNA sintetico; l’ampia biodistribuzione dei codici mRNA e
DNA e le proteine spike tradotte, e l’autoimmunità attraverso la
produzione umana di proteine estranee, contribuiscono agli effetti
dannosi.
Questo articolo esamina gli effetti
autoimmuni, cardiovascolari, neurologici, potenziali oncologici e le
prove autoptiche per la spikeeopatia. Con le numerose tecnologie
terapeutiche basate sui geni pianificate, una rivalutazione è necessaria
e tempestiva.
Discussione
Abbiamo iniziato questo articolo citando la risposta dell’ente
regolatore sanitario australiano, il TGA, alla domanda di un senatore
australiano sui rischi dei vaccini genetici che inducono le cellule
umane a produrre la proteina spike SARS-CoV-2. La risposta è stata che
la proteina Spike non era un agente patogeno. Abbiamo presentato prove
significative che la proteina spike è patogena. Ciò vale quando fa parte
del virus, quando è libero ma di origine virale e quando è prodotto nei
ribosomi dall’mRNA dei vaccini COVID-19 mRNA e adenovettoreDNA. I
meccanismi fisiopatologici d’azione della proteina spike continuano ad
essere chiariti.
Abbiamo stabilito che la proteina spike
provoca danni legandosi al recettore ACE-2 e quindi sottoregolando il
recettore, danneggiando le cellule endoteliali vascolari. La proteina
spike ha un dominio legante simile alla tossina, che si lega a α7 nAChR
nel sistema nervoso centrale e nel sistema immunitario, interferendo
così con le funzioni di nAChR, come la funzione di ridurre
l’infiammazione e le citochine proinfiammatorie, come IL-6. Il
collegamento con le malattie neurodegenerative avviene anche attraverso
la capacità della proteina “spike” di interagire con le proteine che
formano l’amiloide leganti l’eparina, avviando l’aggregazione delle
proteine cerebrali.
La persistenza della proteina spike causa un’infiammazione persistente
(infiammazione cronica), che potenzialmente alla fine sposta il sistema
immunitario verso la tolleranza immunitaria (IgG4). Un effetto
particolare per le donne e la gravidanza è il legame della proteina
Spike al recettore alfa degli estrogeni, che interferisce con il
messaggio degli estrogeni.
La proteina Spike è citotossica all’interno
delle cellule attraverso l’interazione con i geni soppressori del cancro
e causando danni mitocondriali. Le proteine spike espresse sulla
superficie delle cellule portano alla risposta autoimmune citopatica.
La proteina spike libera si lega all’ACE-2 su altre cellule di organi e
sangue. Nel sangue la proteina Spike induce le piastrine a rilasciare
fattori di coagulazione, a secernere fattori infiammatori e a formare
aggregati leucociti-piastrine. La proteina spike lega il fibrinogeno,
inducendo la formazione di coaguli di sangue.
Esiste anche un’omologia problematica tra la
proteina spike e le proteine chiave nel sistema immunitario adattativo
che portano all’autoimmunità se vaccinati con l’mRNA che produce la
proteina spike.
I fattori farmacocinetici contribuiscono alla fisiopatologia. Come
accennato, lo studio sulla biodistribuzione di Pfizer (dove il 75% delle
molecole trasportatrici di nanoparticelle lipidiche ha lasciato il
deltoide per tutti gli organi entro 48 ore) per il PMDA giapponese era
noto alla TGA australiana prima dell’autorizzazione provvisoria dei
vaccini mRNA COVID-19 per l’Australia popolazione [5]. Poiché causano la
replicazione della proteina Spike in molti organi, i vaccini basati sui
geni agiscono come virus sintetici.
Il trasportatore di nanoparticelle lipidiche dell’mRNA e il PEG
associato che rende il complesso mRNA-LNP più stabile e resistente alla
degradazione, hanno i propri effetti tossici; le nanoparticelle
lipidiche principalmente attraverso effetti proinfiammatori e il PEG
mediante anafilassi in individui sensibili.
Röltgen et al. [53] hanno scoperto che l’mRNA
stabilizzato con N1-metilpseudouridina nei vaccini COVID-19 produce
proteine spike per almeno 60 giorni. Altre ricerche citate sulla
retroposizione del codice genetico [249] suggeriscono la possibilità che
tale produzione di una proteina patogena estranea possa potenzialmente
durare tutta la vita o addirittura transgenerazionale.
Un ampio corpo di ricerche emergenti mostra che la stessa proteina
spike, in particolare la subunità S1, è patogena e causa infiammazione e
altre patologie osservate nel COVID-19 acuto grave, probabilmente nel
COVID-19 lungo, e nelle lesioni da vaccino mRNA e adenovettoriDNA
COVID-19 . La parola “spikeopatia” è stata coniata dal ricercatore
francese Henrion-Caude [98] in una conferenza e dati gli effetti
patologici vari e sostanziali della proteina spike SARS-CoV-2,
suggeriamo che l’uso del termine avrà un valore euristico.
La piccopatia esercita i suoi effetti, come
riassunto da Cosentino e Marino [86] attraverso l’aggregazione
piastrinica, la trombosi e l’infiammazione correlate al legame
dell’ACE-2; interruzione delle glicoproteine transmembrana CD147 che
interferiscono con la funzione cardiaca dei periciti e degli eritrociti;
legandosi a TLR2 e TLR4 innescando cascate infiammatorie; legandosi
all’ER alfa probabilmente responsabile delle irregolarità mestruali e
dell’aumento del rischio di cancro attraverso le interazioni con p53BP1
e BRCA1. Altre ricerche mostrano ulteriori effetti spikeo-patologici
attraverso la produzione di citochine infiammatorie indotte da ACE-2, la
fosforilazione di MEK e la downregulation di eNOS, compromettendo la
funzione delle cellule endoteliali.
Effetti particolarmente nuovi della proteina spike comportano lo
squilibrio del sistema colinergico nicotinico attraverso l’inibizione di
α7 nAChR, portando a vie biochimiche antinfiammatorie alterate in molte
cellule e sistemi di organi, nonché a un alterato tono vagale
parasimpatico.
Le lesioni provocate dal vaccino mRNA e adenovettoriale del COVID-19 si
sovrappongono alla grave malattia acuta da COVID-19 e al COVID lungo, ma
sono più varie, data la più ampia biodistribuzione e la produzione
prolungata della proteina spike.
La miopericardite è riconosciuta ma spesso è
stata minimizzata come lieve e rara, tuttavia l’evidenza di una
miopericardite subclinica correlata al vaccino COVID-19 relativamente
comune [113,115] e l’evidenza autoptica [246,247,248] suggeriscono un
ruolo nelle morti improvvise in persone relativamente giovani e in forma
[116,117 ]. Le proteine spike hanno anche meccanismi per aumentare la
trombosi attraverso l’infiammazione correlata all’ACE-2, il disturbo del
sistema dell’angiotensina [119], il legame diretto con i recettori ACE-2
sulle piastrine [1], l’interruzione dell’antitrombina [122], ritardando
la fibrinolisi [123] (prestampa) e riducendo la repulsione
elettrostatica degli eritrociti che porta all’emoagglutinazione [124].
Le malattie autoimmuni di nuova insorgenza dopo la vaccinazione COVID-19
potrebbero riguardare l’omologia della proteina spike e, nella malattia
virale che include altre proteine SARS-CoV-2, con le proteine umane
[5,138].
Il complesso mRNA-LNP attraversa la BBB e i
disturbi neurologici sono altamente segnalati nei database di
farmacovigilanza a seguito dei vaccini COVID-19. Numerosi meccanismi di
spikepatia vengono chiariti come disturbi sottostanti che coinvolgono:
permeabilità del BBB [128]; danno mitocondriale [168]; disregolazione
dei periciti vascolari cerebrali [169]; Neuroinfiammazione mediata da
TLR4 [170]; morte delle cellule dell’ippocampo [171]; disregolazione
delle cascate del complemento e della coagulazione e dei neutrofili che
causano coagulopatie [173] (prestampa); neuroinfiammazione e
demielinizzazione tramite disregolazione microgliale [174,177,180];
aumento dell’espressione di α-Syn coinvolta nella malattia
neurodegenerativa [175]; livelli elevati di chemochina 11 del motivo CC
associati all’invecchiamento e alla successiva perdita di cellule
neurali e mielina; legandosi al recettore nicotinico dell’acetilcolina
α7 (nAChR), aumentando i livelli di IL-1b e TNFα nel cervello causando
elevati livelli di infiammazione [172,177]; la subunità S1 è
amiloidogenica [185]; disautonomia [96], mediante danno neuronale
diretto o meccanismi immunomediati indiretti, ad esempio inibizione di
α7 nAChR; anosmia causata sia dal vaccino che dalla malattia [44],
anch’essa prodromica alla malattia di Parkinson.
Inoltre, gli autoanticorpi nel dominio
C-terminale globulare possono causare la malattia di Creutzfeldt Jakob
(CJD) [218], miR-146a è alterato in associazione con COVID-19 [222] e
associato sia a infezioni virali che a malattie da prioni nel cervello,
e È stato dimostrato che S1 induce senescenza nelle cellule trasfettate.
La quantità di possibili meccanismi di danno mediato dai picchi nel
cervello è pari nella vita reale alla prevalenza di effetti avversi
neurologici e neurodegenerativi e richiede urgentemente ulteriori
ricerche.
Il cancro, anche se non è stato dimostrato con certezza che sia causato
dai vaccini, sembra seguire da vicino la vaccinazione e abbiamo
esaminato le possibili cause sotto forma di interazioni delle proteine
spike con fattori di trascrizione e geni soppressori del cancro.
Il vaccino doveva proteggere le persone di
età superiore ai 60 anni con il maggior rischio di mortalità da COVID-19
[10], tuttavia un’analisi del rischio condotta da Dopp e Seneff (2022)
[250] ha mostrato che la probabilità di morire a causa dell’iniezione è
solo 0,13 % inferiore al rischio di morte per infezione nelle persone di
età superiore a 80 anni.
Inoltre, l’invecchiamento naturale è accompagnato da cambiamenti nel
sistema immunitario che compromettono la capacità di rispondere
efficacemente ai nuovi antigeni. Similmente alle risposte ai virus
stratificate per età, ciò significa che i vaccini diventano meno
efficaci nell’indurre l’immunità negli anziani, con conseguente ridotta
capacità di combattere nuove infezioni [251].
La vaccinazione con mRNA COVID-19 a due dosi
ha conferito una risposta immunitaria adattativa limitata tra i topi
anziani, rendendoli suscettibili all’infezione da SARS-CoV-2 [252].
Secondo uno studio di Vo et al., (2022) [253], il rischio di malattie
gravi tra i veterani statunitensi dopo la vaccinazione è rimasto
associato all’età. Questo rischio di infezioni intercorrenti era anche
maggiore se erano presenti condizioni di immunocompromissione.
Infine, abbiamo esaminato le migliori serie di casi di autopsia
attualmente disponibili, eseguite in Germania, che stabiliscono le
connessioni tra spikeopatia e fallimenti multipli di organi, neuropatie
e morte.
Conclusioni
In questa revisione narrativa, abbiamo stabilito il ruolo della proteina
spike SARS-CoV-2, in particolare della subunità S1, come patogena. Ora è
anche evidente che le proteine spike ampiamente biodistribuite,
prodotte dai codici genetici dell’mRNA e del DNA adenovettoriale,
inducono un’ampia varietà di malattie. I meccanismi fisiopatologici e
biochimici sottostanti sono in fase di chiarimento.
I trasportatori di nanoparticelle lipidiche
per i vaccini mRNA e Novavax hanno anche proprietà proinfiammatorie
patologiche. L’intera premessa dei vaccini basati sui geni che producono
antigeni estranei nei tessuti umani è irta di rischi per disturbi
autoimmuni e infiammatori, soprattutto quando la distribuzione non è
altamente localizzata.
Le implicazioni cliniche che seguono sono che i medici in tutti i campi
della medicina devono essere consapevoli delle varie possibili
presentazioni della malattia correlata al vaccino COVID-19, sia acuta
che cronica, e del peggioramento delle condizioni preesistenti.
Sosteniamo inoltre la sospensione dei vaccini COVID-19 basati sui geni e
delle matrici portatrici di nanoparticelle lipidiche e di altri vaccini
basati sulla tecnologia mRNA o DNA vettoriale virale. Una strada più
sicura è quella di utilizzare vaccini con proteine ricombinanti ben
testate, tecnologie virali attenuate o inattivate, di cui ora ce ne sono
molti per la vaccinazione contro la SARS-CoV-2.
di Parry et al. – pubblicata in origine su Biomedicine
BIOMEDICINE – ‘Spikeopathy’: COVID-19 Spike Protein Is Pathogenic, from
Both Virus and Vaccine mRNA
14.09.23
Fondata nel 1945, Kaiser Permanente è
riconosciuta come uno dei principali fornitori di assistenza sanitaria e
piani sanitari senza scopo di lucro d’America. Attualmente opera in 8
stati (California del Nord, California del Sud, Colorado, Georgia,
Hawaii, Virginia, Oregon, Washington) e nel Distretto di Columbia.
«La cura dei membri e dei pazienti si concentra sulla loro salute
totale. I medici, gli specialisti e i team di operatori sanitari di
Permanente Medical Group guidano tutte le cure. I nostri team medici
possono avvalersi di tecnologie e strumenti leader del settore per la
promozione della salute, la prevenzione delle malattie, l’erogazione
delle cure e la gestione delle malattie croniche» spiega
l’organizzazione medica.
«Abbiamo condotto uno studio di coorte
retrospettivo su pazienti Kaiser Permanente Northwest (KPNW) di età pari
o superiore a 18 anni che sono stati vaccinati con la formulazione
Pfizer o Moderna del vaccino bivalente COVID19 tra il 1 settembre 2022 e
il 1 marzo 2023. I pazienti sono stati inclusi nello studio studiare se
fossero iscritti al KP al momento della vaccinazione e durante il
periodo di follow-up di 21 giorni. Abbiamo replicato la metodologia di
analisi del ciclo rapido Vaccine Safety Datalink (VSD) e cercato
possibili casi di ictus ischemico o TIA nei 21 giorni successivi alla
vaccinazione utilizzando i codici diagnostici ICD10CM sia nella
posizione primaria che in qualsiasi posizione».
E’ quanto si legge nell’Abstract della ricerca intitolata “Rischio di
ictus ischemico dopo la vaccinazione di richiamo bivalente COVID-19 in
un sistema sanitario integrato (Risk of Ischemic Stroke after COVID-19
Bivalent Booster Vaccination in an Integrated Health System)”.«Abbiamo
identificato un aumento del 50% nell’incidenza di ictus ischemico per
100.000 pazienti di età pari o superiore a 65 anni vaccinati con il
vaccino bivalente Pfizer, rispetto ai dati presentati dal VSD. Il 79%
dei casi di ictus ischemico sono stati ricoverati in ospedali che non
sono di proprietà del sistema di consegna integrato e un ritardo
nell’elaborazione delle richieste di risarcimento assicurative esterne
all’ospedale è stato probabilmente responsabile della discrepanza
nell’accertamento dei casi di ictus ischemico. ».
18.08.23
Il procuratore generale del Texas Ken Paxton
ha cercato di fare luce sulla sicurezza dei vaccini Covid e sugli
esperimenti americani Gain of Function (GOF) per il potenziamento dei
virus SARS in laboratorio, condotti dal virologo Anthony Fauci tra gli
USA (University of North Carolina) e il Wuhan Institute of Virology, ma
è stato subito colpito da un impeachment (per altre ragioni politiche)
che ha bloccato la sua inchiesta.
Ora quattro famiglie americane delle vittime Covid hanno presentato una
formale denuncia per quelle pericolosissime ricerche prendendo di mira
il famigerato zoologo di origini britanniche Peter Daszak, presidente
della società EcoHealthAlliance di New York che fu finanziata dalla Bill
& Melinda Gates Foundation e soprattutto dall’Istituto Nazionale
Allergie e Malattie Infettive diretto da Fauci (fino al dicembre 2022)
per i progetti di costruzione di coronavirus chimerici del ceppo SARS
chimerici nel centro virologico cinese.
l dottor Zhou Yusen misteriosamente morto tre
mesi dopo aver brevettato un vaccino contro il Covid-19 nel febbraio
2020 che, secondo gli investigatori americani, sarebbe morto
misteriosamente proprio cadendo dal tetto del WIV di Wuhan.
Nel giugno 1998 durante il vertice
sino-americano in Cina il presidente Bill Clinton siglò una “Convenzione
sulla armi biologiche” con il presidente cinese Jiang Zemin,
Nell’aprile 2004 la Commissione Europea
presieduta dall’italiano Romano Prodi e composta anche dal commissario
Mario Monti diede il primo finanziamento di quasi 2milioni di euro al
Wuhan Institute of Virology grazie al quale la direttrice del Centro di
Malattie Infettive Shi Zengli, soprannominata bat-woman per i suoi
esperimenti sui coronavirus dei pipistrelli cinesi a ferro di cavallo,
creò il primo virus chimerico ricombinante potenziando un ceppo di SARS
con plasmidi infettati dal virus HIV.
16.08.23
l’instabilità del sistema colloidale di
nanomateriali lipidici (e il conseguente maggior rischio tossicologico)
della prima versione di Comirnaty sia sostanzialmente dovuta alla
presenza, in quella formulazione, di fattori destabilizzanti, quali,
appunto, i composti inorganici elettrolitici in eccesso, costituiti
principalmente dai componenti del tampone pH PBS utilizzato da
Pfizer-BioNTech».
Evidenzia il dottor Segalla illustrando le differenti caratteristiche
della stabilizzazione del farmaco concorrente Spikevax di Moderna.
«A questo proposito, però, quanto riportato nel brevetto della stessa
BioNTech (co- titolare, insieme a Pfizer, del vaccino Comirnaty) US
10,485,884 B2 RNA Formulation for Immunoterapy [Formulazioni a RNA per
immunoterapia] del 26 novembre 2019, risulta ancor più esplicito al
riguardo della “elevata tossicità” attribuita a “liposomi e lipoplexes”
caricati positivamente».
«Ciò si riferisce a formulazioni a base di RNA incapsulato in
nanoparticelle lipidiche cationiche – del tipo cioè di quelle usate nel
Comirnaty – e denominate, in questo contesto, “lipoplexes”. Nella
descrizione del brevetto, si spiega, fra l’altro, come le nanoparticelle
cationiche contenenti RNA si formino soprattutto grazie a determinati
rapporti di massa/carica tra i lipidi cationici (+) e le componenti
anioniche (-) dell’ RNA, e come tali rapporti giochino un ruolo
fondamentale anche per quanto riguarda il passaggio delle nanoparticelle
contenenti RNA attraverso la membrana cellulare e il conseguente
trasferimento dell’RNA all’interno della cellula (trasfezione) per
modificarne le caratteristiche funzionali:
Con una minore carica positiva in eccesso, l’efficacia della trasfezione
scende drasticamente, andando praticamente a zero. Sfortunatamente,
però, per liposomi e lipoplexes [nanoparticelle lipidiche] caricati
positivamente è stata segnalata un’elevata tossicità, che può essere un
problema per l’applicazione di tali preparati come prodotti
farmaceutici. [corsivi aggiunti] (Figura 26)».
«Le ragioni per cui i tamponi pH del tipo PBS non vanno assolutamente
bene in preparati a base di nanoparticelle cationiche inglobanti RNA
sono spiegate molto chiaramente nella sezione del brevetto intitolata
“Effects of Buffers/ Ions on Particle Sizes and PI of RNA Lipoplexes”
[Effetti dei tamponi / composti ionici sulle dimensioni e Indice di
polidispersione delle nanoparticelle lipidiche contenenti RNA] del
suddetto brevetto di BioNTech US 10,485,884 B2, 44 (47-50), 45 (4-6), 45
(31- 33)».
In condizioni fisiologiche (cioè a pH 7,4; 2,2 mM Ca++), è imperativo
assicurarsi che ci sia un rapporto di carica prevalentemente negativa, a
causa dell’ instabilità delle nanoparticelle lipidiche neutre o caricate
positivamente. [corsivi aggiunti] (Figura 27)
«In altre parole, sulla base di quanto scientificamente documentato e
riportato in un brevetto della stessa BioNTech, in aggiunta a quanto già
descritto riguardo alla pericolosità intrinseca delle nanoparticelle
lipidiche caricate positivamente, apprendiamo che un sistema colloidale
di nanoparticelle lipidiche cationiche inglobanti mRNA.
NON dovrebbe contenere nella propria formulazione un tampone ionico come
il PBS, al fine di prevenire fenomeni di aggregazione, agglomerazione,
flocculazione delle nanoparticelle lipidiche, con tutte le conseguenze
di ordine tossicologico sopra descritte.
NON dovrebbe contenere nella propria formulazione composti ionici (come
ad es. cloruro di sodio), al fine di prevenire fenomeni di aggregazione,
agglomerazione, flocculazione delle nanoparticelle lipidiche, con tutte
le conseguenze di ordine tossicologico sopra descritte.
NON dovrebbe essere iniettato per via intramuscolare, a causa della sua
instabilità quando viene a trovarsi nelle condizioni fisiologiche del
distretto extracellulare (pH 7,4; 2,2 mM Ca++).
«Tutte e tre queste rigorose raccomandazioni, riportate nel succitato
brevetto di BioNTech del 2019, sono spudoratamente disattese, o
ignorate, nel 2020, sia da Pfizer-BioNTech sia dagli enti certificatori,
sia nel merito della formulazione (ionico/ elettrolitico) sia in quello
della destinazione d’uso (inoculazione intramuscolare) del preparato
Comirnaty» rimarca il biochimico italiano segnalando che tali
«criticità» sono «in palese contrasto con le specifiche e pertinenti
raccomandazioni asserite dalla stessa BioNTech nel suo sopramenzionato
brevetto US 10,485,884 B2»
14.08.23
«Per i suesposti motivi, questo giudicante
ritiene non legittima e non conforme ai Principi Generali
dell’Ordinamento e della Costituzione la normativa in materia di obbligo
vaccinale, che pertanto va disapplicata. Con riguardo alle spese di
giudizio sussistono giustificati motivi per compensarle, attesa la
“particolarità” della materia trattata».
L’anonimo italiano over 50 che ha fatto ricorso al Giudice di Pace di
Santa Maria Capua a Vetere contro l’imposizione della vaccinazione Covid
e la conseguente multa da 100 euro emanata dall’Agenzia delle Entrate
per conto del Ministero della Salute dovrà pagare solo una ventina di
euro. Ovvero la metà dell’ammontare delle spese giudiziarie per ricorsi
inferiori a 1.100 euro.
Non è il primo e non sarà l’ultimo
pronunciamento giudiziario che contesta l’obbligatorietà dei sieri
genici sperimentali. Il caso più famoso è ovviamente quello della
giudice Susanna Zanda del Tribunale Civile di Firenze che, avendo osato
anche segnalare i decessi per presunte reazioni avverse ai vaccini alla
Procura della Repubblica di Roma, è finita nel fuoco incrociato della
Procura Generale della Corte di Cassazione che ha aperto un procedimento
disciplinare nei suoi confronti subito dopo le esternazioni politiche
del Ministro della Giustizia Carlo Nordio.
«Ebbene, al di là delle pronunce del
Consiglio d’Europa che ha avuto occasione di occuparsi della tematica
della vaccinazione Covid (con la Risoluzione 2361 del 2021) e di
decisioni, invece, contrarie, a parere di questo giudice, appaiono
decisive le circostanze, ormai conclamate, che il non vaccinato — a
prescindere dalle decisioni relative all’età — non ha determinato alcun
rischio maggiore per la salute pubblica rispetto ai soggetti vaccinati
provvisti di green pass, perché l’idoneità dei vaccini (quale strumento
di prevenzione del contagio), non solo non è pari o vicina al 100 % ma
si è di fatto rivelata prossima allo zero (Trib. Napoli marzo 2023)
«Il Tribunale del Lavoro di Catania, con la
decisione del 14.03.2022, ribadisce che “sebbene non si ignori che
l’impianto del D.D. 44/2021 sia ispirato alla finalità “di tutelare la
salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza
nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza” (art. 4, co. 1,
D.L. 44/2021), nell’ambito di una situazione emergenziale e del tutto
straordinaria, le conseguenze che esso implica nella sfera del
dipendente non vaccinato — e che si sono irrigidite a seguito delle
modifiche apportate all’originaria formulazione del decreto – appaiono
tuttavia eccessivamente sproporzionate e sbilanciate, nell’ottica della
necessaria considerazione degli altri valori costituzionali coinvolti,
tra cui, tra i primi, la dignità della persona, bene protetto da co. 2,
36,41 Cost. plurime previsioni della Carta: artt. 2, 3»
«Sebbene la legge possa prevedere
l’obbligatorietà di determinati trattamenti sanitari, sono rarissimi, ed
ancorati a precisi presupposti, ì casi in cui l’ordinamento consente la
possibilità di eseguirli contro la volontà della persona (ad es., è il
caso del TSO), valendo da sempre il principio che gli accertamenti ed i
trattamenti obbligatori debbano essere ‘accompagnati da iniziative
rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi
è obbligato”…»
«E ciò a conferma della consapevolezza del
legislatore che l’obbligo al trattamento sanitario costituisce pur
sempre un’eccezione rispetto al principio, di cui è espressione l’art.
32 Cost., della libera determinazione dell’individuo in materia
sanitaria».
In virtù di questi motivi ha accolto «il ricorso annullando il
provvedimento opposto» dall’avvocato Alessandra De Rosa contro l’avviso
di addebito di 100 euro al suo assistito.
08.08.23
Un manager della Pfizer in Oceania ha ammesso
che agli impiegati australiani dell’azienda farmaceutica di New York
sono somministrati dati lotti di vaccini differenti da quelli
distribuiti al pubblico.
Lo ha dichiarato durante un’Audizione davanti al Senato Australiano che,
a differenza dei politici dell’Unione Europea foraggiati dalle ONG di
Bill Gates, ha già avviato un’inchiesta formale per indagare sulla
natura dei sieri genici acquistati, sull’occultamento dei dati dei
trials clinici e sui danni causati ai vaccinati.
L’ammissione è arrivata durante una rigorosa
sessione di interrogatorio mercoledì, in cui il direttore medico
nazionale di Pfizer Australia, il dott. Krishan Thiru, e il capo delle
scienze normative, il dott. Brian Hewitt, hanno parlato davanti al
“Comitato per la legislazione sull’istruzione e l’occupazione” del
Senato australiano sui vaccini sperimentali contro il COVID-19, aggiunge
Gateway Pundit
23.07.23
I vaccini Covid contengono proporzioni
considerevoli di residui di DNA in grado di integrarsi permanentemente
nel genoma umano, causando malattie croniche e tumori. Questo potrebbe
anche spiegare l’eccesso di mortalità osservato dall’inizio delle
campagne di vaccinazione.
L’ex banchiere svizzero Pascal Najadi e'
l’autore di una denuncia penale per abuso di potere contro il presidente
della Confederazione Alain Berset è vaccinato tre volte e altrettante
volte si è costituito contro le autorità sanitarie da quando un’analisi
del suo sangue gli ha rivelato che il suo organismo continua a produrre
la proteina spike del vaccino più di 18 mesi dopo la sua ultima
iniezione Pfizer/BioNTech.
Contattato, l’interessato ci ha fornito i risultati del laboratorio
oltre ad una lettera del Prof. Sucharid Bhakdi confermando che “i
risultati del test indicano chiaramente che il signor Najadi soffre di
effetti irreparabili a lungo termine causati dal prodotto di mRNA
iniettato fabbricato da PfizerBiontech.
L’ex banchiere aveva consultato l’Ufficio
federale della sanità pubblica in Svizzera su questo argomento.
Quest’ultimo non è stato in grado di dargli risposte, sostenendo che non
poteva commentare un singolo caso. Pascal Najadi ne aveva dedotto che
l’ufficio in realtà non controllava nulla riguardo a queste nuove
tecnologie vaccinali.
La persistenza della presenza della proteina spike rilevata a Najadi e
altri iniettati rimane ufficialmente inspiegabile ed è ben oltre i 14
giorni comunicati quando sono state lanciate le campagne di vaccinazione
contro il Covid.
Tutti conoscono il DNA, rappresentato da una
doppia elica e contenente il nostro codice genetico. L’RNA è costituito
solo da un singolo filamento. La cellula lo produce secondo necessità
leggendo parte del DNA che servirà poi come specifiche per la produzione
di una proteina.
Una dose di “vaccino” Covid a RNA messaggero contiene miliardi di
filamenti di RNA messaggero, che innescheranno la produzione di
altrettante proteine spike del virus SARS-CoV-2 nelle cellule che
raggiungono. Queste proteine spike attiveranno una risposta del
sistema immunitario.
a proteina avanzata è stata anche presentata
come sostanza innocua durante le campagne di vaccinazione quando è nota
per essere tossica per l’organismo umano e causare la maggior parte
delle complicanze del Covid, comprese le reazioni infiammatorie e
allergiche.
Per comunicare, i batteri si scambiano
importanti “messaggi” genetici con l’aiuto dei cosiddetti plasmidi. Ad
esempio, se un batterio trova un nuovo meccanismo che aumenta la sua
resistenza agli antibiotici, incapsula questa informazione in plasmidi,
che verranno prodotti e ‘diffusi’ ad altri batteri.
Il processo di produzione dei filamenti di RNA dei vaccini Covid
richiede appunto di passare attraverso la manipolazione genetica dei
batteri mediante plasmidi, nei quali sarà stata precedentemente
introdotta la sequenza di DNA corrispondente alla proteina spike di
SARS-CoV-2.
Il plasmide viene propagato nei batteri e
utilizzato come stampo per la produzione di massa di RNA messaggero che
sarà in grado di innescare la produzione di proteine spike nelle
cellule vaccinate. Il DNA deve poi essere rimosso e l’RNA messaggero
viene poi miscelato con i lipidi per produrre nanoparticelle in grado di
portare l’mRNA nelle nostre cellule
Nell’ambito dell’autorizzazione
all’immissione in commercio del vaccino Pfizer, l’Agenzia europea per i
medicinali (Ema) si è quindi dovuta accontentare di consultare i dati
forniti dal produttore. EMA ha espresso sorpresa al produttore per il
fatto che il prodotto finale non fosse stato sequenziato geneticamente
per garantire che contenesse solo RNA messaggero e nessun DNA o altri
residui, apprende lo scienziato tedesco Florian Schilling in una
presentazione
Pfizer ha risposto di aver rinunciato
volontariamente al sequenziamento, ammettendo che non era certo
ottimale, ma che era giustificato per ridurre i costi. Anche altri
produttori hanno rinunciato a questo sequenziamento genetico come parte
della loro garanzia di qualità.
Tra le tecniche alternative di valutazione del prodotto utilizzate da
Pfizer c’è l’elettroforesi, che conta gli elementi presenti in una
soluzione in base alla loro dimensione.
Nei documenti forniti da Pfizer alla WEA,
l’RNA messaggero della proteina spike del vaccino è rappresentato da un
alto picco centrale. L’anomalia sono le “pendenze” su entrambi i lati
del picco, che rappresentano misteriosi “oggetti” genetici che non
corrispondono alle dimensioni dell’RNA messaggero e non dovrebbero
essere presenti in una soluzione purificata.
Anche l’EMA aveva voluto saperne di più e aveva richiesto i dati grezzi
a Pfizer. Il produttore aveva accettato di fornirli ma ad oggi non sono
ancora stati consegnati.
Un gruppo di ricercatori, preoccupato in
particolare per le conseguenze delle iniezioni di Covid sui giovani, ha
deciso all’inizio del 2023 di prendere in mano la situazione e mettere
in sequenza lotti di “vaccini” di Pfizer e Moderna. Il loro intero
approccio è spiegato in dettaglio in un primo articolo e nel suo
supplemento scritto da Kevin McKernan, biologo molecolare, specialista
in manipolazione genetica e sequenziamento, che ha partecipato
all’analisi.
Le loro scoperte sono di natura inquietante:
Quantità di DNA anormalmente elevata – La presenza di plasmidi
contenenti DNA proteico spike è stata confermata in proporzioni notevoli
per i “vaccini” di Pfizer e Moderna: tra il 20 e il 35%, ben oltre i
limiti di contaminazione fissati dall’EMA (0,033%) . Una singola dose
contiene quindi diversi miliardi di questi plasmidi che servivano per
produrre l’RNA messaggero e che poi avrebbero dovuto essere eliminati.
Queste informazioni sono già prova della non conformità di questi
prodotti alle normative vigenti.
Accelerazione della resistenza agli antibiotici – Fatto preoccupante, il
DNA di questi plasmidi contiene geni che li rendono resistenti a due
antibiotici: neomicina e kanamicina. L’introduzione di miliardi di geni
di resistenza agli antibiotici in plasmidi altamente replicabili,
consentendo la selezione di batteri resistenti a questi trattamenti nel
microbioma, dovrebbe sollevare preoccupazioni sull’accelerazione della
resistenza agli antibiotici su scala globale. Alcuni esperti stimavano
già prima della crisi del Covid che entro il 2050 non avremmo più avuto
antibiotici efficaci.
Elevato fattore di errore di copia – Gli scienziati affermano che la
presenza di un nucleotide chiamato pseudouridina è molto preoccupante
poiché è noto che ha un tasso di errore di copia di uno su 4000
nucleotidi, ovvero tra 5 e 8,5 milioni di possibili errori di copia per
dose di vaccino. E nessuno può dire a cosa corrispondano questi errori
poiché sono imprevedibili.
Integrazione permanente e transgenerazionale: i plasmidi vaccinali
possono raggiungere un batterio o una cellula umana. Quest’ultimo caso è
considerato problematico perché è possibile che il filamento di DNA
contenuto nel plasmide sia permanentemente integrato nel codice genetico
della cellula umana, permettendole in qualsiasi momento di produrre
autonomamente la proteina spike del vaccino, per tutta la vita. Con ogni
probabilità, questo è ciò che sta accadendo ai clienti di Pascal Najadi
e Me Ulbrich in Germania. L’insegnante. Bhakdi ha ricordato a questo
proposito che ogni divisione cellulare è un’opportunità per questo DNA
importato di modificare il genoma dell’ospite. Se questa integrazione
avviene in una cellula staminale, ovulo o spermatozoo, la modificazione
genetica verrà trasmessa alle generazioni successive.
Questo è grave perché oggi la scienza non
offre uno strumento per rimuovere un gene. Più incomprensibilmente, il
DNA del plasmide utilizzato da Pfizer contiene una sequenza (SV 40) che
gli permette di essere trasferito nel nucleo anche quando la cellula non
si sta dividendo e quindi di influenzare le cellule. La sua presenza è
comunque inutile per la produzione di RNA messaggero nei batteri. Questa
sequenza è assente dai plasmidi utilizzati da Moderna.
l vaccino Covid di Johnson & Johnson presenta
un rischio di integrazione ancora maggiore perché si basa su un virus a
DNA e utilizza un promotore molto più potente dell’SV 40, chiamato CMV.
Ciò comporta un rischio molto più elevato di oncogenesi e continua
produzione di proteine spike rispetto agli RNA messaggeri, afferma
Marc Wathelet, biologo molecolare e specialista di coronavirus che
abbiamo consultato (vedi intervista alla fine dell’articolo).
Poiché il DNA della proteina spike del plasmide prende di mira le
cellule dei mammiferi, ci sono pochissime possibilità che si integri
permanentemente nel genoma di un batterio intestinale. Non riuscendo a
diventare fabbriche proteiche avanzate, questi batteri – che non sono
cellule umane – potrebbero invece moltiplicare i plasmidi del vaccino e
contribuire così ad aumentare il rischio di contaminazione con cellule
umane, chiamato “bactofezione” o “trasfezione”.
Marc Wathelet conferma che se “il rischio di
contaminazione dei batteri nel microbioma rimane basso, sono i rischi di
infiammazione e soprattutto di tumori legati alla contaminazione delle
cellule del corpo delle persone vaccinate da parte del DNA che sono più
preoccupanti”.
L’esperto sottolinea che è “impossibile quantificare questo rischio”.
Trova “un aumento di alcuni tumori, ma non è chiaro se sia dovuto a DNA,
mRNA, un indebolimento del sistema immunitario, lipidi nelle
nanoparticelle o una combinazione di questi fattori
21.07.23
Come risulta, la proteina spike e l’mRNA non
sono gli unici rischi di queste iniezioni. Il team di McKernan ha anche
scoperto i promotori del virus della simmia 40 (SV40) che, da decenni,
sono sospettati di provocare il cancro negli esseri umani, compresi
mesoteliomi, linfomi e tumori del cervello e delle ossa.3 I
risultati4,5,6,7 sono stati pubblicati su OSF Preprints all’inizio di
aprile 2023. Come spiegato nell’abstract:8
“Sono stati utilizzati diversi metodi per valutare la composizione degli
acidi nucleici di quattro fiale scadute dei vaccini mRNA bivalenti
Moderna e Pfizer. Sono stati valutati due flaconi di ciascun fornitore…
Molteplici test supportano una contaminazione da DNA che supera i
requisiti dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) di 330ng/mg e della
FDA [Food and Drug Administration] di 10ng/dose…
Come riportato in una recensione del libro di
Lancet “The Virus and the Vaccine: The True Story of a Cancer-Causing
Monkey Virus, Contaminated Polio Vaccine and the Millions of Americans
Exposed”:13
“Nel 1960, gli scienziati e i produttori di vaccini sapevano che i reni
delle scimmie erano fogne di virus scimmieschi. Tale contaminazione
spesso rovinava le colture, comprese quelle di una ricercatrice del NIH
di nome Bernice Eddy, che lavorava sulla sicurezza dei vaccini… La sua
scoperta… minacciava uno dei più importanti programmi di salute pubblica
degli Stati Uniti…”.
Eddy cercò di informare i colleghi, ma fu
imbavagliata e privata dei suoi compiti di regolamentazione dei vaccini
e del suo laboratorio… [Due] ricercatori della Merck, Ben Sweet e
Maurice Hilleman, identificarono presto il virus del rhesus, poi
chiamato SV40, l’agente cancerogeno che era sfuggito a Eddy.
“Nel 1963, le autorità statunitensi decisero di passare alle scimmie
verdi africane, che non sono ospiti naturali dell’SV40, per produrre il
vaccino antipolio. A metà degli anni ’70, dopo studi epidemiologici
limitati, le autorità conclusero che, sebbene l’SV40 causasse il cancro
nei criceti, non sembrava farlo nelle persone.
“Arriviamo agli anni ’90: Michele Carbone, allora all’NIH [National
Institutes of Health], stava lavorando sul modo in cui l’SV40 induce i
tumori negli animali. Uno di questi era il mesotelioma, un raro tumore
della pleura che nelle persone si pensa sia causato principalmente
dall’amianto. L’ortodossia riteneva che l’SV40 non causasse tumori
nell’uomo.
“Incoraggiato da un articolo del 1992 del
NEJM [New England Journal of Medicine] che aveva trovato ‘impronte’ di
DNA di SV40 nei tumori cerebrali infantili, Carbone ha analizzato
biopsie di tumori umani di mesotelioma presso il National Cancer
Institute: Il 60% conteneva DNA di SV40. Nella maggior parte di esse, il
virus della scimmia era attivo e produceva proteine.
“Carbone pubblicò i suoi risultati su Oncogene nel maggio 1994, ma l’NIH
rifiutò di renderli pubblici… Carbone… si trasferì alla Loyola
University. Lì ha scoperto come l’SV40 disabilita i geni soppressori del
tumore nel mesotelioma umano e ha pubblicato i suoi risultati su Nature
Medicine nel luglio 1997. Anche studi in Italia, Germania e Stati Uniti
hanno mostrato associazioni tra SV40 e tumori umani”.
“Incoraggiato da un articolo del 1992 del
NEJM [New England Journal of Medicine] che aveva trovato ‘impronte’ di
DNA di SV40 nei tumori cerebrali infantili, Carbone ha analizzato
biopsie di tumori umani di mesotelioma presso il National Cancer
Institute: Il 60% conteneva DNA di SV40. Nella maggior parte di esse, il
virus della scimmia era attivo e produceva proteine.
“Carbone pubblicò i suoi risultati su Oncogene nel maggio 1994, ma l’NIH
rifiutò di renderli pubblici… Carbone… si trasferì alla Loyola
University. Lì ha scoperto come l’SV40 disabilita i geni soppressori del
tumore nel mesotelioma umano e ha pubblicato i suoi risultati su Nature
Medicine nel luglio 1997. Anche studi in Italia, Germania e Stati Uniti
hanno mostrato associazioni tra SV40 e tumori umani”.
Torniamo alle scoperte di McKernan, che
oltre al video in evidenza sono discusse anche nel podcast di Daniel
Horowitz qui sopra. In breve, il suo team ha scoperto livelli elevati di
plasmidi di DNA a doppio filamento, compresi i promotori SV40 (sequenza
di DNA essenziale per l’espressione genica) che sono noti per innescare
lo sviluppo del cancro quando incontrano un oncogene (un gene che ha il
potenziale di causare il cancro).
Il livello di contaminazione varia a seconda della piattaforma
utilizzata per la misurazione, ma indipendentemente dal metodo
utilizzato, il livello di contaminazione del DNA è significativamente
superiore ai limiti normativi sia in Europa che negli Stati Uniti,
afferma McKernan. Il livello più alto di contaminazione del DNA
riscontrato è stato del 30%, un dato piuttosto sorprendente.
Come spiegato da McKernan, quando si utilizza un tipico test PCR, si
viene considerati positivi se il test rileva il virus SARS-CoV-2
utilizzando una soglia di ciclo (CT) di circa 40. In confronto, la
contaminazione del DNA viene rilevata con TC inferiori a 20. Ciò
significa che la contaminazione è di un milione di milioni di unità.
Ciò significa che la contaminazione è un
milione di volte superiore alla quantità di virus che si dovrebbe avere
per risultare positivi al test COVID-19. “Quindi, c’è un’enorme
differenza per quanto riguarda la quantità di materiale presente”,
afferma McKernan.
Nel suo articolo su Substack14 , McKernan sottolinea anche che chi
sostiene che il DNA a doppio filamento e l’RNA virale siano una falsa
equivalenza, perché l’RNA virale è in grado di replicarsi, si sbaglia.
“La maggior parte dell’sgRNA che state rilevando in un tampone nasale
nel vostro naso NON È ADEGUATO ALLA REPLICAZIONE, come dimostrato da
Jaafar et al.15 È solo un frammento di RNA che dovrebbe avere una
longevità inferiore nelle vostre cellule rispetto ai frammenti
contaminanti di dsDNA”, scrive.
Se si sequenzia il DNA, si scopre che
corrisponde a quello che sembra essere un vettore di espressione usato
per produrre l’RNA… Ogni volta che vediamo una contaminazione del DNA,
come quella dei plasmidi, finire in un prodotto iniettabile, la prima
cosa a cui si pensa è se sia presente l’endotossina dell’E. coli
(Escherichia coli, ndr), perché crea anafilassi per chi viene iniettato.
Mentre i deceduti non vaccinati sono stati
soltanto 304 e quelli vaccinati con ciclo incompleto (senza seconda
dose) 25. Il periodo preso in considerazione dalla tabella ISS è quello
che va dal 29 aprile al 29 maggio 2022.
«Numerosi studi riportano l’insorgenza di
reazioni autoimmuni a seguito della vaccinazione contro il COVID-19
(Gadi et al., 2021; Watad et al., 2021; Bril et al., 2021; Portoghese et
al., 2021; Ghielmetti et al., 2021; Vuille – Lessard et al., 2021;
Chamling et al., 2021; Clayton-Chubb et al., 2021; Minocha et al., 2021;
Elrashdy et al., 2021; Garrido et al., 2021; Chen et al., 2022; Fatima
et al., 2022; Mahroum et al., 2022; Finsterer, 2022; Garg & Paliwal,
2022; Kaulen et al., 2022; Kwon & Kim, 2022; Ruggeri, Giovanellla &
Campennì, 2022). I dati istopatologici forniscono una prova
indiscutibile che dimostra che i vaccini genetici presentano una
distribuzione fuori bersaglio, provocando la sintesi della proteina
spike e innescando così reazioni infiammatorie autoimmuni, anche in
tessuti terminali differenziati».
Furono proprio gli esami patologici del
medico tedesco Morz a rilevare l’anomala persistenza nel corpo umano
della proteina Spike di cui un altro studio americano asseverato dalla
virologa Jessica Rose spiegò la proliferazione attraverso i plasmidi di
RNA.
«In generale, i potenziali rischi dei vaccini genetici che inducono le
cellule umane a diventare bersagli per l’attacco autoimmune non possono
essere valutati completamente, senza conoscere l’esatta distribuzione e
cinetica di LNP e mRNA, nonché la produzione e la farmacocinetica della
proteina spike».
Lo studio sottoscritto anche da Donzelli e
Bellavite poi conclude:
«Poiché il corpo umano non è un sistema strettamente compartimentato,
questo è motivo di seria preoccupazione per ogni vaccino genetico
attuale o futuro che induca le cellule umane a sintetizzare antigeni non
self. Infatti, per i tessuti terminalmente differenziati, la perdita di
cellule determina un danno irreversibile con prognosi potenzialmente
fatale. In conclusione, alla luce delle innegabili prove di
distribuzione fuori bersaglio, la somministrazione di vaccini genetici
contro COVID-19 dovrebbe essere interrotta fino a quando non saranno
eseguiti accurati studi di farmacocinetica, farmacodinamica e
genotossicità, oppure dovrebbero essere somministrati solo in
circostanze quando i benefici superano di gran lunga i rischi».
L’invito a indagare sui danni da sieri genici e a fermarne
l’inoculazione è giunto anche da una ricercatrice dell’Istituto
Superiore della Sanità e dalla sentenza del Tribunale di Firenze che ha
inviato gli atti alla Procura della Repubblica di Roma per un’accurata
inchiesta.
di Peter McCullough – pubblicato in origine
sul suo Substack
Mi viene spesso chiesto: perché tante persone che hanno assunto il
vaccino COVID-19 stanno apparentemente bene, mentre altre subiscono
danni al cuore, ictus, coaguli di sangue e finiscono per essere invalide
o morte? Da molti mesi si sospetta che ci possano essere variazioni nei
lotti o nelle partite di vaccino che potrebbero spiegare in parte queste
osservazioni. In altre parole, non tutti ricevono la stessa dose di
mRNA.
In base all’autorizzazione all’uso in emergenza, le aziende produttrici
di vaccini e i loro subappaltatori non effettuano alcuna ispezione delle
fiale finali riempite e finite. Si tratta di una situazione senza
precedenti per un prodotto di largo uso di qualsiasi tipo.
È possibile che le nanoparticelle lipidiche
si aggreghino in sospensione e quindi alcuni lotti potrebbero contenere
più mRNA di altri. Allo stesso modo, poiché le dimensioni dei lotti sono
variate nel tempo, è possibile che i contaminanti del processo di
produzione si concentrino in alcuni lotti più piccoli rispetto a quelli
più grandi.
Infine, il trasporto, la conservazione e l’uso del prodotto possono
essere fattori che denaturano l’mRNA, tra cui il riscaldamento, l’aria
iniettata nelle fiale e gli aghi multipli immersi nella sospensione.
Il problema della contaminazione è emerso quando il Giappone ha
restituito milioni di dosi e sono stati riscontrati detriti visibili sul
fondo delle fiale. Inoltre, poiché i contactor di biodifesa utilizzano
sfere metalliche, è possibile che i lotti iniziali più piccoli avessero
detriti magnetici che spiegavano il “magnetismo” nel braccio in cui
veniva somministrata l’iniezione, come riportato all’inizio della
campagna vaccinale.
Un rapporto di Schmeling e collaboratori sul
vaccino Pfizer BNT162b2 mRNA COVID-19 ha rilevato che il 71% degli
eventi avversi gravi proveniva dal 4,2% delle dosi (lotti ad alto
rischio), mentre <1% di questi eventi proveniva dal 32,1% delle dosi
(lotti a basso rischio). La variazione spiegata per i lotti ad alto e
moderato rischio è stata rispettivamente del 78 e dell’89%. Pertanto,
più dosi sono state somministrate da quelle fiale, maggiore è stato il
numero di effetti collaterali segnalati. Ciò significa che la maggior
parte del rischio risiede nell’iniezione e non nella persona che l’ha
ricevuta.
Si tratta di risultati di importanza
cruciale. Essi implicano che la debacle del vaccino COVID-19 è
effettivamente un problema di prodotto e non è dovuta alla
suscettibilità del paziente nella maggior parte delle circostanze.
Inoltre, la mancanza di ispezioni ha portato a un disastro di sicurezza.
Alcuni sfortunati pazienti ricevono una quantità eccessiva di mRNA, di
contaminanti o di entrambi e sono quindi esposti a iniezioni dannose e,
in alcuni casi, letali.
IN
ITALIA
Il trait d’union tra questa nuova ricerca
sponsorizzata dalla Commissione Europea e Rappuoli è proprio la
Fondazione Toscana Life Sciences (TLS) che ha creato un park science
accentratore di aziende operanti in campo sanitario medico, diagnostico
e farmaceutico.
TOSCANA LIFE SCIENCES NEL BIOTECNOPOLO DI SIENA
TLS è anche deputata a diventare uno dei pilastri del progetto del
Biotecnopolo di Siena, in fase di realizzazione nell’ex caserma in Viale
Cavour, che riceverà una cospicua dotazione finanziaria dal Piano
Nazionale Ripresa e Resilienza (PNNR) così suddivisa: 9 milioni di euro
per il 2022, 12 milioni per il 2023 e 16 milioni per il 2024. Ma la
fetta più grossa spetta proprio all’hub antipandemico (Centro Nazionale
Antipandemico – CNAP), che riceverà 340 milioni di euro da qui al 2026.
Una somma ingente in considerazione che le finalità sono praticamente
analoghe a quelle del Fondazione Centro Nazionale di Ricerca “Sviluppo
di terapia genica e farmaci con tecnologia a RNA” che vede come capofila
l’Università di Padova e come partner altri atenei italiani ma,
soprattutto, le Big Pharma dei vaccini Pfizer, Biontech e AstraZeneca.
Dal canto suo la Fondazione Toscana Life
Sciences (TLS) fin dall’agosto 2022 aveva subito accolto «con estremo
favore la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (GU) della Repubblica
Italiana dello Statuto della Fondazione Biotecnopolo, che avrà sede
legale e operativa a Siena. Un passo molto atteso che include la
partecipazione della Fondazione Toscana Life Sciences in qualità di
“nuovo fondatore” attraverso la stipula di un atto convenzionale entro
sessanta giorni dall’adozione dello Statuto stesso. Sono soci fondatori
il Ministero dell’Università e della Ricerca, il Ministero della Salute,
il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero dello Sviluppo
Economico, cui si aggiungerà la Fondazione TLS come “nuovo fondatore”
Esaote (che ha sede a Genova ma una filiale a
Firenze) e TLS, nella primavera 2021, si trovarono insieme a un vertice
convocato dalla Regione Toscana per costruire un eco-sistema per un
vaccino anti Covid-19 made in Tuscany. All’incontro presero parte, oltre
agli assessori Simone Bezzini (Sanità) e Leonardo Marras (Attività
produttive), i rappresentanti del Gruppo farmaceutico Menarini, di
Kedrion, Eli Lilly, Molteni Farmaceutici, Diesse Diagnostica, Aboca,
Abiogen, e di Gsk Vaccines.
Ora il Biotecnopolo di Siena e Toscana Life Sciences si assumeranno
l’onere di portare avanti questo obiettivo puntando sulla figura di
Rappuoli.
La Fondazione Toscana Life Sciences è il
soggetto operativo che coordina e gestisce le attività del Distretto
Toscano Scienze della Vita, il cluster regionale che aggrega tutti i
soggetti pubblici e privati che operano nei settori delle biotecnologie,
del farmaceutico, dei dispositivi medici, della nutraceutica, della
cosmeceutica e dell’Ict applicato alle life sciences.
E’ nata nel 2011 per iniziativa della Regione Toscana allora governata
dal presidente Alberto Monaci, bancario e ex deputato della Democrazia
Cristiana e poi del Partito Democratico, ed oggi rappresenta un
ecosistema dell’innovazione che raggruppa oltre 32 Centri Ricerca e 14
Enti di Ricerca, incluse le Università toscane (Firenze, Pisa, Siena);
le Scuole Superiori (Scuole di Alta Formazione Sant’Anna e Normale di
Pisa e Istituto di Alti Studi Imt di Lucca); gli Istituti del CNR. Sono
affiliate al Distretto oltre 200 aziende del settore pharma, medical
devices, biotech, ICT for health, nutraceutica, servizi correlati, per
oltre 6 miliardi di fatturato.
Tra queste spicca il nome della
bio-farmaceutica Kedrion della famiglia Marcucci dell’ex senatore del PD
Andrea Marcucci (non riconfermato alle elezioni del 2022) che attirò
l’attenzione dei media per l’interessamento a gestire a livello
industriale (con una società Israeliana del Gruppo della Big Pharma
americana Moderna finanziata da Gates) le cure del Covid-19 col plasma
del medico Giuseppe De Donno, primario di Pneumologia dell’ospedale Poma
di Mantova, morto suicida in circostanze misteriose dopo che la
sperimentazione fu sottratta dal governo al suo centro di ricerca e
assegnata a quello di Pisa.
NO
AL NUCLEARE , SULL'H2-FOTOVOLTAICO NON SI SPECULA
IL RAZIONAMENTO ENERGETICO NON RISOLTO
CON LE RINNOVABILI PUO' ESSERE USATO PER GIUSTIFICARE IL
NUCLEARE CHE UCCIDE VEDI RUSSIA E GIAPPONE.
CON LA SCUSA DEL NUCLEARE SI PUO' FAR
PAGARE 10 QUELLO CHE VALE 1
MENTRE LA FRANCIA INVESTE PER SANARE LO
SFASCIO DEL NUCLEARE L'ITALIA CI VUOLE ENTRARE ?
GLI INCIDENTI NUCLEARI IN RUSSIA E
GIAPPONE NON CI HANNO INSEGNATTO NULLA ? NE VOGLIAMO UNO ANCHE IN
ITALIA ?
LA CHIMERA MANGIA-SOLDI DELLA FUSIONE NUCLEARE
QUANTE RINNOVABILI SI POSSONO FARE ? IL CNR SPENDE PIU' PER IL FINTO
NUCLEARE CHE PER LA BANCA DEL SEME AGRICOLO.
IL FUTURO H2 CHE
NON SI VUOLE VEDERE
E' ASSURDO CONTINUARE A PENSARE DI GESTIRE A COSTI BASSI
ECONOMICAMENTE VANTAGGIOSI LA FUSIONE NUCLEARE QUANDO ESISTONO ENERGIE
RINNOVABILI MOLTO più CONTROLLABILI ED EFFICIENTI A COSTI più BASSI,
COME DIMOSTRA IL :
https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_22_3131
IL DOPPIO SACRILEGIO DELLA BESTEMMIA
RICETTA LIEVITO MADRE
RICAMBIO POLITICO BLOCCATO
L'Ucraina in fiamme - Documentario di Igor Lopatonok Oliver Stone 2016
(sottotitoli italiano)
"Abbiamo creato un archivio online per documentare i crimini di guerra
della Russia". Lo scrive su Twitter il ministro degli Esteri ucraino,
Dmytro Kuleba. "Le prove raccolte delle atrocità commesse dall'esercito
russo in Ucraina garantiranno che questi criminali di guerra non
sfuggano alla giustizia", aggiunge, con il link al sito in inglese
Cosa c’entra il climate
change con l’incidente al ghiacciaio della Marmolada?
Temperature di 10°C a 3.300 metri di altezza
da giorni, anomalie termiche pronunciate da maggio. Sono questi i
fattori alla base del crollo del seracco che ha travolto due cordate di
alpinisti domenica 3 luglio sotto Punta Penia
Il ghiacciaio
della Marmolada si sta ritirando di 6 metri l’anno
(Rinnovabili.it) – Almeno 10 morti, 9
feriti e un disperso. È il bilancio provvisorio dell’incidente che
ha coinvolto il 3 luglio due cordate di alpinisti nella zona di
Punta Rocca, proprio sotto il ghiacciaio della Marmolada.
Una parte del ghiacciaio è collassata per le temperature elevate,
scivolando rapidamente a valle in una enorme valanga di ghiaccio,
pietre e acqua fusa.
La dinamica dell’incidente
Verso le 14 del 3 luglio ha ceduto un seracco del ghiacciaio della Marmolada, la vetta
più alta delle Dolomiti, tra Punta Rocca e Punta Penia a oltre 3000
metri di quota. La scarica che si è creata è stata imponente, alta 60 metri con un fronte largo circa 200, e
ha investito un tratto della via normale per la cima di Punta Penia
precipitando a 300 km/h.
Ogni ghiacciaio ha dei seracchi, blocchi
di ghiaccio che assomigliano a dei pinnacoli e si formano con il
movimento del corpo glaciale. Scorrendo verso il basso, il
ghiacciaio incontra delle variazioni nella pendenza della montagna.
Queste deformano il ghiacciaio e provocano la formazione di
crepacci, che a loro volta danno luogo a delle “torri” di ghiaccio,
i seracchi. Queste formazioni, seppur normali, sono per
loro natura instabili. Tendono a cadere a valle,
ricompattandosi con il resto del corpo glaciale, ed è difficile
prevedere quando esattamente un evento del genere si può verificare.
Il climate change sul ghiacciaio della
Marmolada
Il distacco del seracco dal ghiacciaio
della Marmolada, con ogni probabilità, è stato facilitato e reso più
rovinoso dal cambiamento climatico. Negli ultimi giorni,
anche sulle cime di quel settore delle Dolomiti il termometro è
salito regolarmente a 10°C. Ma è da maggio che si
registrano
anomalie termiche molto pronunciate.
Anomalie che investono tutto l’arco
alpino. Sulla cima del monte Sonnblick, in Austria, 100
km più a nord-est, uno degli osservatori con le serie storiche più
lunghe e affidabili della regione alpina ieri segnalava il quasi
completo scioglimento del manto nevoso. Un dato che illustra molto
bene quanto l’estate del 2022 sia eccezionale: lì la neve non si era
mai sciolta prima del 13 agosto (capitò nel 1963 e nel caldissimo
2003).
Che legame c’è tra il crollo del seracco e le
temperature elevate? Secondo la società meteorologica
alpino-adriatica, “il ghiacciaio si è destabilizzato alla
base a causa della grande disponibilità di acqua di fusione
dopo settimane di temperature estremamente elevate e superiori alla
media”. Il caldo ha accelerato lo scioglimento del
ghiacciaio: “la lubrificazione dell’acqua alla base (o negli
interstrati) e l’aumento della pressione nei crepacci pieni d’acqua sono
probabilmente le cause principali di questo evento catastrofico”.
Normalmente, il ghiaccio sciolto – acqua di
fusione – penetra fra gli strati di ghiaccio o direttamente sul fondo
del ghiacciaio, incuneandosi tra massa glaciale e rocce sottostanti, per
sgorgare poi al fondo della lingua glaciale. Questo processo “lubrifica”
il ghiacciaio, accelerandone lo scivolamento, ma può anche creare delle
“sacche” piene d’acqua che non trova uno sfogo e preme sul resto del
ghiacciaio.
Come tutti gli altri ghiacciai alpini, anche
il ghiacciaio della Marmolada è in veloce ritirata a causa del
riscaldamento globale. L’ultima campagna di rilevazioni, condotta dal
Comitato Glaciologico Italiano e da Arpa Veneto lo scorso agosto, ha
segnalato un ritiro di 6 metri in appena 1 anno, mentre la
perdita complessiva di volume raggiunge il 90% in 100 anni.
Il cambiamento climatico corre più veloce
sulle Alpi che nel resto del pianeta, facendo delle
terre alte uno dei settori più vulnerabili. Un aumento della
temperatura globale di 1,5 gradi si traduce in un innalzamento, sulle
montagne italiane, di 1,8 gradi (con un margine d’errore di ±0,72°C).
Superare i 2 gradi a livello globale significa invece Alpi
2,51°C più calde (±0,73°C). Ma durante i mesi estivi,
l’aumento di temperatura è ancora più pronunciato e può arrivare,
rispettivamente, a 2,09°C ±1,24°C e a 2,81°C ±1,23°C.
«Il
22 maggio 1988 il sommergibile Nautile esplora il Mar Tirreno alla
ricerca del Dc9 Itavia. Alle 11,58 le telecamere inquadrano una forma
particolare. Uno dei due operatori dell’Ifremer scandisce in francese la
parola “misil”. Alle 13,53 s’intravede un’altra classica forma di
missile. Le ricerche della società di Tolone vengono sospese tre giorni
dopo. L’ingegner Jean Roux, dirigente della sezione recuperi
dell’Ifremer, subisce uno stop inspiegabile dall’ingegner Massimo Blasi,
capo della commissione dei periti del Tribunale di Roma» si legge ancora
nell’articolo.
«I due missili non vengono raccolti neppure durante la seconda
operazione di recupero affidata a una società inglese. Forse, perché la
Stella di Davide è intoccabile? – si domanda Lannes – Trascorrono tre
anni prima che i periti di parte abbiano la possibilità di visionare i
nastri dell’operazione Ifremer. Secondo un primo tentativo di
identificazione di tratta di un “Matra R 530 di fabbricazione francese”
e di uno “Shafrir israeliano”. I dati tecnici parlano chiaro. Quel Matra
è “lungo 3,28 metri, ha un diametro di 26 centimetri con ingombro alare
di 110, pesa 110 chilogrammi: è munito di una testata a frammentazione e
può colpire il bersaglio a 3 km di distanza con la guida a raggi
infrarossi e a 15 km con la guida radar semiattiva”. L’altro missile è
“lungo 2,5 metri, 16 centimetri di diametro e 52 di apertura alare, pesa
93 kg e ha una gittata di 5 km”. Entrambi i missili erano in dotazione
ai caccia di Israele, in particolare: Mirage III, Kfir, F4, A4, F15,
F16. Uno di quei missili è stato lanciato contro il Dc9».
Lannes ha aggiunto particolari agghiaccianti.
«Qualche anno fa – accompagnato alla Procura della Repubblica di Roma da
due poliziotti della scorta della Polizia di Stato – ho riferito, o
meglio verbalizzato ai magistrati Amelio e Monteleone quanto avevo
scoperto indagando per dieci anni sulla strage di Ustica. Ed ho indicato
loro alcuni testimoni (ex militari) mai interrogati dall’autorità
giudiziaria. Uno di essi (un ex ufficiale della Marina Militare) ha
dichiarato che il 27 giugno 1980 era in corso un’imponente esercitazione
aeronavale della NATO nel Mar Tirreno. E che l’unità su cui era
imbarcato, la Vittorio Veneto non ha prestato alcun soccorso, pur
essendo vicina al luogo di impatto del velivolo civile, ma ricevette
l’ordine di far rientro a La Spezia. Due di questi ex militari, già
appartenenti all’Aeronautica Militare sono stati minacciati, ed uno di
essi ha subito addirittura un trattamento sanitario obbligatorio messo
in atto dall’Arma Azzurra».
IL
VERO OBBIETTIVO DELLA MAFIA ESSERE LEGITTIMATA A TRATTARE ALLA PARI CON
LO STATO.
QUESTO LA HA FATTO LO GIURISPRUDENZA DELLA
TRATTATIVA STATO MAFIA CHE HA LEGITTIMATO DI FATTO LA MAFIA A
TRATTARE ALLA PARI CON LO STATO.
LA RESPONSABILITA' DEI SERVIZI SEGRETI NELLA
MORTE DI FALCONE E BORSELLINO , E PALESE.
I SERVIZI SEGRETI DIPENDONO DELLA PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO
Dichiarazione di Giuliano AMATO
«Stragi del '92 con matrice oscura. Giusto l'intervento di Pisanu» -
INTERVISTA
(02 luglio 2010) - fonte: Corriere della Sera - Giovanni Bianconi -
inserita il 02 luglio 2010 da 31
«Certo che il nostro è uno strano Paese», esordisce
Giuliano Amato, presidente del
Consiglio nel 1992 insanguinato dalle stragi di mafia, e dunque
testimone diretto di quella drammatica stagione rievocata nella
relazione del presidente della commissione parlamentare antimafia
Giuseppe Pisanu.
Perché, presidente?
«Perché quando un personaggio di primissimo rango come Giulio Andreotti
esce indenne da un lungo processo si dice che questo capita se si
confonde la responsabilità penale con quella politica, mentre quando un
presidente dell`Antimafia come Pisanu si sforza di cercare
responsabilità politiche laddove non ne sono state individuate di penali
gli si risponde che bisogna lasciar lavorare i giudici. Ma allora che
bisogna fare?».
Secondo lei?
«Secondo me il lavoro di Pisanu è legittimo e prezioso, perché può
aiutare la politica a cercare delle chiavi di lettura che non possono
sempre venire dalla magistratura. E a trovare finalmente il giusto modo
di affrontare la questione mafiosa. Provando a capire che cosa è
accaduto in passato si può affrontare meglio anche il presente».
Il passato, in questo caso, sono le stragi del 1992 e 1993. Lei divenne
capo del governo dopo la morte di Giovanni Falcone e prima di quella di
Borsellino. Ha avuto la sensazione di «qualcosa di simile a una
trattativa», come dice Pisanu?
«Sinceramente no. L`ho detto anche ai procuratori di Caltanissetta
quando mi hanno interrogato.
Io in quelle settimane ero molto impegnato ad affrontare l`emergenza
economico-finanziaria, dovevamo fare una manovra da 30.000 miliardi di
lire per il`92 e impostare quella del `93. La strage di via D`Amelio ci
colse nel pieno dei vertici economici internazionali.
Ricordo però che dopo quel drammatico avvenimento ebbi quasi un ordine
da Martelli, quello di far approvare subito il decreto-legge sul carcere
duro per i mafiosi varato dopo l`eccidio di Capaci. Andai di sera dal
presidente del Senato Spadolini, ed ottenni una calendarizzazione ad
horas del provvedimento».
Dei contatti tra alcuni ufficiali del Ros dei carabinieri e l`ex sindaco
mafioso di Palermo Ciancimino lei sapeva qualcosa, all`epoca?
«No, però voglio dire una cosa. Che ci sia stato un certo lavorio di
qualche apparato a livello inferiore è possibile, ma pensare che dei
contatti poco chiari potessero avere una sponda in Nicola Mancino che
era stato appena nominato ministro dell`Interno è un ipotesi che
considero offensiva, in primo luogo per lo stesso Mancino. Sulle ragioni
della sua nomina è Arnaldo Forlani che può fare chiarezza».
Perché?
«Perché la Dc di cui allora era segretario decise, o fu spinta a
decidere, che bisognava tagliare Gava dal governo. Ma a Gava bisognava
comunque trovare una via d`uscita onorevole, individuata nella
presidenza del gruppo al Senato che era di Mancino».
L`ex presidente del Consiglio Ciampi ha ripetuto che dopo le stragi del
'93 lui, da Palazzo Chigi, ebbe timore di un colpo di Stato. Lei pensò
qualcosa di simile, nello stesso posto, dopo le bombe del '92?
«No, ma del resto non ebbi timori di quel genere nemmeno dopo le stragi
degli anni Settanta. All`indomani di via D`Amelio non ebbi allarmi
particolari dal ministro dell`Interno, né dal capo della polizia Parisi
o da quelli dei servizi segreti. Parisi lo trovai ai funerali di
Borsellino, dove io e il presidente Scalfaro subimmo quasi
un`aggressione e avemmo difficoltà ad entrare in chiesa.
Ma attribuimmo l`episodio alla rabbia contro lo Stato che non era
riuscito ad evitare quella morte. Il problema che ancora oggi resta
insoluto è la vera matrice di quelle stragi».
Che intende dire?
«Che per la mafia furono un pessimo affare. Non solo quella di via
D`Amelio, dopo la quale Martelli applicò immediatamente il regime di
carcere duro a centinaia di boss, ma anche quella di Capaci. Certo,
Falcone era un nemico, ma in quel momento un`impresa economico-criminale
come Cosa Nostra avrebbe avuto tutto l`interesse a stare lontana dai
riflettori, anziché accenderli con quella manifestazione di violenza.
Quali interessi vitali dell`organizzazione mafiosa stava mettendo in
pericolo, Falcone?
La spiegazione che volevano eliminare un magistrato integerrimo, come
lui o come Borsellino, è troppo semplice. In ogni caso potevano
ucciderlo con modalità meno eclatanti, come hanno fatto in altre
occasioni. Invece vollero colpire lui e insieme lo Stato, imponendo una
devastante dimostrazione di potere».
Chi può esserci allora, oltre a Cosa nostra, dietro gli attentati che
per la mafia furono controproducenti?
«Purtroppo non lo sappiamo, ma è questa la domanda-chiave a cui dovremmo
trovare la risposta. Perché vede, per le stragi degli anni Settanta si
sono trovate molte spiegazioni; compresa quella che sosteneva il
prefetto Parisi, il quale immaginava un ruolo dei servizi segreti
israeliani per punire la politica estera italiana sul versante
palestinese. E per le stragi del 1993 io trovo abbastanza convincente la
tesi di una ritorsione per il carcere duro affibbiato a tanti boss e
soprattutto al loro capo, Riina, arrestato all`inizio dell`anno. Per
quelle del`92, invece, non riesco a immaginare motivazioni mafiose
sufficienti a superare le ripercussioni negative. E questo conferma
l`ipotesi di qualche condizionamento esterno rispetto ai vertici di Cosa
nostra.
Perciò ha ragione Pisanu a interrogarsi e chiedere di fare luce».
Anche laddove i magistrati non riescono ad arrivare?
«Ma certo. Noi siamo arrivati al limite del giuridicamente accettabile
con il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, che io
condivido ma che faccio fatica a spiegare all`estero.
Al di là di quel reato, però, non ci sono solo i boy scout; possono
esistere rapporti pericolosi, magari meno diretti o meno importanti, ma
pur sempre rapporti. E di questi dovrebbe occuparsi la politica, prima
dei magistrati».
Infatti Andreotti e Cossiga, agli ordini
di Henry Kissinger, se ne interessarono con Delle Chiaie che
rappresentava un estremismo di destra che teneva rapporti con la mafia
di Rejna , secondo Lo Cicero.
PERCHE' IL PRESIDENTE BIDEN NON
GRAZIA ASSANGE dimostrando di essere migliore dei suoi
predecessori ?
FATTI
NO BLA BLA BLA
DELLA STAMPA PER CONDIZIONARE LA VITA DELLE PERSONE CHE NON PENSANO
PRIMA DI AGIRE
LE NON RISPOSTE DI DRAGHI E CINGOLANI
DOCUMENTATE DA REPORT
QUALE E' LA VERITA' SUI MANDANTI DELLA MORTE DI
FALCONE E BORSELLINO ?
Era il 23 maggio del 1992 quando Giovanni Falcone
guidava la Fiat Croma della sua scorta che lo accompagnava
dall’aeroporto di Punta Raisi a Palermo.
Assieme a lui c’erano la moglie Francesca Morvillo, e l’autista Giuseppe
Costanza che quel giorno sedeva dietro.
Nel corteo delle auto che accompagnano il magistrato palermitano c’erano
anche altre due auto, la Fiat Croma marrone sulla quale viaggiavano gli
agenti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, e la Fiat Croma
azzurra sulla quale erano presenti gli agenti Paolo Capuzza, Gaspare
Cervello e Angelo Corbo.
Alle 17:57 circa, secondo la ricostruzione della versione ufficiale,
viene azionato da Giovanni Brusca il telecomando della bomba posta sotto
il viadotto autostradale nel quale passava il giudice Falcone.
La prima auto, quella degli agenti Montinaro, Schifani e Dicillo viene
sbalzata in un campo di ulivi che si trovava vicino alla carreggiata.
Muoiono tutti sul colpo.
L’auto di Falcone e di sua moglie Francesca viene investita da una
pioggia di detriti e l’impatto tremendo scaglia entrambi contro il
parabrezza della macchina.
In quel momento sono ancora vivi, ma le ferite riportate sono molto
gravi ed entrambi moriranno nelle ore successive all’ospedale.
L’autista Giuseppe Costanza sopravvive miracolosamente alla strage ed è
ancora oggi vivo.
Mai in Italia la mafia era riuscita ad eseguire una operazione così
clamorosa e così ben congegnata tale da far pensare ad un coinvolgimento
di apparati terroristici e militari che andavano ben oltre le capacità
di Cosa Nostra.
Capaci è una strage unica probabilmente anche a livello internazionale.
Fu fatta saltare un’autostrada con 200 kg di esplosivo da cava. Appare
impossibile pensare che furono soltanto uomini come Giovanni Brusca o
piuttosto Totò Riina soprannominato Totò U Curtu potessero realizzare
qualcosa del genere.
Impossibile anche che nessuno si sia accorto di come nei giorni
precedenti sia stata portata una quantità considerevole di esplosivo
sotto l’autostrada senza che nessuno notasse nulla.
È alquanto probabile che gli attentatori abbiano utilizzato dei mezzi
pesanti per trasportare il tritolo e il T4 utilizzati per preparare
l’ordigno.
Il via vai di mezzi deve essere stato frequente ed è difficile pensare
che questo passaggio non sia stato notato da nessuno nelle aree
circostanti.
Così come è impossibile che gli attentatori sapessero l’ora esatta in
cui Falcone sarebbe sbarcato a Palermo senza avere una qualche fonte
dall’interno che li informasse dei movimenti e degli spostamenti del
magistrato.
Capaci per tutte le sue caratteristiche quindi è un evento che appare
del tutto inattuabile senza il coinvolgimento di elementi infedeli
presenti nelle istituzioni che diedero agli attentatori le informazioni
necessarie per eseguire la strage.
Senza i primi, è impossibile sapere chi sono i veri mandanti occulti
dell’eccidio che è costato la vita a 5 persone e che sconvolse l’Italia.
E per poter comprendere quali siano questi mandanti occulti è necessario
guardare a cosa stava lavorando Falcone nelle sue ultime settimane di
vita.
Senza posare lo sguardo su questo intervallo temporale, non possiamo
comprendere nulla di quello che accadde in quei tragici giorni.
La stampa nostrana sono trent’anni che ci offre una ricostruzione
edulcorata e distorta della strage di Capaci.
Ci vengono mostrate a ripetizione le immagini di Giovanni Brusca. Ci è
stato detto tutto sulla teoria strampalata che vedrebbe Silvio
Berlusconi tra i mandanti occulti dell’attentato, teoria che pare aver
trovato una certa fortuna tra gli allievi liberali montanelliani, quali
Peter Gomez e Marco Travaglio.
Non ci viene detto nulla però su ciò che stava facendo davvero Giovanni
Falcone prima di morire.
L’indagine di Falcone sui fondi neri del PCI
All’epoca dei fatti, Falcone era direttore generale degli affari penali,
incarico che aveva ricevuto dall’allora ministro della Giustizia,
Claudio Martelli.
Nei mesi prima di Capaci, Falcone riceve una vera e propria richiesta di
aiuto da parte di Francesco Cossiga, presidente della Repubblica.
Cossiga chiede a Falcone di fare luce sulla marea di fondi neri che
erano piovuti da Mosca dal dopoguerra in poi nelle casse dell’ex partito
comunista italiano.
Si parla di somme da capogiro pari a 989 miliardi di lire che sono
transitati dalle casse del PCUS, il partito comunista dell’Unione
Sovietica, a quelle del PCI.
La politica del PCUS era quella di finanziare e coordinare le attività
dei partiti comunisti fratelli per diffondere ed espandere ovunque
l’influenza del pensiero marxista e leninista e dell’URSS che si
dichiarava custode di quella ideologia.
Questa storia è raccontata dettagliatamente in un avvincente libro
intitolato "Il viaggio di Falcone a Mosca" firmato da Francesco Bigazzi
e da Valentin Stepankov, il procuratore russo che stava collaborando con
Falcone prima di essere ucciso.
Il sistema di finanziamento del PCUS era piuttosto complesso e spesso si
rischia di perdersi in un fitto dedalo di passaggi e sottopassaggi nei
quali è spesso difficile comprendere dove siano finiti effettivamente i
fondi.
I finanziamenti erano erogati dal partito comunista sovietico agli altri
suoi satelliti nel mondo e di questo c’è traccia nelle carte esaminate
da Stepankov.
Ricevevano fondi il partito comunista francese e persino il partito
comunista americano rappresentato da Gus Hall che a Mosca assicurava
tutto il suo impegno contro l’imperialismo americano portato avanti da
Ronald Reagan.
Il partito comunista italiano era però quello che riceveva la quantità
di fondi più ingenti perché questo era il partito comunista più forte
d’Occidente ed era necessario nell’ottica di Mosca assicurargli un
costante sostegno per tenera aperta la possibilità di spostare l’Italia
dall’orbita del patto Atlantico a quella del patto di Varsavia.
Una eventualità che se fosse mai avvenuta avrebbe provocato non solo la
probabile fine della stessa NATO ma anche un probabile conflitto tra
Washington e Mosca che si contendevano un Paese fondamentale, allora
come oggi, per gli equilibri dell’Europa e del mondo.
Ed è in questa ottica che va vista la strategia della tensione ispirata
e attuata da ambienti atlantici per impedire che Roma si avvicinasse
troppo a Mosca.
Nell’ottica di questa strategia era necessario colpire la popolazione
civile attraverso gruppi terroristici, ad esempio le Brigate Rosse,
infiltrati da ambienti dell’intelligence americana per eseguire azioni
clamorose, su tutte il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.
Il sangue versato dall’Italia nel dopoguerra per volontà del cosiddetto
stato profondo di Washington è stato versato per impedire all’Italia di
intraprendere un cammino politico che avrebbe potuto allontanarla troppo
dalla sfera di dominio Euro-Atlantica non tanto per approdare in quella
sovietica, ma piuttosto, secondo la visione di Moro, nel campo dei Paesi
non allineati né con un blocco né con l’altro.
Nel 1992 questo mondo era già crollato e non esisteva più la cosiddetta
minaccia sovietica. A Mosca regnava il caos. Una epoca era finita e
l’URSS era crollata non per via della sua struttura elefantiaca, come
pretende di far credere una certa vulgata atlantista, ma semplicemente
perché si era deciso di demolirla dall’interno.
La perestrojka, termine russo che sta per ristrutturazione, di cui l’ex
segretario del PCUS, Gorbachev, fu un convinto sostenitore fu ciò che
preparò il terreno alla caduta del blocco sovietico.
Gorbachev era ed è un personaggio molto vicino agli ambienti del
globalismo che contano e fu uno dei primi sovietici ad essere elogiato e
sostenuto dal gruppo Bilderberg che nel 1987 guarda con vivo interesse e
ammirazione alla sua apertura al mondo Occidentale.
Al Bilderberg c’è il gotha della società mondiale in ogni sua
derivazione politica, economica, finanziaria e ovviamente mediatica
senza la quale sarebbe stato impossibile perseguire i piani di questa
struttura paragovernativa internazionale.
Uno dei membri di spicco di questo club, David Rockefeller, ringraziò
calorosamente alcuni anni dopo gli esponenti della stampa mondiale,
soprattutto quella anglosassone, per aver taciuto le attività di questa
società segreta che senza il silenzio dei media non sarebbe mai riuscita
a portare avanti indisturbata i suoi piani.
Nella visione di questi ambienti, l’URSS, di cui, sia chiaro, non si ha
nostalgia, era comunque diventata ingombrante e doveva essere rimossa.
Il segretario del partito comunista, Gorbachev, attraverso le sue
“riforme” ebbe un ruolo del tutto fondamentale nell’ambito del
raggiungimento di questo obbiettivo.
I signori del Bilderberg avevano deciso che gli anni 90 avrebbero dovuto
essere gli anni della globalizzazione e della concentrazione di un
potere mai visto nelle mani della NATO che per poter avvenire doveva
passare dall’eliminazione del blocco opposto, quello dell’Unione
Sovietica.
Il crollo dell’URSS ebbe un impatto devastante sulla società
post-sovietica russa. Moltissimi dirigenti, 1746, si tolsero la vita. Un
numero di morti per suicidio che non trova probabilmente emuli nella
storia politica recente di nessun Paese.
Alcuni suicidi furono piuttosto anomali e si pensò che alcuni influenti
notabili di Mosca in realtà siano stati suicidati per non far trapelare
le verità scomode che sapevano riguardano ai finanziamenti del partito.
A Mosca era iniziato il grande saccheggio e le svendite di tutto quello
che era il patrimonio pubblico dello Stato.
L’URSS era uscita dall’era della proprietà collettivizzata per entrare
in quella del neoliberismo più feroce e selvaggio così come avvenne per
gli altri Paesi dell’Europa Orientale che furono messi all’asta e
comprati da corporation angloamericane.
Il procuratore russo Stepankov voleva far luce sulla enorme quantità di
soldi che era uscita dalle casse del partito. Voleva capire dove fosse
finito tutto questo denaro e come esso fosse stato speso.
Per fare questo, chiese assistenza all’Italia e il presidente Cossiga
girò questa richiesta di aiuto all’allora direttore generale degli
affari penali, Giovanni Falcone.
Falcone accettò con entusiasmo e ricevette a Roma nel suo ufficio il
procuratore Stepankov per avviare quella collaborazione, inedita dal
secondo dopoguerra in poi, tra l’Italia e la neonata federazione russa.
Al loro primo incontro, Falcone e Stepankov si piacciono subito.
Entrambi si riconoscono una integrità e una determinazione
indispensabili per degli inquirenti determinati a comprendere cosa fosse
accaduto con quella enorme quantità di denaro che aveva lasciato Mosca
per finire in Italia.
I fondi venivano stanziati in dollari e poi convertiti in lire ma per
poter completare questo passaggio era necessaria l’assistenza di
un’altra parte, che Falcone riteneva essere la mafia che in questo caso
avrebbe agito in stretto contatto con l’ex PCI.
I legami tra PCI e mafia non sono stati nemmeno sfiorati dai media
mainstream italiani. La sinistra progressista si è attribuita una sorta
di primato morale nella lotta alla mafia quando questa storia e questa
indagine rivelano invece una sua profonda contiguità con il fenomeno
mafioso.
L’indagine di Falcone rischiava di mandare a monte il piano di Mani
Pulite
Giovanni Falcone era determinato a fare luce su questi legami, ma non
fece in tempo. Una volta iniziata la sua collaborazione con Stepankov la
sua vita fu stroncata brutalmente nella strage di Capaci.
Era in programma un viaggio del magistrato nei primi giorni di giugno a
Mosca per continuare la collaborazione con Stepankov.
Il giudice si stava avvicinando ad una verità scabrosa che avrebbe
potuto travolgere l’allora PDS che aveva abbandonato la falce e martello
del partito comunista due anni prima nella svolta della Bolognina
inaugurata da Achille Occhetto.
Il PCI si stava tramutando in una versione del partito democratico
liberal progressista molto simile a quella del partito democratico
americano.
Il processo di conversione era già iniziato anni prima quando a
Washington iniziò a recarsi sempre più spesso Giorgio Napolitano che
divenne un interlocutore privilegiato degli ambienti che contano negli
Stati Uniti, soprattutto quelli sionisti e atlantisti.
A Washington avevano già deciso probabilmente in quegli anni che doveva
essere il nuovo partito post-comunista a trascinare l’Italia nel girone
infernale della globalizzazione.
Il 1992 fu molto di più che l’anno della caccia alle streghe
giudiziaria. Il 1992 fu una operazione internazionale decisa nei circoli
del potere anglo-sionista che aveva deciso di liberarsi di una classe
politica che, seppur con tutti i suoi limiti, aveva saputo in diverse
occasioni contenere l’atlantismo esasperato e aveva saputo esercitare la
sua sovranità come accaduto a Sigonella nel 1984 e come accaduto anche
con l’omicidio di Aldo Moro, che pagò con la vita la decisione di voler
rendere indipendente l’Italia dall’influenza di questi centri di potere
transnazionali.
Il copione era quindi già scritto. Il pool di Mani Pulite agì come un
cecchino. Tutti i partiti vennero travolti dalle inchieste giudiziarie e
tutti finirono sotto la gogna mediatica della pioggia di avvisi di
garanzia che in quel clima da linciaggio popolare equivalevano ad una
condanna anticipata.
Il PSI di Craxi fu distrutto così come la DC di Andreotti. Tutti vennero
colpiti ma le inchieste lasciarono, “casualmente”, intatto il PDS.
Eppure era abbastanza nota la corruzione delle cosiddette cooperative
rosse, così come era nota la corruttela che c’era nel partito comunista
italiano che riceveva fondi da una potenza straniera, allora nemica, e
poi li riciclava attraverso la probabile assistenza di organizzazioni
mafiose.
Questa era l’ipotesi investigativa alla quale stava lavorando Giovanni
Falcone e questa era la stessa ipotesi che subito dopo raccolse Paolo
Borsellino, suo fraterno amico e magistrato ucciso soltanto 55 giorni
dopo a via d’Amelio.
Mai la mafia era giunta a tanto, e non era giunta a tanto perché non era
nelle sue possibilità. C’è un unico filo rosso che lega queste due
stragi e questo filo rosso porta fuori dai confini nazionali.
Porta direttamente in quei centri di potere che avevano deciso che tutta
la ricchezza dell’industria pubblica italiana fosse smantellata per
essere portata in dote alla finanza anglosionista.
Questi stessi centri di potere globali avevano deciso anche che dovesse
essere il nuovo PDS a proseguire lo smantellamento dell’economia
italiana attraverso la sua adesione alla moneta unica.
E fu effettivamente così, salvo la parentesi berlusconiana del 94. Il
PDS portò l’Italia sul patibolo dell’euro e di Maastricht e privò della
sovranità monetaria il Paese agganciandola alla palla al piede della
moneta unica, arma della finanza internazionale.
E fu il turbare di questi equilibri che portò alla prematura morte dei
magistrati Falcone e Borsellino. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
avevano messo le mani sui fili dell’alta tensione. Quelli di un potere
così forte che fa impallidire la mafia.
I due brillanti giudici sapevano che il fenomeno mafioso non poteva
essere compreso se non si guardava al piano superiore, che era quello
costituito dalla massoneria e dal potere finanziario.
Cosa Nostra e le altre organizzazioni sono solamente della manovalanza
di un potere senza volto molto più potente.
È questa la verità che non viene raccontata agli italiani che ogni anno
quando si celebrano queste stragi vengono sommersi da un fiume di
retorica o da una scadente cinematografia di regime che mai sfiora la
verità su quanto accaduto in quegli anni e mai sfiora il vero potere che
eseguì il colpo di Stato del 1992 e che insanguinò l’Italia nello stesso
anno.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono due figure che vanno ricordate
non solo per il loro eroismo, ma per la loro ferma volontà e
determinazione nel fare il loro mestiere, anche se questo voleva dire
pagare con la propria vita.
Lo fecero fino in fondo sapendo di sfidare un potere enormemente più
forte di loro. Sapevano che in gioco c’erano equilibri internazionali e
destini decisi da uomini seduti nei consigli di amministrazione di
banche e corporation che erano i veri registi della mafia.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vanno ricordati perché sono due eroi
italiani che si sono opposti a ciò che il Nuovo Ordine Mondiale aveva
deciso per l’Italia e pur di farlo non hanno esitato a sacrificare la
loro vita.
Oggi, trent’anni dopo, sembra che stiano per chiudersi i conti con
quanto accaduto nel 1992 e l’Italia sembra più vicina all’avvio di una
nuova fase della sua storia, una nella quale potrebbe esserci la seria
possibilità di avere una sovranità e una indipendenza come non la si è
avuta dal 1945 in poi.
Autovelox mobili: la multa non è
valida se non sono segnalati
multe autovelox
La Cassazione ha confermato che anche gli autovelox posti sulle
pattuglie delle varie forze dell’ordine devono essere adeguatamente
segnalati.
Autovelox mobili: la multa non è valida se non sono segnalati
AUTOVELOX MOBILI - Subire una multa per eccesso di velocità non è
certamente piacevole, soprattutto perché questo comporta la necessità di
dover mettere mano al portafoglio per una spesa imprevista. Ci sono però
delle situazioni in cui la sanzione può essere ritenuta non valida e
quindi annullata, come indicata da una recente sentenza emessa dalla
Corte di Cassazione. Che ha così chiarito i dubbi su cosa può accadere
nel caso in cui l’autovelox presente in un tratto di strada non sia
opportunamente segnalato: l’obbligo è valido anche per gli autovelox
mobili montati sulle auto della polizia.
UNA LUNGA TRAFILA LEGALE - La vicenda trae origine da un’automobilista
di Feltre (Belluno) aveva subito sei anni fa una multa per eccesso di
velocità dopo essere stato sorpreso a 85 km/h in un tratto di strada in
cui il limite era invece di 70 m/h. Una pattuglia della polizia presente
sul posto dotata di autovelox Scout Speed aveva provveduto a
sanzionarlo. L’uomo era però convinto di avere subito un’ingiustizia e
aveva così deciso di fare ricorso. Alla fine, nonostante la trafila sia
stata particolarmente lunga, è stato proprio il conducente a vincere
fino ad arrivare alla sentenza della Cassazione emessa pochi giorni fa.
LA SENTENZA - Nella quale si legge: "In attuazione del generale obbligo
di preventiva e ben visibile segnalazione, contempla la possibilità di
installare sulle autovetture dotate del dispositivo Scout Speed messaggi
luminosi contenenti l'iscrizione “controllo velocità” o “rilevamento
della velocità”, visibili sia frontalmente che da tergo. Molteplici
possibilità di impiego e segnalazione sono correlate alle
caratteristiche della postazione, fissa o mobile, sicché non può dedursi
alcuna interferenza negativa che possa giustificare, avuto riguardo alle
caratteristiche tecniche della strumentazione impiegata nella postazione
di controllo mobile, l'esonero dall'obbligo della preventiva
segnalazione".
per non fare diventare l'ITALIA un'hotspot
europeo dell'immigrazione in quanto bisogna resistere come italiani nel
nostro paese dando agli immigrati un messaggio forte e chiaro : ogni
paese puo' svilupparsi basta impegnarsi per farlo con le risorse
disponibili e l'intelligenza , che significa adattamento nel superare le
difficolta'.
Inventarsi un lavoro invece che fare
l'elemosina.
Quanti miracoli ha fatto Maometto rispetto a
Gesu' ?
1)
esame d'italiano e storia italiana per gli immigrati
2)
lavori socialmente utili
3)
pulizia e cucina autonoma
3 gennaio 1917, Suor Lucia nel Terzo segreto di Fatima: Il sangue dei
martiri cristiani non smetterà mai di sgorgare per irrigare la terra e
far germogliare il seme del Vangelo. Scrive suor Lucia: “Dopo le
due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra
Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano
sinistra; scintillando emetteva grandi fiamme che sembrava dovessero
incendiare il mondo intero; ma si spegnevano al contatto dello splendore
che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l’Angelo
indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza,
Penitenza, Penitenza! E vedemmo in una luce immensa che è Dio: “Qualcosa
di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano
davanti” un Vescovo vestito di Bianco “abbiamo avuto il presentimento
che fosse il Santo Padre”. Vari altri vescovi, sacerdoti, religiosi e
religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c’era una
grande croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la
corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande
città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di
dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel
suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi
della grande croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli
spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo
morirono gli uni dopo gli altri i vescovi, sacerdoti, religiosi e
religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e
posizioni. Sotto i due bracci della croce c’erano due Angeli ognuno con
un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il
sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a
Dio”.interpretazione del
Terzo segreto di Fatima era già stata offerta dalla stessa Suor Lucia in
una lettera a Papa Wojtyla del 12 maggio 1982. In essa dice: «La
terza parte del segreto si riferisce alle parole di Nostra Signora: “Se
no [si ascolteranno le mie richieste la Russia] spargerà i suoi errori
per il mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni
saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie
nazioni saranno distrutte” (13-VII-1917). La terza parte del segreto è
una rivelazione simbolica, che si riferisce a questa parte del
Messaggio, condizionato dal fatto se accettiamo o no ciò che il
Messaggio stesso ci chiede: “Se accetteranno le mie richieste, la Russia
si convertirà e avranno pace; se no, spargerà i suoi errori per il
mondo, etc.”. Dal momento che non abbiamo tenuto conto di questo appello
del Messaggio, verifichiamo che esso si è compiuto, la Russia ha invaso
il mondo con i suoi errori. E se non constatiamo ancora la consumazione
completa del finale di questa profezia, vediamo che vi siamo incamminati
a poco a poco a larghi passi. Se non rinunciamo al cammino di peccato,
di odio, di vendetta, di ingiustizia violando i diritti della persona
umana, di immoralità e di violenza, etc. E non diciamo che è Dio che
così ci castiga; al contrario sono gli uomini che da se stessi si
preparano il castigo. Dio premurosamente ci avverte e chiama al buon
cammino, rispettando la libertà che ci ha dato; perciò gli uomini sono
responsabili».
Le storie
degli immigrati occupanti che cercano di farsi mantenere insieme alle
loro famiglie , non lavoro come gli immigrati italiani all'estero:
1) Mi
trovavo all'opedale per prenotare una visita delicata , mentre stato
parlando con l'infermiera, una donna mi disse di sbrigarmi : era di
colore.
2) Mi
trovavo in C,vittorio ang V.CARLO ALBERTO a Torino, stavo dando dei
soldi ad un bianco che suonava una fisarmonica accanto ai suoi pacchi,
arriva un nero in bici e me li chiede
3) Ero su un
bus turistico e' salito un nero ha spostato la roba che occupava i primi
posti e si e' messo lui
4) Ero in un
team di startup che doveva fare proposte a TIM usando strumenti della
stessa la minoranza mussulmana ha imposto di prima vedere gli strumenti
e poi fare le proposte: molto innovativo !
5) FINO A
QUANDO I MUSSULMANI NON ACCETTANO LA PARITA' UOMO DONNA , ANCHE SE LO
SCRIVE IL CORANO E' SBAGLIATO. E' INACCETTABILE QUESTO PRINCIPIO CHE CI
PORTA INDIETRO.
6) perche'
lITALIA deve accogliere tutti ? anche gli alberghi possono rifiutare
clienti .
7) Immigrazione ed economia sono
interconnesse in quanto spostano pil fuori dal paese.
8) Gli
extracomunitari ti entrano in casa senza chiedere permesso. Non solo
desiderano la roba d altri ma la prendono.
Forse il primo insegnamento sarebbe il rispetto della liberta' altrui.
09.01.19
Tutti i nulllafacenti immigrati Boeri dice che
ne abbiamo bisogno : per cosa ? per mantenerli ?
04.02.17l
L'ISIS secondo me sta facendo delle prove di
attentato con l'obiettivo del Vaticano con un attacco simultaneo da
terra con la tecnica dei camion e dal cielo con aerei come a NY
l'11.09.11.
Riforma sostenuta da una maggioranza
trasversale: «Non razzismo, ma realismo» Case Atc agli immigrati La
Regione Piemonte cambia le regole Gli attuali criteri per le
assegnazioni penalizzano gli italiani .
Screening pagato dalla Regione e affidato alle
Molinette Nel Centro di Settimo esami contro la Tbc “Controlli da marzo”
Tra i profughi in arrivo aumentano i casi di scabbia In sei mesi sono
state curate un migliaio di persone.
Il Piemonte è la quarta regione italiana per
numero di richiedenti asilo. E gli arrivi sono destinati ad aumentare.
L’assessora Cerutti: “Un sistema che da emergenza si sta trasformando in
strutturale”. Coinvolgere maggiormente i Comuni.In Piemonte ci sono
14.080 migranti e il flusso non accenna ad arrestarsi: nel primo mese
del 2017 sono già sbarcati in Italia 9.425 richiedenti asilo, in
confronto ai 6030 dello scorso anno e ai 3.813 del 2015. Insomma, serve
un piano. A illustrarlo è l’assessora all’Immigrazione della Regione
Monica Cerutti, che spiega come la rete di accoglienza in questi anni
sia radicalmente cambiata, trasformando il sistema «da emergenziale a
strutturale».
La Regione punta su formazione e compensazioni
mentre aumentano i riconoscimenti In Piemonte 14 mila migranti Solo 1200
nella rete dei Comuni A Una minoranza inserita in progetti di
accoglienza gestiti dagli enti locali umentano i riconoscimenti delle
commissioni prefettizie, meno rigide rispetto al passato prossimo: la
tendenza si è invertita, le domande accolte sono il 60% rispetto al 40%
dei rigetti. Non aumenta, invece, la disponibilità a progetti di
accoglienza e di integrazione da parte dei Comuni. Stando ai dati
aggiornati forniti dalla Regione, si rileva che rispetto ai 14 mila
migranti oggi presenti in Piemonte quelli inseriti nel sistema Sprar -
gestito direttamente dai Comuni - non superano i 1.200. Il resto lo
troviamo nelle strutture temporanee sotto controllo dalle Prefetture.
Per rendere l’idea, nella nostra regione i Comuni sono 1.2016. La
trincea dei Comuni Un bilancio che impensierisce la Regione, alle prese
con resistenze più o meno velate da parte degli enti locali: il
termometro di un malumore, o semplicemente di indifferenza, che impone
un lavoro capillare di convincimento. «Di accompagnamento, di
compensazione e prima ancora di informazione contro la disinformazione e
certe strumentalizzazioni politiche», - ha precisato l’assessora Monica
Cerutti riepilogando le azioni previste nel piano per regionale per
l’immigrazione. A stretto giro di posta è arrivata la risposta della
Lega Nord nella persona del consigliere regionale Alessandro Benvenuto:
«Non esistono paure da disinnescare ma necessità da soddisfare sia in
termini di sicurezza e controllo del territorio, sia dal punto di vista
degli investimenti. Il Piemonte ha di per sé ben poche risorse, che
andrebbero utilizzate per creare lavoro e risolvere i problemi che
attanagliano i piemontesi, prima di essere adoperate per far fare un
salto di qualità all’accoglienza». Progetti di accoglienza Tre i
progetti in campo: «Vesta» (ha come obiettivo il miglioramento dei
servizi pubblici che si relazionano con i cittadini di Paesi terzi),
“Petrarca” (si occupa di realizzare un piano regionale per la formazione
civico linguistica), “Piemonte contro le discriminazioni” (percorsi di
formazione e di inclusione volti a prevenire le discriminazioni).
Inoltre la Regione ha attivato con il Viminale un progetto per favorire
lo sviluppo delle economie locali sostenendo politiche pubbliche rivolte
ai giovani ivoriani e senegalesi. Più riconoscimenti Come si premetteva,
aumentano i riconoscimenti: 297 le domande accolte dalla Commissione di
Torino nel periodo ottobre-dicembre 2016 (status di rifugiato,
protezione sussidiaria e umanitaria); 210 i rigetti. In tutto i
convocati erano mille: gli altri o attendono o non si sono presentati. I
tempi della valutazione, invece, restano lunghi: un paio di anni,
considerando anche i ricorsi. Sul fronte dell’assistenza sanitaria e
della prevenzione, si pensa di replicare nel Centro di Castel D’Annone,
in provincia di Asti, lo screening contro la tubercolosi che dal marzo
sarà attivato al Centro Fenoglio di Settimo con il concorso di Regione,
Croce Rossa e Centro di Radiologia Mobile delle Molinette.
INTANTO :«Non sono ipotizzabili anticipazioni di
risorse» per l’asilo che Spina 3 attende dal 2009. La lunga attesa aveva
fatto protestare molti residenti e c’era chi già stava perdendo le
speranze. Ma in Circoscrizione 4, in risposta a un’interpellanza del
consigliere della Lega Carlo Morando, il Comune ha messo nero su bianco
che i fondi dei privati per permettere la costruzione dell’asilo non ci
sono. Quella di via Verolengo resta una promessa non rispettata. Con la
crisi immobiliare, la società Cinque Cerchi ha rinunciato a costruire
una parte dei palazzi e gli oneri di urbanizzazione versati, spiegò mesi
fa l’ex assessore Lorusso, erano andati per la costruzione del tunnel di
corso Mortara. Ad ottobre c’è stata una nuova riunione. L’esito è stata
la fumata nera da parte dei privati. «Sarà necessario che la
progettazione e la realizzazione dell’opera vengano curate direttamente
dalla Città di Torino», scrive il Comune nella sua risposta. Senza
specificare come e dove verranno reperiti i fondi necessari, né quando
si partirà.
20 gen 2011 -L'immigrazione"circolare"
è quella in cui i migranti, dopo un certo periodo di lavoro
all'estero, tornano nei loro Paesi d'origine. Un sistema più ...
Tutto è iniziato quando è stato chiuso il bar. I
60 stranieri che erano a bordo del traghetto Tirrenia diretto a Napoli
volevano continuare a bere. L’obiettivo era sbronzarsi e far scoppiare
il caos sulla nave. Lo hanno fatto ugualmente, trasformando il viaggio
in un incubo anche per gli altri 200 passeggeri. In mezzo al mare, nel
cuore della notte, è successo di tutto: litigi, urla, botte, un
tentativo di assalto al bancone chiuso, molestie ai danni di alcuni
viaggiatori e persino un’incursione tra le cuccette. La situazione è
tornata alla calma soltanto all’alba, poco prima dell’ormeggio, quando i
protagonisti di questa interminabile notte brava hanno visto che sulle
banchine del porto di Napoli erano già schierate le pattuglie della
polizia. Nella nave Janas partita da Cagliari lunedì sera dalla Sardegna
era stato imbarcato un gruppo di nordafricani che nei giorni scorsi
aveva ricevuto il decreto di espulsione. Una trentina di persone, alle
quali si sono aggiunti anche altri immigrati nordafricani. E così a
bordo è scoppiato il caos. Il personale di bordo ha provato a riportare
la calma ma la situazione è subito degenerata. Per ore la nave è stata
in balia dei sessanta scatenati. All’arrivo a Napoli, il traghetto è
stato bloccato dagli agenti della Questura di Napoli che per tutta la
giornata sono rimasti a bordo per identificare gli stranieri che hanno
scatenato il caos in mezzo al mare e per ricostruire bene l’episodio.
«Il viaggio del gruppo è stato effettuato secondo le procedure previste
dalla legge, implementate dalle autorità di sicurezza di Cagliari – si
limita a spiegare la Tirrenia - La compagnia, come sempre in questi
casi, ha destinato ai passeggeri stranieri un’area della nave, a
garanzia della sicurezza dei passeggeri, non essendo il gruppo
accompagnato dalle forze di polizia. Contrariamente a quanto
avvenuto in passato, il gruppo ha creato problemi a bordo per tensioni
al suo interno che poi si sono ripercosse sui passeggeri». A bordo del
traghetto gli agenti della questura di Napoli hanno lavorato per quasi
12 ore e hanno acquisito anche le telecamere della videosorveglianza
della nave. Nel frattempo sono scoppiate le polemiche. «I protagonisti
di questo caos non sono da scambiare con i profughi richiedenti asilo -
commenta il segretario del Sap di Cagliari, Luca Agati - La verità è che
con gli sbarchi dal Nord Africa, a cui stiamo assistendo anche in questi
giorni, arrivano poco di buono, giovani convinti di poter fare cio’ che
vogliono una volta ottenuto il foglio di espulsione, che di fatto è un
lasciapassare che garantisce loro la libertà di delinquere in Italia.
Cosa deve accadere per far comprendere che va trovata una soluzione
definitiva alla questione delle espulsioni?» In ostaggio per ore
Per ore la nave è stata in balia dei sessanta scatenati, che hanno
trasformato il viaggio in un incubo per gli altri 200 passeggeri
21.02.17
Istituto comprensivo Regio Parco La crisi spegne
la musica in classe Le famiglie non pagano la retta da 10 euro al mese:
a rischio il progetto lanciato da Abbado, mentre la Regione Piemonte
finanzia un progetto per insegnare ai bambini italiani la lingua degli
immigrati non viceversa.
Qui Foggia Gli sfollati di una palazzina
crollata nel 1999 vivono in container di appena 24 mq Qui Messina Nei
rioni Fondo Fucile e Camaro San Paolo le baracche aumentano di anno in
anno Donne e bambini Nei rioni nati dopo il sisma le case sono coperte
da tetti precari, spesso di Eternit Qui Lamezia Terme Oltre 400
calabresi di etnia rom vivono ai margini di una discarica a cielo aperto
Qui Brescia Nelle casette di San Polino le decine di famiglie abitano
prefabbricati fatiscenti Da Brescia a Foggia, da Lamezia a Messina.
Oltre 50 mila italiani vivono in abitazioni di fortuna. Tra amianto,
topi e rassegnazione Caterina ha 64 anni e tenacia da vendere. Con gli
occhi liquidi guarda il tetto di amianto sopra la sua testa: «Sono stata
operata due volte di tumore, è colpa di questo maledetto Eternit».
Indossa una vestaglia a righe bianche e blu. «Vivo qui da vent’anni.
D’estate si soffoca, d’inverno si gela, piove in casa e l’umidità bagna
i vestiti nei cassetti. Il dottore mi ha detto di andare via. Ma dove?».
In fondo alla strada abita Concetta, che tra topi e lamiere trova la
forza di sorridere: «A ogni campagna elettorale i politici ci promettono
case popolari, ma una volta eletti si dimenticano di noi. Sono certa che
morirò senza aver realizzato il mio sogno: un balcone dove stendere la
biancheria». Antonio invece no, lui non ride. Digrigna i denti rimasti:
«Gli altri li ho persi per colpa della rabbia. In due anni qui sono
diventato brutto, mi vergogno». Slum, favela, bidonville: Paese che vai,
emarginazione che trovi. Un essere umano su sei, nel mondo, vive in una
baraccopoli. In Italia sono almeno 53 mila le persone che, secondo
l’Istat, abitano nei cosiddetti «alloggi di altro tipo», diversi dalle
case. Cantine, roulotte, automobili e soprattutto baracche. Le storie di
questi cittadini invisibili (e italianissimi) sono raccontate nel
documentario «Baraccopolis» di Sergio Ramazzotti e Andrea Monzani,
prodotto da Parallelozero, in onda domenica sera alle 21,15 su Sky
Atlantic Hd per il ciclo «Il racconto del reale». Le baraccopoli sono
non luoghi popolati da un’umanità sconfitta e spesso rassegnata. Donne,
uomini, bambini, anziani. Vittime della crisi economica o di circostanze
avverse. Vivono in stamberghe all’interno di moderni ghetti al confine
con quella parte di città degna di questo nome. Di là dal muro la
civiltà. Da questo lato fango, calcinacci, muffa, immondizia, fogne a
cielo aperto. A Messina le abitazioni di fortuna risalgono ad oltre un
secolo fa, quando il terremoto del 1908 rase al suolo la città. Qui
l’emergenza è diventata quotidianità. Fondo Fucile, Giostra, Camaro San
Paolo. Eccoli i rioni del girone infernale dei diseredati. Legambiente
ha censito più di 3 mila baracche e altrettante famiglie. I topi,
invece, sono ben di più. A Lamezia Terme oltre 400 calabresi di etnia
rom vivono ai margini di una discarica. Tra loro c’è Cosimo, che
vorrebbe andare via: «Non per me, ma per mio figlio, ha subìto un
trapianto di fegato». A Foggia gli sfollati di una palazzina crollata
nel 1999 vivono nei container di 24 mq. Andrea abita invece nelle
casette di San Polino a Brescia, dove un prefabbricato fatiscente è
diventato la sua dimora forzata: «Facevo l’autotrasportatore. Dopo due
ictus ho perso patente e lavoro. I miei figli non sanno che abito qui.
Non mi è rimasto nulla, nemmeno la dignità». Sognando un balcone «Il mio
sogno? È un balcone dove stendere la biancheria», dice la signora
Caterina nIl documentario «Baraccopolis» di Sergio Ramazzotti e Andrea
Monzani, prodotto da Parallelozero, andrà in onda domani sera alle 21.15
su Sky Atlantic Hd per il ciclo «Il racconto del reale». Su Sky Atlantic
Il documentario 3 domande a Sergio Ramazzotti registra e fotografo “Così
ho immortalato la vita dentro quelle catapecchie” Chi sono gli abitanti
delle baraccopoli? «Sono cittadini italiani, spesso finiti lì per caso.
Magari dopo aver perso il lavoro o aver divorziato». Quali sono i tratti
comuni? «Chi finisce in una baracca attraversa fasi simili a quelle dei
malati di cancro. Prima lo stupore, poi la rabbia, il tentativo di
scendere a patti con la realtà, la depressione, infine la
rassegnazione». Cosa ci insegnano queste persone? «È destabilizzante
raccontare donne e uomini caduti in disgrazia con tanta rapidità. Sono
individui come noi. La verità è che può succedere a chiunque».
Baraccopolid’Italia
01.03.17
GLI ITALIANI AIUTANO più FACILMENTE GLI
EXTRACOMUNITARI RISPETTO AGLI ITALIANI.
SE VUOI SCRIVERTI UN BREVETTO CONSULTA dm.13.01.10
n33
La Commissione
europea, tre anni dopo aver condannato quattro tra le più grandi banche
europee per aver truccato il tasso di interesse che incide sui mutui di
milioni di cittadini europei, ha finalmente tolto il segreto al testo
della sentenza. E quel documento di trenta pagine potrebbe valere, solo
per gli italiani che hanno un mutuo sulle spalle, ben 16 miliardi di
euro di rimborsi da chiedere alle banche.
La storia parte
con la scoperta di un'intesa restrittiva della concorrenza, ovvero un
cartello, tra le principali banche europee. Lo scopo, secondo
l'Antitrust europeo, era di manipolare a proprio vantaggio il corso
dell'Euribor, il tasso di interesse che funge da riferimento per un
mercato di prodotti finanziari che vale 400mila miliardi di euro. Tra
questi ci sono i mutui di 2,5 milioni di italiani, per un controvalore
complessivo stimabile in oltre 200 miliardi. L'Euribor viene calcolato
giorno per giorno con un sondaggio telefonico tra 44 grandi banche
europee, che comunicano che tasso di interesse applicano in quel momento
per i prestiti tra banche. Il risultato del sondaggio viene comunicato
all'agenzia Thomson Reuters che poi comunica il valore dell'Euribor agli
operatori e al pubblico. L'Antitrust ha scoperto che alcune grandi
banche, tra il 2005 e il 2008, si erano messe d'accordo per falsare i
valori comunicati e manipolare il valore del tasso secondo la propria
convenienza. «Alcune volte, -recita la sentenza che il Giornale ha
potuto visionare- certi trader (omissis...) comunicavano e/o ricevevano
preferenze per un settaggio a valore costante, basso o alto di certi
valori Euribor. Queste preferenze andavano a dipendere dalle proprie
posizioni commerciali ed esposizioni»
Il risultato
ovviamente si è riflettuto sui mutui degli ignari cittadini di tutta
Europa, che però finora avevano le unghie spuntate. Un avvocato di
Sassari, Andrea Sorgentone, legato all'associazione Sos Utenti, ha
subissato la Commissione di ricorsi per farsi consegnare il testo della
sentenza dell'Antitrust che condanna Deutsche Bank, Société Genéralé,
Rbs e Barclay's a pagare in totale una multa di oltre un miliardo di
euro.
La Ue ha sempre
rifiutato adducendo problemi di riservatezza delle banche, ma alla fine
l'avvocato ha ottenuto una copia della sentenza, seppur in parte
«censurata». E ora il conto potrebbe salire. E non solo per quelle
direttamente coinvolte, perché il tasso alterato veniva applicato ai
mutui variabili da tutte le banche, anche le italiane, che ora
potrebbero dover pagare il conto dei trucchi di tedesche, francesi e
inglesi. Sorgentone si dice convinto di poter ottenere i risarcimenti:
«Secondo le stime più attendibili -dice- i mutuatari italiani hanno
pagato interessi per 30 miliardi, di cui 16 indebitamente. La sentenza
europea è vincolante per i giudici italiani. Ora devono solo
quantificare gli interessi che vanno restituiti in ogni rapporto mutuo,
leasing, apertura di credito a tasso variabile che ha avuto corso dal 1
settembre 2005 al 31 marzo 2009».
27.01.17
Come creare un meeting su
Zoom? In un
periodo in cui è richiesto dalla società il distanziamento sociale,
la nota app per le videoconferenze diventa uno strumento importante
per molte aziende e privati. Se partecipare a un meeting è un
processo estremamente semplice, che non richiede neppure la
registrazione al servizio, discorso diverso vale per gli utenti che
desiderano creare un meeting su Zoom.
Ecco dunque una semplice guida per semplificare
la vita a coloro che hanno intenzione di approcciare alla
piattaforma senza confondersi le idee.
Come si crea un meeting su Zoom
Dopo aver
scaricato e installato Zoom, e aver effettuato la registrazione,
si dovrà dunque effettuare l’accesso premendo Sign In
(è possibile loggare direttamente con il proprio account Google o
Facebook, comunque). A questo punto, bisogna procedere in questo
modo:
Fare tap su New Meeting
(pulsante arancione)
Scegliere se avviare il meeting con la
fotocamera accesa o spenta, tramite il toggle Video On
Premere Start a Meeting
A questo punto è stata creata la
videoconferenza, ma affinché venga avviata è necessario invitare i
partecipanti. Per proseguire sarà necessario quindi:
Fare tap su Participants
(nella parte in basso dello schermo)
Premere su Invite
Scegliere il mezzo attraverso cui
inviare il link di partecipazione ai mittenti (tramite e-mail o
messaggio, per esempio)
Una volta invitati gli utenti, chi ha creato
il meeting avrà la possibilità di fare tap su ognuno di essi per
utilizzare diverse funzioni: per esempio si potranno silenziare,
piuttosto che chiedergli di attivare la fotocamera, eccetera.
Facendo tap sul pulsante Chats
(in basso a sinistra dello schermo), inoltre, si potranno inviare
messaggi di testo a tutti i partecipanti o solo a uno di essi. Una
volta terminata la videoconferenza, la si potrà chiudere facendo tap
sulla scritta rossa End in alto a destra: si potrà
in ultimo scegliere se lasciare il meeting (Leave Meeting),
permettendo agli altri di continuare a interagire, o se scollegare
tutti (End Meeting).
Windows File Recovery
recupera i file cancellati per sbaglio
È la prima app di questo tipo
realizzata direttamente da Microsoft.
A tutti - beh, a quanti non hanno un
backup efficiente - sarà capitato di cancellare per errore un file,
non solo mettendolo nel Cestino, ma facendolo sparire apparentemente per
sempre.
Recuperare i
file cancellati ha tante più possibilità di riuscire quanto meno la
zona occupata da quei file è stata sovrascritta, ed è un lavoro per
software specializzati.
Fino a oggi, l'unica possibilità per i sistemi
Windows era scegliere programmi di terze parti. Ora Microsoft ha
rilasciato una piccola
utility che si occupa proprio del recupero dei file.
Si tratta di un programma privo di
interfaccia grafica: per adoperarlo bisogna quindi superare la
diffidenza per la linea di comando che alberga in molti utenti di
Windows.
L'utility ha tre modalità base di funzionamento.
Default, suggerita per i drive
Ntfs, si rivolge alla Master File Table (MFT) per individuare i
segmenti dei file. Segment fa a meno della MFT e si basa invece
sul rilevamento dei segmenti (che contengono informazioni come il nome,
la data, il tipo di file e via di seguito). Signature, infine, si
basa sul tipo di file: non avendo a disposizione altre informazioni,
cerca tutti i file di quel tipo (Microsoft consiglia questo sistema per
le unità esterne come chiavette Usb e schede SD).
Windows File Recovery è in grado di tentare il
recupero da diversi filesystem - quali Ntfs,
exFat e ReFS - e per apprendere il suo utilizzo Microsoft ha messo a
disposizione una
pagina d'aiuto (in inglese) sul sito ufficiale.
Qui sotto, alcune schermate di Windows File
Recovery.
Non si può dire che Windows 10 sia un
sistema operativo essenziale: ogni nuova installazione porta con sé,
insieme al sistema vero e proprio, tutta una serie di applicazioni che
per la maggior parte degli utenti si rivelano inutili, se non
fastidiose, senza contare le aggiunte dei singoli produttori di Pc.
Rimuoverle a mano una a una è un compito
tedioso, ma esiste una piccola applicazione che facilita l'intera
operazione:
Bloatbox.
Nata come estensione per
Spydish, app utile per gestire le informazioni condivise con
Microsoft da
Windows 10 e più in generale le impostazioni del sistema che
coinvolgono la privacy, è poi diventata un software a sé.
Il motivo è un po' la medesima
ragione di vita di Bloatbox: non rendere
Spydish troppo "grasso" (bloated), ossia ricco di funzioni
che, per quanto utili, vadano a incidere sulla possibilità di avere
un'applicazione compatta, efficiente e facile da usare.
Bloatbox si scarica da GitHub sotto forma di
archivio.zip da estrarre sul Pc. Una volta compiuta questa
operazione non resta altro da fare che cliccare due volte sul file
Bloatbox.exe per avviare l'app.
La
finestra principale mostra sulla sinistra una colonna in cui è
presente la lista di tutte le app installate in Windows, tra cui anche
quelle che normalmente non si possono disinstallare - come il Meteo,
Microsoft News e via di seguito - e quelle installate dal produttore del
computer.
Ciò che occorre fare è selezionare quelle app
che si intende rimuovere e, quando si è soddisfatti, premere il
pulsante, che le aggiungerà alla colonna di destra, dove si
trovano tutte le app condannate alla cancellazione.
A questo punto si può premere il pulsante
Uninstall, posto nella parte inferiore della
colonna centrale, e il processo di disinstallazione inizierà.
L'ultima versione al momento in cui scriviamo
mostra anche, nella colonna di destra di un pratico link per effettuare
una "pulizia
generale" di una nuova installazione di Windows 10, identificato
dalla dicitura Start fresh if your Windows 10 is loaded with bloat....
Cliccandolo, verranno aggiunte all'elenco di
eliminazione tutte le app preinstallate e considerate
bloatware. Chiaramente l'elenco
può essere personalizzato a piacere rimuovendo da esso le app che si
intende tenere tramite il pulsante Remove selected.
Il sito che installa tutte le
app essenziali per Windows 10
Bastano pochi clic per ottenere
un Pc perfettamente attrezzato, senza dover scaricare ogni singolo
software.
Reinstallare il sistema operativo è solo il primo passo, dopo un
incidente al Pc che abbia causato la necessità di ripartire da capo, tra
quelli necessari per arrivare a riavere un computer perfettamente
configurato e utilizzabile.
A quel punto inizia infatti il processo di configurazione e di
installazione di tutte quelle grandi e piccole applicazioni che svolgono
i vari compiti ai quali il computer è dedicato. Si tratta di
un'operazione che può essere lunga e tediosa e che sarebbe bello poter
automatizzare.
Una delle alternative migliori da tempo esistente è Ninite, sito che
permette di selezionare le app preferite e si occupa di scaricarle e
installarle in autonomia.
Da quando però Microsoft ha lanciato un proprio gestore di pacchetti
(Winget) sono spuntate delle alternative che a esso si appoggiano e,
dato che funziona da linea di comando, dette alternative si occupano di
fornire un'interfaccia grafica.
Una delle più interessanti è Winstall, che semplifica l'installazione
delle app dai repository messi a disposizione da Microsoft.
Winstall è una Progressive Web Application (Pwa), ossia un sito da
visitare con il proprio browser e che permette di scegliere le app da
installare sul computer; in questo senso, dal punto di vista dell'uso è
molto simile al già citato Ninite.
Diverso è però il funzionamento: se Ninite scarica i singoli installer
dei vari programmi, Winstall si appoggia a Winget, che quindi deve
essere preventivamente installato sul Pc.
Inoltre offre una propria funzionalità specifica, che il suo
sviluppatore ha battezzato Featured Pack.
Si tratta di gruppi di applicazioni unite da un tema o una funzionalità
comune (browser, strumenti di sviluppo, software per i giochi) che si
possono selezionare tutte insieme; Winstall si occupa quindi di generare
il codice da copiare nel Prompt dei Comandi per avviare l'installazione.
In alternativa si può scaricare un file .bat da eseguire, che si occupa
di invocare Winget per portare a termine il compito.
I Featured Pack sono infine personalizzabili: gli utenti sono invitati a
creare il proprio e a condividerlo.
Leggi l'articolo originale su ZEUS News -
https://www.zeusnews.it/n.php?c=28369
Cos’è e a cosa serve la pasta madre
La pasta madre è un lievito naturale che permette di preparare un ottimo
pane, ma anche pizze e focacce. Conosciuta anche come pasta acida, la
pasta madre è un impasto che può essere realizzato in diversi modi. Ad
esempio, la pasta madre si può ottenere prelevando un impasto del pane
da conservare grazie ai “rinfreschi”, oppure preparando un semplice
impasto di acqua e farina da lasciare a contatto con l’aria, così che si
arricchisca dei lieviti responsabili dei processi fermentativi che
consentono la lievitazione di pane e altri prodotti da forno.
Gli impasti preparati con la pasta madre hanno generalmente bisogno di
lievitare per diverse ore, ma il risultato ripaga dell’attesa: pane,
pizze e focacce risulteranno infatti più gonfi, più digeribili,
conservabili più a lungo e con un sapore decisamente migliore.
La pasta madre, inoltre, accresce il valore nutrizionale del pane e di
altri prodotti da forno. Negli impasti preparati con la pasta madre
diverse importanti sostanze rimangono intatte e, grazie alla
composizione chimica della pasta madre, il nostro organismo riesce ad
assimilare meglio i sali minerali presenti nelle farine.
I lieviti della pasta madre, poi, favoriscono la crescita di batteri
buoni nell’intestino, favorendo un buon equilibrio del microbiota e
migliorando così la digestione. È importante anche notare che il pane
preparato con lievito naturale possiede un indice glicemico inferiore
rispetto al pane realizzato con altri lieviti. Questo significa che
quando i carboidrati presenti nel pane vengono assimilati sotto forma di
glucosio, questo si riversa più lentamente nel flusso sanguigno,
evitando picchi glicemici.
Oltre a conferire al pane proprietà organolettiche e nutrizionali
migliori, la pasta madre presenta altri vantaggi. Grazie ai rinfreschi,
si può infatti avere a disposizione questo straordinario lievito
naturale a lungo; in più, la pasta madre può essere preparata con vari
tipi di farine, anche senza glutine.
La dieta senza glutine è l’unica terapia per le persone celiache e per
chi presenta sensibilità verso le proteine del frumento e in altri
cereali come orzo e farro. Inoltre, ridurre il consumo di glutine può
migliorare alcuni disturbi intestinali ed è consigliato anche a chi
vuole seguire un regime alimentare antinfiammatorio.
ATTENZIONE MOLTO
IMPORTANTE PER LA TUA SALUTE :
La tecnologia di riferimento
per le Cellule Tumorali Circolanti